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Gli ultimi momenti di Venere, prima parte, pillole di Radiogenesi (sistema casalingo)


Quel giorno vi era molta agitazione per le strade di Venere. Non serve che vi descriva in dettaglio il macabro orrore che si compiva per le strade della metropoli: i manifestanti, povera gente ridotta allo stremo da una penuria di cibo, acqua, medicine e ogni sorta di genere di prima necessità, si scontrava con la polizia, cani apparentemente senza empatia o intelletto che difendevano le sedi del potere e i tiranni della città. 

Ma anche nelle sedi del potere, stranamente, quel giorno vi era agitazione mista a nervosismo: sembrava che oltre oceano, la guerra che era ormai in corso da molti anni fra i due blocchi, stesse andando rapidamente fuori controllo. Da prima si erano iniziate a superare diverse "linee rosse" e molti obbiettivi civili erano stati oggetto di bombardamenti aerei e missilistici. Poi erano state distrutte numerose infrastrutture strategiche: ferrovie, strade, canali umanitari o per le telecomunicazioni, nulla era stato risparmiato. 
Sui fronti "caldi" del conflitto (ammesso che vi fossero ancora fronti "freddi") si erano cominciate a usare armi chimiche o intelligenze artificiali programmate per uccidere in autonomia gli obbiettivi nemici. Era una carneficina, le informazioni che trapelavano erano raccapriccianti e incutevano orrore e disgusto anche nel più risoluto guerrafondaio. 
Eppure, la guerra non sembrava potersi arrestare: da molti mesi ormai si era innescato un circolo vizioso, che rendeva sempre più remota la possibilità di un dialogo diplomatico fra i due blocchi. 

A rendere ancora più evidente la drammatica situazione, la notizia che i comunisti stessero costruendo sulla Luna una sorta di "arma dell'apocalisse": una notizia che sembrava uscita da uno scadente romanzo di fantascienza piuttosto che da un rapporto ufficiale delle fonti di intelligence. Eppure, ciò era bastato per scatenare paranoia e terrore tra le alte sfere, che avevano iniziato a delirare di un "massiccio attacco nucleare preventivo" sulla superficie lunare e sui territori del blocco comunista. 

Nessuno comunque aveva ancora messo mano all'arma atomica, anche se le minacce in tal senso erano sempre più frequenti e i sistemi d'arma sempre più pronti all'uso. In quel preciso momento, mentre i governati di Venere parlavano nervosamente fra di loro camminando tra le colone nere della "sala della guerra", sarebbero bastati meno di tre minuti affinché il blocco comunista lanciasse nel cielo centinaia di missili intercontinentali con bombe termonucleari, e lo stesso avrebbe potuto fare il blocco atlantico. 

Quel giorno, comunque, le cose stavano rapidamente precipitando: le notizie erano confuse, ma si parlava di un'evacuazione di massa della classe dirigente dalle cittadelle nel cuore di Mosca e Pechino, e sembrava che i membri dei rispettivi governi fossero già nascosti in qualche anfratto sotterraneo e stessero dirigendo le operazioni via radio. 

Insomma, notizie che sembravano preannunciare il peggio: anche perché tutti erano consapevoli che non ci sarebbe stato modo di evitare la distruzione mutua assicurata.

Poco distante dalla sala della guerra, in una delle sue numerose anticamere, stavano due generali dell'esercito, di cui in questo momento non mi sovviene il nome. Li chiameremo, da qui in avanti, con una loro sommaria descrizione fisica: la donna senza baffi ma con i capelli e l'uomo con i baffi ma senza capelli.

La donna senza baffi ma con i capelli guardava fuori dalla finestra, osservando il fumo che si levava dalle strade della città: erano ad almeno centocinquanta metri d'altezza, quindi aveva una visione privilegiata sul dedalo cittadino sotto di loro. 

Teneva in mano un bicchiere di qualche superalcolico dal colore scuro: sembrava che all'interno del bicchiere vi fosse una piccola radice dalla forma vagamente antropomorfa.

"Ne è rimasto ancora un po'?" chiese l'uomo con i baffi ma senza capelli.

