Joram Rosebringer Inviata 28 Giugno 2005 Segnala Inviata 28 Giugno 2005 Salve, gente. Dal momento che "La Nostra Storia - Supereroi" langue e dal momento che mi piace molto l'idea di immaginarmi come l'Uomo Ragno, mi è venuto in mente di raccontare la mia vita in maniera immaginaria, come se fossi lui, simboleggiando gli eventi che mi accadono in chiave supereroistica. Per chi ha scritto e letto il vecchio Topic "La mia dimora...", praticamente è la stessa cosa, solo che sarà in linguaggio supereroistico invece che fantasy. Ricomincio postando le mie origini, pur se leggermente modificate e recenti.
Joram Rosebringer Inviato 28 Giugno 2005 Autore Segnala Inviato 28 Giugno 2005 Lo schermo del PC mi fissa, mandandomi un’immagine che dovrebbe ricordarmi il mio ruolo qui dentro, la mia occupazione. Io cerco di distogliere lo sguardo, afflitto da sensi di colpa per non riuscire a fare nulla. Guardo il programma che mi dà una serie di numero e lettere, indicazioni indispensabili per rintracciare altri PC e periferiche. Indicazioni al momento inutili. Chiudo tutto e mi alzo per andare a prendere un caffé. La macchinetta automatica sputa la sua solita brodaglia a cui mi sono abituato. Prendo il bicchiere di plastica ed inizio a sorseggiare il suo contenuto lentamente. Guardo fuori dal balcone e vedo il sole che sembra voler squagliare la stessa porta di accesso. Fa troppo caldo fuori, veramente troppo! Eppure esco, accendendomi una sigaretta mentre cerco un posto d’ombra per ripararmi un po’ dal sole cocente. Mi siedo sugli scalini e faccio il primo tiro. Dopo pochi secondi mi alzo in piedi, ignaro del sole, appoggiandomi al muretto che delimita il balcone. E vedo la città sotto di me. Ma stavolta la vedo con occhi diversi, come se fosse una donna che mi chiama e mi dice di andarla a prendere. La vedo agitare le sue gambe automobilistiche, mentre quei seni montuosi sullo sfondo vengono carezzati da mani nuvolose. E sento che è mia. Guardo il palmo delle mie mani, scendendo con lo sguardo sui polsi. Quando è successo? Quasi un anno fa.
Joram Rosebringer Inviato 28 Giugno 2005 Autore Segnala Inviato 28 Giugno 2005 Ricordo ancora quella notte. Ero a Palermo dalla mia ragazza, ora mia moglie. Era appena passata una settimana d'inferno sia per me che per lei, con tanti progetti che erano saltati e tanti altri in mente. Lei era stanca e aveva un mal di schiena terribile, così mi offrii volontario per dormire sul divano-letto in modo da farla riposare nel suo lettino con comodità, anche se lei non avrebbe voluto. Dopotutto non era neanche lontanamente pensabile dormire insieme se non volevo rischiare la scomunica da parte dei genitori. Si impedisce a due innamorati di stare insieme, fino a quando decideranno di unirsi legalmente, come se un contratto potesse decidere dell’anima e del corpo di una coppia. Comunque, dopo una serata passata tra abbracci e dolcezze segrete, le ho dato il solito bacio della buonanotte e mi sono avviato a malincuore verso la camera da pranzo in cui c'era il divano. Mi aspettava la solita coperta e la solita notte scomoda, ma soprattutto solitaria pur avendo l’oggetto del mio cuore a pochissimi metri di distanza, separato da una porta e dall’intolleranza. Non ricordo per quanto tempo ho dormito. Ricordo solo di aver avuto un ciclo di dormiveglia che avrebbe afitto invidia a Dracula. Mi torna in mente anche un sogno che non riesco ancora ad inquadrare ma che mi dava un senso di lotta e sofferenza. Ho aperto gli occhi per sperare nella luce del mattino che ponesse fine a quella notte che non accennava a passare, invece mi ritrovai a fissare la luce dei lampioni che ancora