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La nostra storia - Fantasy 2


Joram Rosebringer

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Principali partecipanti

  • 1 mese dopo...

Beh?

Allora?

Non iniziate?

Dai dai partite che poi vedete che vi divertite...vi do l'incipit

p.s: ah modificate tutti i precedenti post e metteteli in piccolo, cosi è più pulito

Due formiche.

A terra, che camminano, trascinando delle briciole di pane.

La difficoltà è evidente nei loro movimenti, ma le formiche sono infaticabili, si sa.

Continuando nel loro motto arrivano rapidamente ad un pertugio, sotto l'uscio della porta, e scompaiono.

Linas stava li, in quel momento.

Stava osservando le formiche, perso nei suoi pensieri, come sempre. La sua mente, la gente lo sapeva, vagava per lande sconosciute, visitando luoghi ai più inaccessibili.

Pazzo lo chiamavano.

E forse avevano ragione.

O forse no?

Alcuni dicevano che era fortunato, che aveva un dono.

Un colpo di ventò sposto la polvere, e lui sussultò preoccupato che le formiche potessero essersi soffocate.

Poi sorrise, d'istinto, al vederle uscire a prendere l'ennesima briciola da lui lasciata cadere.

Chissà se erano sempre le stesse?

Socchiuse gli occhi, alzò lo sguardo al cielo, e poi li chiuse per qualche istante.

Sospirò e si alzò. La città era deserta quel giorno, e solo una guardia era passata a piedi.

Ma daltronde, con il caldo che regnava, molti preferivano rimanere all'ombra delle proprie case, o andare al fiume a rinfrescarsi.

Non era proprio normale quel caldo, in quel paesello di montagna; era il primo anno che era cosi caldo.

Decise che sarebbe andato anche lui con gli altri.

Entrò in casa, cercò i suoi stivali e li indossò.

Suo padre dormiva, e lui uscì silenziosamente per non svegliarlo e si incamminò verso il fiume.

Dopo dieci minuti arrivò vicino a dove dovevano essere gli altri.

Ma non capiva, c'era qualcosa che non andava. Cercò di ascoltare, di capire cosa ci fosse che non andava. Ma non sentì nulla. Solo lo scorrere placido delle acque, anche se più agitate del solito.

Scrollò le spalle, sorrise e soffiò su un fiore, facendone volare via i petali bianchi in una nevicata estiva sull'erba sottostante.

Poi fece due passi e si fermò di nuovo, immobile.

Aveva finalmente capito cosa c'era che non andava.

Non sentiva nulla.

Ma proprio nulla.

Le voci della gente che doveva essere nel fiume, a lavarsi, non arrivavano.

E anche i suoni degli animali della montagna.

Si accucciò tra l'erba alta.

Per sua fortuna non era molto alto, e sarebbe stato difficile vederlo.

Cominciò a striciare a terra, e arrivò in vista del fiume.

C'erano dieci uomini in piedi. Tutti armati, con i capelli neri e la carnagione più scura della loro.

Tre uomini del villaggio erano poco più in la, con un sorriso tirato sulle labbra e il volto pallido.

Ma il sorriso non era naturale, e anche il pallore era forzato.

Si, la corda che stringeva loro il collo mentre penzolavano dall'albero dava una strana espressione a quei simpatici omaccioni.

Erano Firt, ubriacone del villaggio.

Lusinal, il fabbro con le braccia robuste e pelose.

E infine Stund, il figlio di Lusinal e della Sanna, morta qualche anno prima di malattia.

Poco più in la a terra c'era una donna, la Filana, con la gola aperta, macchiata di un sorriso rosso sangue, e le sottovesti alzate.

E poi la vide.

Sua cugina Batrea era contro un albero, con le braccia legate dietro di esso e tenute da un uomo, e i piedi tenuti larchi da due corde che si univano dietro allo stesso albero.

Sembrava che gli uomini armati stessero ridendo, ma i suoni erano coperti dal suono del fiume.

Questo era ostruito da un albero abbattuto, e faceva molto più rumore del solito.

La Batrea era nuda, completamente, e un uomo nudo dalla cintola in giù si stava avvicinando ridendo malvagiamente.

Lei si contorceva e piangeva, era evidente, ma non poteva niente contro la stretta delle corde.

Poi l'uomo la afferrò per un seno, con la mano destra, e per un fianco con la sinistra, e cominciò lo strupro.

