Wolf Inviata 14 Dicembre 2004 Segnala Inviata 14 Dicembre 2004 Apro questo topic per raccogliere quelle poche cose scritte, vuoi per passione, vuoi per gioco, vuoi per incarico.. Ringrazio già da subito chi avrà la pazienza e il coraggio di leggere le mie cose, e sono graditi commenti, critiche e note varie. Ah, alcuni di voi avranno già letto le storie che posterò qui sotto, ma dopotutto nel forum ci sono buona parte dei miei modesti tentativi.. Prego caldamente di non spammare qui dentro, e mi affido alla vostra saggezza. Vado a proseguire...
Wolf Inviato 14 Dicembre 2004 Autore Segnala Inviato 14 Dicembre 2004 Tempo fa, in questo forum, ho iniziato a trovare il coraggio di mettere per iscritto le storielle che mi balenavano nella testa. Prima in un topic aperto da non so chi, che voleva ricreare l'accogliente atmosfera di una locanda in cui si raccontano piccole storie, piccole vicende della propria vita fantasy. Poi venne La lavagna, e La mia dimora, a raccogliere questi pensieri sparsi, questi pallidi tentativi di narrazione, arte che non mi è mai stata amica. Poi un giorno trovai un topic aperto da questo strano personaggio, con la faccia di Viggo Mortensen se non sbaglio, che diceva di fare un esperimento: era proposta una traccia, un ombra, di un finale di racconto. Beh, la prova consisteva nel creare una storia a piacere, senza ambientazione prefissata o altro, che però comprendesse certi elementi: un chiostro abbandonato, e due persone che si incontrano. Da questo incontro la loro vita cambierà radicalmente. Fu difficile all'inizio accostarsi a questa cosa, perchè non dovevo più scrivere a istinto e in base a quello che mi veniva in mente la momente, ma seguire elementi (anche se pochi) prefissati. Ci misi un po', ma poi "creai" questo... Scomparsa Scomparsa. E' tutto il giorno che la cerco. Ho provato nei bassifondi, in tutti i vicoli, nei locali, dal più chic al più malfamato. Ho chiesto a tutti, a spazzini, postini, autisti e taxisti. Di Lei non c'è traccia. E' sempre stata con me, e ora non la trovo più. Com'è possibile? Non può aver abbandonato la città. Non lo farebbe mai. Questa città è tutto per Lei, e la città è quello che è grazie a Lei. Quando è arrivata qui non era nulla, sconosciuta. Ma poi ha fatto la sua fortuna, e la fortuna della città stessa. Qui c'è l'ambiente giusto, per una come Lei di emergere. E grazie a Lei anche io, per un po', sono diventato quello che sono. Mi ha aiutato, e io ho aiutato Lei. Ormai è molto tempo che la conosco, e non ne posso fare a meno. Devo assolutamente ritrovarla, e riportarla da me, almeno per un po'. Ma nessuno qui non sa niente, nessuno sa dove possa essere. O fanno finta di non sapere. Sono le sei della sera. Non so dove altro andare. Sono già andato in tutti i posti dove andava di solito; tranne quello. Devo provare ad entrare li, per vedere se è passata. E' un brutto posto, lo so, ma ormai ho imparato alla perfezione come muovermi in questa città. Rischio, ma lo so. Ora entro la dentro, mi informo. Qualcuno saprà qualcosa! ................ Lei non c'era, neppure la. Ma ho trovato un uomo, che mi ha detto che anche lui la cerca, per lavoro, e che è riuscito a rimediare un appuntamento per stasera, al parco li vicino. Mi ha detto che se vado anche io probabilmente riuscirò a trovarla; potrei riuscire a fare qualcosa forse, a farla tornare da me. L'ho ringraziato, e ci vedremo alle 21.00 al parco. Ora sto tornando a casa. Entro in casa, apro la porta e mi avvicino al divano. E' molto caldo oggi e la camicia che indosso è tutta sudata, sulla schiena e sul petto. La lancio in bagno, e cado pesantemente sui cuscini del vecchio divano. Si solleva molta polvere, che si incolla alla pelle, ma non ci faccio caso. Chiudo gli occhi, spossato dalla lunga ricerca e dal caldo. E' passata un'ora e mezza. Per fortuna mi sono svegliato. Tra un'ora ho l'appuntamento al parco, e mi devo preparare. Una doccia, veloce e fredda, che mi sveglia completamente. Mi rivesto, e indosso una camicetta aperta sul davanti, bianca, con sopra una giacca elegante gessata, sempre bianca, ma con i bordi neri. I pantaloni sono anch'essi bianchi, e vanno a ricadere leggeri su un paio di scarpe di pelle candida che, allo stesso modo della giacca, hanno i bordi e i lacci neri. Sistemo la cintura, raccolgo il cappello bianco perfettamente abbinato con il completo e mi controllo allo specchio. Beh, quarant'anni, ma ancora un fisico asciutto e muscoloso, perfettamente in forma. La barba è al punto giusto, una via di mezzo tra l'incolto e il curato. Raccolgo la pistola di piccolo calibro, una scaccia cani, e la sistemo sulla caviglia destra, e l'altra automatica nella fondina sottoascellare sinistra. Carica, ma con la sicura. E' sempre pericoloso andare a degli appuntamenti con Lei, visto il nervosismo che permea l'aria in sua presenza. Ma anche a questo sono abituato. Apro l'ultimo cassetto dell'armadio, sollevo il doppio fondo, e raccolgo una nutrita mazzetta di banconote. La sistemo nella tasca interna della giacca, rinforzata con robusta pelle, cuoio. In questa città ci sono più scippatori che piastrelle! Tutto è pronto. Il telefonino lo lascio a casa. In certe situazioni è meglio non avere distrazioni... Esco dalla porta di casa, il taxi chiamato poco fa già pronto ad accompagnarmi. Fornisco indicazioni all'autista sulla destinazione, e sistemo gli ultimi dettagli della cosa. I capelli sono a posto, il naso anche, orecchie pulite. Non voglio fare la figura del pezzente! Ma sono tutto agitato, inizio anche a sudare un poco. Stupido! Quante volte sei andato ad appuntamenti come questo?100?1000? un sacco di volte..eppure sembri un bambino delle medie! Mi dico mentre il taxi prosegue, con una fastidiosa