Ferion vallas Inviata 15 Marzo 2008 Segnala Condividi Inviata 15 Marzo 2008 questo racconto può considerarsi il seguito de "lo straniero" che postai tempo fa Le impalpabili catene La violenza cessa, come il tuono che dopo la folgore squarcia l’aria, lentamente si spegne e muore. La sacra cattedrale quel giorno ospita fede, non ospita fedeli, ma morte e morenti.. Contempla l’opera sua, ne analizza ogni dettaglio, ne assapora ogni stilla che i suoi sensi accolgono. Disteso a terra, ferito, con poderosa lama poggiata sul petto egli sta, e pensa indeciso, se ridere o piangere. Poco lontano, un corpo, pallido e freddo. Poco lontano, gli angeli dell’altissimo, avvolti di luce, si avvicinano. Non mi rimane altro da fare.. Sono costretto a rimanere qui, in attesa che arrivino a prendermi, con le catene, le corde e i ferri. Non posso fare altro, se non giungere le mani innanzi al volto, chiudere gli occhi e…pregare? Si pregare..pregare..da quanto tempo non lo faccio? Troppo forse, ecco perché mi trovo dove sono ora…ma non avevo ragione di pregare, non avevo ragione di chiedere, avevo tutto, tranne l’unica cosa che potevo ottenere con le mie sole forze..la vendetta.. Ma ho sbagliato, ho vissuto nella maniera errata, ho peccato, ne ero conscio come lo sono ora, ma non avevo intenzione di chiedere nessun perdono, mi sentivo abbandonato, ingannato e deriso.. La vendetta era l’unica cosa che mi portava avanti, l’unica cosa che per me muoveva il sole nel mio mondo oramai nero come il carbone riarso. Che mi ha portato qui. E ora che l’ho ottenuta? Niente, non sento niente, nessuna gratificazione, nessuna gioia, nessuna soddisfazione, nessuna gloria.. Gloria? Quale significato ha tale parola? Non lo so.. Ho sempre fatto quello che ritenevo giusto per me o per il mio dio.. Ma per farlo, ho tradito, ho ucciso, ho mentito.. Solo ora me ne rendo conto.. Chiedere perdono? E’ troppo tardi oramai..è giusto che io raccolga quello che ho seminato ed innaffiato col sangue, arando la terra con la mia spada. La mia spada…la sto stringendo a me, la abbraccio, come se fosse una dolce amante, incurante del suo filo che mi morde la carne come le crudeli zanne di una tigre..è l’unica fonte di calore che ho, calda come è, permeata di cinabro e fresco sangue appena spillato. Ho vinto questa battaglia, ma ho perso tutto…allora questa vittoria che senso ha dico, CHE SENSO HA? La voce di costui riecheggia varie volte, tornando al suo orecchio nascosto dalla lunga chioma, pensieri divenuti grida, muoiono come sono nati, andando a fare parte delle cose mal celate. Ho ancora la mia voce…anche la mia voce ha portato morte, quante volte con poche parole ha causato la morte? Troppe, che fossero canzoni, che fossero ordini, che fossero sentimenti.. Si alza in piedi, malfermo sulle gambe lacere, la punta della spada, usata come supporto, stride sul marmo della cattedrale. Ho bisogno di voltarmi, non riesco a mantenere lo sguardo in quella direzione. Non se i tuoi occhi spalancati continuano a fissarmi.. Perché del tuo cadavere, gli occhi si sono mantenuti intatti? Non posso sostenere il vitreo sguardo di quegli smeraldi, non ci riesco, è inutile, la mia forza di volontà vacilla, si infrange come vetro al sol vedere i tuoi occhi, quegli occhi che conosco bene, quegli occhi malinconici, pieni di profonda tristezza, di chi conosce la perdita.. Muove qualche passo incerto, appoggiandosi pesantemente a una colonna scheggiata, facendo scorrere le affusolate dita sporche di sangue sul segno di una bruciatura nel marmo. I tuoi occhi sono come i miei, lo so io, lo sapevi tu, lo sapevano tutti