filtrava attraverso le persiane. Gettai di nuovo la testa sul cuscino, pensando ad un modo per passare la notte senza stare a contare ogni singolo minuto. Fu in quel momento. Mi alzai di scatto a sedere per prendere il cellulare ed utilizzare la sua luminosità per leggere il libro che mi ero portato per passare il viaggio. Era l’unico modo per avere un po’ di luce, dal momento che l’unica fonte luminosa disponibile era il lampadario che avrebbe illuminato tutte le stanze, disturbando il sonno dei miei futuri suoceri. Per un attimo mi sentii in una prigione: privo di luce e di affetto. Scossi la testa e mi concentrai sul cellulare. Appena poggiai il piede a terra sentii qualcosa sfiorarmelo. Lo ritrassi immediatamente, non capendo cosa fosse. Sapevo che in casa sua non c'erano mai stati topi o cose del genere, ma il buio amplificava la portata e la minaccia di ogni essere che poteva trovarsi nei paraggi. Così allungai una mano verso il tavolino per prendere il telefonino e fare luce in terra. Le mie dita sfiorarono qualcosa di duro e lo afferrai. Solo quando la mia mano si chiuse capii che non poteva essere il cellulare. Era qualcosa che aveva delle zampe dure e fine e un corpo grande. Trattenendo un urlo per puro orgoglio maschile, lasciai andare la presa, saltando in ginocchio sul divano, gli occhi alla ricerca di quella cosa che doveva essere un ragno enorme. Non vedendo nulla, cominciai a pensare che magari dovevo aver preso qualcosa sul tavolo che somigliava ad un insetto. Forse era quella canapa che stava utilizzando il padre di lei per riparare il rubinetto. Pur con il cuore che batteva a mille, mi stesi di nuovo per calmarmi. Ma c'era qualcosa sotto di me che faceva una leggera protuberanza. Sicuro che fossero le lenzuola aggrovigliate nel casino che avevo creato rigirandomi per tutta la notte, mi inarcai leggermente per mettere a posto il tutto con la mano. Ed è stato in quel momento che ho sentito un dolore lancinante lungo il braccio. Istintivamente ho messo una mano davanti alla bocca, mentre toglievo l'altra da sotto la schiena, portandola davanti agli occhi. La fievole luce dei lampioni mi fece vedere un ragno stretto nel palmo della mano, ormai schiacciato e morto. Ma il dolore c'era e non capivo da dove provenisse. Sembrava espandersi per tutto il corpo. Mi sentivo bruciare il braccio, come se fosse stato messo sul fuoco. Non urlavo solo per non svegliare nessuno e non far preoccupare lei. La mia parte razionale mi diceva che non stavo soffocando e che quindi non era uno shock anafilattico dato dalla mia allergia. Ma non capivo cosa potesse essere. Anche la mia spalla iniziò a bruciare. Poi il petto, l'addome, le gambe. Come un fiume in piena il bruciore si espandeva per tutto il mio corpo. Eppure il mio solo pensiero era di non gridare per non dare fastidio. Maledivo me stesso ad ogni gemito che mi usciva. La mia mente ormai delirante si immaginava che i suoi genitori potevano ritenere quei suoni equivoci e andare a controllare se io e la figlia stavamo facendo qualcosa. Ero preda di quella mentalità retrograda anche in quella situazione. Se non fossi stato così male avrei anche riso. Invece ricordo solo che mi svegliai la mattina dopo con i raggi del sole che si facevano d'argento e poi d'oro alla finestra. Istintivamente mi misi a sedere per guardare la mia mano. Il ragno schiacciato era ancora lì, chiuso in essa. La notte mi era sembrato molto più grosso, invece entrava tutto nel palmo. Mi sentivo quasi sollevato nel vederlo, come se in questo modo avessi avuto la prova che non avevo sognato tutto. Sentendo dei rumori provenire dalle altre camere, gettai il corpo dell'insetto