musica country di sottofondo. Dieci minuti, e il tassista arriva nel posto designato, poco distante dal parco dove la incontrerò. Lo pago con i pochi soldi tenuti in portafogli, dando anche una mancia di pochi dollari. L'auto si allontana, e io finalmente mi dirigo, con il cappello in testa, verso il parco. Trovo la panchina scelta, mi guardo attorno e noto che non c'è nessuno. Sospiro e mi siedo in attesa. Si fa sempre attendere; questa pessima abitudine. Però l'attesa è utile, per calmarsi. I battiti del cuore scendono, e riassumo l'aspetto di un uomo maturo, come mi è consono. L'ora stabilita per l'appuntamento passa, di molto, e ancora non si vede nessuno; in più il tempo sta peggiorando a vista d'occhio, e a momenti dovrebbe piovere. Qua quando viene un temporale estivo è una cosa tremenda. Sto quasi per spazientirmi, quando una macchina si avvicina al parco. Ne scende l'uomo del bar, che mi dice che è cambiato il posto e si era dimenticato di me. Salgo in macchina, al posto passeggero, e il viaggio comincia. Poco dopo comincia a piovere, e un forte vento scuote gli alberi e la macchina in corsa. Per strada parlo un po' con l'uomo; è esattamente come me l'aspettavo; si chiacchiera del più e del meno per un po', di come la squadra della città abbia vinto l'ultima partita di baseball, e di quanto vacca sia quell'attrice. Mi dice anche che quando saremo sul posto, un altro parchetto, potrò andare avanti io, per primo; lui non ha fretta, e sembra che la mia sia una cosa più urgente. Lo dice con un sorriso sulle labbra, d'intesa, e solo allora mi accorgo di aver riiniziato a sudare. Sono anche un po' pallido. Mi asciugo con un fazzoletto, e finalmente arriviamo al parchetto. Non è molto grande, ed è già sconquassato dalla pioggia che scende in quantità esorbitanti. Poco distante c'è un piccolo chiostro, con una piccolissima tettoia, nella quale si ripara una figura. E' in piedi, di spalle, con una piccola valigetta appoggiata di fianco; una valigetta lucida, metallica, che riflette i lampi con la sua superficie specchiata. La tipica ventiquattrore. Raccolgo la giacca sopra la testa ed esco di corsa dalla macchina, dirigendomi verso il chiostro. Sono agitatissimo, dalla pioggia e dall'emozione. Addirittura ho le mani che mi tremano. Sembro un novellino! So benissimo che è pericoloso correre, vista la molto probabile tensione del momento, ma sono ansioso di vederla e di assaporare il suo gusto, la sua forza, la sua tenacia. Fortunatamente la figura mi scorge in tempo, e non reagisce in malo modo; raggiungo il felice riparo della tettoia, e scrollo la giacca inzuppata di pioggia. L'uomo sotto la tettoia mi guarda; non è che mi aspettavo! Ma non importa. So già che lui potrà fare qualcosa per me, per permettermi di vederla, di incontrarla ancora. E ancora... Qualcosa all'improvviso non mi convince. Perché questo posto? cosi in vista?e niente altro che io e lui? No, qualcosa non sta andando come previsto, e mi rendo conto di dovermela sbrigare alla svelta. Farmi dire come incontrarla, e via. O se può provvedere lui stesso, che lo faccia in fretta. L'uomo, con il volto riparato dal colletto alto dell'impermeabile lungo, mi guarda con aria interrogativa. Io capisco subito, e apro la tasca interna della giacca. Solo allora mi accorgo della pistola nella fondina sotto ascellare; l'uomo l'ha vista sicuramente, e forse è anche per quello che mi guarda cosi. Lo tranquillizzo con uno sguardo e un sorriso, e lui mi fa cenno che va tutto bene. Estraggo i soldi dalla tasca, glieli faccio vedere e allora l'uomo raccoglie la valigia da terra. Poi succede il finimondo! La macchina con l'uomo che mi ha accompagnato fino a qui, il mio contatto, parte all'improvviso, sgommando, e sbattendo violentemente la portiera del lato passeggero contro un albero, che si richiude in uno schianto. L'uomo estrae la pistola, allarmato, e io con lui. Ci guardiamo sospettosi un attimo, con le pistole pronte a forare il rispettivo petto, le sicure già disinserite. Poi il suono delle sirene arriva a me! Macchine della polizia stanno arrivando tutto attorno a noi. Sento le ruote della macchina partita di corsa fischiare inchiodando, e poi un forte schianto. I rumori della pioggia che scende scrosciante confondono i miei sensi, ma qualcosa riesco a distinguere. E poi, oltre alle sirene tutto attorno a noi scorgo le luci dei lampeggianti, che si confondono e diffondono nelle gocce di pioggia. Sembra una discoteca all'aperto, mentre iniziano a circondare il parco. L'uomo impreca, furioso e disperato, e poi inizia una folle corsa nella direzione opposta a quella della macchina, pistola alla mano. Io capisco immediatamente che Lei è in pericolo, e mi lancio all'inseguimento, o forse in aiuto, di quell'uomo. Non la abbandonerò! La nostra corsa prosegue rapida e scomposta tra gli alberi, in continui scivoloni con le scarpe colme di fango. Ma non mi fermo e continuo la mia corsa dietro all'uomo. Poi li vedo! Sono in tre di fronte a me, poliziotti con le pistole in mano. Anche l'uomo li vede e due colpi partono dal revolver nella sua mano. Finiscono a mezz'aria, persi tra le gocce di pioggia e gli alberi del boschetto, ma costringono i poliziotti a nascondersi. E anche noi facciamo lo stesso. L'uomo mi guarda e mi urla furioso che era una trappola, per catturarla, che qualcuno ha fatto la spia. Dice di andarmene, in una direzione diversa dalla sua, che dividersi è meglio, per confonderli. Ma io non voglio perderla ancora, e non mi muovo di un passo. Con rabbia mi sputa contro, e una voce ci raggiunge, amplificata da un megafono, che ci suggerisce di arrenderci, che non ci sarà fatto alcun male. In tutta risposta l'uomo bestemmia e poi esce dal nascondiglio dell'albero, per