Ora la sentiva gemere, piangengo e tentando di liberarsi dal bavaglio. Tentò anche qualche testata all'indirizzo dell'uomo, ma era troppo debole.

Era sempre stata tenace, quella ragazza.

Ma anche bella. Troppo bella a volte.

Il Fiore Coriaceo, la chiamavano.

Linas non riusciva a muoversi; stava li ad osservare, con le lacrime che scendevano lungo le guance, mentre la cugina cominciava a cedere alla fatica e a penzolare sulle corde. Un altro uomo si stava avvicinando.

Si acquattò ancora di più a terra, piangendo, Linas.

Poi un qualcosa di freddo e fino, si appoggiò alla sua gola.

"Hai finito di spiarci!"

Disse una voce roca e bassa.

Poi l'erba si tinse si rosso, e pochi suoni strozzati uscirono dalla sua gola, mentre rapidamente si spegneva.

Durò poco, è vero, ma Linas ebbe il tempo di sfruttare il proprio dono.

Rivide le formiche, con la loro briciola, e il loro lavoro imperterrito.

Si inoltrò con loro nel pertugio sotto la porta, e trovò una vallata. Una vallata immensa di formiche laboriosa e felici, sotto ad un piccolo sole battente.

Si inoltrò in essa a grandi falcate.

Che bene si stava li.

Era caldo.

Caldo. Si sentiva anche le mani calde.

Le guardò, sorpreso dalla sensazione, e sussultò.

Erano rosse di sangue.

Urlò, di terrore.

Urlò a lungo, ma nessun suono usciva dalla sua gola.

Cadde a terra con gli occhi chiusi, e quando li riaprì era su un grande prato.

Un enorme prato.

E la memoria era svanita.

Era un bianco fiore, e un colpo di vento faceva nevicare i suoi petali sul terreno sottostante.

ecco..da qua dovreste poter andare avanti, in qualche modo ;)

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Non sapeva dire da quanti giorni aveva lasciato il Sarelo Lothe, quel villaggio che lo aveva ospitato per qualche tempo, dandogli il solito temporaneo rifugio dal quale sarebbe dovuto fuggire per non mettere in pericolo di vita le persone alle quali teneva.

E così la sua forbice diede un altro taglio netto ad un’altra parte della sua vita, portandolo lontano da lì e da quella gente che aveva imparato ad apprezzare, gettandosi di nuovo nel ruolo del fuggitivo. Ma da chi fuggiva però, ancora non lo sapeva. C’era sempre qualcuno che lo voleva uccidere, delirando sulla rovina del mondo. Qualche volta erano semplici attaccabrighe, altre rispettabilissimi paladini che sembravano quasi tristi di doverlo fare.

E poi c’era sempre quel cavaliere nero, quell’uomo che riusciva a trovarlo ovunque andasse, combattendolo e lasciandolo ogni volta immerso nel suo sangue, in fin di vita… ma senza ucciderlo. Era lo stesso che aveva ucciso la sua Gwendolyne, il suo primo amore. Eppure nonostante fosse accecato dalla sua sete di vendetta, verso di lui provava solo una rispettosa paura. Quel cavaliere era più forte, non c’era nulla da fare.

Ed in più aveva ancora addosso la maledizione che gli aveva inflitto quel pugnale incantato, lasciandogli una ferita al petto che si apriva ogni giorno e che lo avrebbe ucciso se non l’avesse curata ogni volta con delle erbe speciali che lui rubava ai negozi che rifornivano i templi dell’Ordine del Fuoco Fatuo. Ricorda ancora quel chierico e quei paladini che, entrati in casa sua subito dopo la morte di Gwen ed il suo ferimento, lo hanno invitato a fuggire, indicandogli come e dove curare la sua ferita.

Si toccò il petto, fermandosi un attimo accanto ad un albero del bosco. Sbottonò la parte superiore della camicia e vide quell’orrenda cicatrice proprio all’altezza del cuore. Era ancora verdognola per via delle erbe, ma sapeva che tra qualche ora si sarebbe riaperta. Prese lo zaino e lo aprì, controllando le razioni di erbe che gli erano rimaste e stando attento a non rovinare i tre contenitori delle rose. Ancora cinque o sei applicazioni, corrispondenti ad altrettanti giorni di vita. Doveva raggiungere quel villaggio di cui vedeva i comignoli fumanti o la sua sarebbe stata una fuga breve.