sotto il divano. Quando lo avrebbero trovato avrebbero pensato che era rimasto schiacciato dal divano o magari dalla scopa durante le pulizie. In quel momento si aprì la porta ed entrò lei, sedendosi accanto a me e dandomi il suo solito bacio del buongiorno, mentre alle sue spalle la madre passava come una guardia armata per andare in cucina e preparare la colazione. Le ho sorriso, cercando di non farle vedere quanto in realtà la mia mente era in confusione. La testa mi girava al punto che non riuscivo quasi a comprendere l'alto e il basso. La bocca era secca e mi sembrava di aver corso una maratona in salita, venendo fustigato ad ogni rallentamento. Eppure ero vivo. Non era stato uno shock anafilattico. Ma… cos'era stato? Lei si avviò verso il bagno per andarsi a preparare ed io provai ad alzarmi. Il mondo sembrò prendere vita, ondeggiando vistosamente, ma ero deciso a resistere per non dare l'impressione che stessi male. La mattina dopo sarei dovuto ripartire per Roma e dovevo tornare a lavorare. Forse una buona colazione mi avrebbe ridato la forza di cui avevo bisogno. Ma una parte di me aveva paura che non sarei riuscito ad ingerire nulla. In effetti solo al pensiero di mangiare mi sentivo lo stomaco pesante. Mi appoggiai al tavolino e fu in quel momento che sentii un leggero pizzicore sul palmo della mano, la stessa che aveva afferrato ed ucciso il ragno. La portai davanti agli occhi, osservandola. Proprio sotto il pollice c'erano due buchini rossi. Non ci voleva molto per capire che quell'insetto si era vendicato della sua morte. Ma quella rivelazione, invece di farmi arrabbiare o darmi preoccupazioni, mi tranquillizzò. Pensai che forse avevo avuto un leggero shock anafilattico, magari amplificato da un principio di influenza, visto che lei aveva un po' di febbre. E proprio lei stava tornando in quel momento con la colazione. Mi misi davanti il latte e subito capii di stare per vomitare. Credo che solo l’orgoglio mi trattenne dal farlo, imponendomi di mangiare qualcosina. Stranamente mi sentii un po’ meglio, quindi mi affrettai a finire tutto, tornado poi a sedermi sul divano. Purtroppo il mondo non accennava a fermarsi, quindi chiusi gli occhi, poggiando la testa sullo schienale. Il resto della giornata andò bene. Ogni tanto sentivo delle fitte di dolore in qualche parte del corpo, ma le imputavo sempre a qualche sintomo influenzale. La fortuna fu che tutta la giornata era libera da impegni, avendo fatto tutto il fine settimana precedente. Così guardai insieme a lei dei film, giocai un po' alla console e ogni tanto amoreggiavamo di nascosto. Mi sentivo sempre meglio. A volte pensavo di sentirmi "troppo meglio" in un certo senso. Ero troppo reattivo. Tutto mi sembrava più lento delle altre volte. La mattina che sono dovuto ripartire per Roma, il viaggio in macchina fino all'aeroporto mi sembrò di una lentezza unica, eppure guardando il tachimetro vedevo che la velocità era quella di sempre. Ma non ci facevo poi tanto caso, adducendo sempre una scusa di tipo influenzale a tutto questo. E così atterrai a Roma di prima mattina, andando diretto al lavoro e telefonando a lei per dire che ero arrivato. Poi ho iniziato a gestire le richieste degli utenti. Tutto come sempre. Avevo soltanto dei piccoli fremiti, come se avessi freddo. Eppure sentivo un caldo asfissiante. Ma la cosa andò diminuendo e la sera sembrava che tutto fosse finito. Archiviai l'intera faccenda come la solita influenza che mi veniva per una giornata a tratti e poi spariva senza lasciare traccia. Erano tre anni che non avevo la febbre per più di mezza giornata, quindi era anche giunto il momento che tornasse, no?