scattare verso un altro gruppetto di giovani aceri a qualche metro da li, facendo esplodere altri due colpi contro gli alberi che offrono protezione agli sbirri, all'unisono con la mia pistola. Tutti i colpi si infrangono contro la corteccia solida e robusta di un albero, ma un proiettile riesce a perforarlo, e un corpo cade di lato, senza proferire suono o parola, ma interrompendo la voce del megafono. Probabilmente quella testa ora ha un orifizio in più.., pensò cinicamente e con un sorriso sulle labbra. Continuo lo scatto verso gli alberi, con l'acqua che mi disturba la vista e i movimenti. Poi finisce tutto! Un boato sordo esplode alle nostre spalle, e un proiettile di fucile raggiunge l'uomo di fronte a me alla spalla sinistra, da dietro, forse al cuore. Mentre cade in avanti con un urlo soffocato dal dolore, altri due colpi lo raggiungono, probabilmente destinati a me, figli di un mitra impugnato probabilmente da un giovinastro figlio di papà che si è ritrovato a fare il poliziotto per chissà quale motivo. O almeno cosi mi piace pensare. Lo colpiscono alla gamba sinistra, perforandogli un arteria; l'uomo cade a terra di viso, cozzando violentemente contro un sasso li per terra, e sfondandosi il cranio, con un rumore sordo, come quello di un melone lanciato contro una parete. Il sangue va ad annacquare il liquido della pioggia, colorandolo di un rosso scarlatto, tremendamente vivo nel buio della notte. Ma l'ultimo colpo, quello peggiore giunge a Lei. La valigetta esplode, vittima della violenta botta di un proiettile in coscio del dolore, inconsapevole del suo delitto. Si apre, disperdendo nell'aria una nuvola di polvere bianca, preziosa quanto l'oro: COCAINA! Mi tuffo a capofitto sulla valigetta, cadendo sulle ginocchia, con il sudore che esce a fiumi dalla mia fronte, nonostante la pioggia. Sento le prime reazioni della crisi d'astinenza confondermi il corpo, improvvisamente consapevole di averla appena persa. Cerco di cogliere tutto il possibile da quella pioggia, cosi diversa da quella che fino a quel momento ha bagnato il mio corpo. Invano. Le lacrime si avvicinano agli occhi, insoddisfatte dell'umidità creata dalla pioggia, vittime di un dolore troppo grande da sopportare. Ma non tutta la cocaina è uscita dalla valigetta, molta è ancora raccolta li dentro. Devo prenderla, prima che si bagni! La mia testa cade all'interno del contenitore, e inspiro selvaggiamente dal naso, leccando la superficie, in una furia disperata e bisognosa, troppo simile a un assetato nel deserto. La polvere sale rapidamente nelle mie narici, bruciando come il sole di quel deserto in cui mi sono perso, raggiungendo i polmoni come una valanga di fresca neve. Improvvisamente sento una grande energia invadere il mio corpo, una scarica di potere viva come una bestia carnivora. Il sudore si ferma, e io ritorno alla realtà! Sento di colpo le voci dei poliziotti che mi intimano di fermarmi, di non muovermi. Sono ancora a qualche decina di metri, e io mi sento forte come non mai, oltre che rabbioso per averla uccisa cosi. Con un urlo smodato salto in piedi, raccogliendo anche la pistola dell'uomo ormai morto. I proiettili vengono sputati fuori dalla canna della mia pistola, in rapida successione, mentre mi tuffo in avanti, per cercare riparo dietro a un grosso tronco. Uno dei miei proiettili raggiunge il petto di un poliziotto, che cade a terra con un grottesco urlo di sofferenza, ma donando a me grande fiducia. Sparo qualche altro colpo dietro di me, senza fermarmi dietro all'albero, ricolmo di energia, ebbro del potere che sento in me, e poi scaglio il revolver scarico contro i poliziotti, mentre estraggo la scacciacani dalla caviglia, senza smettere di svuotare il caricatore dell'automatica contro i miei avversari. Forse un altro colpo raggiunge il bersaglio, forse no. Non lo capisco. All'improvviso inizia ad annebbiarsi la vista, il respiro si fa faticoso e pesante, mentre sento il cuore accelerare ardentemente i battiti. Non controllo più completamente i miei arti, e la scoordinazione si impadronisce del mio corpo. Ma non mi fermo, continuo la mia corsa disperata, energica, e sparo qualche colpo a mezz'aria, leggermente consapevole che è assolutamente inutile. Non sento quasi i colpi partire dalla mia arma, le orecchie ovattate dalla pressione sanguigna, e il rumore coinvolgente della pioggia che scroscia in volute spaventose sul mio corpo. E non sento neppure il colpo che mi raggiunge, al ginocchio, in piena rotula. L'osso si frantuma, disperdendosi nella mia carne in mille frammenti pungenti, mentre il mio corpo si avvicina velocemente al terreno. Sto quasi per toccare terra, quando un altro colpo, frutto della stessa raffica, sconquassa anche il mio fianco sinistro, entrando e uscendo come un coltello fa nel burro. Tocco terra appoggiandomi sul fianco, e poi a pancia in su. Ma il dolore non è molto forte, reso più mite dal potere della bianca polvere, che mi permea il corpo. Non sono preoccupato per i proiettili, ma per il fatto che sto per morire di overdose, colpa di un taglio sbagliato, per guadagnare di più. I polmoni si stanno gonfiando dentro di me, e comprimono il mio petto, mentre il cuore fatica a svolgere il proprio lavoro, e una schiuma bianca esce dalla mia bocca, in ondate di morte. Sto per morire: questa volta Lei mi ha tradito! La consapevolezza mi insinua una strana calma, solo mentale, mentre le convulsioni fanno saltellare il mio corpo nella pozza d'acqua a terra, e mentre il sangue disegna strane forme fuoriuscendo da me. Ma so che non voglio rischiare di essere salvato. Sarebbe tremendo vivere nella consapevolezza del tradimento. Un ultimo tremito, violento. Un ultimo respiro, faticoso. Un ultimo movimento, lento. I miei