Epitteto e rabbia
Un mesetto di tempo tra un post e l'altro sarà accettabile? Fatto sta che ancora devo ben decidere di cosa parlerò in questo blog.
Ci sono un paio di cose che mi danno da pensare in questo periodo. La prima ha a che fare con le parole di Epitteto, filosofo greco forse non troppo conosciuto, o forse sì. Secondo la sua "Regola aurea della felicità", l'uomo dovrebbe fare una netta distinzione tra le cose che dipendono da lui e le cose che non dipendono da lui.
Ricordati dunque che, se credi che le cose che sono per natura in uno stato di schiavitù siano libere e che le cose che ti sono estranee siano tue, sarai ostacolato nell'agire, ti troverai in uno stato di tristezza e di inquietudine, e rimprovererai dio e gli uomini. Se al contrario pensi che sia tuo solo ciò che è tuo, e che ciò che ti è estraneo - come in effetti è - ti sia estraneo, nessuno potrà più esercitare alcuna costrizione su di te, nessuno potrà più ostacolarti, non muoverai più rimproveri a nessuno, non accuserai più nessuno, non farai più nulla contro la tua volontà, nessuno ti danneggerà, non avrai più nemici, perché non subirai più alcun danno
Mi sembra una cosa talmente evidente nella sua banalità che mi muove buonumore. E poi, è sempre bello venire a sapere che qualcuno, infitamente prima di te, ha dato una forma al tuo tentativo di vita.
La seconda è direttamente connessa alla prima. Perché proviamo rabbia? Perché ci arrabbiamo anche di fronte a cose evidentemente e palesemente inevitabili? Quando abbiamo smesso di capire che a determinati nostri comportamenti corrispondono inevitabili conseguenze? E perché ci arrabbiamo di fronte al palesarsi di queste conseguenze? Forse crediamo di avere potere su tutto, azione e reazione, premessa e conseguenza?
Difficile che il mio blog possa andare da qualche parte in questo modo. Tuttavia erano considerazioni che volevo condividere, meglio qua che sul forum, no?
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