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Anime Erranti

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Anime Erranti


Albedo

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Premessa

Personalmente quando creo un personaggio, o lo penso, ho poi il desiderio di "dargli vita", il desiderio di vederlo agire come vorrei e di attuare quelle caratteristiche che ho scelto o "programmato" per lui. Meccancihe o che situazioni che poi spesso non si concretizzano o, più spesso e banalmente, non hanno il tempo di verificarsi o, più mestamente ancora, il persoanggio non può prendere vita (alias entrare in un'avventura). Però lui, in un certo senso, esiste e merita di vivere la sua vita seppur pensata da altri. Ma, credo, un personaggio non è di verso da uno scritto e come disse Fritz Lang (autore di fantascienza): "ogni scritto è dotato di vita propria. Non sono io a decidere se sarà un racconto breve o un romanzo, è lo scritto stesso che lo decide"

Per cui ho deciso di aprire questo blog solo a tale scopo: dare vita ai miei personaggi, farli uscire dalla mia mente e farli vivere nel racconto che qui posterò.

E, come si dice in Giappone: yoroshiku onegai shimasu, tradotto: vi prego di aver cura di loro.

 

Capitolo 1. Gray e Maya

Il vecchio becchino chiuse i cancelli del cimitero e si avviò verso l’ultima tomba che aveva scavato per sistemare la pala. Spingendo la cariola, udì uno strano rumore provenire da un ampio cespuglio di rododendri. Si fermò e rimase ad ascoltare e ad osservare. Dei rami si mossero.

“Gatto, cane o corvo?” pensò l’uomo. Rimase quindi molto sorpreso nel veder sbucare una bambina di circa due anni che si reggeva appena sulle sue gambe. Indossava solo una tunica, aveva corti capelli argentei e due vispi occhi del colore dei germogli.

-          E tu da dove spunti, piccola? – Domandò l’uomo – Immagino che i tuoi genitori non siano qui in giro… a meno che non siano sotto qualche lapide. Vieni – disse allungando una mano – Non puoi stare fuori, per stanotte starai da me, poi cercheremo qualche tuo parente.

Ma né il giorno seguente, né le settimane o i mesi seguenti il vecchio becchino riuscì a sapere nulla della bambina che, per via del colore dei suoi capelli, decise di chiamare Gray.

Così il vecchio becchino decise di tenere con sé Gray e di crescerla. Quando l’uomo morì per l’avanzata età, la ragazza lo sostituì nel suo lavoro.

La ragazza, dal cimitero, osservava i giovani passare e divertirsi. Un paio di volte aveva provato a uscire dal cimitero, ad andare in città, nelle locande per fare amicizia e divertirsi. Ma ogni volta veniva derisa per il suo lavoro, così la ragazza iniziò a trovare rifugio e tranquillità solo fra le lapidi, iniziando a sfogarsi, a liberarsi del peso che aveva nel animo e nel cuore parlando ai morti… aggravando la sua reputazione.

Un giorno, tuttavia, i morti le risposero.

Strani eventi iniziarono ad accadere attorno a Gray. Nulla di particolare, ma forse inquietanti per molti. La ragazza iniziò a non ritrovare gli oggetti dove li aveva posti, spesso si trovava la casa sottosopra, appena apriva una borsa è un armadio il contenuto ne usciva sparpagliandosi per tutta la stanza, dovendo quindi poi perdendo tempo, ogni sera, per rimettere tutto in ordine. Ma ormai a lei andava bene così, ci si era abituata, e a volte quei fenomeni le strappavano un sorriso. Aveva rinunciato ad avere rapporti con i vivi, si era rassegnata che il cimitero sarebbe stato il suo mondo, e i morti i suoi amici. Almeno nel loro silenzio erano sinceri. Ma in cuor suo ancora invidiava gli altri ragazzi della sua età.

Un giorno si accorse di essere osservata da un ragazzo. La cosa le fece sussultare il cuore. Quella sera, in casa, si guardò allo specchio. Non sapeva come definirsi, non ci aveva mai pensato. Si osservò i capelli argentei, gli occhi verdi come i prati estivi, i lineamenti.

“Chi vuoi che si interessi a me?” pensò. Un improvviso rumore proveniente dall’esterno la fece sussultare.

“Un ladro? Un profanatore di tombe?” Pensò uscendo dal bagno. Preso un bastone uscì dalla casa.

Appena aprì la porta si trovò innanzi una figura. Riconobbe subito il ragazzo che la fissava. La ragazza arrossì.

Il ragazzo le sorrise, mentre con gli occhi ne osservava il corpo.

Gray sentì il cuore iniziare ad accelerare il ritmo, quasi volesse uscirle dal petto, il viso farsi più caldo, la sua presa sul bastone si allentò.

Con uno scatto lo sconosciuto le fu addossò, le afferrò il bastone e lo scagliò via, con le mani, atterrò Gray che tentò di liberarsi della presa ma senza successo.

Sentì le mani di lui correrle sul corpo, stringerla in più parti, le sue labbra sul collo.

Gray urlò, ma nessuno l’udì, o forse l’udirono ma preferirono non fare nulla.

La ragazza si dibatté, cercò di liberarsi, delle lacrime le rigarono il viso mentre sentiva i bottoni della camicia venire slacciati. Poi qualcosa accadde. Ebbe l’impressione di non sentire più il proprio calore, di non avere più sangue nelle vene, non sentiva più il calore del sangue che le usciva dai graffi e dai tagli.

Solo freddo.

Fredde divennero le sue mani. Un freddo particolare, diverso da quello del ghiaccio, ma identico a quello delle lapidi, il freddo della morte stessa. Con una mano toccò il suo aggressore e questi sbiancò, strabuzzò gli occhi, un’espressione di terrore ne deformò i lineamenti, si alzò tremando di paura, una chiazza di bagnato apparve sui suoi pantaloni, indietreggiò, si voltò e scappò via terrorizzato.

Gray lo osservò scappare, tirò un sospiro di sollievo e si osservò la mano per un tempo indefinito. Ne osservò i lineamenti, osservò come il colore delle sue dita fosse così simile a quello delle stelle che brillavano fra di essi, ma infinitamente più freddo. Si alzò e, zoppicando, rientrò in casa.

Nei giorni seguenti riprese il suo lavoro indossando un paio di guanti. Non sapeva cosa fosse accaduto esattamente, ma aveva timore che potesse accadere di nuovo. Passarono giorni e notti tranquille, fatta eccezione per i dispetti degli spiriti che ormai si era abituata ad avere attorno.

Poi il suo aggressore tornò, e non da solo. Con incredibile coraggio il ragazzo, con alcuni amici, entrò nel cimitero, dall’esterno presero vanghe e badili e insieme fecero irruzione nella casupola di Gray. La ragazza stava cenando quando in cinque sfondarono la porta e le furono subito addosso colpendola con i badili senza dire nulla e senza darle il tempo di alcuna reazione.

Il primo colpo che la ragazza subì fu violento e diretto sul costato, Gray sentì una costola rompersi, tentò di difendersi da un secondo colpo rompendosi così il braccio, giunse un terzo colpo. Ma questi si frantumò contro un’armatura fatta di ossa. Un’armatura apparsa all’improvviso e che ricopriva completamente Gray. Gli occhi della ragazza divennero furenti, mutarono colore dal verde al viola, la ragazza allungò una mano verso i suoi aggressori e un raggio gelido scaturì dalle sue dita colpendoli al petto, poi allungò entrambe le mani e su quegli uomini iniziarono ad aprirsi delle ferite che iniziarono a sanguinare copiosamente. Gli aggressori feriti e terrorizzati scapparono via.

L’armatura scomparve, Gray si accasciò al suolo esausta e ansimante, si passò una mano sulle ferite, sentì un tiepido calore e il dolore scomparve, lasciandola comunque spossata e provata.

La giovane becchina sapeva che non sarebbe potuta restare. Se non l’indomani, il giorno dopo ancora sarebbero tornati, e per ucciderla. La ragazza decise di andarsene quella sera stessa. Avrebbe trovato un’altra casa, e soprattutto avrebbe cercato di comprendere e nascondere i suoi poteri.

 

Caldo.

Maya alzò lo sguardo verso il cielo. Con una mano si scostò un ciuffo di capelli argentei dagli occhi, poi, proteggendosi con una mano, osservò il cielo limpido color turchese. Nessuna nuvola chiazzava di bianco quell’infinito azzurro. E non un filo d’ombra.

Lo zaino era pesante, e in corrispondenza degli spallacci si erano formate ampie chiazze di sudore.

La sacerdotessa si fermò sul bordo della strada, prese la propria boraccia e bevve un lungo sorso d’acqua ormai divenuta calda e simile ad un insipido brodo.

Un rumore attirò l’attenzione di Maya verso le proprie spalle: un carro si stava avvicinando. Quando le giunse accanto, la ragazza alzò un braccio per richiamare l’attenzione del cocchiere che tirò le redini per fermare cavalli e carro.

-          Buongiorno, e che la benedizione di Shelyn ricada su di lei – salutò Maya.

-          Buongiorno a lei. Ha bisogno di qualcosa?

-          Se fosse possibile, gradirei un passaggio fino al villaggio di Innova, dove dovrei prendere servizio presso il tempio locale.

-          Mmmm. Mi spiace ma non vado in quella direzione, però le posso dare un passaggio per un po’, poi dovrà camminare ancora per un paio d’ore.

-          La ringrazio! – Esclamò Maya aggiungendo un sorriso.

Salita a bordo il carro riprese il suo viaggio, durante il quale la giovane aasimar raccontò al cocchiere del suo noviziato al tempio, e di come fosse felice di andare in un piccolo villaggio, in quanto se fosse rimasta in città quasi sicuramente sarebbe stata adibita a compiti da archivista o bibliotecaria, compiti che non facevano per lei.

Nel tardo pomeriggio giunsero ad un incrocio e alla loro separazione. La sacerdotessa diede alcune monete d’argento all’uomo per il disturbo e lo osservo allontanarsi mentre lo salutava con la mano.

La notte iniziò a scendere alleviando il caldo e donando una piacevole brezza.

La sacerdotessa aveva innanzi ancora due ore di cammino. Poteva farlo ora, giungendo però di notte al villaggio, oppure accamparsi, dormire e riprendere l’indomani.

Fece alcuni passi lungo la via, poi ne uscì e si addentrò per una ventina di metri nella campagna. Mise giù lo zaino, lo aprì e iniziò a preparare la tenda. A lavoro ultimato levò alcune preghiere alla sua dea e si preparò per dormire.

Complice la stanchezza del viaggio, quando Maya si svegliò, era mattina inoltrata. La sacerdotessa si vestì, levò le preghiere mattutine a Shelyn e riprese il viaggio per il suo ultimo tratto.

Non aveva un’idea precisa di come sarebbe stata accolta al villaggio. Certo non sia spettava festeggiamenti o bambini che le venivano incontro… ma nemmeno l’opposto. Nel camminare per le strade vide finestre venire chiuse e madri afferrare e portare via i figli.

Triste e dispiaciuta per tale accoglienza raggiunse il tempio di Shelyn e vi entrò. Un vecchio chierico le venne incontro.

-          Posso esserle utile? – domandò con voce impastata dalla vecchiaia e sibilante per la mancanza di denti.

-          Buongiorno padre. Sono sorella Maya Meilin, inviata dal tempio di Guyan per aiutarla qui.

-          Oh… che piacere! Vieni, io sono padre Ghilbertus.

L’anziano chierico accompagnò Maya nell’ala residenziale del piccolo tempio e le mostrò la sua cella. Poi la accompagnò al giardino del tempio. Un piccolo spicchio ricavato fra le mura del tempio, dove una fontana finemente decorata era contornata da aiuole ricche di colori e fiori.

-          Cosa ti turba, sorella?

-          Vede… non ho potuto fare a meno di notare di non essere ben vista qui, e…

-          Non ti preoccupare. Sono solo diffidenti nei riguardi degli estranei, e di chi non è umano. I tuoi lineamenti, il colore della tua pelle e dei tuoi capelli… hai sangue celestiale, vero?

-          Sì, – arrossì Maya- sono un’aasimar di origini umane.

-          Non ti preoccupare, vedrai che si abitueranno a te. Da loro solo un po’ di tempo. Qui non accade mai nulla, e anche il minimo cambiamento alla loro quotidianità li sconvolge e li impaurisce.

E così fu. Dopo le prime cerimonie officiate insieme all’anziano chierico, la gente del villaggio iniziò ad avere un po’ di fiducia e confidenza con Maya

Maya era stata inviata a Innova non solo con il compito di affiancare Ghilbertus, ma anche con il compito di difendere il tempio e il villaggio da ogni minaccia. Ma per mesi nulla minacciò la quiete di quel villaggio lontano da ogni flusso commerciale e dalle grandi vie. Finché un giorno qualcosa non turbò quella quiete: un grosso lupo selvatico aveva deciso che era più facile assalire il bestiame del villaggio, piuttosto che cacciare la selvaggina. Ed anche gli umani per lui erano facili prede.

Quando il lupo attaccò, fortunatamente senza gravi conseguenze, un bambino, Maya corse nella sua cella, prese l’armatura che non indossava dai tempi del noviziato e l’indossò. Una splendida armatura decorata con motivi di ali. Afferrò la propria spada e si recò nel bosco a cacciare il lupo.