occhi si aprono di scatto, consapevoli della morte di fronte a loro, veicolata da una canna di pistola che mi osserva, sorridente, pronta. E poi alzo il braccio, di scatto, che impugna la scacciacani. E incredibile come, quando si sta per morire, tutto diventi cosi lento. Il dito del poliziotto si muove a premere il grilletto, lo vedo, mentre il mio braccio muove i primi centimetri da terra. E poi il cane della sua pistola, saetta abbaiando verso la testa del bozzolo, che esplode in una pioggia di scintille, un'altra ennesima pioggia a sconvolgere il mio corpo. Quasi vedo il proiettile venirmi incontro, infrangere le gocce di pioggia nella sua corsa inarrestabile, deciso e spietato come la falce della morte stessa. Poi lo sento penetrare nel mio cranio. Troppo simile ad un verme in una mela, rosicchia la buccia e poi la carne, affamato di dolore. Entra, esce e si conficca nel terreno. Pochi istanti ancora, in cui il sangue caldo si diffonde nel cervello e nel cranio, e poi i miei occhi non vedono più niente. Solo rosso..e freddo. 1
Wolf Inviato 14 Dicembre 2004 Autore Segnala Inviato 14 Dicembre 2004 Questo invece nacque nel topic La mia dimora, che ricordo ancora con nostalgia. Era un periodo buio, e il racconto è malinconico..o almeno a me fa questo effetto... Non ne spiegherò il significato, perchè coinvolge la mia vita personale e la mia privacy, ma lascio a voi la sentenza sulla piccola storiella creata... Il prato Vagavo come il solito, in compagnia di qualche amico, mano nella mano con me stesso. I luoghi erano sempre gli stessi, li conoscevo e li assaporavo come sempre, li vivevo perché erano quelli che amavo. Passeggiavo, con il cuore leggero, il sapore della tranquillità nella bocca, e la luce che mi colpiva sul volto. Poi un giorno la luce cambiò. Mi trovavo in un prato, ma non era sempre lo stesso prato, come credevo. Quel giorno un sole più luminoso, anzi no, non più luminoso, ma luminoso in maniera diversa colpiva l’erba, colpiva me, scaldava come mai aveva fatto. E il prato mi sembrò diverso, più verde, più profumato; l’odore di mille fiori mi giunse alle narici, mi inebriò con la forza della novità, mi fece sorridere. Iniziai a vagare nel prato, le armi in spalla, ma senza il pensiero di doverle usare. E lentamente l’erba mi avvolse, i fiori sbocciarono e mi sorrisero. Sembravano farlo con riluttanza, con il timore di essere nuovamente calpestati. Si perché altre volte erano fioriti e altri piedi li avevano dapprima sfiorati, leggeri come elfi, delicati come farfalle; ma poi questi piedi avevano cominciato a schiacciare, ad uccidere lo splendore di quel giardino incantato, e a limitarne l’estensione, con la propria forza bruta. E dopo che quegli esili fiori avevano scacciato l’invasore, a duro prezzo, avevano dovuto riprendersi, accumulare forze, ricominciare a guardare un sole che per molto tempo non avevano visto. Crebbero e rifiorirono, al mio passaggio. E io non li calpestai, non li rovinai. Percorsi lentamente il sentiero che mi era offerto, quella traccia che mi permetteva di ascoltare il vento tra i petali e il profumo delle piante in tutta la loro pienezza, senza imporre il mio passo alla loro forma. E il tempo passava, vivevo di quegli odori e la luce riflessa su di loro colorava anche il mio volto. Lentamente impararono a fidarsi di me, a credere che il mio piede potesse essere leggero, delicato, premuroso. E così fu. Mi permisero di distendermi tra loro, mi abbracciarono con i loro petali perché non li schiacciavo, ma li ammiravo. Quel prato era colorato, in fiore, e le margherite dipingevano un sorriso al suo centro. E anche io mi rafforzavo, acquistavo forza e coraggio in quel luogo. Un lento allenamento, più fruttuoso che mille anni di combattimenti. Poi qualcosa cambiò. In quel prato arrivò qualcun altro. Una presenza inaspettata, inattesa. Non voleva scacciarmi dal prato, anzi non mi degnava di uno sguardo. Era una quercia, un imponente albero, tronfio nella sua saggezza e superiorità. Lentamente portò l’ombra nel prato. Sentivo i fiori che cercavano di combattere, di resistere. Ma scoprì che già altre volte avevano affrontato quel nemico, quella quercia violenta e autoritaria. E sapevano di non poterlo sconfiggere. Non in un colpo. Solo il tempo avrebbe decretato un vincitore. E sapevano di doversi spostare in uno spazio diverso, forse più piccolo, forse più grande, ma sicuramente uno spazio dove la quercia non sarebbe potuta arrivare. E allora li avrebbero dimostrato la propria superiorità, la propria abilità, nel colorare la terra di mille colori e di renderla bellissima. La quercia avrebbe dovuto riconoscere la propria inferiorità, anzi avrebbe dovuto riconoscere la propria diversità. Ognuno decorava la terra a proprio modo, e un tempo anche la quercia era stata verdeggiante, anche se ora era spoglia e grigia. Ma i fiori non avrebbero ceduto alla sua ombra, se ne sarebbero andati alla ricerca di un luogo loro. Tutto questo i fiori me lo dissero, me lo comunicarono tramite una lingua fatta di sussurri e rapidi battiti di ciglia. Ma il loro abbraccio non poteva più esserci, impegnati com’erano a sopravvivere in carenza di luce, assolutamente protesi verso quei pochi spiragli di aria nuova e luminosa che arrivava al suolo. E non si accorgevano che anche io avrei potuto portare luce, accenderla o rifletterla con il mio scudo, con i miei occhi, con la mia volontà. Avrei potuto abbattere quella quercia con la mia ascia, avrei potuto sradicarla e spostarla in un’altra vallata, avrei potuto spostarle i rami e far fluire la luce. Lentamente mi allontanarono, mi assicurarono che sarebbe tornato il tempo dell’abbraccio e dei profumi, che se amavo i loro colori avrei saputo aspettare. E cosi decisi di