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Uscire da D&D


Arglist

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Ehilà

Torno ogni tanto su queste sponde a leggere le varie discussioni; oggi però, compiendo una sorta di strappo alla regola di osservatore silenzioso, vorrei proporre una sorta di articolo/discussione. Non voglio vederla come una conversazione costruttiva o attiva, simbolisticamente rappresentata da un insieme di persone che costruiscono un qualcosa (una casa, un muro, un monumento, per quanto queste tre cose possano essere sinonimi) quanto ad un lancio di cibo in uno stagno popolato da paperelle. 

Una sorta di briciole di creatività senza steroidi, una sorta di contributo al pensiero di tutti fatto in modo unidirezionale.

Antefatto

Capita che, talvolta, si giochi a D&D nella ormai rotta compagnia di amici: cosa che succede sempre più raramente ora che siamo alla soglia dei quaranta e con molte più responsabilità (e con molta meno voglia, non lo nego, di mettersi faccia a faccia con gli stessi giocatori/amici che interpretano loro stessi al tavolo). Succede difatti che, a queste sessioni improvvisate che sanno tantissimo di cene di classe in salsa gioco di ruol-esca, si aggiunga spesso un partecipante che si trovava da quelle parti (spesso casualmente, incidentalmente, altre volte volontariamente) e che questo si cimenti, per la prima volta, nel gioco di ruolo.

A me è successo due settimane fa, durante il festeggiamento di un compleanno: mentre le ragazze sono andate a fare un giro i maschi (pochi) della compagnia sono rimasti in casa e hanno apparecchiato D&D, introducendo a questo (magico? melenso?) mondo un neofita che si trovava lì accidentalmente. Ora, va da sé che una sessione all'anno, per forza di cose, non può certo essere seriosa, soprattutto se praticata per poche ore, annaffiata con abbondanti dose di bevande e preparata al volo da uno dei pochi che ha continuato a fare il narratore mentre tutti gli altri hanno pensato ad altro (fare figli, esempio).

Fatto sta che, seduto su questa serie e volontariamente (parola grossa) partecipe a questa oneshot improvvisata, ho deciso di alienarmi e sfruttare la situazione per analizzare antropologicamente la situazione, vestendo i panni di una Margaret Mead di noialtri (e, perché no, anche Malinowski) e analizzare (e analizzarci) un po'.

Punti problematici

Veniamo al dunque: al di là di tutto la sessione NON è stata divertente perché, un po' come le cene di classe, ci si nutre un po' di nostalgia e ci si ricorda le cose con quella patina di amore che però sfuma appena si tastano le cose con mano. Ergo, dopo aver passato qualche ora a tirare dadi e muovere le pedine su un foglio quadrettato, abbiamo chiuso baracca e burattini e siamo tornati alle nostre vite. Alla luce dell'analisi antropologica che mi ero però dato come obiettivo compiere, ho notato emergere alcuni spunti su cui non voglio dire non avessi già pensato ma, agli occhi di un vecchio detective tornato sulla scena del crimine, sono riuscito a darci un po' più forma.

Il primo problema riguarda la celeberrima gita al bordello e della riunione a bere birra in taverna - un trope narrativo che non riesce a morire e sfortunatamente sono convinto essere legata a doppio filo con:

  • utenza al tavolo prettamente maschile
  • herd behaviour at its worst
  • patriarcato intrinseco nell'agire al tavolo
  • escapismo come sfogo di comportamenti repressi

Il secondo problema riguarda la narrazione e il suo rapporto con le regole; se da un certo POV ho notato quanto la narrazione predominante di D&D sia un vago, generico e vendibilisissimo "puoi fare ciò che vuoi", al tavolo difficilmente si ritrova questo slogan e perfino i giocatori più "nuovi" vengono "educati/socializzati/indottrinati" a sfruttare il potenziale dei propri personaggi, con la conseguenza (a causa dei differenti potenziali/differenti aree di potenza dei personaggi del gruppo) che ci si attiva, al tavolo, solo quando è chiamata in causa la propria scena e si dorme nel resto o quasi.