Il suo successo conquistò ampiamente e definitivamente le simpatie dei suoi compaesani, e del figlio del fabbro in particolare. Il giovane, Ash, era presente ad ogni cerimonia officiata da Maya, e al termine di ognuna aveva sempre qualcosa da chiederle. Era un giovane di bell’aspetto, dai modi gentili e leggermente timidi. Modi che lentamente iniziarono ad insinuarsi nel cuore della sacerdotessa.

Maya, nel rispetto dei dettami di Shelyn, covò quell’amore mantenendolo però al solo livello di sentimento. Ma per quanto si sforzasse di mantenerlo tale, lentamente se ne innamorò sempre di più.

Una sera, poiché erano stati avvistati diversi lupi nei giorni scorsi, Maya decise di rimanere alzata per vegliare sul villaggio.

Era seduta sui gradini antistanti il tempio, lo sguardo a scrutare le stelle. Udì un rumore provenire dalla piazza. Ash la stava guardando.

Una lieve brezza carica del profumo dei fiori notturni prese a soffiare smuovendo piano gli argentei capelli di Maya. Lui iniziò a salire i gradini, lei iniziò a sentire il proprio cuore battere sempre più rapidamente, lo stomaco stringersi… I suoi occhi si fissarono in quelli di Ash, e poco dopo le loro labbra si sfiorarono. Lei si alzò e i due, mano nella mano, uscirono dal villaggio per dirigersi verso un capanno di cacciatori nel bosco, e lì lasciarono che i sentimenti mutassero divenendo passione.

Dopo un tempo che non poterono quantificare uscirono felici da quel capanno avviandosi verso il villaggio. I loro occhi erano fissi in quelli dell’altro e non videro i bagliori rossastri che salivano al cielo, l’alta colonna di scintille e tizzoni che correvano verso le stelle… ma appena usciti dal bosco l’immagine del villaggio in fiamme li devastò.

Istintivamente Maya sguainò la spada e si lanciò di corsa verso il villaggio. Quando lo raggiunse non poté fare altro che constatare quanto era accaduto in sua assenza: il villaggio era stato attaccato, depredato e dato alle fiamme. Vide i corpi dei suoi amici riversi in pozze di sangue o bruciare in ciò che restava delle case. Trovò i corpi di alcune ragazze spogliati e privi di vita.

Con gli occhi spalancati, la mente vuota, le braccia prive di forza iniziò a vagare per le fiamme trascinandosi dietro la spada.

Raggiunse i resti del tempio anch’esso in fiamme. Padre Ghilbertus era riverso sulla scalinata in una pozza di sangue, in mano reggeva ancora una vecchia spada.

Un rumore. Si girò. Ash era vicino a lei, sconvolto nel viso.

-… mia… è tutta colpa mia… - continuava a ripetere. Poi, senza che Maya potesse fare nulla si lanciò fra le fiamme uccidendosi.

Maya cadde a terra, disperata, in lacrime per quanto era accaduto… avrebbe voluto porre fine alla sua disperazione alla sua vita, ma si rese conto di non averne il coraggio. Fra le fiamme e il fumo vide una figura venirle incontro. Maya impiegò del tempo per rendersi conto di trovarsi al cospetto della sua dea. Due lacrime rigavano il viso di Shelyn, i suoi occhi erano tristi, ma ne trasparivano collera e delusione.

-          Avevo fiducia in te – disse la dea – ti ho benedetta concedendoti poteri che sono preclusi ai comuni mortali. E tu hai tradito la mia fiducia. Hai tradito il tuo villaggio. Non hai più la mia benedizione, non avrai più i tuoi poteri, ma avrai la mia collera finché il tuo cuore non avrà espiato le sue colpe.

La dea gettò un pendaglio in grembo a Maya.

-          Quando il tuo cuore sarà sinceramente pentito, usa questo talismano per invocare nuovamente la mia benedizione. E se ai miei occhi sarai nuovamente pura, l’avrai.

L’immagine della dea svanì e Maya perse i sensi accasciandosi a terra e stringendo fra le dita il talismano.

Quando si riprese si ritrovò in un carro, in mano stringeva ancora il dono di Shelyn.

Una donna con dei bambini era con lei sul carro.

-          Ti sei ripresa? – Domandò questa con tono gentile – Menomale, quando ti abbiamo trovata abbiamo temuto per te. Cosa è successo?

Maya non volle raccontare nulla e l’altra non insistette.

Giunti ad un villaggio, Maya ringraziò e si diresse verso la locanda più vicina dove prese una camera. Salita e chiusasi dentro si accasciò sul letto dove pianse per tutto il giorno e la notte finché non si addormentò.

L’indomani si spogliò dell’armatura e dei simboli sacri di Shelyn. Con una lama si tagliò i lunghi capelli ed uscì dalla locanda. Si fece indicare dove avrebbe potuto comprare uno zaino e un corpetto di cuoio.

Tornata in camera mise la sua armatura sacra e la spada nello zaino, indossò il suo nuovo equipaggiamento e, pagata la stanza, si avviò per espiare le proprie colpe.

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Albedo

Inviato

Capitolo 2. L’incontro in taverna.

 

Il rombo del tuono fece vibrare i vetri della locanda, interrompendo, per un attimo, il ritmico tintinnare delle gocce d’acqua sulle finestre.

La porta si aprì, nessuno degli avventori ci fece caso. Una ragazza con un grosso e, vistosamente, pesante zaino raggiunse il bancone, il viso e la testa erano nascosti sotto un cappuccio color ocra, ma il fisico era decisamente femminile.

Il locandiere si avvicinò.

- Cena, stanza o entrambe? – Chiese.

- Entrambe – rispose la ragazza alzando la testa e scostando il cappuccio mettendo in mostra corti capelli argentei.

- Fa una moneta d’oro. La camera è la terza del secondo piano, lì ci sono le scale. – Indicò l’uomo indicando un corridoio e trattenendo le chiavi nel proprio pungo finché non ricevette la moneta.

Poco dopo giunse un’altra ragazza, era bagnata fradicia, ma sembrava non soffrire il freddo, tenendo il capo chino raggiunse il bancone, dove posò quattro monete d’argento.

- Avete una camera? – Chiese.

- Sono spiacente, ma per una camera, anche in comune, ce ne vogliono almeno sette, di monete d’argento.

- Capisco. – Rispose la ragazza mestamente riprendendo le monete.

Il locandiere la osservò attentamente, sorrise e la bloccò.

- Ma, – disse – se lei non ha problemi e se l’altra ospite non ha problemi, puo condividere la camera con una cliente che giunta poco fa. Terza camera del secondo piano. provi a chiedere e mi faccia sapere.

- Grazie. Chiederò.

Il locandiere le indicò le scale e la guardò allontanarsi, poi volse il proprio sguardo verso alcuni suoi clienti e, con latesta, un gesto ad uno di essi.

 

Maya era stanca. Depose il suo pesante zaino a terra, si tolse le vesti bagnate e si asciugò con un asciugamano.

Qualcuno bussò alla porta. La ragazza vi si avvicinò.

- Chi è? – Chiese.

- Scusi se la disturbo – rispose una voce femminile – Mi chiamo Gray. Purtroppo non ho abbastanza denaro per pagare una camera, ma il locandiere mi ha suggerito di chiederle la disponibilità dividere la stanza con lei.

Maya abbassò il capo. “Aiutare i bisognosi” pensò.

- Quindi? – Domandò ancora la voce.

- Va bene.

Maya aprì di poco per permettere alla nuova venuta di entrare dentro, poi richiuse subito la porta. Osservò la figura che era appena entrata. Era completamente bagnata.

- Io mi chiamo Maya. Ti consiglio di toglierti quelle vesti e di asciugarti, altrimenti prendi freddo. Hai detto di chiamarti Gray, giusto? – Continuò Maya mentre dall’armadio prendeva una coperta ed un altro asciugamano – Strano nom…

Appena si girò vide che la sua ospite si era tolta il soprabito. Anche lei aveva dei capelli argentei come i suoi, non li teneva sciolti, ma in trecce legate sulla nuca.

- Sì – rispose Gray – chi mi trovò e adottò non aveva una grande fantasia per i nomi.

- Hai dei vestiti asciutti? – Domandò Maya notando che l’altra non si era tolta i guanti.

- Sì, ne dovrei avere uno, forse non è pulito, ma è asciutto. Almeno spero.

Gray posò l’asciugamano sul letto e si diresse verso la propria borsa, appena l’aprì ogni cosa si sparpagliò per il pavimento.

- Simpatici come sempre! – Commentò la ragazza a bassa voce raccogliendo da terra le sue cose.

Maya preferì non commentare, indossò anche lei qualcosa di asciutto e poi propose alla propria coinquilina di scendere per mangiare qualcosa di caldo, Gray accettò volentieri.

Cambiatesi con vestiti asciutti le due ragazze scesero nella sala comune per cenare.

Appena giunte, osservarono meglio il luogo e gli altri avventori. La sala era foderata in legno chiaro, alle pareti vi erano diversi quadri raffiguranti scene di caccia e paesaggi, in un angolo un grande camino acceso riscaldava l’ambiente. Alcune piante ornavano la sala in diversi punti.

Una decina di tavoli rotondi erano disposti in vario modo nella sala, molti di questi erano occupati da gruppi di persone intente a mangiare, giocare a carte o fumare da lunghe pipe e chiacchierare fra loro. Due cameriere facevano la spola fra i tavoli per prendere gli ordini e portare via piatti e bicchieri.

Le due ragazze si diressero verso un tavolo vuoto vicino ad una pianta, appena sedutesi vennero raggiunte da una cameriera.

- Zuppa calda? – Domandò

- Grazie, e dell’acqua.

La cameriera pulì il tavolo con un panno umido e si diresse verso la cucina.

- Come mai – chiese Maya – una ragazza sola vaga per questi posti desolati?

Gray alzò lo sguardo.

- Per me un posto vale l’altro, e poi mi sembra che anche tu sia sola.

La cameriera fece ritorno e posò due ciotole di densa zuppa scura sul tavolo, due bicchieri e una brocca d’acqua.

- Vero, solo che io… - Maya venne interrotta dal tintinnare delle posate di Gray che erano cadute a terra senza che nessuno le avesse toccate.

- … e poi – continuò Gray chinandosi per raccogliere ciò che era caduto- non sono proprio sola.

La cameriera tornò e posò una brocca di vino.

- Da parte di quei signori – disse anticipando le domande ed indicando un tavolo poco più avanti.

Sia Gray che Maya guardarono il tavolo indicato. Due uomini in armatura leggera e corti capelli neri le salutarono alzando i loro boccali ripieni di birra.

Gray li osservo attentamente. Poi osservò il vino. Bevve la sua acqua e se ne versò due dita. Lo portò alla bocca e lo annusò. Percepì un odore pungente dietro a quello del vino. Socchiuse le labbra.

- Spiriti che mi accompagnate e vegliate, mostratemi cosa vi è nascosto. - mormorò.

Ai suoi occhi il vino mutò colore mostrando delle chiazze bluastre.

La ragazza depose il bicchiere.

- E’ avvelenato – mormorò alla propria compagna – forse sonnifero.

- Immaginavo. Poi ti spiego. Facciamo finta di bere e versiamo sta roba nella pianta, poi andiamo in camera.

L’altra annuì.

Al termine della cena si diressero, sbadigliando, verso la propria camera.

Appena dentro, Maya tolse dal proprio zaino un’armatura e la sistemò sotto le coperte in modo da dare l’impressione che ci fosse sotto qualcuno, poi fece altrettanto con delle coperte. Quindi indossò rapidamente un corpetto di cuoio borchiato.

- In realtà – disse – sono venuta qui perché pare che siano scomparse diverse persone, tutte ragazze… tu non hai qualcosa con cui proteggerti nel caso si dovesse combattere?

Gray sorrise.

- In un certo senso ce l’ho. Non ti preoccupare… ma tu viaggi sempre con un’armatura nello zaino?

Maya spostò il proprio sguardo sul letto.

- E’ una lunga storia.

Un rumore proveniente dal corridoio attirò la loro attenzione, Maya spense la lampada e si mise all’ombra di un angolo, Gray si spostò accanto alla porta.

Un rumore giunse dalla serratura, la chiave cadde a terra, poi un secondo rumore e la maniglia iniziò ad abbassarsi piano. Una lama di luce filtrò nella stanza, subito seguita da due figure che le ragazze riconobbero essere i due che avevano offerto loro da bere.

I due uomini avevano in mano delle corde e dei bavagli, lentamente si avvicinarono al letto, uno dei due con un rapido movimento del braccio buttò indietro la coperta rimanendo sorpreso nel vedervi sotto un’armatura e delle coperte.

Maya scattò in avanti, afferrò il braccio dell'uomo a lei più vicino e portò la punta della propria spada corta al collo dell'intruso.

- La Gilda ha messo una taglia su di voi. Arrendetevi.

L’uomo rimase immobile, mentre il suo compagno lasciò cadere a terra corde e bavagli. Lentamente portò una mano all’elsa della spada che portava al fianco.

Alle sue spalle apparve Gray.