fare; mi sedetti nuovamente nel sentiero, ripercorrendolo talvolta a passi brevi e leggeri, indecisi e timorosi. A volte i fiori mi sferzavano con i petali, inaciditi dalla mia presenza che li distraeva. Ma non stavo bene, oramai l’aria che respiravo aveva bisogno dell’energia che i fiori diffondevano nell’aria, dei mille colori che si riflettevano sul mio petto, dandogli colore, dei petali che si depositavano sulle mie mani, come lacrime di rugiada dorata. Arrancavo nelle mie passeggiate, l’aria sempre più assente nei miei polmoni, la pelle sempre più pallida all’ombra della quercia. E i fiori questo lo capivano, e se ne preoccupavano. Non erano più in fiore, chiusi nei loro petali tristi, come bozzoli di bruchi indeboliti dall’inverno. Non erano più colorati. E non sapevano come rimediare, ancora troppo deboli e insicuri per riuscire a cambiare terra, per allontanarsi dalla quercia. E si sforzavano per cercare di proiettarmi un po’ di profumo, di tepore, di colore, distogliendo il proprio impegno e la propria attenzione dalla luce che li avrebbe rafforzati, che li avrebbe resi capaci del grande passo. Sempre più spesso alcuni di loro morivano, o ritornavano al seme, in un processo regressivo, assurdo e pericoloso. Sembrava che i piedi di un tempo fossero tornati a calpestarli, a tarpare loro le ali, anche se non c’era nessun altro tranne me e la quercia. Allora presi la decisione. Compresi che non sarei più riuscito a respirare rimanendo in quel prato in ombra, in quel prato priva di linfa vitale, troppo impegnato a risolvere i miei problemi ed i suoi. Presi la decisione, e mi allontanai da quel prato. Girai l’angolo, sorpassai la collina che lo separava dal resto del mondo, in un apnea forzata, faticosa e dolorosa. I miei occhi erano ciechi, bisognosi dei mille colori che nel mondo e nel prato ormai non c’erano più. Me ne andai, lasciando il prato ai proprio problemi, rendendomi conto di essere ormai più un peso che un aiuto per quei fiori cosi malandati. Avrebbero affrontato la quercia, ormai loro unico problema, senza doversi preoccupare del mio respiro e dei miei occhi. Certo, all’inizio avrebbero fatto più fatica, sentendo la mancanza, il cambiamento dato dalla mia partenza. Ma non sarebbe mancato il mio aiuto; io ero dietro a quella collina, dentro a questa locanda, e al minimo richiamo sarei tornato con l’ascia in mano, con lo scudo pronto a raccogliere e a riflettere la luce, con il sorriso a valorizzare la loro bellezza, con le mani pronte ad accarezzarli e a stringerli e scaldarli. Ma passò del tempo, tempo in cui ogni tanto andavo a vedere il prato, ostentando una salute che mancava, una serenità che era lontana mondi interi. E un giorno i fiori mi accolsero con una luce diversa. Era una luce strana, non generabile dal loro riflesso. Una luce finta, o forse solo diversa. E lentamente mi accorsi che i fiori erano cambiati, erano mutati in altre piante, che desideravano solo stringermi in una stretta soffocante, fredda e poco avvolgente. Decisi di provare a coltivare quel prato, a far tornare i vecchi fiori, o a cercare quelli che ero certo ci fossero stati un tempo. Cercai a lungo, tra le frustate di liane terribili, le punture di aghi di piante rampicanti e spinose, le trappole che mi tendevano a volte con i loro colori sgargianti, cosi simili a quelli di un tempo. Il respiro si faceva sempre più faticoso, l’apnea ormai impossibile da tempo, il petto sempre più pallido. Nulla! Dei vecchi fiori non c’era più traccia, per quanto mi illudessi di vederne ancora. Nessuna di quelle piante desiderava abbracciarmi, e farsi scaldare da me. Se mi ci fossi disteso, cercando la morbidezza dei petali, avrei trovato solamente un letto spinato, ricolmo di buche e aghi perforanti. Il sentiero era ancora la, come un tempo, ma correva su un prato diverso, cambiato, mutato. E la quercia era li, poco più avanti. I fiori avevano preferito mutare, non combattere come promettevano, ma adattarsi alla nuova situazione, qualsiasi fosse stato il prezzo. E io spesso cercai di partire da questa locanda, da questo posto accogliente e caloroso, pieno di buoni consigli e da mani pronte a stringere la mia, anche se prese dalla cura delle proprie ferite, dei propri pensieri. E forse proprio questo vostro esempio mi ha dato la forza di resistere meglio, di trovare le motivazioni invece di reprimere il problema e lasciarlo stare. Spesso partii da qua per cercare nel campo, per trovare la vecchia luce, e tornavo ferito, dagli aghi e dalle liane. Erano quelle le battaglie che andavo ad affrontare. Era quello il nemico che mi sconfiggeva lentamente, con piccole ferite progressive. Ma sbagliò. Se voleva finirmi non doveva darmi il tempo di imparare a respirare nuovamente. Non doveva permettermi di riaprire gli occhi. Doveva abbattermi velocemente, in un unico colpo mortale. Ma forse non era neppure quello il suo scopo. Forse nel suo mutare si era semplicemente dimenticato di me, della mia forza e del mio sorriso. Mi vedeva come un intruso, come un qualcuno che se ne era andato invece di aiutare, dimentico dei mille tentativi da me fatti per concimare quel terreno, per dare forza che a me non serviva. Ora quel prato è li, diverso. Semplicemente diverso, peggiore ai miei occhi, ma semplicemente diverso agli occhi del mondo. Percorro il sentiero che lo attraversa come un semplice viaggiatore, come una qualsiasi persona lo può percorrere. Perfettamente in grado di respirare un aria non profumata, non colorata come allora, anche se l’odore non se né andato dal mio cuore né dalla mia anima. Le mie mani hanno imparato ad essere delicate, gentili quando serve amore, forti quando serve decisione. Sono pronto a nuovi viaggi, a nuovi prati e altre sensazioni..