Joram Rosebringer Inviato 28 Giugno 2005 Autore Segnala Inviato 28 Giugno 2005 Come accadeva di solito, la sera c’era in programma il solito caffè con mio cugino, la solita scusa per fare due chiacchiere e stare un po’ insieme. L’appuntamento era sempre al famoso “parcheggione”, luogo di ritrovo per tutte le uscite del gruppo. Mio cugino ritardava, quindi scesi dalla macchina per stare un po’ all’aria aperta e, paradossalmente, accendermi una sigaretta. Proprio nel momento in cui ho chiuso lo sportello, ho visto due ragazzi passare lì davanti. Una cosa normale. Eppure quei due stavano facendo qualcosa di strano. Mi guardavano con gli occhi che tradivano interesse. Ero solo. Ero al buio. Una preda facile. Eppure, nonostante avessi la sensazione che quei due ce l’avessero con me, mi sembrava che non c’entrassero nulla con quella sorta di inquietudine che mi stava prendendo. La mia parte razionale mi diceva di entrare in macchina e chiudermi dentro, ma il mio istinto invece mi urlava di non farlo. Mi girai senza neanche sapere perché l’avessi fatto e vidi un coltello balenare nella mano di un ragazzo davanti a me. Nei suoi occhi lessi la sorpresa, come se non si fosse aspettato che mi girassi in quel modo, ma si riprese subito intimandomi di dargli i soldi. Mi aspettavo una reazione come quella volta che mi avevano rapinato, ovvero tremando e consegnando tutto, senza avere la forza di reagire. Invece ho preso la mano che teneva il coltello e gli ho stretto il polso con forza, sentendo con tuo immenso stupore il rumore delle ossa che si rompevano. Si accasciò a terra, urlando dal dolore, tenendosi il braccio. Non sapendo cosa fare, salii in macchina e me ne andai di corsa. Non sapevo dove andare e cosa fare. La prima cosa che mi venne in mente fu quella di mandare un messaggio a mio cugino e dire che l’appuntamento era saltato, in modo che non avrebbe neanche messo piede al parcheggione, rimanendo ignaro di quello che era accaduto. Mentre mandavo il messaggio vedevo ancora gli occhi di quel ragazzo spalancati per il dolore e la sorpresa, sentendo le ossa che si rompevano come fragili bastoncini nella mia mano. Per più di una volta cancellai una parola scritta male a causa del tremolio del mio corpo. Non capivo cosa mi stava succedendo, pur se la mia mente mi portava sempre alla notte precedente ed a quel ragno. Il mio vagabondare mi portò infine al mio solito posto: il faro di Fiumicino, il luogo dove mi ritiravo quando avevo voglia di pensare. Parcheggiai la macchina e cominciai a salire gli scogli che mi avrebbero portato a scavalcare il muro che delimitava la costruzione. Solo la luce della luna mi permetteva di vedere dove mettevo i piedi. Ma la memoria faceva in modo che ogni mio passo fosse sicuro e che anche i punti più pericolosi potessero essere superati con facilità. Erano anni che avevo eletto quel posto come culla dei miei pensieri, quindi non mi aspettavo che mi potesse tradire proprio in cima, quando un sasso che non doveva esserci mi fece inciampare oltre il bordo. Vedevo l’asfalto avvicinarsi in maniera vertiginosa e allargai le braccia d’istinto, chiudendo gli occhi. Non ebbi neanche il tempo di pensare che stavo per morire, che un dolore lancinante mi esplose nella testa, facendomi credere che il braccio si fosse staccato dalla spalla. Aprendo gli occhi mi si presentò una scena a cui non credevo. Ero appeso sulla superficie liscia del muro esterno del faro. Non vi erano appigli. Ma ero saldamente attaccato al muro con la mia mano. Alzai l’altro braccio e lo poggiai alla costruzione, facendo aderire le dita alla parete. E con mia sorpresa sentivo che tenevano. Preso dall’eccitazione risalii fino in cima, scalando quei pochi metri. E da quel giorno nulla è stato come prima.
Joram Rosebringer Inviato 28 Giugno 2005 Autore Segnala Inviato 28 Giugno 2005 Tiro un’ultima boccata di fumo dalla sigaretta e la lancio lontano, guardandola cadere volteggiando fino a terra. Oggi non sono venuto al lavoro in metropolitana. Ci sono venuto volteggiando con le mie ragnatele. E’ stata una bella scoperta sapere di poterle lanciare dai polsi. Ogni volta che passo accanto a monumenti, mura e palazzi mi sembra di essere libero, totalmente libero. Ed il costume aiuta molto in questo. E’ bellissimo, il mio orgoglio. L’ho acquistato ad un negozio di costumi di carnevale, pagandolo una bella cifra. Ma ne è valsa la pena. Perché ora l’Uomo Ragno esiste. E sono io!
