Anime Erranti
Premessa
Personalmente quando creo un personaggio, o lo penso, ho poi il desiderio di "dargli vita", il desiderio di vederlo agire come vorrei e di attuare quelle caratteristiche che ho scelto o "programmato" per lui. Meccancihe o che situazioni che poi spesso non si concretizzano o, più spesso e banalmente, non hanno il tempo di verificarsi o, più mestamente ancora, il persoanggio non può prendere vita (alias entrare in un'avventura). Però lui, in un certo senso, esiste e merita di vivere la sua vita seppur pensata da altri. Ma, credo, un personaggio non è di verso da uno scritto e come disse Fritz Lang (autore di fantascienza): "ogni scritto è dotato di vita propria. Non sono io a decidere se sarà un racconto breve o un romanzo, è lo scritto stesso che lo decide"
Per cui ho deciso di aprire questo blog solo a tale scopo: dare vita ai miei personaggi, farli uscire dalla mia mente e farli vivere nel racconto che qui posterò.
E, come si dice in Giappone: yoroshiku onegai shimasu, tradotto: vi prego di aver cura di loro.
Capitolo 1. Gray e Maya
Il vecchio becchino chiuse i cancelli del cimitero e si avviò verso l’ultima tomba che aveva scavato per sistemare la pala. Spingendo la cariola, udì uno strano rumore provenire da un ampio cespuglio di rododendri. Si fermò e rimase ad ascoltare e ad osservare. Dei rami si mossero.
“Gatto, cane o corvo?” pensò l’uomo. Rimase quindi molto sorpreso nel veder sbucare una bambina di circa due anni che si reggeva appena sulle sue gambe. Indossava solo una tunica, aveva corti capelli argentei e due vispi occhi del colore dei germogli.
- E tu da dove spunti, piccola? – Domandò l’uomo – Immagino che i tuoi genitori non siano qui in giro… a meno che non siano sotto qualche lapide. Vieni – disse allungando una mano – Non puoi stare fuori, per stanotte starai da me, poi cercheremo qualche tuo parente.
Ma né il giorno seguente, né le settimane o i mesi seguenti il vecchio becchino riuscì a sapere nulla della bambina che, per via del colore dei suoi capelli, decise di chiamare Gray.
Così il vecchio becchino decise di tenere con sé Gray e di crescerla. Quando l’uomo morì per l’avanzata età, la ragazza lo sostituì nel suo lavoro.
La ragazza, dal cimitero, osservava i giovani passare e divertirsi. Un paio di volte aveva provato a uscire dal cimitero, ad andare in città, nelle locande per fare amicizia e divertirsi. Ma ogni volta veniva derisa per il suo lavoro, così la ragazza iniziò a trovare rifugio e tranquillità solo fra le lapidi, iniziando a sfogarsi, a liberarsi del peso che aveva nel animo e nel cuore parlando ai morti… aggravando la sua reputazione.
Un giorno, tuttavia, i morti le risposero.
Strani eventi iniziarono ad accadere attorno a Gray. Nulla di particolare, ma forse inquietanti per molti. La ragazza iniziò a non ritrovare gli oggetti dove li aveva posti, spesso si trovava la casa sottosopra, appena apriva una borsa è un armadio il contenuto ne usciva sparpagliandosi per tutta la stanza, dovendo quindi poi perdendo tempo, ogni sera, per rimettere tutto in ordine. Ma ormai a lei andava bene così, ci si era abituata, e a volte quei fenomeni le strappavano un sorriso. Aveva rinunciato ad avere rapporti con i vivi, si era rassegnata che il cimitero sarebbe stato il suo mondo, e i morti i suoi amici. Almeno nel loro silenzio erano sinceri. Ma in cuor suo ancora invidiava gli altri ragazzi della sua età.
Un giorno si accorse di essere osservata da un ragazzo. La cosa le fece sussultare il cuore. Quella sera, in casa, si guardò allo specchio. Non sapeva come definirsi, non ci aveva mai pensato. Si osservò i capelli argentei, gli occhi verdi come i prati estivi, i lineamenti.
“Chi vuoi che si interessi a me?” pensò. Un improvviso rumore proveniente dall’esterno la fece sussultare.
“Un ladro? Un profanatore di tombe?” Pensò uscendo dal bagno. Preso un bastone uscì dalla casa.
Appena aprì la porta si trovò innanzi una figura. Riconobbe subito il ragazzo che la fissava. La ragazza arrossì.
Il ragazzo le sorrise, mentre con gli occhi ne osservava il corpo.
Gray sentì il cuore iniziare ad accelerare il ritmo, quasi volesse uscirle dal petto, il viso farsi più caldo, la sua presa sul bastone si allentò.