nhemesis Inviato 16 Dicembre 2004 Segnala Inviato 16 Dicembre 2004 hehehe ora che sono entrato in berserk letterario nulla potrà salvarti dall'essere letto e giudicato... forse domani avrai risposta....
Wolf Inviato 17 Dicembre 2004 Autore Segnala Inviato 17 Dicembre 2004 Ottimo! Tra l'altro: tempo fa ci eravamo sentiti per il tuo nuovo di racconto, e mi avevi dato anche un link di roba da scaricare. Ma non ci avevo capito niente li dentro e non ero riuscito a vederlo; neanche i file che avevo visto, con delle imma, avevo capito cos'erano.. Rimandami link e materiali, casomai direttamente sulla mail, cosi mi capisco..devo compiere il mio lavoro di editore!
juvenil Inviato 17 Dicembre 2004 Segnala Inviato 17 Dicembre 2004 ho letto il primo.bello! bella soprattutto la parte in cui dopo aver pippato come un matto si ripiglia e spara ai poliziotti. mi ricorda al pacino in scarface. 8)
MikeT Inviato 17 Dicembre 2004 Segnala Inviato 17 Dicembre 2004 Appena ho un po' di tempo (ossia da domani in poi) mi metto a leggere con calma i tuoi racconti e quelli di Joram, nonché quello di Smorfiosetta. -MikeT
nhemesis Inviato 17 Dicembre 2004 Segnala Inviato 17 Dicembre 2004 Rimandami link e materiali, casomai direttamente sulla mail, cosi mi capisco..devo compiere il mio lavoro di editore! in effetti dovrei iniziare a scrivere quel racconto, dato che conosco + o - inizio svolgimento e fine... comunque se sei così felice di editoriare farò del mio meglio... i faile che ti avevo mandato erano principalmente delle immagini relative a i personaggi + descrizione classi e razze...
Wolf Inviato 17 Dicembre 2004 Autore Segnala Inviato 17 Dicembre 2004 Ah ok capito, ma allora non c'entravano niente con la storia del vampiro Lars. Stavo facendo confusione..perchè mi avevi detto che mi mandavi anche un altro capitolo su di lui, ma non mi è arrivato neache quello..
nhemesis Inviato 17 Dicembre 2004 Segnala Inviato 17 Dicembre 2004 in effetti ho utilizzato un servizio di virgilio, che non funzionava molto bene, era virgilio maxi mail... dunque per chiarezza: il capitolo di lars è il cap. 1 e 1/2 lo ho messo nel post di storia - vampiri... ho un altra storia in cantiere che devo fare x scuola entro la fine dell'anno scolastico...
Wolf Inviato 17 Dicembre 2004 Autore Segnala Inviato 17 Dicembre 2004 uhm..devo rileggermi la mail perchè mi sa che ricordo male..ora che mi hai detto questa cosa di scuola mi ricordo..devo rileggermi perchè nn ricordo molto bene..vabbè, siamo OT ma è colpa mia che ho tirato fuori il discorso...torniamo IT e ci sentiamo via mail o mp
nhemesis Inviato 18 Dicembre 2004 Segnala Inviato 18 Dicembre 2004 in ritardo di 24 ore, ma ecco il giudizio: magistrale... non c'è nulla da cambiare, è semplicemente perfetto oltre a questo che posso dire... hai stile ragazzo, complimenti...
Wolf Inviato 20 Dicembre 2004 Autore Segnala Inviato 20 Dicembre 2004 in ritardo di 24 ore, ma ecco il giudizio: magistrale... non c'è nulla da cambiare, è semplicemente perfetto oltre a questo che posso dire... hai stile ragazzo, complimenti... Addirittura? Esagerato Tnk 1000 cmq...spero di avere il tempo presto per fare qualcos'altro...ho in mente da tantissimo tempo un racconto che mi ispira, strano, ma mi serve tempo per elaborarlo bene..
MikeT Inviato 20 Dicembre 2004 Segnala Inviato 20 Dicembre 2004 Davvero belli, i miei complimenti Wolf! =D> -MikeT
Wolf Inviato 21 Gennaio 2005 Autore Segnala Inviato 21 Gennaio 2005 (intanto grazie Mike, mi ero dimenticato di rispondere ) Inizio qui a scrivere il mio nuovo racconto, quello che ho in mente da molto. Per ora butterò giù qualche riga, giusto un idea. E' che se non mi do mai l'incipit mai comincio..poi smetterò di aggiornare qui man mano che il racconto prosegue, altrimenti vi rovino la sorpresa Piano. Tutto attorno a me solo silenzio. Anzi no, non silenzio. Non completamente. Credo impazzirei nel silenzio più totale, in quella solitudine che magicamente perde i confini. No qui non c'è silenzio. Qui giungono rumori ovattati, da chissà dove. Forse da oltre quelle pareti di quel rosso pallido, un po' rosato. Forse da me stesso, da quel mio cuore che sento ancora battere. Non capisco. Piano piano mi guardo attorno. Ma perchè non riesco a muovermi come vorrei? Mi sento impacciato, goffo. Debole anche. per ora basta cosi...ho iniziato!