Camminò per qualche minuto, seguendo il rumore sommesso di un fiume. Sapeva che oltre di esso vi era il villaggio che cercava. Ancora non aveva deciso se fermarsi in quel posto, iniziando di nuovo una parvenza di vita, o continuare a fuggire, mettendo più strada possibile tra il suo passato e quel futuro incerto che vedeva innanzi a sé. Per il momento sapeva solo di dover prendere una stanza in paese, lasciar passere due giorni e poi infiltrarsi di notte nell’erboristeria che riforniva i templi dell’Ordine del Fuoco Fatuo per rubare quelle erbe che per lui erano la vita.

Stava pensando proprio a che tipo di accoglienza sarebbe andato incontro, quando sentì delle urla femminili provenire da poco oltre il fiume. Si chinò istintivamente, un gesto che gli aveva salvato molte volte la vita. Da dietro il cespuglio guardò in direzione dell’urlo. E quello che vide gli gelò il sangue nelle vene, facendogli salire una rabbia troppo a lungo repressa.

Stavano violentando una giovane donna, legata ad un albero. Intorno vi erano corpi impiccati e più in là un altro a cui era stata tagliata la gola. Poteva vedere la chiazza rossa sotto la sua testa.

Respirò profondamente, attingendo alla sua esperienza per calmarsi e ragionare su cosa doveva fare senza rischiare la vita, mentre un angolo della sua mente imprecava contro la sorte che gli aveva tolto la possibilità di un arrivo tranquillo al villaggio.

Contò gli uomini. Erano dieci. Nove raggruppati vicino alla povera donna che urlava. Uno invece stava tornando verso di loro, pulendo il coltello dal sangue dell’uomo appena sgozzato.

Tirò fuori l’arco e incoccò una freccia, controllando che la faretra magica funzionasse e gliene rifornisse un altra al momento del bisogno. Era sempre stato un eccellente tiratore, pur preferendo la spada. Ora era il momento di dimostrarlo.

La punta della freccia trapassò il collo dell’uomo isolato, facendolo cadere a terra senza un rantolo. Gli altri non si accorsero di nulla, impegnati a proseguire il loro gioco perverso. Studiò rapidamente la loro posizione e cominciò a tirare, colpendoli in modo che gli altri, girati verso quella macabra scena di violenza, non si accorgessero del compagno caduto. Ma sapeva che sarebbe durato poco.

Ne fece fuori tre, poi gli altri si accorsero della morte dei loro compagni. Si girarono in tempo per vederne cadere altri due, le frecce conficcate nel collo.

Ne rimanevano quattro.

Uscendo dalla copertura del cespuglio, mise l’arco dietro le spalle ed estrasse la spada, iniziando a guadare il fiume lentamente, in un chiaro accenno di sfida verso i superstiti. Quelli si limitarono a sorridere ed a sfoderare le loro armi, incuranti delle urla della ragazza e della morte dei compagni. Che razza di gente era? Non avevano un briciolo di umanità?

La cosa lo fece arrabbiare ancora di più. Si lanciò correndo verso di loro, la spada alzata come un enorme falce mortale che rifletteva il sole. Per un attimo quegli uomini rimasero sbigottiti nel vedere la bellezza dell’arma. Poi caricarono a loro volta.

E fu l’ultima cosa che fecero.

Batrea aprì gli occhi nel sentire le corde che venivano allentate. Guardò davanti a sé, la vista appannata dalle lacrime. Una mano la toccò sul viso, cercando di asciugare quel salato segno del dolore. Cercò di divincolarsi, ma alla fine era troppo stanca per poterlo fare. Appena furono sciolti tutti i lacci, si sentì cadere a terra, ma delle braccia forti la sorressero, posandola delicatamente sul tronco. Con gli occhi cercò di mettere a fuoco quella figura indistinta che aveva ucciso i suoi stupratori. Vide la barba di tre giorni incolta e i capelli lunghi e castani che gli arrivavano alle spalle, spettinati e disordinati, i quali incorniciavano un viso, che pur se era chiaramente giovane, sembrava molto più vecchio. Fissò per un lungo attimo quegli occhi marroni e verdi così profondi e vi lesse pietà e dolore, mentre quella bocca dalle labbra sottili le sussurrava dolci parole di conforto. Non sapeva che fare, ma alla fine si lasciò andare in un pianto liberatorio, abbracciando lo sconosciuto.