- Fermo dove sei – disse quest’ultima, Maya notò che la sua compagna si era sfilata un guanto.

L’uomo si girò di scatto e afferrò la mano della ragazza che sorrise in modo ambiguo.

- Bu! – Disse questa fissando i propri occhi verdi in quelli dell’uomo che improvvisamente iniziò a sudare freddo, impallidì ed iniziò a tremare fino ad accasciarsi a terra impaurito.

La scena sorprese Maya distraendola, il suo prigioniero ne approfittò per darle una testata al volto e liberarsi della presa, si slanciò in avanti e afferrò la spada del compagno, continuando il movimento si protese verso Gray che lo fissò in modo freddo, alzò una mano e dalle sue dita scaturì un getto verdastro che colpì l’uomo alla spalla. Si udì uno sfrigolio, il tessuto colpito si sciolse e la pelle sottostante venne intaccata dall’acido.

L’uomo non si fece forza e con una smorfia di dolore sul volto cercò di continuare il proprio attacco.

Maya, ripresasi e con il sangue che le colava dal naso e da un labbro per il colpo ricevuto, strinse la propria arma e fece un rapido affondo contro l’uomo colpendolo ad una scapola.

L’uomo cadde a terra rovesciando un tavolino.

Gray e Maya ne approfittarono per legare i due uomini e imbavagliarli con le loro stesse corde e bavagli.

Con calma Gray si rimise il guanto.

Il trambusto del breve combattimento richiamò l’attenzione di altri ospiti e del locandiere che parve molto contrariato nel vedere due uomini legati e uno di questi ferito.

- Signorine! – Esclamò – Spero che abbiate delle valide ragioni. Non tollero queste cose nella mia locanda.

Maya non si scompose. Dalla propria giacca prese un foglio arrotolato e lo dispiegò innanzi all’oste.

- Come può leggere su questo foglio, c’è una richiesta della gilda per la scomparsa di alcune ragazze nella sua locanda, e questi uomini hanno provato prima a drogarci e poi a rapirci. Ne sapeva qualcosa?

Il locandiere guardò con disprezzo i due uomini.

- No, come dissi a suo tempo alla milizia cittadina. Non ne so nulla, per quanto ne so, da qui non è mai stato rapito nessuno. Ma se questi uomini hanno provato a farlo, che paghino i loro errori.

Detto ciò se ne andò. E così gli altri curiosi tranne un nano.

- E lei? – Domandò Maya.

- Piacere, mi chiamo Grumbo. Mi chiedevo come fareste voi due a trasportare questi due uomini. Se volete posso darvi una mano. Ho un carro. In cambio vi chiedo solo tre monete d’oro.

Maya divenne pensierosa. Il nano non aveva tutti i torti, e oltretutto, a conti fatti lei era da sola.

Si avvicinò a Gray.

- Ascolta, ti andrebbe di metterti in società con me? Io sono sola e una mano mi farebbe comodo. Tu hai detto che non hai dove stare e dove andare. Ti va?

Gray soppesò la proposta.

- Ad una sola condizione – rispose arrossendo lievemente – che io possa essere tua amica.

- Va bene! – Rispose sorridendo Maya, che poi si rivolse al nano. – Va bene signor Grumbo, accettiamo la sua offerta. Partiremo domani mattina. E nel frattempo, di questi due cosa ne facciamo?

- Li possiamo portare nella stalla,e per altre cinque monete d’oro farò loro la guardia.

Maya sospirò. Ed accettò. Aiutò il nano a portare i due nella stalla e si congedò potendosi quindi godere un po’ di meritato riposo.

Maya dormì nel letto mentre Gray, su sua stessa insistenza, si riposò sul pavimento.

Albedo

Inviato

Capitolo 3. I lupi d’argento.

 

L’indomani, caricati i due uomini sul carro, le due ragazze e il nano partirono alla volta della cittadina di Quinoa.

La pioggia scesa durante la notte aveva reso la strada fangosa, rallentando di molto il carro.

-          Quindi, signorine – iniziò Grumbo – fate parte della Gilda. Più volte ci ho fatto anch’io un pensierino, ma poi ho rinunciato ogni volta. Preferisco la comoda e tranquilla vita del commerciante. Ma voi? Cosa spinge due belle ragazze a rischiare la vita?

-          E chi lo sa… - rispose Gray – Personalmente sto solo girando e vagando in cerca di qualcosa che forse nemmeno io so cosa.

-          Quanto a me – aggiunse Maya – solo… non credo… le spiace se non le rispondo?

-          Assolutamente!

-          Lei in cosa commercia? – Domandò Gray, genuinamente incuriosita.

-          Le tipiche cose da nani: metalli, armi e armature. Quindi se un giorno avrete bisogno di qualcosa venite pure nella mia bottega.

Il viaggio proseguì tranquillo fino a destinazione. Le strade principali erano piene di gente intenta a passeggiare o guardare la merce esposta dai vari negozi e botteghe, alcuni bambini giocavano fra loro; il carro proseguì fino a fermarsi innanzi alla Gilda. Con l’aiuto di Grumbo le due ragazze fecero scendere i loro passeggeri e li condussero all’interno.

Appena entrata, Gray si fermò ad osservare quel posto. Non sapeva bene nemmeno lei cosa aspettarsi, ma quello che vide la sorprese.

Una grande sala con alcuni divanetti e tavolini, un bancone da locanda, alcune bacheche e un altro bancone dietro al quale vi erano tre persone, due uomini e una donna. Attorno, seduti ai tavolini o sui divani, piuttosto che in piedi nei pressi del punto di ristoro, vi erano numerose persone con armi e armature delle diverse fogge, decisamente gli stereotipi dei classici avventurieri.

Nessuno dei presenti badò a lei o la degnò di uno sguardo.

Sempre più incuriosita la ragazza si avvicinò ad una delle bacheche. Vi erano diversi fogli riportanti diverse tipologie di incarico e la relativa ricompensa offerta. Vi era un po’ di tutto: scorta, recupero di oggetti, pulizia di rovine e templi abbandonati.

Sorrise, le sembrava di essere alla fiera dello stereotipo, ma in fondo quello era il mondo in cui viveva.

Si sentì una mano posarsi sulla spalla, Gray trasalì, fece uno scatto girandosi, portò in avanti al mano destra e quella sinistra, aperta, all’altezza del fianco, le dita di entrambe le mani iniziarono a illuminarsi di verde, poi vide che si trattava di Maya.

-          Scusa, non volevo spaventarti…

Gray si rilassò.

-          Non gradisco molto essere toccata.

-          Terrò presente, ora vieni, ti devi iscrivere per entrare nella Gilda, hanno bisogno di alcuni tuoi dati, che io non conosco.

Gray annuì.

Le due ragazze si avvicinarono al bancone con i tre umani, innanzi a loro vi era un uomo di mezz’età dai capelli brizzolati.

-          Bene signorina, ho bisogno di poche cose: nome, razza, precedente occupazione e attuale specializzazione.

Gray sollevò un sopracciglio.

-          Se proprio devo. Gray, non ho altri nomi, umana, almeno credo. Fino a un paio di mesi fa facevo la becchina. Conosco le arti magiche.

-          Arcane o divine?

-          Entrambe.

L’uomo sollevò lo sguardo e fissò per un attimo la ragazza, si sistemò gli occhiali e riportò sul modulo la risposta ricevuta.

-          Ora una sua firma qui. – Disse porgendo una penna di corvo e il foglio alla ragazza, che, seppur titubante, prese e firmò. – Bene è tutto a posto. Al vostro prossimo incarico non dimenticate di indicarci il nome che avete scelto per il vostro gruppo… “Lupi d’argento”. Alla prossima. –Congedò l’uomo archiviando i fogli.

Le due ragazze si spostarono recandosi a un tavolino.

-          “Lupi… d’argento”? - Domandò Gray.

-          Scusa ma è la prima cosa che mi è venuta in mente, considerando che è il colore dei nostri capelli, ma se non ti piace possiamo cambiarlo…

-          No, no… va bene. Solo che… - Gray si guardò le mani inguantate – Spero di non recarti problemi…

Dopo aver mangiato qualcosa si diressero verso la bacheca per vedere se ci fosse qualche annuncio adatto ad inaugurare la loro collaborazione.

Fra tutte le offerte ve ne era una che attirò l’attenzione di Maya: una stazione di posta stava subendo un’estorsione sotto minaccia. I banditi venivano a riscuotere settimanalmente e stavano portando al fallimento la stazione di posta e relativa foresteria.

Maya staccò il foglio e si recò al bancone per farsi accreditare l’incarico. Svolte le formalità burocratiche, uscirono dall’edificio della Gilda.

-          Purtroppo dovremo andare a piedi, o chiedere un passaggio, non ho cavalli e non ho i soldi per comprarne uno.  – Disse Maya

-          … e io non so cavalcare. – Aggiunse l’altra.

Le due si avviarono verso la piazza centrale della città dove, speravano, di trovare un carro che le conducesse se non a destinazione, almeno in sua prossimità.

Nella grande piazza vi erano diverse bancarelle che vendevano razioni da viaggio, souvenir, armi semplici e leggere per autodifesa e quant’altro sarebbe potuto tornare utile durante un viaggio.

Allineati accanto a una lunga aiuola alberata vi erano sei gradi carri, ognuno dei quali era trainato da quattro cavalli. All’inizio dell’aiuola, sotto l’ombra di una grande quercia, vi era una casupola. Accanto alla porta vi era una bacheca con segnati gli orari di partenza dei carri, le loro destinazioni e relative tariffe, dal lato opposto della porta vi era un’ampia mappa del territorio con segnati i percorsi e le fermate dei carri.

Le due si avvicinarono alla mappa e, scorrendola col dito, cercarono la stazione di posta verso la quale erano dirette.

-          Eccola! – Esclamò Gray – “Avamposto di Orlov” – lesse – e siamo fortunate fa da luogo di sosta per il carro diretto a Pitax, e abbiamo… - la ragazza sollevò la testa per guardare la grande torre dell’orologio che sovrastava la piazza – circa un’ora prima che parta.

-          Bene, allora iniziamo a prendere i biglietti, poi attenderemo.

Maya entrò nella casupola, l’interno era anche più piccolo di quanto si sarebbe detto osservandola da fuori. Due panche, alcune locandine, e un bancone con dietro un vecchio.

-          Due biglietti per l’avamposto Orlov, per favore.

L’uomo non disse nulla, prese un blocchetto di carta e ne strappo due foglietti che porse a Maya.

-          Sei monete d’oro.

Maya aggrottò la fronte e pagò. Era più di quanto pensava, avrebbero dovuto risparmiare sul mangiare per rientrare nelle spese.

Raggiunta la propria compagna e individuato il carro che le avrebbe portate a destinazione, si sedettero su una panchina e attesero osservando il movimento delle persone, l’arrivo di nuovi carri, amanti che si ritrovavano dopo giorni o mesi di lontananza, persone che andavano via tristi per non aver trovato chi speravano.

Giunse il momento della partenza.

Il carro era abbastanza grande, esternamente  aveva due file di panche nella parte anteriore per i due cocchieri e l’uomo di scorta, dietro di queste vi era un vano per i bagagli e infine il carro vero e proprio.

Maya sistemò il proprio pesante zaino nel vano del carro, poi si portò sul retro dello stesso e aiutata da una scaletta vi salì..

L’interno non era il massimo della comodità: due panche di legno di cui una sola imbottita, erano disposte sui lati del carro vicino al vano di carico, ed occupavano il carro per metà della sua lunghezza, su ognuna di esse potevano trovar posto due persone, per gli altri viaggiatori gli unici posti erano a diretto contatto con il fondo del carro. Le pareti erano in legno e alte poco più di un metro, poi degli archi in metallo tenevano una copertura in tela che completava la struttura del carro.

Quando le ragazze salirono, le due panche erano già occupate. Su quella imbottita vi era una coppia di elfi, forse marito e moglie, di fronte ad essi vi erano due uomini. Gli altri occupanti del carro erano un tiefling con una lunga spada e armatura scura e un mezz’orco armato di ascia, sulla schiena portava un grosso scudo di legno.

“Avventurieri?” si domandò Maya osservandoli.

Il carro partì con una scossa.

Rapidamente lasciarono la città inoltrandosi nella campagna circostante.

Gray osservò i suoi compagni di viaggio. I due uomini sulle panche erano intenti a leggere dei quaderni pieni di numeri, i due elfi si tenevano per mano e lei si era addormentata poggiando la testa sulla spalla di lui. Per un attimo ne fu invidiosa. Istintivamente spostò la propria attenzione sui due avventurieri. Se ne stavano uno di fronte all’altro con le braccia conserte e gli occhi chiusi, forse stavano dormendo anche loro. Maya invece guardava il paesaggio sfilare dietro di loro.

Il sole iniziò a calare e il carro si fermò. Il cocchiere si girò verso l’interno del carro.

-          Ci fermiamo per far riposare i cavalli e cenare, poi riprenderemo il viaggio. Nel frattempo sistemeremo i letti in modo che possiate dormire durante la notte.

I viaggiatori scesero dal carro e iniziarono a muoversi per sgranchirsi le gambe e rilassarsi un po’.

Gray volse lo sguardo verso il cielo. Infinito e stellato, delle strie di stelle cadenti fecero la loro breve apparizione.