Con uno scatto lo sconosciuto le fu addossò, le afferrò il bastone e lo scagliò via, con le mani, atterrò Gray che tentò di liberarsi della presa ma senza successo.
Sentì le mani di lui correrle sul corpo, stringerla in più parti, le sue labbra sul collo.
Gray urlò, ma nessuno l’udì, o forse l’udirono ma preferirono non fare nulla.
La ragazza si dibatté, cercò di liberarsi, delle lacrime le rigarono il viso mentre sentiva i bottoni della camicia venire slacciati. Poi qualcosa accadde. Ebbe l’impressione di non sentire più il proprio calore, di non avere più sangue nelle vene, non sentiva più il calore del sangue che le usciva dai graffi e dai tagli.
Solo freddo.
Fredde divennero le sue mani. Un freddo particolare, diverso da quello del ghiaccio, ma identico a quello delle lapidi, il freddo della morte stessa. Con una mano toccò il suo aggressore e questi sbiancò, strabuzzò gli occhi, un’espressione di terrore ne deformò i lineamenti, si alzò tremando di paura, una chiazza di bagnato apparve sui suoi pantaloni, indietreggiò, si voltò e scappò via terrorizzato.
Gray lo osservò scappare, tirò un sospiro di sollievo e si osservò la mano per un tempo indefinito. Ne osservò i lineamenti, osservò come il colore delle sue dita fosse così simile a quello delle stelle che brillavano fra di essi, ma infinitamente più freddo. Si alzò e, zoppicando, rientrò in casa.
Nei giorni seguenti riprese il suo lavoro indossando un paio di guanti. Non sapeva cosa fosse accaduto esattamente, ma aveva timore che potesse accadere di nuovo. Passarono giorni e notti tranquille, fatta eccezione per i dispetti degli spiriti che ormai si era abituata ad avere attorno.
Poi il suo aggressore tornò, e non da solo. Con incredibile coraggio il ragazzo, con alcuni amici, entrò nel cimitero, dall’esterno presero vanghe e badili e insieme fecero irruzione nella casupola di Gray. La ragazza stava cenando quando in cinque sfondarono la porta e le furono subito addosso colpendola con i badili senza dire nulla e senza darle il tempo di alcuna reazione.
Il primo colpo che la ragazza subì fu violento e diretto sul costato, Gray sentì una costola rompersi, tentò di difendersi da un secondo colpo rompendosi così il braccio, giunse un terzo colpo. Ma questi si frantumò contro un’armatura fatta di ossa. Un’armatura apparsa all’improvviso e che ricopriva completamente Gray. Gli occhi della ragazza divennero furenti, mutarono colore dal verde al viola, la ragazza allungò una mano verso i suoi aggressori e un raggio gelido scaturì dalle sue dita colpendoli al petto, poi allungò entrambe le mani e su quegli uomini iniziarono ad aprirsi delle ferite che iniziarono a sanguinare copiosamente. Gli aggressori feriti e terrorizzati scapparono via.
L’armatura scomparve, Gray si accasciò al suolo esausta e ansimante, si passò una mano sulle ferite, sentì un tiepido calore e il dolore scomparve, lasciandola comunque spossata e provata.
La giovane becchina sapeva che non sarebbe potuta restare. Se non l’indomani, il giorno dopo ancora sarebbero tornati, e per ucciderla. La ragazza decise di andarsene quella sera stessa. Avrebbe trovato un’altra casa, e soprattutto avrebbe cercato di comprendere e nascondere i suoi poteri.
Caldo.
Maya alzò lo sguardo verso il cielo. Con una mano si scostò un ciuffo di capelli argentei dagli occhi, poi, proteggendosi con una mano, osservò il cielo limpido color turchese. Nessuna nuvola chiazzava di bianco quell’infinito azzurro. E non un filo d’ombra.
Lo zaino era pesante, e in corrispondenza degli spallacci si erano formate ampie chiazze di sudore.
La sacerdotessa si fermò sul bordo della strada, prese la propria boraccia e bevve un lungo sorso d’acqua ormai divenuta calda e simile ad un insipido brodo.
Un rumore attirò l’attenzione di Maya verso le proprie spalle: un carro si stava avvicinando. Quando le giunse accanto, la ragazza alzò un braccio per richiamare l’attenzione del cocchiere che tirò le redini per fermare cavalli e carro.
- Buongiorno, e che la benedizione di Shelyn ricada su di lei – salutò Maya.
- Buongiorno a lei. Ha bisogno di qualcosa?
- Se fosse possibile, gradirei un passaggio fino al villaggio di Innova, dove dovrei prendere servizio presso il tempio locale.