Pianse tutte le lacrime che aveva in corpo, smettendo solo quando si accorse che stava per svenire. Allora si sciolse dall’abbraccio, sussurrando un “grazie” appena percettibile sopra i singhiozzi. Si asciugò di nuovo gli occhi e disse la prima cosa che le venne in mente: «Chi siete?» Solo in quel momento un soffio di vento scostò i capelli del ragazzo che aveva di fronte, rivelando due orecchie leggermente appuntite. «Siete un… elfo? Eppure non dovreste… avere… la barba…» Non capiva come le venissero in mente certe parole.

Lui la guardò con un sorriso dolcissimo e fece un leggero inchino con la testa: «Sono un mezz’elfo, mia signora. Il mio nome è Joram, detto il Rosebringer.»

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L'idea sarebbe meravigliosa, ma io vi propongo un'altra cosa: occupiamoci della Nostra Storia originale e finiamola. Poi contattiamo quelli della DL e vediamo cosa si può fare (pubblicare, mettere sul sito etc...). Quindi riiniziamo qui, dando modo agli ultimi arrivati di potersi inserire... Che ne dite? Io ho già il mio zigar Strikeiron pronto ad intervenire qui....però mi sembra un peccato iniziare più storie contemporaneamente per dopo non finirne nessuna.

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L'idea sarebbe meravigliosa, ma io vi propongo un'altra cosa: occupiamoci della Nostra Storia originale e finiamola. Poi contattiamo quelli della DL e vediamo cosa si può fare (pubblicare, mettere sul sito etc...). Quindi riiniziamo qui, dando modo agli ultimi arrivati di potersi inserire... Che ne dite? Io ho già il mio zigar Strikeiron pronto ad intervenire qui....però mi sembra un peccato iniziare più storie contemporaneamente per dopo non finirne nessuna.

Diciamo che questa la facciamo a tempo libero, quando non abbiamo idee sulle altre, ma magari abbiamo voglia di scrivere.

La concentrazione (perlomeno la mia) rimarrà sull'altra.

Inoltre, a proposito della pubblicazione, posto un messaggio sotto "La nostra storia - supporto hardware".

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si anche io questa la ignoro, faccio solo da spettatore..è che mi sembrava brutto vedere il topic fermo li cosi, e l'ho lanciato..per gli user che partecipano anche all'altra sarebbe carino finirla prima, e nn perdersi su questa magari, ma visto che quelli che proponevano di fare questa sono diversi dall'altra (joram a parte) credo si possano fare entrambe per ora..poi si vedrà...cmq io sto sull'altra ;)

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12 floreale 671 - CXII giorno dalla mia partenza

ora terza dopo l'alba, tempo soleggiato e caldo

Mi sono definitivamente perso in questo posto. Non ho problemi di cibo o acqua, ma trovare la strada in questa boscaglia mi è particolarmente difficile. Kaok ha bisogno di una strada quanto me.

Non mi piacciono le colline e le foreste. Sanno di frecce e sangue. Ho perso troppi buoni amici in imboscate e trappole subite tra foreste e colline per apprezzarne la bellezza. La loro purezza per me è un peso opprimente. Vedo orchetti dietro ogni curva del sentiero.

Il paladino chiuse il suo diario e lo ripose nella biscaccia della sella, a fianco delle borse del cibo. Dopo due giorni di pioggia incessante che aveva fatto perdere la strada a lui e al fido Kaok, la mattina precedente era spuntato il sole e il caldo umido si sentiva sempre di più, tanto che a dispetto del codice Cuwainin si era tolto elmo e gran parte della corazza, restando con la sola cotta di maglia e schinieri sopra le vesti eleganti che portava. I capelli ricci e la barba rossiccia ben curata, che da ragazzo gli era valsa il nomignolo di Rustbeard, era bagnata di sudore.

Come per un ripensamento, Cuwainin riprese il suo diario

stesso giorno, stessa ora

Stanotte il sogno è tornato. E io come al solito ho ceduto. Temo per la mia rettitudine, e temo per ciò che può succedere ad Illiana.

