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Estinzione


Samirah

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Killon arrancava nei cunicoli in preda a uno stato di eccitazione e paura. I suoni della battaglia gli giungevano vivi e ben distinti, per quanto fosse certo di essersi allontanato a sufficienza. L'agitazione lo faceva cadere ogni pochi metri, ma si sforzò di proseguire. Doveva uscire a tutti i costi dalle caverne del clan o sarebbe stata la fine.

Quando l'armata degli orchi aveva superato l'ingresso alle caverne, si era scatenato il caos tra i nani e ognuno era corso a prepararsi come meglio poteva alla battaglia. Il clangore del metallo e le voci allarmate avevano riempito il complesso di caverne, mescolandosi alle grida degli invasori. La sorpresa di quell'attacco notturno era stata però presto dimenticata per lasciare posto alla violenza dello scontro, al boato del ferro portatore di morte. Gli orchi lanciavano grida selvagge, che riempivano l'animo di orrore, mentre le loro lame fendevano e straziavano con instancabile brutalità.

Killon cadde ancora una volta, graffiandosi le mani nel tentativo di appoggiarsi alla parete del cunicolo. Il sudore aveva impregnato ogni centimetro della sua pelle e ogni appiglio pareva sfuggirgli come se lo respingesse. Le gambe stanche e doloranti, più per la tensione che per la fatica, continuavano a farlo avanzare, un metro dopo l'altro finché i rumori del combattimento rimasero coperti dal suo ansimare e dal battito del suo cuore.

Finalmente era riuscito a lasciarsi veramente alle spalle lo scontro o forse semplicemente la battaglia stava volgendo al termine. Era quasi sicuro dell'esito, ma non così tanto da fidarsi a tornare indietro. Sarebbe stato sufficiente che soltanto uno fosse rimasto vivo, che per lui sarebbe stata la fine. Si sentiva un codardo, ma non se ne vergognava. L'aveva fatto per la straziante richiesta d'aiuto del suo istinto di sopravvivenza che, a suo parere, giustificava ogni cosa, anche l'aver abbandonato i propri compagni al loro destino.

Un refolo d'aria fresca lo spinse ad accelerare il passo e a proseguire verso l'uscita ormai vicinissima. Il vento notturno gli sferzò il viso come uno schiaffo quando si affacciò sul costone roccioso che scendeva verso la valle sottostante. Camminò in fretta, nonostante la stanchezza, e quasi corse quando giunse ai piedi della montagna. Il silenzio fu una consolazione di ben poca durata, spezzato dal rumore di zoccoli in avvicinamento. Individuò alcune rocce ammassate di fianco a una vecchia quercia e corse a rifugiarsi dietro quel riparo improvvisato. Il trotto divenne passo e infine i cavalli si fermarono sbruffando.

Il nuovo silenzio, molto meno rassicurante del precedente, lo angosciava. Imprecò mentalmente contro il suo cuore, che sembrava fare un rumore eccessivo, ma infine ogni illusione di passare inosservato venne meno e uno degli uomini appena giunti lo adocchiò da sopra le rocce.

- Vieni fuori di lì, idiota.

- Io... io...

Killon sgusciò dal suo nascondiglio come una lepre che sonda apprensiva il terreno circostante.

L'ufficiale lo squadrava dall'alto al basso, con una vena di disprezzo per quell'essere che aveva tradito il suo popolo. Killon, dal canto suo, continuava a giustificarsi, ripetendo nella mente le parole che l'uomo gli aveva detto: “Prima o poi conquisteremo la fortezza, è solo una questione di tempo. Sta a te decidere se morire nell'inutile e lungo assedio, o se aprire le porte e salvarti.”

- Hai fatto un ottimo lavoro nano.

- Vi... vi ringrazio - riuscì a malapena a balbettare, avvertendo uno strozzamento in gola quando una figura ammantata di nero avvicinò il suo cavallo per scrutarlo meglio.

Il mantello riportava piccole rune argentee lungo il bordo e sull'estremità anteriore del cappuccio si stagliava, bianco, il simbolo dell'oscuro Izrador, ormai tristemente conosciuto da ogni gente di Eredane.

Il legato scese da cavallo con movimenti lenti e controllati, mentre il suo sguardo, adombrato dal cappuccio, rimaneva fisso sul nano tremante.

Un'ombra si mosse alle sue spalle e una belva dal pelo fulvo apparve al suo fianco. Il legato accarezzò il pelo dell'animale, che lo guardò intensamente per poi posare a sua volta gli occhi scintillanti su Killon.

- Non saremmo mai riusciti a entrare senza il tuo aiuto - disse il legato con voce afona, quasi roca.

- Come?

Lo stupore che si dipinse sul volto del nano fece sorridere il legato.

- E dire che parlano dei nani come di una razza abile e sveglia.

Killon si sentiva troppo stupido per potersi in qualche modo offendere e il rossore che sentì sul viso non fece che aumentare la sua frustrazione. Fece di nuovo appello al suo spirito di sopravvivenza per mettere da parte l'imbarazzo:

- Il nostro patto può quindi considerarsi concluso?

- Non ancora. Gli accordi erano la completa estinzione del clan Anbek.

- Ma non è rimasto più nessuno...

Le parole gli morirono in gola, mentre a un gesto della mano dell'inquisitore uno dei soldati scattò verso di lui.

Partecipante al concorso Miglior racconto breve per 'Midnight' indetto da Il 5° Clone.

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