Nel frattempo il personale del carro slegò i cavalli e approntò una cucina da campo, iniziando a preparare una zuppa. In lontananza si udì l’ululato di alcuni lupi.

A quel richiamo l’elfa si strinse di più al proprio compagno che la cinse con un abbraccio. Nuovamente nel vederli, Gray si portò una mano al petto e sospirò.

I due avventurieri si diedero da fare ad aiutare l’equipaggio del carro mentre i due uomini, forse, d’affari, si erano già seduti al tavolo in attesa della cena.

Maya si guardò attorno. Erano in aperta campagna, in uno spiazzo di erba bassa e terra battuta accanto alla strada. Ad entrambi i lati della strada l’erba era più alta, sparpagliati vi erano diversi cespugli e qualche pianta isolata.

-          E’ pronto! – Richiamò infine il cocchiere.

Maya guardò un’ultima volta la campagna oltre la via e si diresse al tavolo.

Durante la cena, i viaggiatori iniziarono a socializzare maggiormente fra loro. I due avventurieri erano diretti a Pitax in cerca di fortuna, i due elfi, marito e moglie, stavano invece intraprendendo un lungo viaggio la cui meta finale era Absolom, mentre i due uomini erano mediatori per un grosso affare nel Cheliax, ma non vollero dire di cosa si trattasse.

Terminata la cena e lasciati riposare i cavalli a sufficienza, il cocchiere invitò i viaggiatori a rientrare nel carro.

Gray fu la prima a raggiungerlo, poggiò un piede sulla piccola pedana, afferrò una sponda e si tirò su, appena vide l’interno si bloccò. Nel cassone del carro erano state disposte quattro ampie assi all’altezza delle panche, ed altre due poco più in alto appoggiate ai bordi in legno del carro, sulle assi erano state sistemate delle coperte.

Si girò e si rivolse al cocchiere.

-          Mi scusi, ma qui ci sono solo sei, definiamoli, letti, mentre noi siamo in otto.

-          Mi spiace, dovrete adattarvi.

-          Io e mia moglie staremo nello stesso letto – disse l’elfo.

-          Io non divido il letto con nessuno, e prendo quello in alto – disse uno dei mercanti subito imitato dal suo socio.

-          Noi – specificò il tiefling – occuperemo i due vicino al bordo, come potete vedere date le dimensioni del mio compagno di viaggio, diversamente sarebbe impossibile.

-          Qu…quindi io dovrei dormire con la mia compagna di viaggio…?

-          Ci stringeremo – Commentò Maya.

-          I..io non posso – rispose mesta Gray. – Mi arrangerò a stare davanti con i cocchieri.

-          Come preferisci. – Rispose perplessa Maya.

Gray senza aggiungere o dire altro, scese dal carro e si portò nella parte anteriore, i tre uomini dell’equipaggio non fecero alcuna obiezione, si sistemarono tutti e tre sulla prima panca lasciando la seconda a Gray, a cui diedero una coperta per ripararsi dall’umidità della notte.

Il carro riparti e i suoi passeggeri rapidamente si addormentarono.

Gray si sentì chiamare. A fatica aprì un occhio.

-          Signorina – disse la voce del cocchiere – siamo arrivati all’avamposto Orlov. Il carro si ferma qui per il resto della notte per far dormire i cavalli, e voi potrete dormire in un letto decente…

-          S…sì… grazie – rispose la ragazza con la voce impastata dal sonno, poi vide che gli altri passeggeri erano già scesi e stavano prendendo i propri bagagli.

Scesa dal carro osservò il luogo. Doveva essere un vecchio avamposto militare. Erano all’interno di una palizzata di legno ai cui angoli sorgevano quattro torri quadrate. Vi erano poi tre piccoli edifici. Una era la stalla, poi vi era un piccolo edificio in muratura i cui muri, in prossimità del tetto, avevano diversi fori quadrati, infine vi era un edificio a due piani a forma di L con alcune finestre illuminate.

-          Vieni? – L’invitò Maya.

Gray annuì e seguì l’amica all’interno della stazione di posta.

Albedo

Inviato

Capitolo 4. Attesa

 

Appena entrate, una calda atmosfera famigliare le avvolse, i volti dei presenti, seppur in qualche caso stanchi, erano rilassati, le voci amichevoli si fondevano con il conforetevole sottofondo del camino acceso. Un profumo speziato giungeva dalla cucina.

Gray e Maya si diressero verso un bancone dietro al quale era visibile una rastrelliera per le chiavi. Una giovane elfa vestita di verde le accolse con un amabile sorriso.

-          Benvenute! Posso fare qualcosa per voi? Una camera o una cena?

-          Vorremmo parlare con il proprietario in merito – Maya si fece un po’ più avanti sul bancone e al contempo abbassò la voce – alle minacce e all’estorsione che state subendo.

L’elfa a quelle parole si portò una mano alla bocca, i suoi occhi si fecero leggermente umidi, e con la testa annuì.

-          Corro a chiamarlo… che Iomedae sia lodato!

La cameriera sparì dietro una porta, nel contempo un’altra persona entrò nella stazione di posta. Gray l’osservò distrattamente, una figura femminile avvolta in un manto blu scuro.

-          Eccomi!- Una voce profonda e forte riportò l’attenzione di Gray al bancone, ora, al posto dell’elfa, vi era un corpulento nano dalla lunga barba nera e vispi occhi simili a tizzoni. – Venite, sediamoci per parlare con calma.

I tre si diressero verso un tavolo libero leggermente in disparte, con la coda dell’occhio Gray vide la figura appena giunta dirigersi verso l’elfa.

-          Piacere! Io sono Gorin Scudonero. Sono lieto che qualcuno sia giunto, non ci speravo più! – Esordì il nano mentre con la mano destra facevo un tre con le dita verso la cameriera. – Avevo inviato l’annuncio più di sei mesi fa.

-          Piacere nostro. Io mi chiamo Maya e lei Gray. Cosa ci sa dire sulle persone che la taglieggiano?

Il nano incrociò le braccia al petto, chiuse gli occhi, reclinò la testa verso il basso e si appoggiò allo schienale della sedia che scricchiolò.

-          Non so quanti siano esattamente, qui ne ho sempre visti cinque, ma non sempre le stesse facce, da cui deduco che il loro gruppo sia più numeroso. Chiedono, anzi pretendono, parte dell’incasso e dei viveri che ho nel magazzino. Se mi rifiuto daranno alle fiamme questo posto, e rapiranno le mie cameriere. Capite che io da solo non posso fare molto. La prima volta due miei clienti provarono a contrastarli, ma vennero uccisi. Motivo per cui non oso chiedere nulla ai miei ospiti e cerco di essere il più accondiscendente possibile.

-          Con quale frequenza si fanno vedere? Come sono armati?

-          Vengono al mattino presto, dopo la partenza dei carri, quando sono sicuri che qui non ci sia quasi nessuno. Hanno spade, non saprei dire che tipo di protezioni abbiano. Dovrebbero giungere dopodomani, se mantengono gli stessi tempi che hanno avuto fin’ora.

-          Un giorno ci dovrebbe essere sufficiente per elaborare una strategia.

-          Scusate la domanda… ma siete solo voi due? – Chiese Gorin con tono dubbioso.

-          Sì, ma non si preoccupi. Sappiamo farci valere! – Esclamò con orgoglio Maya.

-          Lo spero. Nel frattempo vi farò servire la cena.

Gray osservò il nano alzarsi e dirigersi verso il bancone dove la cameriera stava ancora parlando con la ragazza giunta prima. Gorin disse qualcosa e poi si diresse verso una porta seguito dalla nuova venuta.

Poco dopo la cameriera portò alle due avventuriere un tagliere di salume e formaggio, e un piatto di carne con verdure.

Terminata la cena, le due compagne si recarono nella camera messa loro a disposizione da Gorin per dormire il resto della notte.

La camera, piccola ma accogliente con due letti separati, aveva tutto il necessario: coperte, lenzuola, un armadio per porre i vestiti, alcuni asciugamani, due lanterne a olio e due bacinelle d’acqua. I bagni, in comune, si trovavano in fondo al corridoio.

Una volta dentro Maya depose il proprio zaino a terra accanto all’armadio.

-          Posso farti una domanda? – Chiese Gray.

-          Dimmi.

-          Ti andrebbe di raccontarmi “quella lunga storia” inerente a quell’armatura?

Maya volse il capo verso il proprio zaino. Chiuse gli occhi e reclinò la testa verso il basso.

-          Quell’armatura – disse piano con tono mesto – apparteneva a una persona che non c’è più. Ed io al porto come misero segno di penitenza, essendo stata la responsabile de… sì… della sua morte.

Gray si avvicinò all’amica e le posò una mano sulla spalla.

-          Scusami. Se non vuoi parlarne… facciamo conto che tu lo abbia comunque fatto. Non ne accennerò più. In cambio ti dirò perché indosso sempre i guanti ed evito il contatto fisico con le altre persone. Da tempo sento uno strano freddo in me, un freddo che fluisce nelle altre persone quando le tocco, ma non è il freddo del ghiaccio o della neve, è… come dire… il freddo dei morti, e pare spaventare chi lo subisce… e capisci che questo non mi è molto utile… condannandomi, di fatto a essere sempre sola.

Maya, inaspettatamente sorrise posando la propria mano su quella dell’amica.

-          Bhè, un’amica ora ce l’hai! Ora dormiamo, domani dobbiamo organizzarci per il lavoro.

Il resto della notte passò tranquillo e riposante per le due che, al mattino e dopo una discreta colazione, iniziarono a ispezionare la stazione di posta per organizzarsi contro i taglieggiatori.

Il posto non era molto grande, e con un numero sufficiente di persone sarebbe stato perfettamente difendibile.

La palizzata in legno era composta da tronchi d’albero alti poco circa tre metri tenuti insieme fra loro da robuste corde a tre a tre, le quattro torri, poste agli angoli, avevano il basamento in pietra e all’interno una scala a chiocciola portava sulla sommità protetta da una alta merlatura. Il portone era anch’esso in legno rinforzato con diverse piastre in metallo.

I tre edifici interni erano tutti separati dalla palizzata. L’edificio principale occupava tutto il lato destro e parte del lato meridionale, la stalla ne era una virtuale continuazione, mentre un piccolo edificio, probabilmente il magazzino, si trovava sul lato sinistro. L’edificio principale, a forma di L era a due piani con tetto spiovente ed alcuni camini.

Con una matita Maya disegnò la mappa del luogo su un foglio di carta, poi tornò nella foresteria per studiarla con attenzione.

Sarebbero state in due contro cinque. Una differenza non eccessiva. Doveva trovare il modo per eliminare rapidamente almeno due o tre banditi e costringere gli altri ad arrendersi. In uno scontro corpo a corpo non avrebbero avuto alcuna possibilità. Tuttavia se avesse sorpreso quello che poteva essere il capo del gruppo, e Gray fosse riuscita a fare qualcosa con i suoi incantesimi, forse una possibilità l’avrebbero avuta.

Mentre Maya meditava sull’azione da fare e Gray osservava la mappa, giunse una cameriera che posò sul tavolo un piatto con dei pezzi di formaggio. Gray alzò lo sguardo e riconobbe nella cameriera la ragazza che era giunta alla foresteria la sera prima.

-          Da parte del padrone – disse la cameriera leggermente rossa in viso – il mio nome è Felicia, se avete bisogno chiamatemi pure.

Detto ciò la ragazza si girò e si diresse verso l’unico altro cliente presente nella sala da pranzo. Un uomo dalla corporatura robusta e dalle vesti dello stesso colore del mare, al fianco portava una spada.

Il locandiere raggiunse anch’esso l’uomo. I due parlarono per qualche minuto. Il cliente parve divenire pensieroso e chiese qualcosa a Gorin che, come risposta indicò Maya e Gray.

Il cliente ringraziò, si alzò e si diresse verso le due ragazze.

Nel vederlo avvicinare Maya avvicinò la propria mano alla corta spada che aveva al fianco e iniziò a sguainarla.

-          I miei omaggi. – Esordì l’uomo – Mi chiamo Jeager. L’oste mi ha chiesto se avevo intenzione di stare qui anche domani, specificando poi che per domani mattina potrebbero esserci dei problemi a causa di alcuni banditi, e che voi due vorreste occuparvene. Mi chiedevo quindi se vi servisse una mano.

-          E in cambio di cosa? – Domandò con tono sospettoso Maya.

-          Un terzo del compenso, in caso di taglia o remunerazione. Oppure ogni pozione o oggetto di mio interesse indossato dai banditi… Dimenticavo ho anche un arco, nel caso servisse.

Maya si poggiò alla sedia incrociando le braccia e fissando gli occhi in quelli dell’uomo. Doveva capire se stesse bluffando o fosse sincero.

-          Va bene, acconsento – rispose infine la ragazza. – Mi sembri sincero. Ti lasceremo prendere l’equipaggiamento dei banditi.

-          Grazie mille milady! – Ringraziò Jeager con un inchino e portandosi platealmente una mano al petto come se fosse stato al cospetto di una sovrana.

L’uomo si sedette di fronte a Maya e iniziò ad esaminare anche lui la mappa.