quelli che ci conoscevano… La spalla scivola, e cade rovinosamente a terra, con clangore di metallo divelto. Sputa sangue. Noi due siamo sempre stati destinati al dolore, alla perdita, ne eravamo ben consci, ne abbiamo avuto le prove.. Prospettive diverse, ma le perdite sono le stesse, la stessa persona abbiamo perso.. Abbiamo perso chi amavamo, chi ci amava davvero.. Si alza a sedere, lasciando la presa sulla raffinata impugnatura della spada. Nel silenzio siamo caduti...odio il silenzio, nel silenzio i ricordi iniziano a parlare, e non hanno belle cose da dire.. Si afferra il capo con le mani, come se lo volesse stritolare, tappandosi le orecchie nel tentativo di mettere a tacere invisibili voci udite solo da lui e da nessun altro. Inutile, le voci lo assordano, lo piegano come un vecchio curvo sotto il peso degli anni.. è un peso che le spalle di nessuno possono sostenere. Piccole campane echeggiano in lontananza, che sia illusione partorita dal mescolarsi di ricordi, tale vibrante sinfonia di metallo? Oppure sono solo i suoni della lotta che echeggiano ancora nella mente e nell’anima di costui, che sofferente e morente ancora evita di volger lo sguardo verso la vittima della quale pare carnefice? In quegli attimi di agonia, rilascia il suo capo, tra le dita scorrono le lunghe e lisce ciocche, che morbide ricadono impiastricciandosi del sangue sulle braccia. La sua mano si posa su una piuma per terra, la afferra delicatamente e la rimira. Nera..o bianca? Non riesco a capirlo, è carbonizzata.. Si guarda attorno, evitando di incrociare gli occhi del corpo. In questo scenario di morte, siamo circondati dalle piume delle nostre ali..non c’è più distinzione tra ali bianche e ali nere, niente più a dire che siamo nemici, l’unica cosa che lo dice, è il sangue sulle nostre spade.. E senza le ali a dire che siamo nemici, quale senso ha mai avuto la tua morte? Quali ragioni mi hanno spinto a ucciderti? Lascia andare la piuma, ed essa appesantita della fuliggine e del dolore cade a terra velocemente, risuonando nel silenzio. Non potevo odiarti, non ne avevo il diritto, non è colpa tua se eri come eri, ma colpa del cuore degli uomini, che è debole, che facilmente cade nell’errore e difficilmente ne esce.. Poggia la fronte alla mano, trema, trema convulsamente, per il freddo che si conficca nelle sue membra, mentre il calore viene strappato via con violenza ad ogni goccia di sangue che cade a dipingere il pavimento. Le gambe si intorpidiscono, divengono gelide, l’aria fredda, che pare cibarsi avidamente del calore della vita, si insinua nella carne, lambisce pigramente le ossa, a tratti scoperte, a tratti coperte da veli di sangue coagulato. Tenta di rialzarsi, fallisce, a sottolineare la miseria che la sua anima stava assaporando in quei momenti, mentre sentiva che a poco a poco cessava di essere quella che un tempo era.. Sapore di sangue nella bocca, ma di chi era? A quale dei due corpi apparteneva quel sapore metallico, amaro e dolciastro allo stesso tempo? Dischiude le labbra, disgustato dal ferroso aroma, e cinabri rivoli colano per il delicato mento. Non mi rimane molto tempo… Conscio dell’inutilità e della codardia del suo evitar lo sguardo vitreo della vittima, finalmente, come se a smuovere il suo capo vi fossero catene arroventate, volge il capo verso il corpo. Era li, immoto, dove si era fermato il suo cuore quando la lama intinta e dissetata di sangue uscì dal suo petto cosi come era entrata, in un solo, fulmineo gesto. Non un lamento, non una parola fu rivolta dal vinto al vincitore, a sottolineare la miseria che la sua anima stava