Quarta Era
La quarta era della rinascita
E arrivarono infine i giorni in cui gli uomini, stanchi dei propri limiti presero ad esplorare le terre sconosciute. Giunsero così nel regno dei Nani (dove non trovarono altro che dimore ancora deserte e sconvolte dall'opera di distruzione del popolo Zigar) e in quello degli Elfi. Quindi conobbero per la prima volta gli Zigar e le loro navi che solcavano veloci le acque infinite verso il sorgere del sole. Pochi arrivarono nelle terre degli Gnul e quelli che sopravvissero non tornarono più indietro per raccontare ciò che avevano visto. Infine conobbero meglio i Draghi che in quei giorni erano all'apice del loro splendore e ne ebbero da subito grande timore. I Draghi, che ancora allora erano saggi, furono incuriositi dagli uomini e ne apprezzarono l'indomita tenacia. Ebbero per questo fiducia in loro e giurarono che vi sarebbe stata amicizia tra le due razze. Gli uomini promisero che nelle ere a venire avrebbero rispettato la fiducia e la saggezza riposte in loro. Dopodiché ripartirono nel loro eterno vagabondare, verso altre terre e altre esplorazioni, verso luoghi che allora si diceva fossero abitati soltanto dagli dei. In quell'epoca alcuni uomini si fermarono sulla riva del grande fiume, carico della vita e delle promesse di Turan e assieme all'aiuto di molti tra i figli di Selvans costruirono le mura di una città che da allora venne chiamata Olnemain che nella lingua umana significa Radice nelle Acque. In quei tempi l'umanità conobbe dei grandi re e grande prosperità. Elfi e Nani uscirono finalmente dal loro isolamento e ripresero a viaggiare per Solnem, in quanto si raccontava che gli dei fossero tornati ad affacciarsi attraverso le albe di Sethlans e i Draghi da lui prediletti dimoravano nei cieli, nella terra e nelle acque. Pian piano anzi cominciarono a mutare d'aspetto a seconda del luogo nel quale sceglievano di trascorrere le loro lunghissime esistenze. Velthune aiutò i re degli Uomini ad essere ancora più saggi di quanto essi non fossero e per questo diede loro anche la propria benedizione. Perché negli Uomini vedeva, assieme a molti altri tra gli dei, una nuova speranza di prosperità e pace per quanto aveva creato. Northia su tutto questo vegliava immutabile. Gli anni passarono e le terre ripresero ad essere popolate e a dare molti frutti, mentre la stirpe dei re umani prosperava, fino agli estremi del mondo allora conosciuto, là dove venne fondata, con l'aiuto di alcuni Nani, la fortezza di Tulen, ultimo baluardo dell'ovest. Si narra che tra quei Nani vi fosse ancora qualcuno a conoscere l'arte delle antiche rune e fu così che la fortezza venne edificata resistente contro i venti terribili e le stagioni crudeli che tutto divorano, svettante su un'altura rocciosa che dominava le valli sottostanti. Erano quelli tempi nei quali i re umani si interessarono alle terre di occidente e fecero in modo che esse venissero colonizzate. Vie di trasporto segnarono le pianure deserte e il commercio prosperò. Anche per questo la grandezza della loro stirpe divenne famosa in tutte le terre di Solnem allora conosciute.1 In quel mondo grandioso di commercio e prosperità Laran e la figlia, Mania, ricomparvero. All'inizio gli dei non se ne curarono, pensando che non vi sarebbero state conseguenze.
In quei tempi lo scorrere delle giornate e delle attività delle razze era scandito dal semplice passaggio di Losna e Thesan nel mondo dei mortali e il passaggio dal giorno alla notte era netto e senza tramonto. Fu per questo che Mantus, cacciando un giorno per divertimento nei possedimenti di Selvans e Northia, fu sorpreso dall'oscurità e si perse. Vagò allora a lungo tra i mortali, cercando inutilmente la via del ritorno, ma l'oscurità e i luoghi a lui sconosciuti lo confondevano. Erano parecchie ore che vagava senza meta quando l'oscurità venne squarciata dall'arrivo della luna. E ecco che Losna, accompagnata da Thesan gli passò accanto senza accorgersi della sua presenza e Mantus seguì d'impeto le due sorelle, nascosto dalla notte. Alla fine la luce svelò la sua presenza perchè in quei tempi l'aurora era improvvisa e accecante, quanto la bellezza di Thesan. Mantus ne fu talmente accecato da innamorarsene perdutamente. Le due sorelle capirono di essere state seguite, ma non lo odiarono per questo. Mantus cominciò a seguire dappresso Thesan dovunque andasse. E fu così che Thesan, accorgendosi per la prima volta di provare qualcosa per lui, arrossì di vergogna e compiacimento e il suo arrivo dalle oscurità della notte iniziò ad essere soffuso nell'aurora dal tenue colore di petali di rosa, segno dell'amore che anche lei provava. Losna non si adombrò per questo, ma fu compiaciuta che la sorella avesse scoperto un nuovo sentimento e la incoraggiò. Thesan e Mantus cominciarono allora a viaggiare insieme nel mondo dei mortali e degli immortali, godendo di una felicità che non aveva eguali in quei tempi. Fu allora