-          Per poter studiare qualcosa dovremmo sapere ognuno di noi cosa è in grado di fare. Non credete?

-          Sai usare una spada e un arco, e io me la cavo nel nascondermi per prendere la gente di sorpresa – commentò Maya anticipando Gray.

-          E la signorina qui presente?

Gray guardò l’uomo in modo distaccato.

-          Sono quella che si definirebbe “arcanista”. Non ho una scuola precisa di specializzazione.

-          Bene! In tal caso quello che vi propongo e quanto segue. La nostra arcanista si posiziona su una delle torri, io mi metto dietro al portone e tu – disse volgendo lo sguardo verso Maya -  ti nascondi dietro queste botti. Li facciamo entrare, io chiudo il portone per bloccare loro la fuga, loro si gireranno per la sorpresa, tu uscirai e prenderai di sorpresa il loro capo, e la nostra arcanista fare qualcuna delle sue diavolerie per convincerli che devono arrendersi.

-          Gray. – Disse “l’arcanista”.

-          Come?

-          Il mio nome è Gray e lei è Maya. Non mi piacciono i diminutivi, soprannomi o altro… soprattutto se legati al lavoro o al proprio aspetto. So che non era sua intenzione non sapendo i nomi. Ma ora li sa.

-          Recepito. Comunque cosa ne dite?

-          Penso sia fattibile.

La conversazione fu interrotta dall’arrivo di Felicia venuta a prendere il tagliere vuoto.

Gray la osservò allontanarsi. Non le piaceva quella ragazza. In lei c’era qualcosa di strano e di anomalo, ma non riusciva a focalizzare bene cosa fosse, percepiva solo una sorta di disagio interiore.

I tre passarono il resto del giorno mettendo a punto la loro strategia e cercando di prevedere ogni contromossa o imprevisto possibile. Quando il sole tramontò andarono a riposarsi, sebbene la tensione per quanto sarebbe accaduto l’indomani li tenne svegli fino a tarda ora.

Albedo

Inviato

Capitolo 5. L’attacco.

 

Il rumore dei clienti della foresteria che si preparavano per partire svegliò Maya. Quando la ragazza aprì gli occhi vide che la sua compagna era già alzata e alla finestra intenta a guardare il cielo.

-          Ho un brutto presentimento – disse Gray senza voltarsi.

-          Stai tranquilla, vedrai che andrà tutto bene.

-          Lo spero. Ti aspetto al salone per la colazione.

 

Anche l’ultimo carro lasciò la stazione di posta. Gray si posizionò sulla torre più vicina al portone, dalla sua postazione poteva vedere Maya appostata dietro alcuni barili sistemati per l’occasione e Jeager con la spada sguainata in attesa dietro a un battente del portone.

La ragazza osservò la strada e attese con pazienza. Dopo non molto tempo cinque cavalli apparvero in avvicinamento.

Camminavano con calma, ed erano ancora distanti per poter distinguere meglio i particolari. Gray fece un segno col braccio ai suoi compagni per avvisarli che, a breve, tutto avrebbe avuto inizio.

Si acquattò vicino alla merlatura in modo da non essere vista e continuò ad osservare i cinque cavalieri avvicinarsi. Iniziò a notarne i particolari. Cinque uomini, in armatura leggera, con spade e asce da guerra, borse per i cavalli e poco altro. Forse non venivano da lontano. Un campo intermedio o il loro campo base non era lontano? Si domandò Gray.

Quando i cinque entrarono nella stazione di posta, la ragazza gattonò fino a raggiungere il lato interno della torretta e continuò ad osservare.

-          Ehi! Gorin! – Chiamò uno degli uomini rimanendo assieme ai propri compari a cavallo – Vieni fuori, oggi è giorno di paga… per noi!

La porta della foresteria si aprì e l’oste uscì accompagnato dalla nuova cameriera Felicia.

-          Perché è con lui? – Mormorò con disappunto Gray.

-          Gorin, e questa pollastrella dove l’hai tenuta nascosta fin’ora? La prenderei volentieri se i miei ordini non fossero diversi… certo che se per una volta tu ti rifiutassi di pagarci…

Gorin strinse i pugni.

-          Piuttosto, vuoi stare a cavallo o venire a prendere soldi e cibarie? – Chiese con disprezzo il nano.

-          Arrivo, arrivo… così guardo più da vicino quel bel visino.

Il bandito scese da cavallo, subito imitato da uno dei suoi compari, di contro gli altri tre rimasero in sella e sguainarono le loro spade.

I due banditi iniziarono ad avvicinarsi all’oste, quelli a cavallo continuavano a guardarsi attorno e a tenere con una mano le redini dei cavalli che sembravano essere inquieti.

Con un rumore secco metà portone venne chiuso rivelando la posizione di Jeager che con scudo e spada si posizionò in modo da bloccare l’uscita.

-          Fermi dove siete! – Gridò.

I banditi si girarono di scatto verso di lui, uno degli uomini a cavallo spronò la propria cavalcatura contro Jaeger, contemporaneamente Maya uscì dal proprio nascondino e in pochi rapidi passi fu alle spalle del capo, gli afferrò un braccio e gli posò la lama della propria spada corta sul collo.

-          Arrendetevi! – Intimò Maya con voce ferma.

Gray, senza attendere altre reazioni, si alzò in piedi allungò un braccio verso i banditi e si concentrò. Dalla sua mano partì un dardo acido che colpì uno dei banditi a cavallo che, per il dolore, lasciò cadere a terra la propria arma e si strinse la parte ferita con la mano.

Il cavaliere raggiunse Jaeger, sollevò la propria spada e l’abbassò con forza verso l’uomo il quale riuscì a parare il colpo col proprio scudo. Il suono metallico rimbombò all’interno della stazione di posta. Il bandito sceso con il capo non perse tempo e si lanciò contro Felicia riuscendo ad afferrala e a portarla innanzi a sé come uno scudo, estrasse un coltello e la colpì ad un braccio ferendola, poi puntò la lama contro il ventre della ragazza.

I banditi si fermarono e Jeager si ricompose in difesa.

-          Gorin, Gorin. Ti avevo avvisato, giusto? Cosa pensi di ottenere così?

-          Zitto e arrendetevi! – Intimò nuovamente Maya incidendo di poco la pelle del collo al bandito.

Felicia era in lacrime mentre un rivolo di sangue le scendeva lungo il braccio iniziando a formare una chiazza sul terreno.

-          Ragazzina – disse il bandito – Come pensi di salvarla? Anche se mi uccidi, lei morirà. E soffrendo, considerato dove Yhal le sta puntando la lama. E morirà alla vostra prima mossa. Facciamo così. Io mi dimentico di questa vostra farsa, mi prendo quello che devo, vi lascio vivere… e mi proto via Bel Visino. Che ne dite? Oppure tu ferisci me, Bel visino e Gorin muoiono, la foresteria viene data alle fiamme. E in ogni caso noi ci guadagniamo.

Gray dalla torre osservò la situazione. Era al limite della distanza, ma poteva farcela. Puntò un dito vero il tetto della foresteria.

-          Spiriti che tanto vi divertite con me, siate ora utili – mormorò.

La ragazza fissò il proprio sguardo su una tegola, questa si mosse e iniziò a sollevarsi silenziosamente, fluttuò nell’aria fino a portarsi sopra la testa dell’uomo che aveva in ostaggio Felicia.

Gray sorrise, il suo dito scattò verso il basso e immediatamente la tegola seguì quel gesto andando a colpire la testa di Yhal.

L’uomo cadde a terra trascinandosi nella caduta Felicia, il capo dei banditi riuscì a cogliere l’occasione per divincolarsi dalla stretta di Maya a costo di un lieve taglio sul collo che presto gli imbrattò la giacca di sangue.

Jeager scattò in avanti, portò la spada all’altezza della spalla opposta e con forza colpì con un fendente la gamba di uno dei banditi recidendola. Gli altri a cavallo spronarono le proprie bestie per caricare Jaeger, Gray dalla torre si concentrò nuovamente, allungò un braccio oltre la merlatura e fra i cavalieri apparve un martello da guerra che si diresse direttamente verso il petto di uno di questi colpendolo e disarcionandolo.

Il capo dei banditi rapidamente afferrò il pugnale di Yhal lanciandosi subito contro Maya, la ragazza fece appena in tempo a parare il colpo con la propria lama, tuttavia la forza dell’avversario fu tale che Maya dovette arretrare di mezzo passo per non essere sbilanciata e buttata a terra; facendo ricorso alla propria agilità fece perno sul piede più avanzato e sulla lama del proprio avversario, spostò il peso di lato compiendo una mezza giravolta, staccò la propria arma e, abbassandosi, tentò di colpire l’avversario al ventre, ma la sua lama colpì le protezioni dell’uomo senza arrecare alcun danno, il bandito reagì sferrandole un calcio in pieno petto facendola cadere a terra.

Jeager pur affrontando un solo avversario non riusciva a trovare il tempo per contro attaccare o trovare un’apertura, riducendosi a dover solo parare con lo scudo o con la spada gli attacchi del cavaliere avversario. Gray spostò la mano verso il capo dei banditi, e il martello di sola forza spirituale imitò istantaneamente lo stesso movimento. Il bandito si scostò all’ultimo secondo evitando l’impatto, Maya ne approfittò e con un colpo di reni riuscì a riportarsi in piedi e a distanziarsi dal bandito, si chinò in avanti e caricò il proprio avversario. Strinse con entrambe le mani l’elsa della sua arma e cercò di imprimere tutte le prprie forze nel colpo riuscendo ad avere la meglio sulla protezione avversaria.

Jaeger per risolvere la propria situazione dovette ricorrere ad una soluzione estrema, attese che il cavallo al galoppo fosse abbastanza vicino e con la propria spada gli colpì le zampe. L’animale con un forte nitrito crollò in avanti disarcionando il proprio cavaliere che cadde a terra, Jaeger gli fu subito sopra puntandogli la spada contro la schiena.

Il capo dei banditi si portò una mano alla parte ferita afferrando i polsi di Maya, e sorrise.

-          Sei mia! – Disse mentre un rivolo di sangue gli usciva dalla bocca e con un rapido movimento conficcò il proprio pugnale nel costato di Maya, poi entrambi caddero a terra privi di sensi.

Impotente innanzi a tale scena Gray scese di corsa dalla propria compagna, mentre il locandiere si recò nel magazzino per prendere delle corde con cui legare i banditi. Felicia si rannicchiò con le vesti strappate contro il muro della foresteria mettendosi a piangere in silenzio.

Gray si avvicinò a Maya. Cercando di fare attenzione con un gesto secco estrasse il pugnale dalla ferita, Maya urlò per il dolore mentre abbondante sangue iniziò ad uscire. Gray avvicinò la propria mano destra al costato dell’amica, socchiuse gli occhi e una calda luce dorata si irradiò sulla ferita, il sangue rallentò il proprio flusso fino a fermarsi, il taglio rapidamente si rimarginò.

-          Aiutatemi! – La voce del bandito privo della gamba risuonò nella stazione di posta.

Gray si sollevò e si diresse verso di lui. Aveva già perso parecchio sangue, e non poteva fare nulla per la gamba persa, poteva però ancora impedire che l’uomo morisse, richiamando nuovamente i suoi poteri arcani riuscì a cicatrizzare la ferita, l’uomo perse i sensi.

L’incantatrice, esausta, si lasciò cadere a terra. Si sentiva affannata e sudata per lo sforzo compiuto, ma ce l’avevano fatta.

Maya, sdraiata a terra, osservava il cielo limpido mentre sentiva le forze ritornare nelle membra  e il dolore svanire. Scostò la testa e vide Gorin assieme a Jeager legare i banditi, volse la testa dall’altra parte e vide Felicia.

Non senza fatica si alzò e le si avvicinò, con dolcezza le posò una mano sulla testa accarezzandola piano.

-          E’ finito – disse – mi spiace, che tu abbia corso un pericolo.

L’altra scosse la testa, gli occhi scuri erano colmi di lacrime. Reclinò la testa verso il basso fra le ginocchia, e a quel punto Maya notò, sul collo della cameriera, un marchio a fuoco riportante un numero: 326.

Istintivamente ritrasse la mano, ma poi decise di risistemare la divisa della ragazza per coprire quel segno. Felicia accortasi di ciò sollevò di scatto la testa e guardò Maya, il suo sguardo era ora colmo di paura e preoccupazione, si strinse addosso con maggior vigore la divisa, si sollevò e corse nella foresteria, lasciando Maya perplessa e piena di dubbi e domande. La voce di Jaeger la riportò al presente.

-          Ora arriva il difficile – disse l’uomo – da quanto mi è stato detto questi potrebbero avere degli amici in zona, e potrebbero venire a farci visita. Non so se riusciremo a resistere, onestamente ce l’abbiamo fatta per un pelo.

-          Un modo lo troveremo. Intanto possiamo far parlare questi gentili signori, e avere maggiori informazioni.

-          Sì… ma prima vorrei riposarmi e lavarmi via il sangue altrui da dosso… e ti cosniglio di fare lo stesso.

-          Intanto – intervenne Gorin – manderò un piccione viaggiatore a Quinoa perché vengano prendere questi banditi e magari mandino una pattuglia della milizia. Se tutto va bene dovremo resistere un paio di giorni. Potreste restare qui, nel frattempo? Senza spese, s’intende.