Strikeiron Inviato 21 Gennaio 2005 Segnala Inviato 21 Gennaio 2005 Il primo me ll'avevo già letto e so già che è molto bello, il secondo...lo leggerò con calma (ho appena scoperto l'esistenza di questo topo)
Manzotin Inviato 20 Febbraio 2005 Segnala Inviato 20 Febbraio 2005 avendo già letto i tuoi altri, non posso che aspettare gudurioso
Wolf Inviato 14 Marzo 2005 Autore Segnala Inviato 14 Marzo 2005 Fin che non rimonto il vecchio pc non lo recupero quel racconto. Ma uno di sti giorni devo farlo, cmq. Intanto ho un ispirazione..vediamo se ne viene fuori qualcosa.. Salve ragazzi. Come va? Anche oggi siamo qua, riuniti. Sapete che voi, piccoli biricchini, mi fate sentire molto vecchio? Ogni due tre sere venite qui, sotto la mia porta, ad aspettare impazienti una storia. Lo faceva anche mio nonno un tempo, quello di raccontarmi storie. Eh vabbè, passa anche per me il tempo. Oggi cosa volete sentire? Come come? Come dite? Parlate uno alla volta, che altrimenti non capisco. Aaahh, ora intendo. Volete una storia vecchia, di cavalieri e regine. Ma sapete che non sono affatto belle? Sono noiose, il cavaliere vince sempre, la regina si innamora di lui e tutti vissero felici e contenti. Uhhmm...insistete, dunque. Vediamo...vediamo..forse ho trovato! Intanto bevo un goccetto di vino, cosi parlo meglio. Eheheh no non posso darne un goccio a te. Va bene, inizio. Aspettate solo un attimo che mi metto bene il cuscino, cosi sto comodo..ecco fatto! Ah, Pietro ringrazia tua nonna che me l'ha fatto cosi morbido. Dunque dunque..come iniziare? Ecco. Avete mai sentito parlare dello Scudiero zoppo? Eh no immagino. Si narra che, in tempi lontani, un Cavaliere Dorato difendesse il popolo e la brava gente da tutti i malintenzionati. Era alto, con un corpo meraviglioso, molto muscoloso. Si forse anche più di tuo padre, Carlo. Vestiva sempre e solo di abiti dorati, tutti luccicanti, perchè voleva che i cattivi lo vedessero da distante. Se li faceva fare da ognuna delle damigelle che salvava, ed erano cosi tante da aver riempito il proprio castello di vestiti. La sua spada era luminosa, anche di notte, e non una singola armatura poteva resistere ai suoi colpi. Girava il reame fiero, e scacciava ladri, predoni e assassini. E puniva anche i bambini cattivi. Un giorno uno ragazzo venne al palazzo, mentre il cavaliere si rifocillava dopo aver salvato l'ennesima fanciulla. Era sui 20-25 anni circa, con i capelli ricci e neri ma robusto. Disse di voler vedere il Cavaliere dorato, famosissimo per la sua abilità e bontà, perchè voleva diventarne lo scudiero. Il Cavaliere Dorato lo accolse al palazzo, ma, desolato, dovette rifiutarlo, quando si accorse che lo scudiero era zoppo sulla gamba destra. Disse che non poteva portarsi dietro uno zoppo, perchè era troppo lento e non abbastanza abile per poterlo aiutare. Il ragazzo se ne andò sconsolato, ma soddisfatto perchè il cavaliere era comunque stato gentile con lui. Ma quando fu fuori del castello udi risuonare la risata del Cavaliere rieccheggiare nelle sale, cristallina e beffarda come poche prima d'ora. Se ne andò allora più infuriato di prima, maledicendo il giovane cavaliere. Aspettate, bimbi, bevo un altro goccetto, che la gola si secca a raccontare. Ecco..riprendo. Dov'eravamo rimasti? Ah si bravi, se nè andato arrabbiato. Si allontanò dal castello, e tornò nella propria umile casa, consapevole che tutti al castello avessero sentito la risata e che d'ora innanzi sarebbe stato deriso dalla città intera. Iniziò a lavorare a lungo su una spada, e battè il metallo a lungo, tenendolo nella propria forgia fuso. La alimentò abbastanza da tenerla accesa per qualche ora, e poi raccolse le proprie cose e le portò a vendere. Riuscì a raccogliere qualche moneta d'oro, vendendo tutti i propri averi, vestiti buoni compresi. Tenne solamente il martello e lo scalpello che gli sarebbero serviti per lavorare la spada. Poi corse alla forgia e sciolse le monete assieme al metallo fuso. Poi pian piano iniziò la lavorazione, e una buona spada dorata prese forma. Sapeva esattamente che forma dargli, e il lavoro proseguì spedito per tutta la notte. Quando il calore smise di scaldare la forgia la spada fu finalmente pronta, e lui la mise nell'acqua per farla raffreddare. Era una splendida spada, quella giusta da donare al Cavaliere. La mattina dopo si recò al castello e aspettò il Cavaliere, che stava partendo per l'ennesima missione, fuori dal cancello. Lo vide giungere, osannato dalla folla, e si spostò in mezzo alla strada, zoppicando affannosamente, con la spada dorata in mano. Era più brutta di quella del cavaliere, ma non dubitava che l'avrebbe accettata perchè nella sua superbia il Cavaliere accettava tutto ciò che era dorato. "Salve mio Cavaliere Dorato. Sono qui a porti questo mio umile dono, come scusa per essermi presentato al tuo cospetto, senza rendermi conto della mia inutilità. Ti prego di accettare questa lama, e di usarla nella tua prossima impresa. Non è pregiata come la tua, ovviamente, ma il suo lavoro dovrebbe farlo. Mi onorerai di questo privilegio?" Il Cavaliere lo osservò a lungo, e poi sorrise. "Caro il mio laborioso ragazzo, accetterei volentieri il tuo dono se non sapessi di privarti di tutti i tuoi averi. Sono stato