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Breve storia dei dadi


Yaspis

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Prima o poi doveva capitare: ispirato dai meravigliosi blog degli altri utenti, ho deciso di fare un tentativo e aprirne uno anch’io. Purtroppo non avrò il tempo di tenerlo aggiornato quanto vorrei, e me ne scuso in anticipo. Nei pochi articoli che riuscirò a pubblicare non tratterò un singolo argomento, ma spazierò a sentimento, rimanendo ovviamente sempre in ambito GDR (e in particolare mi riferirò a D&D, in specie nella sua terza e quinta incarnazione). Ma bando agli indugi: vi lascio con qualche avvertenza preliminare e un brevissimo (e spero simpatico) articolo sulla storia dei nostri amici dadi.

AVVERTENZE

Spoiler

Ogni riferimento a fatti e persone reali è puramente voluto, ma non da me. Può causare sonnolenza e sonnoamo. Non somministrare a umanoidi (umani) al di sotto dei 15+2d6 anni di età. Se riuscite a leggere questa scritta non avete bisogno degli occhiali.

BREVE STORIA DEI DADI

Il nome di Dungeons and Dragons è sempre stato indissolubilmente legato al suo caratteristico set di dadi dalla forma bizzarra e alla (altrettanto bizzarra) passione dei suoi giocatori per questi semplici pezzi di plastica. Ma come si è arrivati ad avere branchi di giocatori che affollano le ludoteche solo per acquistare un nuovo d20 che si illumina al buio?

“Il dado è tratto, e speriamo in un 20” - Anche gli antichi giocavano ai dadi

Contrariamente a quanto si potrebbe pensare i dadi poliedrici non vennero introdotti in concomitanza con i moderni giochi di ruolo, ma nacquero molto tempo prima. Oltre ai ben più antichi e canonici dadi a sei facce, basta infatti pensare che il primo d20 della storia è di origine egizia, e risale addirittura al periodo Tolemaico, all’incirca attorno al 300 a.C. [oggi custodito al Metropolitan Museum of Art]. Anche altri protagonisti del set da 7 dadi hanno fatto ben presto la loro comparsa: il d12 risale sempre al periodo tolemaico (questi egizi dovevano essere dei gamisti mica male), il d4 è addirittura antecedente (3000 a.C !!!), mentre il d6 viene datato attorno al 2000 a.C. Molto più recenti, invece, il d8 e il d10: il primo vede la sua diffusione grazie al poker, sulla fine dell’Ottocento, mentre il secondo si è imposto solo nel Novecento, con grande fatica e proprio grazie ai gdr moderni.

L’utilizzo dei primi dadi non è del tutto chiaro, ma è probabile venissero utilizzati già in ambito ludico, come dimostrano il Gioco Reale di Ur (il board game più antico al mondo?) e Senet, un gioco da tavolo di origine egizia (sempre loro!). Con il corso del tempo, l’uso dei dadi poliedrici ha poi invaso anche l’ambito didattico, diventando un mezzo per l’insegnamento di matematica e geometria.

Perché 1d10+1d6 = 1d20? - L’avvento di D&D

Un periodo tolemaico tira l’altro, e ben presto si arriva agli anni Settanta e alla prima edizione di Dungeons and Dragons. Narra la leggenda che il game designer Dave Wesley trovò un set di dadi poliedrici in un catalogo di strumenti educativi e li mostrò a Gary Gygax. Fino a quel momento, nei primissimi play-test, il proto-d&d utilizzava solo dadi a 6 facce, ma a Gygax piacquero così tanto quei buffi dadi poliedrici che pensò di utilizzarli per il suo nuovo gioco di ruolo. Nel 1974 la TSR iniziò quindi a vendere i primissimi set, simili a quelli che usiamo oggi giorno se non per una grande differenza: l’assenza del d10. Il solido a 10 facce, non essendo un solido platonico, non era ben visto ed era stato presto accantonato con l’accusa di non essere equiprobabile. Per sostituirlo veniva dunque utilizzato il d20, che era stato opportunamente numerato da 0 a 9 per due volte (le facce erano quindi uguali a due a due). Il dado poteva così essere utilizzato facilmente per generare i numeri da 1 a 10 (lo zero contava come 10). Quando invece bisognava usarlo come d20 vero a proprio, il dado andava tirato assieme a un “dado di controllo”, che stabiliva il valore delle decine. Solitamente veniva utilizzato 1d6: se mostrava un numero da 4 a 6 si aggiungeva 10 al risultato del d20, altrimenti si sommava zero. Un metodo certamente un poco macchinoso. Ad aumentare la confusione interveniva la strana notazione con cui si indicavano i dadi da tirare: contrariamente a quanto accade oggi non veniva fornito il numero e il tipo di dado la lanciare, ma solo il range di valori in cui ricadeva il risultato. Per esempio, non si indicava 2d6, ma 2-12. Questa scrittura, prelevata di peso dai wargame, non era molto immediata: pensate di trovarvi nella situazione di dover stabilire cos’è un 8-23, o un 3-16. Nonostante ciò, piacque a molti giocatori, che la consideravano un “gioco nel gioco” e si sfidavano a vicenda a indovinare i giusti dadi da lanciare.