Limiti di un gioco di ruolo specializzato che non riesce a tirarsi fuori dal vecchio wargaming? Plausibile. Limiti di giocatori cresciuti a vecchi wargaming che non riescono a fare a meno di specializzarsi? Altrettanto possibile. Dovrei cominciare a fare ricerche su come D&D modifichi e sviluppi la forma-mente dei giocatori di ruolo e di come la settorializzazione/specializzazione rimangano come strascico nonostante gli sforzi di rendere ogni scena co-partecipante, dal momento che questo genere di approccio alle risorse è tipico di chi arriva da D&D e similia.

Terzo (o secondo bis) e ultimo problema, il combattimento. Problema già visto e sentito e dibattuto, migliorabile con centomila regoline, accorgimenti, robine; tutta roba implementabile da parte di un narratore che comunque il gioco lo sa già e che quindi sa perché fa cose, stessa cosa dicasi per i giocatori. Quando però c'è un novizio bisogna spiegargli tutto, e dirgli "no guarda, se lanci il dado da venti (che si è quello lì grosso) e ci aggiungi comunque questo numero, e lanci anche quello a otto facce (che è questo rosso qua) e ci aggiungi quest'altro numero, e fai la stessa cosa per due volte, e se però scegli di fare questo lo puoi fare per quattro volte, e se fai un numero su quello grosso lo puoi fare sei volte" non lo aiuta.

Ho visto chiaramente il ragazzo nuovo in difficoltà, con noi che comunque abbiamo tirato un po' il freno a mano con regole e conversazioni regolistiche, il narratore che ha over semplificato molto e con i giocatori che giocavano di fianco a lui "consigliandogli" di fare questo e quello (vedi problema numero 2) per ottenere più danni e/o fare qualcosa "meglio"

Possibile soluzione: uscire da D&D, staccarsi dal trad wannabe wargaming?

Come vi dicevo, me ne sono andato a fine serata con la mia bella relazione antropologica nella testa. 

Ora, anche forse a causa di una naturale avversione ad un ambiente che ho frequentato per anni (e con il potentissimo preconcetto dell'esperienza personale, che chi "è più studiato di me" sa essere sostanzialmente deleterio per ogni proposta di carattere universalistico), sono convinto che questi tre problemi siano padri e figli del sistema all'interno del quale si sono sviluppati, ovvero il wargaming tradizionale (o gdr tradizionale, o come lo volete chiamare, avete capito).

Potrei dilungarmi a lungo su come una certa impostazione (qualcuno - e mi trovo d'accordo - ne ha parlato come neocolonialista bianca) seppur rimaneggiata ad ogni edizione per apparire sempre meno ciò che è, rimanga nella sua struttura portante ciò che è stata costruita per essere; questo è uno dei punti che non riesco proprio a togliermi dalla testa come assolutamente vero. D&D, il wargaming trad, rimane fondamentalmente un "gioco di ruolo non-gioco di ruolo" o, come da un po' di tempo lo amo chiamare, un "gioco da tavolo con uno spruzzo di teatro".

Al che mi sono detto "cavolo, non sarebbe affatto male osservare e sperimentare come altre persone cresciute con differenti giochi di ruolo reagirebbero a tale situazione/tale gioco". Ed era un'idea splendida, se non fosse che, facendo la conta delle persone giocanti, non ne ho trovata una che fosse una introdotta al gioco di ruolo che non fosse passata, da neofita, tra le mani di D&D, inquinando quindi la possibile riuscita di un esperimento sociale che già si delineava all'orizzonte del mio terzo dottorato in sociologia.

Un altro mondo è possibile, bisogna solo crearlo...o forse viviamo nell'unico possibile?

Domande per i futuri articoli: può esistere un mondo senza gdr trad? Quando questo mondo sarà concretamente in grado di fronteggiare l'egemonia culturale che vedo applicata al mondo attuale? Quanto i meccanismi di un gioco come D&D sono stati rimaneggiati e riapplicati in altri giochi, così da non sembrare anatre ma essere obiettivamente anatre (citando il famoso detto?)

