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La dittatrice e il regicida, pillole di Radiogenesi (sistema casalingo)


Premessa: gli eventi narrati si ambientano quasi 30 anni dopo l'esodo dei marchiati dalla regione di Teti e tutti gli eventi contingenti.

(L'articolo precedente dove veniva introdotta la persona di Clio di Ganimede.)

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Mentre la dittatrice di Ganimede era in viaggio verso la roccaforte di Draco, egli era diventato più di un semplice scagnozzo: aveva ucciso il suo stesso padrone, il Faraone, e ora sedeva sul trono del fu tiranno, in cima alla piramide che egli aveva fatto costruire dai suoi schiavi per compiacere il suo effimero ego. La roccaforte era ormai stato ridotta in un cumulo di cenere: non vi erano che resti di case, tende e stamberghe carbonizzate, insieme ai resti sciolti di macchinari industriali e altre apparecchiature tecnologiche ormai inservibili. Sul terreno ancora ardevano le fiamme, le strade di pietra e catrame liquefatte, mentre un fumo nero aleggiava in ogni dove: era uno scenario apocalittico, sembrava che l'inferno si fosse abbattuto su quella cittadella, come se una meteora fosse piovuta dal cielo e avesse fatto giustizia sommaria di schiavi e negrieri. La furia di Logos era stata era stata indomabile, la rabbia verso suo padre, il Demiurgo, si era trasformata in odio, un odio che aveva portato alla distruzione di ogni cosa.

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Da un lato il figlio aveva ucciso il padre, dall’altro il servo aveva ucciso il padrone. Ora Draco sedeva sul trono in cima alla piramide, l'unica struttura sopravvissuta alla furia dell'archegeta (Logos). Il corpo esanime del Faraone giaceva ai suoi piedi, con il petto dilaniato dai fori dello sparo di un fucile a doppia carna, l'arma con cui Draco aveva falciato innumerevoli vite nella sua lunga carriera da assassino, negriero e torturatore.

Si poteva dire che Draco fosse davvero diventato un re, ora che non vi era più nulla su cui governare? L'uomo, con il volto coperto da una maschera di metallo, sembrava una bestia feroce in allerta, come un predatore che sente il suo territorio minacciato. Non temeva il ritorno di Logos, non nell'immediato, almeno: per quanto ne sapeva, il giovane archegeta si era diretto verso Venere, deciso a uccidere sua sorella. Si sarebbe scontrato contro l'armata di Dio, gli uomini del maresciallo Crono, che avevano accolto la bambina prodigio nei loro accampamenti ritenendola la figlia di Dio e che avevano giurato di proteggere a ogni costo.

Un sorriso nervoso si dipinse sul volto deforme del negriero, rivelando i suoi denti sporchi e sfregiati: i soldati dell'armata di Dio non avevano speranze contro Logos, nessuno poteva opporsi alla sua furia. Ormai quel triste omuncolo, in prenda al suo complesso di inferiorità, aveva deciso di prendersi quel potere che gli era sempre stato negato perché terribilmente inadeguato. Era come un bambino capriccioso e frustrato, che un bizzarro scherzo del destino aveva fatto sì avesse poteri che trascendessero i limiti umani.

Draco iniziò a ridacchiare: se avesse avuto lui la metà dei poteri di quel cretino di Logos... avrebbe regnato sugli uomini come un dio sceso in Terra, compiacendo ogni suoi desiderio. Sarebbe stato molto più che un servo spietato e violento. Si sarebbe circondato di concubine e servitori, avrebbe mangiato i cibi migliori in un palazzo di marmo e vetro, incurante della miseria degli uomini nelle lande post-nucleari.

Poi la risata divenne una smorfia: invece Dio aveva voluto che lui fosse un comune mortale, e che dovesse contendersi la miseria che la Terra aveva da offrire con le unghie e con i denti, uccidendo per non essere ucciso. Draco si alzò in piedi e puntò il fucile verso il cielo, verso l'occhio della Diaspora, ovvero ciò che rimaneva della Luna e gli anelli di detriti che le orbitavano attorno, a malapena visibili durante il giorno. 

"Ti diverti, Dio?!" sbraitò: "Ti diverti a vedere un disadattato portare miseria e distruzione con il potere che gli hai donato?!"

Restò qualche secondo in silenzio, in sottofondo solo il rumore dello scoppiettio delle fiamme e dello sferzare del vento, che trascinava via con sé la cenere e la fuliggine dell'incendio.

Poi ci fu il rumore di uno sparo.

Draco aveva appena sparato con il fucile un colpo a vuoto contro il cielo, quasi avesse tentato di sparare direttamente a Dio. 

Il mesto negriero osservò sconsolato il cielo: ma cosa stava facendo? Ripose il fucile e tornò a sedersi sul trono del fu padrone. Non doveva perdere la lucidità: presto sarebbe arrivata, doveva essere pronto a difendersi. Questa volta avrebbe dovuto combattere più ferocemente di come avesse mai fatto in tutta la sua vita, se voleva sopravvivere.

E così Draco tornò in attesa, come un leone che siede tra le frasche, le orecchie dritte, la coda che si agita incessantemente, pronto a cogliere il minimo segnale di pericolo. Si accese una sigaretta, mentre il sole iniziava a calare. Il vento iniziò a farsi gelido, ma l'uomo non sembrò turbarsi della cosa.

Poi, finalmente, ella giunse: emerse dal fumo e dalla cenere come un'apparizione spettrale. La sua mantella rossa, logora e sporca, la fascia sulla testa del medesimo colore, la spada in bronzo nella cinghia e l'arco lungo sulla schiena. Aveva i pugni serrati, camminava lentamente, sembrava una statua di basalto dotata del dono del movimento.

Draco si alzò e allargò le braccia: il suo volto aveva un'espressione indecifrabile, complice l'elmo di ferro e che impediva di vederne gli occhi e gli zigomi: "Donna di Ganimede! Infine sei giunta nel cuore del mio regno, per stanarmi come la bestia che sono!" urlò, ripetendo le stesse parole che la giovane donna gli aveva rivolto l'ultima volta che si erano incontrati.

Clio non rispose, mentre iniziava a salire i gradoni in pietra della piramide. Estrasse la spada di bronzo dal fodero e serrò la presa attorno al manico di cuoio. Draco osservò la lama e la riconobbe: era la spada di Ettore, il fu argonauta che aveva ucciso molti anni addietro.

"Puoi ancora avere salva la vita, donna di Ganimede!" urlò Draco, dalla cima della piramide: "Vattene, e non ti ucciderò come ho fatto con Ettore!" sbraitò.

Clio si fermò a metà strada: vi erano circa cinquanta metri tra lei e il negriero, mentre il sole tramontava e tutt'attorno vi era uno scenario apocalittico di distruzione. Draco puntò il fucile al petto della donna: "Hai ancora una possibilità di salvarti, vattene" le intimò Draco un'ultima volta. Era pronto a premere il grilletto da un momento all'altro, anche se la mano gli tremava leggermente. Sapeva di cosa era capace quella donna, era una guerriera dal talento inarrivabile.

"Prima che il sole tramonti, tu sarai morto" replicò Clio, truce.

In quell'esatto istante, il rumore di uno sparo echeggiò nell'aria. 

[...]

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Sia l'immagine di copertina che quella presente nel testo sono tratte dal manga e dall'anime di Ken il Guerriero.

Si ringrazia la cara @licet_insanire per aver revisionato il testo ❤️

Grazie per la lettura!

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