La moderna notazione apparve comunque in quegli anni, e già l’edizione Blue Box del 1977 la descriveva in uno degli ultimi paragrafi:

"In some places the reader will note an abbreviated notation for the type of die has been used. The first number is the number of dice used, the letter "d" appears, and the last number is the type of dice used. Thus, "2d4" would mean that two 4-sided dice would be thrown (or one 4-sided die would be thrown twice); "3d12" would indicate that three 12-sided dice are used, and so on."

Particolare divertente era che questa notazione non veniva usata da nessuna parte all’interno del manuale!

Negli anni seguenti i set di dadi e la corrispettiva notazione si allinearono con quelle oggi conosciute: la vecchia scrittura da wargame venne abbandonata con la Seconda Edizione, in quanto macchinosa e non univoca: pensate per esempio all’intervallo 3-12, che può indicare sia 3d4 che 1d10+2. Il d10 fa invece la sua comparsa alla GenCon del 1980, dove venne salutato come un’incredibile innovazione dell’era moderna, benché si trovasse in vendita in realtà già da svariati anni (anche se quasi mai per scopi prettamente ludici, quanto piuttosto educativi). Cessate le ragioni del doppio scopo del d20, anche il nostro caro icosaedro venne modificato adottando finalmente la normale numerazione da 1 a 20. Il classico set da sette dadi era quindi finalmente completo come lo conosciamo oggi.

Curiosità

  • Secondo alcuni voci Gygax avrebbe voluto utilizzare solo il d20 e il d6 nella sua prima versione di d&d, ma la piccola azienda da cui si rifornivano di dadi aveva a disposizione solo set già impacchettati contenenti anche d4, d8 e d12. Per questo motivo si decise a introdurre anch’essi nelle regole.
  • Il signor Lou Zocchi ha ideato il primo dado a cento facce. Non pago di questa bravata, l’ha persino brevettato sotto il favoloso nome di Zocchihedron.
  • Il dado a dieci facce fu brevettato solo nel 1908. La faccia a dieci dadi è tuttora senza brevetto
  • Avete impiegato 2d10 minuti a leggere questo articolo.
    Spoiler

    Adesso state guardando l’ora per vedere se è vero.

     

Spero che l’articolo vi sia piaciuto. Mi sembra giusto sottolineare che io non c’ero né durante il periodo tolemaico né all’uscita della prima edizione di d&d, e che tutte queste informazioni sono quindi di terza mano. Segnalatemi eventuali errori o imprecisioni.

Letture consigliate:

http://archive.wizards.com/default.asp?x=dnd/alumni/20070302a

http://www.awesomedice.com/blog/253/history-of-dice-2/

5 Commenti


Commento consigliato

Kelemvor

Inviato

Addirittura Platone ha ispirato il d20 e altri  , con lo studio dei solidi legati agli elementi 

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Servus Fati

Inviato

Bell'articolo - con un d20 romano come avatar non poteva non piacermi.

Un solo piccolo appunto: l'edizione del 1974 è la woodgrain, la blue box è successiva, del '77.

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Yaspis

Inviato (modificato)

Grazie a tutti dei commenti! :)

@Servus Fati Per la data del blue box mi ero fidato di quella indicata nell'articolo della wizard, ma in effetti è probabile che sia sbagliata. Non sono sicuro di poter modificare l'articolo, ci proverò il prima possibile. Intanto, grazie dell'attenta segnalazione! 

Ps: bellissimo avatar! 

Modificato da Yaspis
ElementSorcerer77

Inviato

Molto interessante e utile. Bella l' idea delle curiosità, ma ti consiglio di mettere anche qualche foto la prossima volta!

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