informato, notte tempo, del tuo laborioso progetto e sono rimasto colpito dalla tua forza di volontà. Non accetterò il tuo dono, ma te lo lascerò per consentirti di mangiare anche domani, e in cambio ti porterò con me in questa impresa, come mio Scudiero personale. Sarai lo Scudiero zoppo, per oggi!" La folla applaudì il ragazzo, che arrossì e si erse fiero sull'unica gamba sana. Fu in breve tempo equipaggiato come conviene ad uno scudiero serio, e seguì il Cavaliere fuori dal villaggio, portando anche la propria spada dorata. Non poteva credere di esserci riuscito! La cavalcata fu lunga, ma verso il primo pomeriggio arrivarono in vista di una strada grande, dove un accampamento di uomini occupava il passaggio tra due grandi alberi. Tutto attorno i campi rocciosi impedivano il passaggio di carri. "Vedi quegli uomini? Sono molti, e si fanno pagare dai mercanti per passare in questo punto obbligato. E quindi da molto tempo arriva pochissima mercanzia al nostro villaggio, e la carestia e penuria di materie prime inizia a farsi sentire. Non può continuare cosi questa storia, ma non so proprio come fare a batterli. Sono troppi, e non ce la posso proprio fare da solo, ma altri Cavalieri disposti ad aiutarmi non ne ho trovati." Il ragazzo osservò il cupo cavaliere, meno lucente in questo quel momento di difficoltà. Poi sorrise, e diede una pacca sull'armatura del cavaliere. "Non preoccuparti, prode cavaliere, risolvo io la situazione con questi malfattori." Detto ciò, sotto lo sguardo alibito del Cavaliere, scese dal proprio mulo e si incamminò, tentennante, verso il gruppo di uomini con la propria spada in mano, e l'eroe non riuscì nemmeno a fermarlo tanto sorpreso era. Li vide da distante, ed erano tanti e cattivi. Ma lo scudiero non si fermò ne scoraggio, e iniziò a strisciare sulle rocce e sui rovi che circodavano l'accampamento. Ben presto si trovò tutto tagliato, con gli abiti straziati e il corpo ricoperto di sangue. La gamba gli doleva terribilmente, per una botta presa contro una roccia sporgente, e a quel punto decise di alzarsi e farsi vedere. I malfattori lo notarono, e impugnarono le armi al vedere la spada dorata nella sua mano. "Chi sei? Che ci fai qua, tutto ferito e armato? Bada bene, per passare bisogna pagare e non pensare di affrontarci, non ce la faresti mai!" Il ragazzo prese un respiro profondo, per darsi coraggio, ed esclamò: "Come osate? Non mi riconoscete? Non vi dice niente l'aspetto della mia spada?" Essi la osservarono, e poi quello che doveva essere il loro capò disse: "Probabilmente sei il famoso Cavaliere dorato, ma non sperare di intimorirci. Sappiamo della tua abilità sconfinata, ma siamo molti e tu a quanto pare sei già molto ferito. Non abbiamo intenzione di cedere!" Lo scudiero capì di essere sulla buona strada. "Infatti, sono proprio il Cavaliere Dorato. Arrivo dalla mia città, oltre le colline. Quest'oggi uno scudiero, con altri tre cavalieri, è giunto misteriosamente nel mio palazzo, dicendo di voler diventare i padroni della città. Io ho riso, sopratutto dello stolto scudiero che era zoppo, e che era venuto ad annunciare la presa di potere dei propri padroni. Fu il mio più grosso errore. Lo scudiero mi sfidò, e mi ridusse in queste condizioni. Nel frattempo tutti i miei uomini, valorosi molto più di voi e che avrebbero saputo sterminarvi in un batter d'occhio, stavano combattendo contro i Tre cavalieri. Erano 20 contro 3, ma nulla hanno potuto. Solo io sono riuscito a scappare, grazie ad un trucco, e lo scudiero ha giurato vendetta e mi sta seguendo con due cavalieri, i più terribili dei Tre. Presto saranno qua. Quello che vi chiedo è solamente di poter passare di qua, per poter sperare di salvarmi dal mio destino terribile." A questo punto lo scudiero poteva leggere negli occhi degli uomini di fronte a se la paura e lo sgomento. Iniziò a dirigersi verso di loro, per passare per la strada, ma quando fu in mezzo a loro il capo lo afferrò per un braccio. "Ho cambiato idea, Cavaliere dei miei stivali. TU resti qua, legato a questo albero, mentre noi ci allontaniamo rapidamente. Quando arriveranno i terribili cavalieri e lo Scudiero zoppo si fermeranno da te, e noi non correremo rischi!" Lo scudiero tentò di scappare, ma presto la sua spada fu conficcata a terra e lui legato saldamente all'albero. Pochi minuti dopo era da solo, con la spada davanti a se, e un sorriso felice sul volto. Non dovette attendere molto l'arrivo del vero Cavaliere dorato che lo liberò eleggendolo a suo scudiero personale. Pochi mesi dopo si parlava a gran voce in tutto il reame del Cavaliere dorato e del suo inseparabile Scudiero zoppo, e di come sconfissero i Tre cavalieri. Beh, piaciuta? Mi pare diversa dal solito..io finisco di bere questo goccetto di vino, e voi intanto andate a casa a dormire, che domani c'è scuola. La navetta levitante passa tra pochi minuti, e vi lascerà nelle vostre case galleggianti. Dormite bene, e pensate, pensate. Boh..che stron*ata, l'ho scritta di getto
Wolf Inviato 15 Marzo 2005 Autore Segnala Inviato 15 Marzo 2005 ghghgh ci devono essere errori a profusione la in mezzo, non l'ho nemmeno riletta e scritta in mezzora circa..dev'essere una cosa abominevole..
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