Joram Rosebringer Inviato 4 Luglio 2005 Autore Segnala Inviato 4 Luglio 2005 Sono stanchissimo. Non ho dormito tutta la notte. Ho appena parlato con mia moglie che ha detto di avermi sentito strano. Mi sono inventato un mal di stomaco ed una nausea che non provo per giustificare la mia voce roca e assonnata. Non posso dirle quello che ho fatto questa notte. Non posso dirle che sono l'Uomo Ragno. E pensare che sembrava andare tutto per il meglio. La mia vita sembrava scorrere tranquilla. Ogni tanto mi mettevo a fare il supereroe, salvando qualcuno da piccoli pericoli e volteggiando per semplice piacere o per sfogo dopo una lite con mia moglie. Stavo veramente riscoprendo la gioia di essere l'Uomo Ragno, la gioia nel vedere gli occhi che straripavano lacrime di gratitudine, di osservare la gente che mi salutava e declamava il mio nome. La mia scuola, usata ormai come bagno di folla ristoratore da quando mi avevano considerato fuorilegge, era sempre piena di ragazzi e ragazze che inneggiavano a me, rischiando anche una nota solo per potermi salutare. E trovai anche il modo per mettere un piccolo fiore sulla cattedra della mia professoressa di filosofia, con tanti saluti dal suo amichevole Uomo Ragno di quartiere. E' da quando leggevo il fumetto che desideravo fare una cosa del genere. Tutto bene, insomma. Finché una mattina della scorsa settimana tutto cambiò. Mia madre ci ha messo come sempre un'eternità al bagno e quindi, correndo per non fare tardi, mi scordai a casa il solito libro da leggere in metropolitana, in attesa di arrivare a destinazione. Non sopportando di stare i piedi senza avere nulla che mi tenesse la mente occupata, una volta arrivato in stazione presi uno di quei quotidiani gratuiti. In questo modo avrei letto per tutto il viaggio e, anche se le notizie potevano non interessarmi, almeno avrei avuto un modo per passare il tempo. Diedi un'occhiata fugace alle prime pagine di politica, finché mi fermai su una pagina di Cronaca. E lì lessi dello stupro di Bologna. Improvvisamente sentii montarmi dentro una rabbia immensa. Mi guardavo in giro e la mia mente mi ripeteva sempre la stessa frase: «Tra questi che sono con te in metro potrebbe esserci un potenziale violentatore!». Mi guardavo intorno come se potessi vedere nelle loro anime. Osservavo le ragazze come se fossero tutte vittime e desideravo che ogni uomo che fosse vicino a loro sparisse. Le vedevo uscire dalla metro e imboccare cunicoli bui dove venivano assalite e stuprate. E mi maledivo per aver lasciato a casa il costume. Arrivai in stazione ed uscii all'aria aperta, pronto ad iniziare una nuova giornata di lavoro, una giornata che mi avrebbe impedito di accorrere in aiuto di chi ne avesse avuto bisogno. E stavo male per questo. Le ore passavano lentissime. Cercavo di concentrarmi sul lavoro, di impegnarmi il più possibile per non pensare ad altro, ma finii solo per commettere errori su errori, fino a quando decisi che era meglio prendermi qualche ora di permesso e tornare a casa. Anche se sapevo che non sarei tornato a casa. Nel momento in cui mi misi il costume cominciai a volteggiare per la città come un forsennato. Nella mia mente vi erano ancora le immagini di una ragazza che stava per essere violentata e che io avevo salvato... arrivando quasi ad uccidere i due violentatori. Ed ancora non sapevo se l'averli lasciati in vita fosse stata una scelta giusta. Li avrei uccisi, come avrei ucciso quelli che avevano commesso lo stupro a Bologna. In questo modo avrebbero finito di vivere, di fare del male, di rovinare l'innocenza di una ragazza. Ma la cosa che mi faceva più paura è che l'unica ragione per cui non li avrei uccisi era il fatto che avrebbero sofferto troppo poco. Io volevo farli soffrire! Tornai a casa per cena con una sensazione di vuoto per non aver trovato nessuno da picchiare. Questa città sa essere terribilmente calma quando ci si mette. Accesi la televisione con la paura di qualche notizia di altri stupri, magari proprio a Roma, in zone che io non avevo pattugliato. Invece nulla. Quindi decisi che non sarei andato a dormire, ma che sarei stato in giro tutta la notte, se necessario. Dovevo solo inventarmi una balla per mio fratello che dorme nella mia stessa stanza. Non sarebbe stato bello se mi avesse visto indossare il costume dell'Uomo Ragno per poi uscire dalla finestra lanciando una tela. Certo, sarei stato immediatamente il suo idolo, ma ho scelto di non dire nulla a nessuno. ...
Joram Rosebringer Inviato 8 Luglio 2005 Autore Segnala Inviato 8 Luglio 2005 Chiudo questo Topic in quanto ho trovato un altro modo per narrare queste cose senza occupare inutilmente (dal momento che posto solo io e nessun altro qui dentro) spazio nel forum. Il link è il seguente (lo trovate anche nel profilo) : Joram-Rosebringer
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