-          Due giorni… - commentò Maya – Se questi tizi hanno un campo qui vicino i loro soci tra poco saranno in allerta… temo che avremo i tempi stretti.

Albedo

Inviato

Capitolo 6. Incontro.

 

L’interrogatorio dei banditi non diede alcun risultato, ognuno di essi diede una versione diversa e numeri diversi, e nessuno volle usare la tortura per avere informazioni veritiere.

L’unica cosa che poterono fare fu di prepararsi ad uno scontro contro un numero di avversari che variava da un minimo di cinque a... chissà quanti. Il problema principale, tuttavia, era il non avere la minima idea di come e quale sarebbe stata la reazione avversaria.

-          Le opzioni possibili sono tre – esordì alla sera Maya seduta ad un tavolo assieme ai suoi due compagni – la prima che gli altri banditi sono in pochi e desisteranno dall’intraprendere qualsiasi ulteriore azione contro questa stazione; la seconda che qualcuno di loro giunga qui come cliente e cerchi di ammazzare noi o il nostro ospite , la terza che siano in tanti e vengano per distruggere tutto. La peggiore per noi è la seconda. Ma spero vivamente nella terza.

-          Io nella prima… - commentò laconicamente Gray.

Felicia portò loro la cena.

-          Tutto bene? – Domandò Maya con tono accondiscendente.

La cameriera annuì. Maya non poté fare a meno di ripensare a quel numero tatuato a fuoco sul collo della ragazza, avrebbe voluto chiederle il significato, ma si rendeva conto che non era il caso e che avrebbe potuto risvegliare qualcosa di spiacevole. Quando la cameriera si allontanò Gray continuò a seguirla con lo sguardo.

-          Non mi convince – commentò infine.

-          Perché? – Chiese Jaeger.

-          Non saprei dirlo, ma quando è vicina ho una strana sensazione, e non è positiva. Almeno per me.

-          Non saprei cosa dirti – rispose Maya passando un dito sul bordo del proprio bicchiere – forse non dovrei dirlo, ma ho notato che sul collo le è stato impresso a fuoco un numero. Forse è stata una schiava, o qualcosa di simile.

-          In ogni caso – concluse Gray – spero di finire alla svelta qui e di non averci nulla a che fare. Mi sbaglierò... ma nel dubbio…

I tre terminarono la cena in silenzio, ognuno immerso nei propri pensieri.

L’indomani organizzarono al meglio un’eventuale difesa rinforzando i merli delle torri e preparando diverse frecce. Col passare delle ore la loro tensione crebbe sempre di più.

Verso sera giunsero venti soldati a cavallo.

Il loro arrivo fu una sorpresa e un sollievo per i Maya e compagni, e soprattutto per Gorin e le sue cameriere. Quella sera dormirono tutti serenamente e l’indomani mattina, Maya, fattasi firmare un foglio dal comandante della pattuglia che attestava la cattura dei banditi, lasciò la stazione di posta per tornare a Quinoa e riscuotere il compenso. A lei e a Gray si aggiunse anche Jaeger,  intenzionato a raggiungere la cittadina per entrare nella Gilda.

In assenza di carri verso la città, i tre si rassegnarono malvolentieri all’idea di dover camminare per un paio di giorni prima di poter arrivare a destinazione.

Camminarono per tutto il giorno, facendo solo saltuarie soste per riposarsi, bere o mangiare qualcosa. Quando il sole iniziò a tramontare si trovavano ancora in aperta campagna e nessuno di loro era in grado di dire per quanto avessero camminato e quanto distasse ancora Quinoa.

Decisero quindi di fermarsi e di accamparsi accanto alla strada in una radura posta fra alcuni alberi a una ventina di metri dalla strada. Prepararono due tende e accesero un fuoco per cucinare qualcosa di caldo e scaldarsi in previsione dell’umidità notturna.

Il cielo velato impediva di vedere le stelle e solo una pallida luce lunare ne filtrava la coltre, smorzando di poco l’oscurità altrimenti assoluta. Il crepitio del fuoco, misto ai richiami degli animali notturni aveva un che di mistico in quel luogo.

Un improvviso rumore attirò l’attenzione dei tre, alcuni uccelli spiccarono improvvisamente il volo dal prato spaventati dall’arrivo di una figura. Questa si stava muovendo barcollando dalla strada avvicinandosi all’improvvisato accampamento.

Jaeger e Maya impugnarono le armi e scattarono in piedi, Gray rimase immobile a fissare quella magra figura claudicante.

Poi questa crollò a terra come un burattino senza più fili a sostenerlo. Maya scattò in avanti tenendo saldamente in pugno la propria arma; quando giunse sul posto trovò, sdraiata nell’erba a faccia in giù, una figura umanoide avvolta in una coperta bruciata in più punti e sporca di sangue. Con cautela la girò, contemporaneamente il velo di nubi si squarciò, permettendo ai raggi lunari di illuminare il volto tumefatto di Felicia.

Quella visione paralizzò Maya, in un istante le parve di rivivere quanto accadde a Innova.

Avvicinò la mano tremante al viso della cameriera, ne sentì il flebile respiro.

-          Gray! – Chiamò – Presto, corri!

Gray rimase stupita nel vedere Felicia. Le si inginocchiò accanto e con delicatezza le toccò il corpo in diversi punti, le scostò la coperta rivelando numerose ferite. Nel frattempo giunse anche Jeager.

-          Ma come può essere accaduto? – Domandò, ma nessuno gli rispose.

-          Puoi fare qualcosa? – Domandò Maya all’amica, mentre due lacrime iniziavano a solcarle il viso.

-          Forse. Intanto posso fare in modo che sia possibile spostarla e portarla in una tenda, poi vedrò.

Gray posò una mano sull’addome di Felicia, una calda luce dorata ne scaturì. Il volto della cameriera parve divenire meno sofferente.

-          Ora potete portarla nella tenda – Avvisò Gray rialzandosi in piedi.

-          … è colpa mia… - mormorò Maya apparentemente incapace di muoversi.

Jeager, prendendo l’iniziativa, si chinò e prese fra le proprie braccia Felicia allontanandosi rapidamente verso la tenda.

Maya strinse con forza l’erba, il terreno. Negli occhi rivide il fuoco che bruciava i corpi dei suoi amici, il suo amato gettarsi fra le fiamme. Udì il silenzio e il crepitio del fuoco.

-          … è colpa mia… - mormorò nuovamente mentre le lacrime raggiunte il limite del viso iniziarono a cadere sul terreno e sulle sue mani - .. ho ucciso ancora degli innocenti…

Gray osservò l’amica, si inginocchiò innanzi a lei, sollevò il braccio destro e colpì con tutte le forze che aveva il volto di Maya.

-          Smettila di piangere e riprenditi. Ora c’è una persona che ha bisogno.

Come al rallentatore Maya si portò la mano al viso, nel punto in cui le doleva per lo schiaffo ricevuto, poi con la testa fece un cenno di assenso e si alzò.

-          Grazie… - disse con un filo di voce.

Le due raggiunsero le tende ed entrarono in quella in cui era stata posta Felicia. Jeager le stava medicando le ferite che aveva sul viso. Poi iniziò a sbottonarle la camicetta.

A quella vista Gray ebbe un brivido.

-          Co…cosa fai? – Domandò.

-          La spoglio per vedere se ha altre ferite. Non farti strane idee… - Rispose l’uomo senza voltarsi e non vedendo così il viso di Gray divenire completamente rosso.

Gray avrebbe voluto allontanarsi, ma al contempo si rendeva conto che doveva restare per aiutare Jeager nelle cure.

Quando l’uomo slacciò l’ultimo bottone e con delicatezza iniziò a scostare la camicetta ad entrambi mancò il respiro: il corpo della ragazza era pieno di cicatrici, nessuna delle quali era recente, mentre erano numerosi i lividi. Sangue rappreso le macchiava il corpo ovunque.

-          Ma cosa…? – Jeager fece per ricoprire quel corpo martoriato quando Gray lo fermò.

-          Aspetta. Dobbiamo comunque curarla. Il mio incantesimo l’ha solo stabilizzata, al momento non ho potuto fare altro. Non avrà ferite aperte, ma se su di lei hanno usato bastoni o martelli… potrebeb avere molto più di quello che esternamente si vede Sai preparare degli impacchi medicali? Se sì falli. Maya, portami la boraccia, le dobbiamo lavare le ferite… Maya, mi hai sentita?

-          Eh...? Sì… sì… scusami.

Maya uscì dalla tenda e Jeager iniziò a frugare nel proprio zaino per prendere il necessario per gli impacchi.

Gray riportò la propria attenzione su Felicia.

-          E pensavo d’avere avuto io una vita difficile… - mormorò.

Con l’acqua portata da Maya iniziò a lavare le ferite e le ustioni, posizionò gli impacchi e fissò il tutto con delle garze. Non era molto, ma era quello che poteva fare, per il resto avrebbero dovuto attendere l’indomani.

-          Vorrei starle accanto – disse infine Maya con gli occhi fissi su Felicia.

Jeager sospirò.

-          Quindi io dormirò fuori, considerato che di certo non lascio che Gray dorma fuori e dubito che accetti di dormire assieme a me.

-          Grazie…

Albedo

Inviato

Capitolo 7. Ricordi.

 

La notte passò tranquilla. All’alba Gray si svegliò, e dopo essersi messa la giacca uscì dalla propria tenda. Il sole basso sull’orizzonte l’abbagliò per un istante, l’erba attorno a lei era di un caldo color rosso dorato; Jeager era già sveglio e stava ravvivando il fuoco, i due si salutarono con un gesto del bracico. La ragazza entrò piano nella tenda di Felicia e Maya. Entrambe stavano ancora dormendo.

Gray, in silenzio, curò ulteriormente le ferite della cameriera, poi rimase ancora qualche secondo ad osservarla dormire. Infine uscì.

-          Allora? – Domandò l’uomo senza voltarsi.

-          Non dovremmo avere nulla di cui preoccuparci.

-          Ti sbagli. Alla foresteria deve essere accaduto qualcosa di cui sono lieto non averne fatto parte. E’ stata una fortuna essere andati via prima.

-          Trovi? – Domandò Gray accovacciandosi dinanzi a Jeager e fissando i propri occhi nel fuoco – Se fossimo rimasti forse avremmo potuto fare qualcosa di positivo.

-          O forse morire. Sarò egoista, ma preferisco essere io vivo, e loro morti, piuttosto che far loro compagnia. Non ho una gran simpatia per i morti... rispetto… ma non ci tengo a diventarlo.

-          Stupido.

Gray si alzò e tornò nella propria tenda per prepararsi alla ripresa del viaggio. Quando tornò fuori notò con piacere che anche Maya e Felicia erano si erano svegliate e stavano finendo la zuppa avanzata la sera prima.

-          Allora? – Domandò Jeager – Cosa è successo?

Felicia smise di mangiare, poggiò la scodella sulle ginocchia e reclinò il capo in avanti, i capelli seguirono quel movimento nascondendole il viso.

-          Facendola breve i soldati non erano soldati. Hanno ucciso il signor Gorin e tutti gli ospiti, o quasi. Dato alle fiamme la stazione di posta e… bhè potete immaginare cos’altro abbiano fatto.

-          E tu come hai fatto a salvarti? – Domandò Gray notando che a quella domanda le mani di Felicia si strinsero con forza sulla tazza.

-          Se non vuoi rispondere non fa niente… - Intervenne con tono conciliante Maya.

-          E invece fa! Che significato ha il numero che hai impresso sul collo? E le cicatrici che hai su tutto il corpo? – Insistette Gray.

Le mani di Felicia si strinsero ancora di più sulla tazza, un brivido le scosse il corpo, dei suoni simili a singhiozzi le uscirono dalla bocca.

-          Gray, non insistere. Ha passato il peggior momento della sua vita e… - continuò Maya.

-          No. – Disse infine Felicia alzando il volto in lacrime – Ha ragione… e poi ne ho passate di peggio, come avrete immaginato vedendo il mio corpo.

-          Felicia, non sei obbligata a…

La cameriera scosse la testa.

-          Ho bisogno di fidarmi di qualcuno, ormai sono stanca di scappare e vivere nel terrore. E non posso chiedere fiducia e aiuto, se non la dimostro io. Il mio nome non è Felicia. Francamente ignoro quale sia. Per anni è stato il numero che ho sul collo. Immagino che non sappiate cosa sia la Forgia. D’altronde chi la conosce o è come me, o è complice del mio stato. La Forgia è una società segreta con il compito di creare armi viventi, soldati perfetti, arcanisti inarrestabili. E per fare ciò ricorre ad ogni mezzo. Gray, tu non sei una maga, giusto? Il tuo potere risiede nel tuo sangue, in un qualche punto di contatto fra creature potenti e qualche tuo predecessore. La Forgia cerca di ricreare e potenziare quel potere sia incrociando persone già dotate di poteri innati, sia esponendole alla fonte di tali poteri alla nascita o durante la… chiamiamola vita. Ovviamente sono alla continua ricerca di nuove combinazioni, di nuovi poteri… e di nuove cavie. Non esitano a commissionare rapimenti per i loro scopi, magari solo per avere uno stregone con sangue demoniaco da accoppiare a qualcuno con sangue celestiale. Ma sapete che non sempre i poteri si rivelano sin dalla nascita, spesso devono essere risvegliati. E le mie cicatrici testimoniano che i miei poteri non si siano subito palesati… Tempo fa. Forse un anno fa. Io e altri compagni siamo riusciti a scappare dalla Forgia, ma da allora siamo braccati e viviamo in fuga. So che diversi miei amici sono stati catturati. Alcuni riportati indietro, altri uccisi. Vago quindi di posto in posto in una fuga senza fine. Ecco come mi sono salvata, usando quei poteri che tanto odio e detesto.

