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Figli degli abissi


Samirah

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Tutto è cominciato quando sono arrivate le prime seppie, quelle dannate bestiacce gelatinose. No, non mi si è rammollito il cervello, so ancora distinguere una seppia da una medusa, per la miseria. Ma queste seppie, se proprio vogliamo ostinarci a chiamare in questo modo quegli scherzi della natura, sono proprio delle schifezze gelatinose, viscide e trasparenti come le meduse. Ma molto più pericolose di queste.

La prima la pescò John lo sdentato. Mi ricordo che ebbe la faccia tosta di attraccare in porto quella sua carretta, la “Tempesta nera”, gridando dal ponte che aveva trovato una cosa meravigliosa. Meravigliosa, capite? Ma un uomo così stupido da invocare le tempeste col nome della propria barca, lo è anche probabilmente per non capire che un abominio non è una meraviglia. Fatto sta che si precipitò sul molo, rischiando di scivolare rovinosamente a terra, e cominciò a sventolare il suo lurido secchio arrugginito di fronte al naso di tutti.

L'espressione di stupore che si lasciavano sfuggire coloro che riuscivano a intravedere il contenuto del secchio, nonostante i movimenti agitati di John, attirarono la curiosità di altri. La gente si ammassò per poter dare un'occhiata alla nuova meraviglia del secolo: una seppia!

Oh certo, anch'io ero tra i presenti e anch'io rimasi stupito da quell'animaletto che, invece di assumere il colore grigio del secchio che gli faceva da sfondo, si mostrava quasi trasparente e con un'inaspettata luminescenza azzurra. Un fenomeno da baraccone, per farla breve. Ma mentre tutti saltavano per l'entusiasmo, io e pochi altri ci scambiammo qualche occhiata scettica. Una seppia che fa luce NON è una cosa bella e divertente, dicevano senza mezzi termini i nostri sguardi. Ma non ci sarebbe stato possibile smorzare l'euforia generale, per cui ognuno di noi tenne quel pensiero per sé. Ma la nostra preoccupazione si riaccese quando arrivò la seconda seppia fosforescente, appena una settimana dopo.

Questa volta fu la “Sally” a riportare il prezioso bottino, ma Tony, il suo capitano, ci risparmiò i saltelli deliranti di John. Mostrò a tutti l'esemplare, decisamente più impressionante del primo, col suo mezzo metro di lunghezza. Nonostante questo, fotografi e giornalisti non si vedevano. Tutto di guadagnato, dal mio punto di vista, ma era comunque strano che quel fetente di John non avesse tentato di vendere la notizia, per spacciare la sensazionale scoperta come sua. Con molta probabilità, chiunque avesse ricevuto la telefonata, doveva aver pensato al solito scherzo idiota.

Per un mese non si parlò d'altro in paese, mentre il resto del mondo sembrava ignorare la scoperta. E l'indifferenza esterna continuò anche quando le seppie fosforescenti cominciarono ad essere pescate a decine. Ormai ognuno in casa aveva una vasca riempita d'acqua di mare con la sua seppiolina azzurra che vi sguazzava dentro. Molte morivano dopo pochi giorni, ma i pescatori tornavano sempre con qualcuna di quelle bestie, per cui quelle morte venivano rimpiazzate in fretta. Alcune erano troppo grandi per le bocce da pesci rossi e qualcuno propose di allestire un acquario pubblico negli scantinati della scuola elementare. I bambini morivano di curiosità per quegli animali e si divertivano a osservarle a luci spente. Al buio, in effetti, erano affascinanti. La luce azzurrognola che emanavano si spandeva nell'acqua, creando effetti suggestivi sulle pareti e sul soffitto.

Insomma, le seppie avevano portato una ventata di vita in questo vecchio paese.

Ma portarono anche la morte.

La prima barca a non tornare in porto una mattina fu proprio la “Tempesta nera”. Avevamo sempre sostenuto che quel nome portasse sfortuna, ma John non aveva mai voluto sentire ragioni.

Al porto non avevano ricevuto nessuna richiesta di aiuto, ma si conosceva la zona di pesca battuta abitualmente dalla “Tempesta nera”, per cui alcuni si rimisero in mare, in cerca della vecchia carretta e del suo svitato capitano.

Dei quattro pescherecci che partirono, soltanto la “Spuma delle onde” tornò indietro la mattina seguente, cadente a pezzi. Phill, il capitano, era stato preso dal mare, così raccontarono i marinai superstiti, anzi, era più corretto dire che era stato preso dalle seppie.

Tutto ciò che quei poveracci in preda al panico riuscirono a raccontare era riassumibile nella comparsa, durante la notte, di decine, centinaia di seppie fosforescenti. Avevano circondato le barche, finché una luminescenza più ampia li aveva avvolti. Sotto di loro il mare era un'immensa nube luminosa, ribollente di tutte quelle creature, grandi e piccole. All'improvviso grandi tentacoli si abbatterono sulle imbarcazioni, frantumando e spezzando, portando ogni cosa con sé, sotto la superficie dell'acqua. La “Spuma delle onde” si era tenuta in disparte rispetto agli altri ed era riuscita a sfuggire ai colpi più letali. Ma un ultimo, scattante tentacolo era giunto fino a lei, colpendo il capitano e parte dell'albero.

Il racconto dei pescatori era assurdo, ma tutti noi avevamo sotto agli occhi quelle nefaste creature ogni singolo giorno. La sentenza fu quindi la condanna a morte. Nessuno si rese conto che quella sentenza era stata pronunciata contro noi stessi.

Le seppie furono strappate alle loro prigioni e straziate da mille lame furiose. Ognuno riversò la propria rabbia su quegli abomini, finché di loro non rimase nient'altro che poltiglia, che venne riversata in mare.

Forse fu proprio l'odore della morte dei loro simili ad attirarle fino a noi. O forse ci stavano già braccando per aver strappato i loro figli dall'abbraccio del mare. Quando la notte si illuminò della luce azzurra che filtrava dalle onde, capii che stava per iniziare un'altra sanguinosa mattanza, la nostra.

Tentacoli luminescenti comparvero sul bordo del molo in ogni punto, trascinandosi dietro i tozzi corpi gelatinosi. Le creature si incamminarono e dilagarono a migliaia per le strade del paese, senza alcun impaccio, sicure della direzione da prendere. Si muovevano in silenzio e la mancanza di ogni rumore le rendeva ancora più terrificanti. Erano come fantasmi e le grida di dolore lasciavano intuire il loro passaggio all'interno della case. Dietro di sé lasciarono soltanto sangue. E silenzio. Ci gettarono quindi in mare sprezzanti, come noi stessi avevamo gettato i corpi straziati dei loro figli. E non ci concessero neanche il riposo eterno, ma ci trascinarono con loro.

E ora siamo qui, nascosti negli abissi più oscuri e profondi, fantasmi fluttuanti nelle fredde correnti, luminescenti d'azzurro nella tenebra che ci circonda, animati dall'odio per noi stessi. Ma hanno rubato i nostri figli e dobbiamo andare a riprenderli.

1 Commento


Commento consigliato

Non mi ero accorto che lo avevi postato, ma ora ho rimediato.

Secondo me questo è il migliore di quelli postati finora. Sono riuscito ad immaginarmi perfettamente gli ambienti e la voce del pescatore che raccontava la storia, sei stata davvero brava.

Le ultime due righe poi, inaspettate ma rivelatrici di una storia più profonda, davvero complimenti! ;-)

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