assaporando in quei momenti.. Si avvicina, trascinandosi, strisciando come l’antico serpente, conscio del proprio peccato, punito a stare sul ventre dal sommo. Si avvicina e raggiunge il corpo. Lo guarda, ne fissa il volto, stampa in fondo ai proprio occhi, quelli di lui che come in uno specchio, sono uguali. Sente i suoi, ancora vivi, bruciare come il fuoco. Lacrime amare, involontarie, roventi in quel corpo freddo oramai mosso dal puro dolore dell’anima che ancora per poco avrebbe albergato li. Le sente, gli rigano il volto, con violenza, come se tali gocce di dolore fossero la punta di taglienti bisturi arroventati. Perché ti ho ucciso? Si chiede, la domanda riecheggia violentemente, divenendo quasi ossessione. Protende le mani verso quel volto, si posano sulle gote, le sente fredde, gelide, morte. Avvicina il suo capo a quello di lui, continuando a fissare quegli occhi privi di ogni luce. Forse perché ti consideravo.. Con il dorso della mano scosta una ciocche di capelli insanguinati dal volto di entrambi, i colori sono irriconoscibili, coperti dal rosso della vita che ha smesso di scorrere. ..la parte di me stesso che ho rifiutato.. Sospira. Trova buffo che man mano che la vita abbandona il suo corpo, piano piano la verità entra nella sua mente, quasi a compensare la forza vitale con la vibrante e amara potenza del vero. Tristemente buffo, tristemente sorride. Chi è l’angelo in quel momento, che di gloria divina si circondava un tempo, chi è il demone, che tra i roventi inferni echeggiava col suo ridere? Un tempo egli lo sapeva, ma in quel momento, la linea che li separa gli sembrava infima, ridicola, inesistente, linea al quale entrambi tendevano, l’uno elevandosi, l’altro decadendo, andando a raggiungersi all’orizzonte degli eventi, oltre il quale, essi sarebbero cambiati; ma tale orizzonte mai potrà arrivare, ora che il crudo acciaio segna il limite invalicabile. Poggia la fronte a quella del cadavere, quasi a volergli donare l’ultima stilla di vita che ancora arde in lui. Chi è Kaziel, e chi è Ashgatoth? Chi è il serafino, e chi l’inferico drago dalle picee ali nato e scaturito dal dolore dell’angelo? In questo momento non lo so. Sento vacillare ogni mia certezza, come se tutta la mia vita fosse stata un sogno. Un effimero sogno...che alle prime luci dell’alba svanisce e diventa impalpabile polvere... Il cuore rallenta i suoi battiti, il torpore si arrampica verso il petto. Allontana la sua fronte e delicatamente con le dita chiude gli occhi dello sconfitto, ne chiude la bocca, ed il volto diviene quieto, come quello di un dormiente, ma nel silenzio della sala non echeggiavano i suoi respiri. Comprendo in parte, ma forse fa parte della mia punizione non giungere alla verità completa.. Quello che so, è che non ho ucciso un mio avversario, ho ucciso una parte di me stesso, e ho impedito il giungere della mia libertà.. Solleva lo sguardo al soffitto sfondato della cattedrale sconsacrata dal sangue, raggi di luce bianca filtrano, discendono dal cielo e avvolgono i due, per mostrare a tutti la miseria che la sua anima stava assaporando in quel momento.. Abbassa lo sguardo, abbagliato dal chiarore, e posa lo sguardo sulla vittima. China il capo, e posa sulle fredde e livide labbra un bacio fraterno. Perdonami Sussurra. Il cuore smette di battere, chiude gli occhi e si poggia sul compagno, mentre la luce divina rivela tra i suoi capelli tinti di sangue uno scintillio argenteo.. Gli angeli dell’altissimo, invano ora viaggiano. Link al commento Condividi su altri siti More sharing options...
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