-          E sarebbero? – Domandò Gray.

-          Io sono nata nella Forgia. Mia madre era una mezz’elfa che proveniva da non so quale foresta custodita da unicorni. Al momento della mia nascita venne uccisa una fenice, e le sue ceneri poste sul ventre di mia madre. Io nacqui e la fenice risorse. Quindi, al momento la fonte del mio potere sono l’istinto di protezione degli unicorni e l’immortalità della fenice. Ma c’è una cosa che mi preoccupa. Io venni concepita nella Forgia, quindi dovrei avere un terzo potere latente. Quello di mio padre. Ma ignoro quale sia.

-          Ora comprendo perché mi sentissi a disagio in tua presenza – commentò Gray - la fonte del mio potere non credo sia particolarmente benevola, e deve aver reagito al tuo.

-          E tu, Gray? – Domandò Jeager.

-          Fino a non molto tempo fa di lavoro facevo la becchina. Non credo ti debba dare altre spiegazioni.

-          Non credo - rispose l’uomo voltando lo sguardo dall’altra parte. – La cosa però è molto più preoccupante di quel che sembri, mie fanciulle. Gente in grado di tenere in cattività una fenice… bhè – continuò grattandosi il capo – credo sia alquanto potente. Ma forse ti avranno già data per morta… senza offesa per nessuno, s’intende… - si corresse goffamente.

-          No. Mi stavano cercando. Anche i banditi che taglieggiavano la locanda, credo che fossero al soldo della Forgia. Anzi ne sono sicura. L’uomo che mi prese in ostaggio mi sussurrò  che sapeva chi io fossi.

-          Quindi sanno dove stiamo andando. Ma in tal caso perché non ci hanno già raggiunti? – Domandò Jeager.

-          Perché è stata la prima persona che ho ucciso quando mi sono resa conto di cosa stesse accadendo, e forse quegli uomini hanno giudicato rischioso inseguirmi – Rispose Felicia.

-          … proteggerò – Disse con un filo di voce Maya attirando su di sé gli sguardi dei presenti. – Io ti proteggerò, ti difenderò e aiuterò quelli come te, distruggerò la Forgia. Lo farò per te e per le persone che morirono a cau… a me care.

Detto ciò Maya si alzò e rientrò nella tenda. Una volta dentro portò la mano al petto e strinse il ciondolo donatole da Shelyn, mentre i suoi occhi si fissarono sullo zaino e sull’armatura in esso contenuta.

Gray la seguì.

-          Direi che è il tuo turno. – La voce di Gray scosse nel profondo Maya. Che si girò e sedette accanto al proprio zaino.

Gray continuò.

-          Ci conosciamo da pochi giorni, però ci siamo promesse di essere amiche. E tu sei la mia prima amica, per cui… bhè… ci tengo a te. Posso comprendere il tuo senso di colpa e il volerti sentire responsabile di quanto accaduto. Ma prima hai accennato a persone morte per causa tua. E credo che il contenuto di quello zaino sia coinvolto in un qualche modo. Giusto?

-          Vero. E’ così palese?

-          Non lo so. Per me sì, ma ho anche passato anni ad osserva la gente ai funerali, notando persone liete per la morte del consorte per poter vivere con l’amante, assassini sentirsi in colpa, o essere soddisfatti perché nessuno sospettava di loro. E tu ti reputi unica responsabile di qualcosa, e ti flagelleresti se servisse.

-          Allora non ti dovresti meravigliare se ti dicessi che lo feci. Per una settimana. Quella che porto con me è la mia armatura cerimoniale di sacerdotessa al culto di Shelyn. Sacerdotessa e… protettrice. Ma una maledetta sera tradì la fiducia della mia dea. A causa di ciò l’intero villaggio in cui servivo venne distrutto e Shelyn mi rinnegò come sua servitrice, negandomi la sua benedizione. Ma la pena peggiore fu il darmi la speranza di poter tornare nelle sue grazie. Ed io, stupidamente, ancora ci credo.

Gray si sedette accanto all’amica. E sorrise.

-          I casi, a questo punto sono due, ho anche Jeager ha una storia da derelitto culmine della sfortuna, oppure si sentirà un disadattato in mezzo a noi tre. Direi che ci siamo proprio trovate.

Maya si asciugò le lacrime e sorrise a sua volta.

-          Direi che la sfortuna di Jeager inizia ora, dovendo sorbirsi le nostre paranoie.

-          Personalmente non mi lamento sono passata dall’essere sola ad avere tre amici in meno di una settimana. Ed ora, amica mia, vediamo cosa fare e dove andare. Immagino che tornare a Quinoa sia inutile e pericoloso.

-          Probabile. Però voglio mantenere la mia parola riguardo alla Forgia.

-          Come ha detto Jeager, attaccare chi può tenere in cattività una fenice potrebbe… anzi è pericoloso. Siamo solo in quattro. Dovremmo trovare almeno un quinto sfigato come noi.

-          E allora non abbiamo molti posti dove andare. Dovremmo anche chiedere dov’è la Forgia…

-          Va bene, intanto avviso gli altri.

Gray uscì dalla tenda e fu sorpresa nel vedere come Felicia e Jeager stessero conversando fra loro. La ragazza si portò innanzi ai due.

-          Bene, Felicia ben venuta fra noi. Con Maya ho convenuto che tornare a Quinoa sia pericoloso e che ci serve una quinta persona per poterti aiutare efficacemente. E che dovremmo sapere dov’è la Forgia.

Felicia alzò la testa per guardare Gray.

-          Grazie. La Forgia si trova nel Cheliax. Non vi so dire esattamente dove, ma credo che ci saprei arrivare.

-          E tu Jeager? Qual è il tuo passato triste e segreto?

-          Nessuno biondina. Sono una persona che dopo un periodo passato in una milizia ha scoperto che gli piacciono le armi, ma non le regole. E mi piace girare e combattere. Immagino di deluderti.

-          Stupido.

Gray si girò di scatto e tornò da Maya per finire di sistemare le borse.

Albedo

Inviato

Capitolo 8. Maritude.

 

I quattro s’incamminarono attraverso la vasta pianura, lasciandosi alle spalle la strada. Per raggiungere il Cheliax avrebbero dovuto attraversare parte dei Regni Fluviali fino al lago Enchartan, attraversarlo e sbarcare nel Molthune e da lì arrivare nel Cheliax. Un viaggio lungo, la cui sola idea affaticava le gambe a Gray, ma diversamente sembrava invece aver dato energia a Jaeger.

Marciarono per due giorni in mezzo al nulla, senza vedere nessuno a parte, per loro fortuna, qualche animale selvatico che a cena servì loro come cena.

Nel pomeriggio del terzo giorno avvistarono un insediamento. Piccoli fili di fumo uscivano dai camini, segno che, sicuramente, non era disabitato.

Il villaggio verso il quale si stavano dirigendo non aveva mura, nei suoi pressi vi era qualche recinto con del bestiame e campi coltivati, anche se, al momento, non vi era nessuno al lavoro.

Giunti in prossimità delle prime case poterono vedere anche i primi abitanti. Umani dalle vesti semplici. Donne che cucivano sedute innanzi alle porte di casa, bambini che giocavano fra loro o con dei cani, qualche uomo che spingeva dei carretti. Il suono continuo e ripetitivo di un martello al lavoro giunse alle orecchie dei quattro, seguito poco dopo dalle voci allegre dei ragazzi.

Quando fecero il loro ingresso nel villaggio, vennero accolti cordialmente con saluti palesi o semplici sorrisi.

-          Va bene – disse Jaeger – villaggio contadino, gente simpatica e cordiale… ma dove dormiamo?

-          Non credo che qui ci siano delle locande – rispose Maya – dovremo chieder ospitalità a qualcuno. Proverò a chiedere.

Maya si staccò dai propri compagni e si diresse verso un uomo che, seduto su una sedia sotto a un porticato, stava intagliando un pezzo di legno.

-          Buongiorno! Mi chiamo Maya. Io e i miei compagni stiamo facendo un lungo viaggio, e vorremmo sapere se possiamo fermarci qui per la notte, e al caso dove potremmo fermarci.

-          Buongiorno a lei. Fa piacere vedere qualche faccia nuova ogni tanto. Per potervi fermare qui, però dovreste chiedere al sindaco. Lo troverete al lavoro nella sua bottega. Proseguite dritti fino alla piazza con il pozzo, girate a destra e troverete sulla sinistra una macelleria. Chiedete di Mastro Gallop.

-          Grazie!

La ragazza si ricongiunse ai suoi compagni e, seguendo le indicazioni, ricevute giunsero innanzi alla macelleria. Vi entrarono.

Un forte odore di carne invase le loro narici, Felicia dovette uscire e attendere all’aperto.

L’interno della bottega era semplice. Un lungo bancone in legno, e dietro, contro il muro, un banco con diverse chiazze di sangue e segni di profondi tagli. Un uomo robusto e dal viso allegro diede il benvenuto ai tre.

-          Buongiorno – salutò Maya – vorremmo parlare con Mastro Gallop. Siamo viaggiatori, e vorremmo fermarci qui per la notte.

-          Ottimo! – Rispose l’uomo allargando le braccia in segno di accoglienza – Siete più che i ben venuti qui a Maritude. Gallop sono io. Di base non vi è alcun problema per la vostra permanenza, ma non abbiamo locande. Vi dovrete accontentare di un vecchio casale ora adibito a fienile. Vi va bene? E per la cena vedrò di organizzare un banchetto per voi nella piazza!

Maya, da tale accoglienza rimase sorpresa.

-          Grazie… non mi aspettavo una simile ospitalità… ma non vorremmo essere di peso e…

-          Non preoccupatevi! Tutt’altro! Ora chiamo qualcuno che vi accompagni al casale.

Gallop si volse verso il retro bottega e chiamò un certo Marvin. Dopo un rumore di passi veloci su delle scale apparve un uomo magro, stempiato dal naso aquilino e profondi occhi infossati.

-          Marvin, gentilmente accompagna i nostri ospiti al casalfienile. Stasera banchetteremo per loro.

Marvin accennò a un sorriso con il solo lato sinistro della bocca.

-          Piacere – salutò poi – prego seguitemi…

L’uomo accompagnò i quattro ospiti fuori dal villaggio, fino a una piccola casa dai muri scrostati e dalle finestre rotte. Attorno i resti di un recinto.

Vi entrarono. Quasi tutti i muri erano stati abbattuti ed anche parte del divisorio col piano superiore. Lo spazio venutosi così a creare era quasi tutto occupato da fieno e paglia, e il loro odore permeava l’ambiente rendendolo rilassante.

-          Non ci sono letti - disse Marvin – ma la paglia non manca. Sistemate pure le vostre cose, e poi venite nella piazza, ceneremo tutti assieme.

-          Grazie – Rispose Felicia a nome di tutti.

Marvin uscì, e i quattro compagni si lasciarono cadere sulla paglia lasciando che il dolce profumo dei fiori e delle essenze secche li rilassasse.

Si riposarono per qualche minuto, poi si recarono nuovamente al villaggio per il banchetto.

Nella piazza centrale erano stati allestiti numerosi tavoli, su di essi vi erano pietanze, brocche di acqua, vino e birra. Dei fuochi erano stati accessi e su di essi della carne stava venendo arrostita, mentre canti e balli si alternavano nello spazio libero. I quattro viandanti furono subito accolti in modo ospitale e caloroso, quasi tutti gli abitanti del villaggio si presentarono loro, e tutti vollero fare numerosi brindisi. La festa durò a lungo e al termine della stessa tutti erano pieni di cibo e con parecchio alcool in corpo. L’euforia del momento e la situazione avevano giocato a favore dell’alzare un po’ il gomito, anche se nessuno effettivamente esagerò in modo eccessivo.

Con lo stomaco pieno e un po’ di mal di testa i quattro viaggiatori tornarono nel fienile per riposarsi e riprendersi.

Tutti si lasciarono andare sulla morbida paglia lasciandosi cullare dal dolce profumo di erbe e spezie. Lentamente il mal di testa si dissolse, lasciando il posto a una piacevole sensazione di rilassamento del corpo, ogni pensiero svanì dalle loro menti, lasciando che un profondo torpore ne prendesse il posto. Quando Gray se ne accorse era troppo tardi, e i suoi occhi si chiusero facendola precipitare nel buio e nel nulla.

 

Luce. Luce aranciata di torce. Muro. Muro di pietra ruvida. Suoni. Voci. Voci non umane. Gray strinse gli occhi, fece per alzarsi ma la testa iniziò a girarle vorticosamente, per un attimo ebbe l’impressione che tutto attorno a lei stesse girando. Si sdraiò nuovamente cercando di massaggiarsi le tempie con una mano.