Il sogno lo tormentava da mesi. Dopo cento giorni lontanbo dalla sua fedele moglie, lasciata in città incinta del loro primo figlio, le pulsioni sessuali tipiche di un uomo si erano fatte sentire nel paladino, ma in un modo quanto mai inquietante. Erano ormai settimane che periodicamente gli appariva in sogno un demone, sotto forma di una donna dalle bellissime forme, che con la sua lingua di fiamma lo invitava in una empia e spregevole orgia promisqua...e il paladino la seguiva...

Era un sogno angosciante che lo faceva sentire colpevole e anche infedele nei confronti della moglie, del padre e della madre.

I suoi genitori avevano accolto benissimo la sua decisione di entrare nell'ordine dei cavalieri paladini. Suo padre, figlio cadetto di un'importante famiglia nobiliare, era stato educato alle armi ed era diventato la guardia del corpo della figlia erede di un duca. Cuwainin era stato educato alla guerra ma anche alla fede, ed era diventato un paladino.

Ripose ancora il diario e raccolse la sua armatura, sbuffando nel rimettersela addosso, e soffrendo nell'allacciarsi la cinta sulla coscia destra, la coscia ferita che lo faceva zoppicare come un reduce di guerra a soli trentotto anni.

Ah, i maledetti elfi! Deboli, deboli, ad Hankaler avevano ceduto sul lato sinistro permettendo agli orchi di sfondare al centro, impegnando il Corpo Scelto dei paladini ad una strenua battaglia per far reggere lo schieramento dell'Alleanza. Cuwainin ricordava ancora il dolore della lancia d'osso che aveva distrutto il gambale della corazza e con esso il suo femore destro, in modo tale che neppure il chierico più abile era stato in grado di saldare il tessuto muscolare come era prima.

Zoppicando, si avvicinò al fido destiero Kaok, un superbo cavallo nero, enorme e addestrato alla perfezione; al fianco il cavallo portava la faretra dei giavellotti: l'arte di lanciare queste armi era stata portata dal padre di Cuwainin a livelli eccellenti, ed il figlio aveva appreso l'arte dal migliore dei maestri; poi il paladino imbracciò lo scudo araldico, recante l'incisione del suo stemma di famiglia, una stella a sedici punte circondante una A. Alla cintura aveva legato la sua mazza ferrata compagna di mille scontri. Tenendo Kaok per le redini, riprese la sua estenuante marcia nel sottobosco.

Arrivò finalmente ad uno spiazzo, e la seguente vista del villaggio lo rincuorò come non mai. Salì a cavallo, esausto ma felice, e cercò l'entrata del borgo, ma la vista che si parò ai suoi occhi quando svoltò dietro le abitazioni era raccapricciante. Vi erano tre impiccati e almeno otto altri cadaveri stesi a terra, con rosse ferite di spada o con frecce nel corpo, abbandonati in pose grottesche di morte. Poco distante vi erano un uomo e una donna nuda, e l'uomo aveva un arco a tracolla e una spada insagnuinata al fianco. Cuwainin capì di non avere un attimo da perdere: impennò il cavallo e contemporaneamente lanciò con superba precisione un giavellotto che andò a conficcarsi a un palmo dalla testa dell'assassino. Un avvertiemnto, un paladino non uccide a sangue freddo, neppure se la vittima è un delinquente spregevole. Cavalcò quindi con furia verso i due, l'assassino e la probabile ultima vittima di lui. L'uomo si girò sguainando la spada verso il cavaliere accorrente, e Cuwainin vide alla perfezione la nudità della donna, e la sua mente ritornò per un attimo ai suoi sogni terribili.

Poi si accorse che colui che aveva davanti era un mezzelfo, un figlio dei traditori della battaglia di Hankaler...

Cuwainin approfittò dell'apparente esitazione ad attaccare dell'avversario, e gli puntò un altro giavellotto alla gola.

<<Fermo, ignobile cialtrone! Lascia subito quella tua arma sporca di sangue innocente!>>

Scese con un balzo da cavallo, sempre minacciando con il giavellotto il mezz'elfo. Questi tentò di parlare.

<<Cosa hai da dire, assassino? Non hai ucciso tu queste persone? Parla, se vuoi, e sii sincero! Capirò di certo se menti.>> Pregò i suoi dei di rendere cristallina alla sua percezione l'anima (di certo nera) di quell'uomo. All'improvviso sentì di poter interpretare ogni segno della faccia dell'altro, ogni sua minima inflessione di voce.