- Mmmm. Mi spiace ma non vado in quella direzione, però le posso dare un passaggio per un po’, poi dovrà camminare ancora per un paio d’ore.
- La ringrazio! – Esclamò Maya aggiungendo un sorriso.
Salita a bordo il carro riprese il suo viaggio, durante il quale la giovane aasimar raccontò al cocchiere del suo noviziato al tempio, e di come fosse felice di andare in un piccolo villaggio, in quanto se fosse rimasta in città quasi sicuramente sarebbe stata adibita a compiti da archivista o bibliotecaria, compiti che non facevano per lei.
Nel tardo pomeriggio giunsero ad un incrocio e alla loro separazione. La sacerdotessa diede alcune monete d’argento all’uomo per il disturbo e lo osservo allontanarsi mentre lo salutava con la mano.
La notte iniziò a scendere alleviando il caldo e donando una piacevole brezza.
La sacerdotessa aveva innanzi ancora due ore di cammino. Poteva farlo ora, giungendo però di notte al villaggio, oppure accamparsi, dormire e riprendere l’indomani.
Fece alcuni passi lungo la via, poi ne uscì e si addentrò per una ventina di metri nella campagna. Mise giù lo zaino, lo aprì e iniziò a preparare la tenda. A lavoro ultimato levò alcune preghiere alla sua dea e si preparò per dormire.
Complice la stanchezza del viaggio, quando Maya si svegliò, era mattina inoltrata. La sacerdotessa si vestì, levò le preghiere mattutine a Shelyn e riprese il viaggio per il suo ultimo tratto.
Non aveva un’idea precisa di come sarebbe stata accolta al villaggio. Certo non sia spettava festeggiamenti o bambini che le venivano incontro… ma nemmeno l’opposto. Nel camminare per le strade vide finestre venire chiuse e madri afferrare e portare via i figli.
Triste e dispiaciuta per tale accoglienza raggiunse il tempio di Shelyn e vi entrò. Un vecchio chierico le venne incontro.
- Posso esserle utile? – domandò con voce impastata dalla vecchiaia e sibilante per la mancanza di denti.
- Buongiorno padre. Sono sorella Maya Meilin, inviata dal tempio di Guyan per aiutarla qui.
- Oh… che piacere! Vieni, io sono padre Ghilbertus.
L’anziano chierico accompagnò Maya nell’ala residenziale del piccolo tempio e le mostrò la sua cella. Poi la accompagnò al giardino del tempio. Un piccolo spicchio ricavato fra le mura del tempio, dove una fontana finemente decorata era contornata da aiuole ricche di colori e fiori.
- Cosa ti turba, sorella?
- Vede… non ho potuto fare a meno di notare di non essere ben vista qui, e…
- Non ti preoccupare. Sono solo diffidenti nei riguardi degli estranei, e di chi non è umano. I tuoi lineamenti, il colore della tua pelle e dei tuoi capelli… hai sangue celestiale, vero?
- Sì, – arrossì Maya- sono un’aasimar di origini umane.
- Non ti preoccupare, vedrai che si abitueranno a te. Da loro solo un po’ di tempo. Qui non accade mai nulla, e anche il minimo cambiamento alla loro quotidianità li sconvolge e li impaurisce.
E così fu. Dopo le prime cerimonie officiate insieme all’anziano chierico, la gente del villaggio iniziò ad avere un po’ di fiducia e confidenza con Maya
Maya era stata inviata a Innova non solo con il compito di affiancare Ghilbertus, ma anche con il compito di difendere il tempio e il villaggio da ogni minaccia. Ma per mesi nulla minacciò la quiete di quel villaggio lontano da ogni flusso commerciale e dalle grandi vie. Finché un giorno qualcosa non turbò quella quiete: un grosso lupo selvatico aveva deciso che era più facile assalire il bestiame del villaggio, piuttosto che cacciare la selvaggina. Ed anche gli umani per lui erano facili prede.
Quando il lupo attaccò, fortunatamente senza gravi conseguenze, un bambino, Maya corse nella sua cella, prese l’armatura che non indossava dai tempi del noviziato e l’indossò. Una splendida armatura decorata con motivi di ali. Afferrò la propria spada e si recò nel bosco a cacciare il lupo.
Il suo successo conquistò ampiamente e definitivamente le simpatie dei suoi compaesani, e del figlio del fabbro in particolare. Il giovane, Ash, era presente ad ogni cerimonia officiata da Maya, e al termine di ognuna aveva sempre qualcosa da chiederle. Era un giovane di bell’aspetto, dai modi gentili e leggermente timidi. Modi che lentamente iniziarono ad insinuarsi nel cuore della sacerdotessa.