-          Dura poco. Poi ti dovresti riprendere. – Era la voce di Jaeger, e sembrava fra l’arrabbiato e il frustrato.

Gray riaprì gli occhi, con cautela si portò seduta e si guardò attorno.

Non erano nel fienile. Ma in quella che sembrava essere una cella. Le pareti erano in pietra lavorata, seppur in modo grezzo, non vi erano finestre. Sul pavimento un po’ di paglia. Stese in un angolo vi erano ancora Felicia e Maya prive di sensi. Jeager era in piedi che voltava le spalle all’interno della cella, le mani tenevano salde le grosse sbarra che la delimitavano su di un lato. Oltre un corridoio e alcune torce accese.

-          -Scusami – disse Gray – mi sono accorta troppo tardi che vi erano delle erbe soporifere nel fienile. Immagino che sia stupido chiedere dove siamo…

-          Gnoll. – Disse Jeager. – Ne ho visto uno quando mi sono ripreso. Quindi immagino che i nostri amichevoli ospiti ci abbaino venduto a degli gnoll per qualche motivo. Glielo chiederò prima di massacrarli tutti.

Dei lamenti giunsero dall’angolo dove si trovavano Maya e Felicia. Gray si avvicinò loro per aiutarle a riprendersi e a sopportare l’iniziale mal di testa.

Jeager ripeté quanto aveva detto prima a Gray.

-          Non è che conoscete qualche trucchetto per uscire di qui? Non so qualcosa come far aprire la porta, sparire le sbarre…

-          No – rispose Gray.

-          Posso provare ad aprire la serratura – disse Maya avvicinandosi alla porta della cella, ma constatò che verso l’interno non vi era alcuna serratura. – Come non detto.

-          Quindi dobbiamo aspettare qui. – Commentò Jaeger.

Poco dopo udirono il rumore di una porta che veniva aperta, seguito da quello di alcuni passi. Poi dei rumori non ben definibili e infine innanzi alla loro cella apparvero due gnoll. Uno dei due reggeva una mazza, l’altro un sacco con dentro qualcosa. Quest’ultimo infilò un braccio nel sacco, e ne estrasse dei pezzi di pane e di carne secca che gettò nella cella.

-          Vostro pranzo – disse.

-          Aspetta! – Chiamò Maya avvicinandosi alle sbarre – Cosa volete fare di noi?

Lo gnoll si fermò e si girò verso di lei.

-          Capo deciderà. – E riprese ad allontanarsi sparendo dalla vista.

Il silenzio scese nuovamente nel corridoio e nella cella. Poi una voce maschile risuonò nel corridoio.

-          Il nostro destino può essere vario: venduti come schiavi, usati come schiavi, sacrificati oppure lasciati qui a marcire. Piacere di conoscervi. Io mi chiamo Drozd, con chi ho il piacere di condividere questa villeggiatura?

-          Piacere, io sono Jeager, e sono qui con le mie compagne di viaggio Maya, Gray e Felicia.

-          Almeno sei in dolce compagnia. Io invece sono solo, almeno da un paio di settimane… credo. Il mio compagno di cella lo hanno prelevato e non è più tornato. Anche voi siete passati dal simpatico villaggio di Maritude?

-          Ne sai qualcosa? – Domandò Maya.

-          Più o meno. Hanno un accordo con questi gnoll. In cambio di…noi, loro evitano di essere attaccati e ricevono una piccola protezione.

-          Hai idea di come sia fatto questo posto? – Domandò Gray.

-          Assolutamente no. Ed uscire da qui credo che sia impossibile.

-          Ho passato la mia vita in un posto simile… - Disse Felicia con tono distaccato avvicinandosi alla serratura – e non intendo ripetere l’esperienza. Apriti! – L’ultima parola venne pronunciata con enfasi.

Un lieve “clack” risuonò nell’ambiente, e la porta della cella si aprì.

Felicia uscì nel corridoio, poi si volse verso i propri compagni.

-          Voi non venite?

-          Ehi! Non è che faresti uscire anche me? – Chiese Drozd.

-          Ci penso io – Rispose Maya che, passando accanto a Gray le passò una mano fra i capelli prendendole una forcina, poi si diresse verso la cella accanto. E vide Drozd.

Albedo

Inviato

Capitolo 9. La rocca.

 

Gli occhi di Maya non riuscivano a staccarsi dal drow che aveva innanzi.

-          Spero che non ci siano problemi a liberarmi… e che io sia un drow. – Disse Drozd.

-          N… no… - balbettò Maya iniziando ad armeggiare sulla serratura riuscendo infine ad aprirla.

Il drow uscì dalla cella posando una mano sulla spalla di Maya che a quel contatto si accorse dia vere un brivido.

-          Grazie. Ho ma guarda… eri decisamente in bella compagnia Jeager. Immagino, però che nessuno di voi sia armato. Sarebbe bello riuscire a trovare dove tengono i vari equipaggiamenti.

-          Già… - commentò Maya i cui pensieri andarono subito verso la sua armatura.

-          Comunque – intervenne Felicia – dire che non siamo armati è diverso dal dire che non possiamo fare nulla… anche se ne farei volentieri a meno.

-          Bene, le presentazioni le abbiamo fatte. Volgiamo uscire da qui? – Tagliò Jaeger.

Gli altri acconsentirono e, con cautela, si diressero verso la porta da cui erano entrati i due gnoll.

Nel breve tragitto notarono che in tutto vi erano cinque celle, ora tutte vuote. Arrivati alla porta Jeager la scostò leggermente.

-          Aspetta – lo fermò Maya – Vado avanti io, dovrei riuscire a muovermi abbastanza bene e senza fare eccessivi rumori.

L’uomo non disse nulla limitandosi a scostarsi lasciando che la sua compagna scivolasse oltre la porta.

Maya si mosse con calma e attenzione, sfruttando le zone d’ombra e ed evitando di fare qualsiasi tipo di rumore. Si trovava in quella che sembrava essere una via di mezzo fra una cucina e una dispensa. Vi era un forno spento da tempo, dei tavoli sporchi di ogni cosa, in un angolo era ammassata immondizia e resti di cibo. A vista non vi erano né coltelli né altri attrezzi. In fondo vi era una porta chiusa. La ragazza la raggiunse continuando ad osservare l’ambiente circostante, posò la mano sulla maniglia e provò ad aprire la porta. Questa si mosse silenziosamente sui propri cardini aprendosi su un corridoio che a destra terminava con un’altra porta e a sinistra con una scala a chiocciola che saliva. Maya si volse e fece cenno ai suoi compagni di raggiungerla.

Appena entrati nella cucina, Drozd e Jeager si fermarono e, dopo aver chiuso la porta, spostarono un tavolo per creare un ostacolo al passaggio.

-          Prova la porta, prima. – Disse piano Gray all’amica – io ti curo le spalle.

Maya annuì, come un gatto scivolò nel corridoio e rapidamente raggiunse la porta, la socchiuse e vi guardò dentro. All’interno vi erano i loro zaini e quelli di coloro che li avevano preceduti. Nuovamente fece cenno ai suoi di raggiungerla.

-          E’ proprio necessario? – Chiese Drozd, vedendo che Maya si stava mettendo sulle spalle il suo pesante zaino.

-          Sì. – Fu la laconica risposta.

Il drow indossò un’armatura completa nera e prese da una rastrelliera una sciabola elfica.

- Sono stato adottato. – Disse allacciandosi il fodero alla vita.

Quando tutti furono pronti uscirono dal magazzino e si diressero verso la scala ponendo la massima attenzione ad ogni singolo rumore.

-          Volete che vada a vanti a controllare? – Domandò Maya

-          Va bene. – Acconsentì Jeager.

La ragazza si portò accanto alla colonna sulla quale si basava la chiocciola e iniziò a salire posando con cura il piede sui gradini per prevenire eventuali trappole. Dopo i primi sei gradini si ritrovò fuori dalla vista dei propri compagni, la scala continuava a salire, Maya poteva sentire il battito del proprio cuore quasi rimbombare in quell’ambiente angusto. Salì ancora e infine giunse in prossimità di uno sbocco su di un corridoio, mentre la scala continuava la sua ascensione.

Maya si fermò e si acquattò per poter osservare senza essere vista. Il corridoio non aveva finestre, alcune torce lo illuminavano creando giochi d’ombre sulle pareti. In fondo al corridoio, vi era un’altra porta chiusa in legno.

Con cautela, e in silenzio Maya scese le scale tornando dai suoi compagni.

-          La scala procede verso l’alto, ho trovato un corridoio che termina con una porta. Non vi sono finestre.

-          Quindi o si trova ancora sotto terra oppure all’interno di mura. In ogni caso l’uscita potrebbe essere ancora lontana – Commentò pensieroso Jeager – Iniziamo a raggiungere il corridoio.

Detto ciò si avviò lungo le scale. Giunti al punto in cui si era fermata Maya si fermarono nel corridoio.

-          Saliamo ancora – disse Drozd – credo sia più sicuro che non andare a infilarsi in un budello o chissà dove.

Maya annuì e si avviò nuovamente lungo le scale, le parve di salire per un’eternità e ancora non aveva visto nemmeno una feritoia o un qualche addobbo. Solo qualche torcia per illuminare il cammino. Poi, dal basso, udì un rumore metallico. Di colpo si fermò girandosi di scatto, i suoi occhi si posarono sui gradini e sulle mura in pietra. Tutto fermo, tutto immobile… ma non silenzioso, or ai rumori metallici erano divenuti continui. Non vi era alcun dubbio, erano stati scoperti. Maya fece un passo verso il basso, poi si fermò e guardò nuovamente i gradini che salivano. Si portò una mano all’amuleto che aveva al collo.

-          Tsk!

La ragazza iniziò a scendere rapidamente i gradini per portare aiuto ai suoi compagni.

 

Maya scomparve subito nella geometria della scala a chiocciola, e il silenzio tornò a impregnare il corridoio. Jeager si posizionò vicino alla scala per prevenire sorprese dal basso, Drozd volse la propria attenzione verso la porta. Nel mezzo Gray e Felicia.

Un lieve rumore e la porta in fondo al corridoio si aprì.

Lo gnoll guardò Drozd.

Drozd guardò lo Gnoll.

La porta venne richiusa di colpo, Drozd si mise sulla difensiva subito raggiunto da Jeager.

Passarono pochi secondi e la porta si spalancò con tale forza da venire quasi scardinata, quattro gnoll armati di mazzafrusto si lanciarono in carica. Il primo colpì con foga lo scudo di Jeager, il suono metallico che ne scaturì rimbombò nel corridoio. Il secondo gnoll riuscì a colpire Drozd, la cui armatura però attutì il colpo, permettendo al drow di reagire con un fendente verso il fianco del proprio avversario, ma la catena del mazzafrusto blocco la lama elfica. Jeager fece un passo in avanti e portando tutta la propria forza nello scudo riuscì a buttare a terra il proprio avversario per finirlo subito dopo con la propria spada, gli altri due gnoll giunsero immediatamente, impedendo a Jeager di riprendere fiato.

-          Attenta! – Il grido di Felicia giunse appena in tempo alle orecchie di Gray che si buttò a terra riuscendo ad evitare un attacco alle spalla da parte di uno gnoll giunto dal basso.

Lo gnoll sollevò nuovamente la propria arma e la calò con forza verso la ragazza accompagnando quel gesto da una risata quasi isterica, Gray rotolò su se stessa per evitare il colpo che si infranse sulle pietre del pavimento, nel contempo richiamò a sé i propri poteri arcani e un’armatura di ossa le ricoprì il corpo.

-          Lasciala stare! – Gridò Felicia ed improvvisamente il suo corpo s’incendiò. La vampata di calore fu tale che il pelo dello gnoll ne risentì bruciandosi. Felicia chiuse il proprio pugno destro e colpì con quanta forza aveva il proprio avversario.

 

Quando Maya raggiunse i propri compagni vide uno gnoll che stava affrontando Felicia avvolta dalle fiamme, a terra Gray era ricoperta da un’armatura d’ossa. Nel corridoio Jeager e Drozd stavano affrontando altri tre avversari. Il primo gnoll non si era accorto di lei, e Maya ne approfittò, strinse la propria corta lama e, giunta alle spalle dello gnoll, gliela conficcò nella schiena uccidendolo.

Gray riuscì a rialzarsi e le fiamme che avvolgevano Felicia si spensero. Le tre ragazza riportarono la loro attenzione verso i loro compagni. Purtroppo non potevano fare molto senza rischiare di colpirli.

Ma i due non parevano essere in difficoltà. E ne ebbero la certezza quando una testa di gnoll cadde a terra seguita poco dopo dal resto del corpo.

Appena lo scontro fu terminato, Jeager si rivolse verso le ragazze.

-          Andiamocene subito, i loro amici non tarderanno a farsi vedere! Drozd tu chiudi la fila, ragazze seguitemi!

Detto ciò superò i propri compagni e imboccò le scale a passo veloce, subito seguito dagli altri.

Salirono a lungo senza incontrare nessuno, e nessuno, apparentemente, li stava inseguendo. E infine le scale terminarono.

I cinque si ritrovarono in cime a una torre al centro di una fortezza.

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