Quanto questa egemonia culturale del gdr tradizionale è effettivamente presente e forte nel mondo del gioco di ruolo? Quanto escapismo reale (che triste binomio) fornisce un gioco di ruolo se rimane ancorato ai sistemi che lo riproducono?

Modificato da Arglist

1 Commento


Commento consigliato

digressione interessante, ma alcuni punti mi sono del tutto estranei, e vorrei capire da dove nasce il pensieri dietro di essi

Cita

 

Il primo problema riguarda la celeberrima gita al bordello e della riunione a bere birra in taverna - un trope narrativo che non riesce a morire e sfortunatamente sono convinto essere legata a doppio filo con:

  • utenza al tavolo prettamente maschile
  • herd behaviour at its worst
  • patriarcato intrinseco nell'agire al tavolo
  • escapismo come sfogo di comportamenti repressi

 

avendo giocato spesso con donne al tavolo, non comprendo come l'immaginare che i propri personaggi possano trovare sollazzo in certe attività sia legato al patriarcato, nè perchè debba essere visto come pessimo esempio comportamentale ("heard behavior at its worst")

cosa c'è di patriarcale e maligno in tutto ciò?

Cita

Il secondo problema riguarda la narrazione e il suo rapporto con le regole; se da un certo POV ho notato quanto la narrazione predominante di D&D sia un vago, generico e vendibilisissimo "puoi fare ciò che vuoi", al tavolo difficilmente si ritrova questo slogan e perfino i giocatori più "nuovi" vengono "educati/socializzati/indottrinati" a sfruttare il potenziale dei propri personaggi, con la conseguenza (a causa dei differenti potenziali/differenti aree di potenza dei personaggi del gruppo) che ci si attiva, al tavolo, solo quando è chiamata in causa la propria scena e si dorme nel resto o quasi

dov'è il problema nell'insegnare ai nuovi giocatori che il personaggio deve avere una coerenza con sè stesso? perchè dovrebbe essere un problema il mettere in chiaro che, ad esempio, un gracile Mago che ha passato la sua vita sui libri senza mai toccare un'arma con il sollevamento d'ipotesi come unico esercizio ricorrente, sarebbe inverosimile che si gettasse nella mischia a mulinare un'ascia che pesa più di lui? o che, vice versa, un guerriero cresciuto in territori selvaggi e inesplorati e abituato fin dalla tenera età ad adottare una visione del mondo in cui tutti sono divisi in prede e predatori, a fare affidamento unicamente sulla sua prodezza fisica e a cavarsela letteralmente con le unghie e con i denti, sarebbe quantomeno strano se di punto in bianco si intrattenesse in lunghe dissertazioni filosofiche e antropologiche con i più grandi luminari del settore?

insegnare e imparare la coerenza è tanto fondamentale quanto lo è insegnare e imparare le meccaniche, sia al tavolo che fuori; dov'è il problema in questo?

Cita

Terzo (o secondo bis) e ultimo problema, il combattimento. Problema già visto e sentito e dibattuto, migliorabile con centomila regoline, accorgimenti, robine; tutta roba implementabile da parte di un narratore che comunque il gioco lo sa già e che quindi sa perché fa cose, stessa cosa dicasi per i giocatori. Quando però c'è un novizio bisogna spiegargli tutto, e dirgli "no guarda, se lanci il dado da venti (che si è quello lì grosso) e ci aggiungi comunque questo numero, e lanci anche quello a otto facce (che è questo rosso qua) e ci aggiungi quest'altro numero, e fai la stessa cosa per due volte, e se però scegli di fare questo lo puoi fare per quattro volte, e se fai un numero su quello grosso lo puoi fare sei volte" non lo aiuta.

a meno di adottare un sistema semplificato o diverso da quello di D&D, in che altro modo si dovrebbe introdurre un novizio al combattimento se non con l'esempio e l'esposizione del regolamento? esistono n altri giochi, dalla nota ruolistica più o meno spiccata, che in questo sono decisamente più "user friendly" per quanto riguarda il lato meccanico e che richiamano in qualche modo il d20 system, se il "problema" con il gioco è la mole del regolamento basta provarne un altro, altrimenti è naturale che ci sia un primo approccio difficoltoso al gioco