che la sorella di Mantus, Mania, lo vide e se ne innamorò, come in un capriccio. Ma tale era la sua educazione che l'amore divenne odio glaciale e implacabile per colei che ostacolava i suoi sentimenti. Mania progettò di uccidere Thesan e per questo si fece prestare dal padre Laran arco e frecce, con la scusa di andare a caccia. Il padre personalmente e con gioia le consegnò le armi migliori di cui disponesse, gioielli costruiti dal popolo dei Nani nelle epoche più antiche 2. E così Mania, fingendo di andare a caccia, sperava nella sua follia di ottenere un amore che non le veniva corrisposto. Si nascose tra gli sterpi di un campo sin dal calare del sole, aspettando di incontrare Thesan per ucciderla. Quando il sole fece per sparire sull'orlo dell'orizzonte ecco che Losna si avvicinò a dove Mania era nascosta, ma non si accorse di lei e dell'agguato mortale. Subito dappresso sopraggiunsero i due innamorati. Mania, da dove era nascosta sentì subito il rumore delle loro voci e la gelosia sbocciò in lei come un fiore maligno, facendole perdere il senno. Senza prendere la mira si alzò dagli sterpi e scoccò la freccia fatale. Nonostante la mira non accurata l'arma era tale da non poter mancare un bersaglio e non fu Thesan che lei colpì, bensì Mantus che come ogni notte accompagnava l'amata verso il nuovo giorno che sarebbe venuto. La freccia lo prese crudele al cuore, facendolo stramazzare e macchiò il sole al tramonto del suo sangue. Lo sgomento dei mortali fu indicibile mentre il sole spariva all'orizzonde, prendendo fuoco nel sangue del dio morente. Quando Mantus esalò l'ultimo respiro il sole disparve all'improvviso e Losna, accorsagli in inutile soccorso macchiò la Luna di un velo rosso del suo sangue. Da allora il tramonto si macchia del sangue di Mantus, così come la Luna al suo sorgere ed ancora l'arrivo dell'aurora, col suo rosa soffuso, ricorda la nostalgia e la delicatezza dell'amore perduto, monito di quanto la bellezza delle cose nasconda la tragedia del sacrificio alle quali esse alludono.
Rendendosi conto di quale orribile delitto avesse compiuto Mania lasciò cadere l'arma a terra e impazzì completamente: da allora è conosciuta come Veive 3, dea della vendetta, in quanto nella sua mente distorta pensa ancora di doversi vendicare di Thesan per l'omicidio del fratello. Tale è la vendetta: illogica e cieca. L'arma, abbandonata a terra venne sepolta e nascosta da Sethlans perchè non si macchiasse mai più del sangue di una vittima. In questo si dice che i Draghi diedero al dio il proprio aiuto. 4
1 A questa era appartengono alcune delle opere di fortificazione e trasporto più imponenti e più belle del mondo di Solnem. Se è vero che Elfi e Nani condividono il prestigio e l'orgoglio per la costruzione di Laivor, gli Uomini possono vantarsi delle grandi vie di comunicazione sulle pianure, dei porti marittimi degli Zigar e dell'imponente Tulen.
2 Le armi donate da Laran alla figlia Mania da allora sono state chiamate le armi di Mania. Secondo la leggenda consistono in una faretra e un arco che erano stati fabbricati dai Nani assieme all'aiuto dei draghi nella città di Laivor. Queste armi ovviamente erano ricoperte di rune e avevano proprietà magiche. Pare che l'arco e le frecce si adattassero alla persona che le impugnava, ingigantendone la mira e rendendola infallibile. Nel caso di Mania però tale era la follia che la spinse ad agire che l'arma, confusa dai suoi sentimenti, fallì il reale bersaglio dell'attentato. Dopodichè Mania, rendendosi parzialmente conto di aver ucciso il proprio fratello, abbandonò le armi a terra e scappò via. Pare che le armi siano state messe al sicuro da Sethlans e nascoste in un luogo inaccessibile ai mortali, in attesa di una mano degna di impugnarle nuovamente.
3 La leggenda di Veive non si esaurisce qui. Pare infatti che con il nome di Veive la dea sia diventata un'entità crudele e pericolosa nella mitologia, una sorta di demone che cerca di corrompere le anime dei trapassati, per trasformarle in demoni. Così si crede ancora oggi che le anime dei morenti (manes, da Mantus) per morte violenta vengano contese tra Veive e le servitrici di Turan: le Lasa. In tal modo infatti Turan cerca di compensare al delitto commesso dalla figlia. Qualora sia Veive a vincere la contesa le anime possono aggiungersi alla schiera dei demoni (charontes) oppure, in rari casi trasformarsi in sogni e allucinazioni che perseguitano i mortali nelle ore più buie della notte (sinthial). Qualora invece siano le Lasa a reclamare le anime, esse diventano Lares, sorta di icone votive e protettive nel mondo dei mortali.
4 I draghi assicurarono a Sethlans che avrebbero custodito l'arma in un luogo inaccessibile a Dei e mortali.Eppure una leggenda narra che Sethlans non la distrusse in quanto sapeva che nelle ere a venire l'arma sarebbe stata nuovamente utilizzata da un prescelto.
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