La donna senza baffi annuì: aprì un pregiato mobiletto di legno e ne tirò fuori una bottiglia, anch'essa con all'interno una grossa radice. Versò il liquore in un calice e lo porse al parigrado.

"Sai di cosa stanno discutendo là dentro, vero?" disse la donna, dopo aver bevuto sorso.

L'uomo senza capelli annuì, bevendo anch'esso un sorso: "Brutta storia. Non sono mai stato un tipo pessimista, ma le notizie che arrivano dal fronte da questa mattina..." 

Il generale fece una smorfia, poi bevve ancora.

La donna senza baffi sospirò, guardando ora con lo sguardo la linea dell'orizzonte e le torbide acque che bagnavano la laguna sulla quale si affacciava la metropoli di Venere. Se si sforzava, poteva scorgere la linea della costa e le altre città che si affacciavano sul mar Adriatico. Nonostante il cielo plumbeo e lo "sporco" del mare, era un bel panorama.

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"Se anche oggi suoneranno le sirene antiaeree, penso che sarà per l'ultima volta" disse la donna, finendo di bere dal proprio bicchiere, per poi lanciarlo al suolo.

Il generale con i baffi annuì, osservando i frammenti di cristallo sul suolo. La parigrado aveva appena rotto un calice da un centinaio di dollari almeno. Sorrise, finì di bere anche lui e poi, quasi fosse stato un rituale, lanciò anch'esso il proprio bicchiere contro il muro, spaccandolo in tanti piccoli pezzi luccicanti. 

"L'uso delle intelligenze artificiali è stato troppo, abbiamo infranto le ultime speranze di una pace in quel momento" commentò l'uomo, avvicinandosi al mobiletto e prendendo in mano tutta la bottiglia di superalcolico. Poi si mise a bere il liquore "a canna", senza preoccuparsi di prendere un altro calice.

La donna scosse il capo: "No, no..." e sorrise amara. Prese anche lei un altra bottiglia di liquore dal mobile e cominciò a bere, mentre da fuori dalla finestra si udiva il rumore di un'esplosione: forse una bomba dei dissidenti, o forse un camion che era stato fatto esplodere dalla polizia con un cannone termico. 

"Ci siamo condannati a morte quando abbiamo deciso di impadronirci con la forza delle miniere di uranio cinesi" continuò la donna senza baffi, mentre noncurante l'alcool le colava dalla bocca sulla divisa dell'esercito, fatta a mano e su misura per lei. 

"Può darsi" rispose dopo qualche minuto il parigrado: aveva appena finito la bottiglia di liquore con la radice dentro, e ora appariva visibilmente frastornato. Poi si lanciò la bottiglia alla spalle, facendola fracassare su un quadro appeso dal valore di qualche migliaio di dollari. 

"Ricordi la profezia di Al Azif?" disse il generale, prendendo un'altra bottiglia di liquore e rovesciandone metà su un pregiato tappeto, nel maldestro tentativo di aprirla.

La parigrado senza baffi, che stava continuando a bere con estrema sciatteria dalla propria bottiglia, si asciugò la bocca con la manica della divisa, sporcandone i bottoni in oro: "Quel santone di Damasco che predisse la fine del mondo quando abbiamo invaso la Siria? Come dimenticarlo, si fece ardere vivo. La Giovanna d'Arco siriana" 

"Proprio lui, aveva ragione no?" disse il generale, ridendo. 

"Sì, stiamo per fare la sua stessa fine" e anche la donna scoppiò a ridere.

E mentre i due generali ridevano e rompevano con sciatteria e disprezzo i preziosi arredi della sala, il suono delle sirene antiaeree inizio a echeggiare per le vie della città, fin sulla sommità dei grattacieli e delle sedi del potere...

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L'articolo di oggi si collega a uno precedente, che si ambienta cronologicamente nello stesso momento: 

(L'immagine di copertina è una delle tante rappresentazioni di Neo Tokyo presenti nel manga di Akira)

Grazie per la lettura!

Modificato da Le Fantome

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