Cita

(qualcuno - e mi trovo d'accordo - ne ha parlato come neocolonialista bianca)

è naturale che D&D si porti dietro, più o meno volontariamente, degli strascichi dal wargame da cui deriva, ma da dove arriva il pensiero che il gioco sia in qualche modo allegoria del "neocolonialismo bianco"? se c'è una cosa che D&D insegna, e rappresenta (in modo anche un po' troppo forzato negli ultimi tempi), è l'inclusività e l'opposizione a certi stereotipi sociali non più accettati nel nostro tempo, che potesse anche solo essere in qualche modo vagamente legato al "neocolonialismo bianco" è un concetto che non ha mai lontanamente sfiorato nè me nè tutte le persone con cui ho avuto il piacere di giocare negli anni

Cita

"cavolo, non sarebbe affatto male osservare e sperimentare come altre persone cresciute con differenti giochi di ruolo reagirebbero a tale situazione/tale gioco"

questo ammetto che sarebbe interessante da vedere, ma ormai D&D è diventato talmente mainstream da essere il punto di riferimento del settore, le mosche bianche che non ne sono mai venuti in contatto pur navigando il mare dei gdr, da tavolo o meno, penso siano equivalenti al Bigfoot o a Nessie
 

Cita

 

può esistere un mondo senza gdr trad?
Quando questo mondo sarà concretamente in grado di fronteggiare l'egemonia culturale che vedo applicata al mondo attuale?
Quanto i meccanismi di un gioco come D&D sono stati rimaneggiati e riapplicati in altri giochi, così da non sembrare anatre ma essere obiettivamente anatre (citando il famoso detto)?

Quanto questa egemonia culturale del gdr tradizionale è effettivamente presente e forte nel mondo del gioco di ruolo?
Quanto escapismo reale (che triste binomio) fornisce un gioco di ruolo se rimane ancorato ai sistemi che lo riproducono?

 

rispondo in ordine

- non credo, anche prechè la definizione "tradizionale" ormai non ha più senso di esistere, lo stesso D&D, il gdr "tradizionale" per antonomasia, ha subito talmente tante variazioni e mutazioni da essere profondamente diverso da quello che era agli albori. La domanda avrebbe più senso senza quel "trad" inserito all'ultimo: le persone hanno bisogno di evadere dalle difficoltà del mondo, in questo i gdr come D&D servono lo stesso scopo dei sogni, ci aiutano a rielaborare e affrontare i nostri demoni, in maniera decisamente più divertente

- non ho capito la domanda

- "un botto". D&D si può definire il capostipite dell'impostazione dei gdr attuali, è naturale che la sua firma sia bene o male presente nella maggior parte, se non quasi totalità, delle alternative esistenti. E non c'è da stupirsi, D&D ha creato una formula che funziona, è naturale che eventuali concorrenti si siano liberamente ispirati al suo sistema per dire la loro, è un processo naturale che si può applicare letteralmente a ogni aspetto dell'esistenza

- questa domanda trova risposta nelle risposte precedenti: come per qualsiasi sistema culturale basato sulle tradizioni, è naturale che i gdr "moderni" siano influenzati da quelli "tradizionali" pur portando avanti spesso e volentieri un approccio innovativo. Se da un lato capisco la provocatorietà della domanda, dall'altro non ne capisco l'utilità quando la sua risposta è così ovvia e naturale

- non capisco la domanda. I gdr, per definizione, forniscono una sorta di escapismo dalla vita, ma dovendo mantenere un certo grado di immersività e verosomiglianza con meccaniche reali a noi familiari, devono per forza di cose tentare di riprodurre quei sistemi e concetti che tentano di demonizzare

 

ho letto con piacere l'articolo/commento, che dir si voglia, ma non sono sicuro di averne colto il punto

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