Allora ciò che vide fu il mezz'elfo abbassare la lama con calma e iniziare con un profondo sospiro il suo discorso...

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Joram si mise istintivamente davanti alla ragazza, alla quale aveva dato il suo mantello come coperta improvvisata. Le vedeva ancora tremare e udiva i suoi singhiozzi. Anche lui avrebbe pianto per lei, se solo avesse avuto ancora delle lacrime da versare.

Guardò il paladino che era sceso da cavallo, pronto ad una sua reazione, ad un suo attacco. Non erano pochi i paladini che lo avevano assalito senza motivo, nonostante lui non ricordi di aver mai fatto del male a nessuno.

«Mi chiamo Joram... e non sono io l'assassino. L'opera barbara che invece vedete su quell'albero e...» Indicò la ragazza dietro di lui, deglutendo. «... qui dietro è stata compiuta da quegli uomini che potete vedere trafitti dalle frecce e dalla mia spada.»

Non era la prima volta che veniva accusato di qualcosa che non aveva commesso. Solo che sperava che almeno stavolta non ci fosse uno scontro a seguire le sue dichiarazioni. Se quel paladino non era lì per ucciderlo, come tanti altri, allora avrebbe percepito che stava dicendo la verità. Altrimenti... avrebbe dovuto combattere di nuovo. «Questa ragazza è stata violentata, signore. sarebbe opportuno riportarla al villaggio e dare la triste notizia di questo massacro ai suoi abitanti ignari.» Guardò l'uomo davanti a sé, in attesa di una risposta.

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Una profonda malinconia copriva tutte le emozioni del mezz'elfo. Nonostante il suo incantesimo, Cuwainin ebbe delle difficoltà a percepire la veridictà delle sue affermazioni, poichè sembrava che all'altro non importasse dimostrarlo, che volesse dimenticare il mondo e restare con la sua tristezza d'animo, la sua rassegnazione. Questa estrema solitudine morale sconvolse il paladino che per un attimo dimenticò la tragedia intorno a sè.

Poi una voce sussurrò alla sua anima che la sua prima impressione era sbagliata, e che il mezz'elfo aveva davvero detto la verità. Cuwainin piantò con forza il giavellotto nel terreno e con una smorfia parzialemnte celata dall'elmo tese la mano all'altro, dopo essersi tolto il pesante paramano d'acciaio.

<<Ti devo le mie scuse, mezz'elfo. Hai compiuto un atto di giustizia sommaria che seppur dettato dall'urgenza, è degno di biasimo, ma io stavo per cadere nel tuo stesso errore e di ciò sono colpevole.>>

Con una stretta rapida e stanca avvenne il chiariemento tra i due.

Poi il paladino drappeggiò meglio il mantello del mezz'elfo sulle spalle della giovane, tentando di allontanare dalla mente il suo demone impuro richiamato dalle provocanti nudità della ragazza. <<Venga, mia giovine, si appoggi a me. Tutto è finito, è stata salvata. La porteremo al villaggio e chiariremo questa orribile vicenda. Non resterà certo impunita, questa violenza...>>

Si interruppe quando vide che la ragazza non lo ascoltava...guardava fisso davanti a sè, gli occhi celesti erano frammenti di stella, luminosi ma privi di calore, eppur bellissimi. La ragazza riviveva lo shock, evidentemente, e seguiva di tanto in tanto con lo sguardo il profilo del suo salvatore, il mezz'elfo.

Mentre sorreggeva la giovane verso le prime case del villaggio, Cuwainin si pentì di chiesto al suo dio di aprire l'anima del mezz'elfo alla sua percezione...quella profonda malinconia velava tutto quanto, non si capiva se era una maschera o autenticità. Al mezz'elfo pareva importare poco dell'opinione altrui.

Magari Cuwainin aveva sbagliato tutto nel giudicarlo per la seconda volta in pochi minuti.

Una volontà addestrata da anni scacciò quelle congetture dalla sua mente, riportando la concentrazione sul bisogno di giustizia che richiedeva lo scempio che si stava lasciando alle spalle. Con un fischio modulato richiamò Kaok, e usando tutte le attenzioni che gli erano possibili, fece salire la giovane scioccata. Reggendo le redini del suo fido compagno, entrò nel villaggio al fianco del mezz'elfo.

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