Maya, nel rispetto dei dettami di Shelyn, covò quell’amore mantenendolo però al solo livello di sentimento. Ma per quanto si sforzasse di mantenerlo tale, lentamente se ne innamorò sempre di più.
Una sera, poiché erano stati avvistati diversi lupi nei giorni scorsi, Maya decise di rimanere alzata per vegliare sul villaggio.
Era seduta sui gradini antistanti il tempio, lo sguardo a scrutare le stelle. Udì un rumore provenire dalla piazza. Ash la stava guardando.
Una lieve brezza carica del profumo dei fiori notturni prese a soffiare smuovendo piano gli argentei capelli di Maya. Lui iniziò a salire i gradini, lei iniziò a sentire il proprio cuore battere sempre più rapidamente, lo stomaco stringersi… I suoi occhi si fissarono in quelli di Ash, e poco dopo le loro labbra si sfiorarono. Lei si alzò e i due, mano nella mano, uscirono dal villaggio per dirigersi verso un capanno di cacciatori nel bosco, e lì lasciarono che i sentimenti mutassero divenendo passione.
Dopo un tempo che non poterono quantificare uscirono felici da quel capanno avviandosi verso il villaggio. I loro occhi erano fissi in quelli dell’altro e non videro i bagliori rossastri che salivano al cielo, l’alta colonna di scintille e tizzoni che correvano verso le stelle… ma appena usciti dal bosco l’immagine del villaggio in fiamme li devastò.
Istintivamente Maya sguainò la spada e si lanciò di corsa verso il villaggio. Quando lo raggiunse non poté fare altro che constatare quanto era accaduto in sua assenza: il villaggio era stato attaccato, depredato e dato alle fiamme. Vide i corpi dei suoi amici riversi in pozze di sangue o bruciare in ciò che restava delle case. Trovò i corpi di alcune ragazze spogliati e privi di vita.
Con gli occhi spalancati, la mente vuota, le braccia prive di forza iniziò a vagare per le fiamme trascinandosi dietro la spada.
Raggiunse i resti del tempio anch’esso in fiamme. Padre Ghilbertus era riverso sulla scalinata in una pozza di sangue, in mano reggeva ancora una vecchia spada.
Un rumore. Si girò. Ash era vicino a lei, sconvolto nel viso.
-… mia… è tutta colpa mia… - continuava a ripetere. Poi, senza che Maya potesse fare nulla si lanciò fra le fiamme uccidendosi.
Maya cadde a terra, disperata, in lacrime per quanto era accaduto… avrebbe voluto porre fine alla sua disperazione alla sua vita, ma si rese conto di non averne il coraggio. Fra le fiamme e il fumo vide una figura venirle incontro. Maya impiegò del tempo per rendersi conto di trovarsi al cospetto della sua dea. Due lacrime rigavano il viso di Shelyn, i suoi occhi erano tristi, ma ne trasparivano collera e delusione.
- Avevo fiducia in te – disse la dea – ti ho benedetta concedendoti poteri che sono preclusi ai comuni mortali. E tu hai tradito la mia fiducia. Hai tradito il tuo villaggio. Non hai più la mia benedizione, non avrai più i tuoi poteri, ma avrai la mia collera finché il tuo cuore non avrà espiato le sue colpe.
La dea gettò un pendaglio in grembo a Maya.
- Quando il tuo cuore sarà sinceramente pentito, usa questo talismano per invocare nuovamente la mia benedizione. E se ai miei occhi sarai nuovamente pura, l’avrai.
L’immagine della dea svanì e Maya perse i sensi accasciandosi a terra e stringendo fra le dita il talismano.
Quando si riprese si ritrovò in un carro, in mano stringeva ancora il dono di Shelyn.
Una donna con dei bambini era con lei sul carro.
- Ti sei ripresa? – Domandò questa con tono gentile – Menomale, quando ti abbiamo trovata abbiamo temuto per te. Cosa è successo?
Maya non volle raccontare nulla e l’altra non insistette.
Giunti ad un villaggio, Maya ringraziò e si diresse verso la locanda più vicina dove prese una camera. Salita e chiusasi dentro si accasciò sul letto dove pianse per tutto il giorno e la notte finché non si addormentò.
L’indomani si spogliò dell’armatura e dei simboli sacri di Shelyn. Con una lama si tagliò i lunghi capelli ed uscì dalla locanda. Si fece indicare dove avrebbe potuto comprare uno zaino e un corpetto di cuoio.
Tornata in camera mise la sua armatura sacra e la spada nello zaino, indossò il suo nuovo equipaggiamento e, pagata la stanza, si avviò per espiare le proprie colpe.
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