shadenight123 Inviata 13 Giugno 2009 Segnala Inviata 13 Giugno 2009 Questo è un racconto che sto facendo quando "mi viene l'ispirazione", il che vuol dire che da un capitolo all'altro possono passare ore, oppure secoli (<.<). Al momento consta di Tre Capitoli, che vado a mostrarvi: Capitolo 1: "Colui che impugna" il fuoco crepitava nel camino, mentre fuori dalla finestra del castello riuscivo a scorgere gli alberi piegare le loro chiome al vento. Al crepitio della legna che si spaccava, si aggiungeva il triste ululato del vento. Un suono giunse alle mie orecchie: un tintinnio di campanella. Fu un attimo, e poi pensai che fosse illusione, dovuta alla stanchezza. Mi ritirai sotto alle coperte del mio letto a baldacchino, e tirai le tende, per fermare gli spifferi. Chiusi gli occhi, concentrandomi sul crepitare del camino, e sul suono del vento. Sentii ancora tintinnare, questa volta più forte, più vicino: di scatto mi levai e aprii la tenda alla mia sinistra. Non c'era niente nella mia stanza, se non i quadri dei miei antenati che mi fissavano solerti. Non c'era niente. La porta era chiusa, con il pesante catenaccio al suo posto. la finestra aperta, e le tende che svolazzavano verso l'esterno. Un illusione. Sospirai e richiusi la tenda. Tornai sotto le coperte, ma non ripresi sonno subito. Guardai le tende del mio letto, che riflettevano le lunghe ombre della stanza: l'ombra della sedia, l'ombra del tavolo, l'ombra dell'attaccapanni, l'ombra del... C'era un ombra di troppo! Aprii di scatto la tenda, giusto per vedere che la quarta ombra, era quella dell'attizzatoio, che mi ero dimenticato di rimettere a posto. Sospirai di nuovo, non c'era nulla che non andasse quella sera. Richiusi la tenda, colto da un freddo spiffero. Questa volta feci cadere la testa sul cuscino, e sospirai un'ultima volta: non c'era niente che non andava. Ripetendo ciò richiusi gli occhi. Questa volta, il suono della campanella era forte e vicinissimo, era nella mia stanza! Aprii di scatto gli occhi, il respiro mi si bloccò in gola, saltai fuori dal letto facendo svolazzare le tende urlando "Chi va là con la sua dannata campana!? Chi va là!?". Nessuno rispose al mio urlo. La mia camera era lontana da quella della servitù. Non c'era nessuno, non vidi nessuno. La porta era sempre chiusa con il suo catenaccio, il fuoco crepitava sempre, la finestra era sempre aperta. Le tende...erano squarciate. Sgranai gli occhi, e controllai, si erano squarciate! Non era lavoro umano quello, sembrava che fossero state squarciate da lunghi artigli, e potevo distintamente vedere una sagoma che si andava a distendere sotto alle mie coperte. La vedevo. Era chiaramente lì. Una sinistra gobba mi aspettava in agguato, ma non avrei fatto il suo gioco, no. Presi l'attizzatoio dal camino, sempre tenendo d'occhio la collinetta tra le coperte. Maledetta bestia, ne avrei avuto ragione, maledetto demonio, avrei avuto le sue corna! Mi avvicinai di nuovo al letto, e sollevando l'attizzatoio, scostai le tende, lentamente, senza fare rumore, poi lo feci calare bruscamente. Sentii il grido soffocato della bestia, ma non mi fermai. Continuando ad urlare la colpii, più e più volte, continuai incessantemente, non mi fermai fin quando non vidi le lenzuola macchiarsi di rosso purpureo. Fu allora che fattomi coraggio sollevai le coperte e le scostai. Enorme fu il mio orrore: davanti a me giaceva morta Catherine. "Catherine, per...chè?" dissi a me stesso, mentre lasciavo la presa sull'attizzatoio, e le afferravo la testa, i biondi capelli raccolti, ora erano un indistinto grumo rosso e viola di sangue e cervella. Piansi ed urlai così forte, che la servitù accorse, pur sorda al mio primo grido, non risposi. Colti dalla paura, sfondarono la porta entrando, e mi trovarono mentre reggevo il corpo senza vita di mia sorella, piangente. Mi tolsero Catherine dalle mani, mentre io ancora piangevo, e mi fecero sedere sulla sedia, "mio signore, calmatevi, vi prego" non volevo sentire nessuno, nessuno! Sentii allora il suono della campanella, più forte di prima, e finalmente ne vidi la fonte: lo stesso regalo che avevo fatto a mia sorella per il suo compleanno, era stato l'artefice di questa sventura! Un fiocco per capelli, con una piccola campanellina d'argento, cadde per terra emettendo l'odioso suono. "Il fiocco" mormorai, il servo vicino a me capii, e me lo portò. Lo presi, e ancora sconvolto mi sollevai e mi slanciai verso la finestra, dopodichè lo scagliai lontano urlando "SPARISCI DALLA MIA VISTA; MALEDETTE SIANO LE CAMPANE E I FIOCCHI!" poi non ricordo più niente. Più tardi quando rinvenni, ero in un altra stanza, quella di solito riservata agli ospiti di alto rango, avevo una spada tra le mani, ancora nel suo fodero. "Non ti sembra strano?" fece una voce, nell'angolo buio della stanza. "Chi siete voi? Cosa ci faccio qui? Catherine, dov'è mia sorella Catherine?!" chiesi spaventato, "Smettila di frignare e ascoltami idiota, non hai molto tempo." "Idiota a me?! io sono il figlio di un principe elettore! Come osate voi..:" "non più." "come?" "non più, siete stato diseredato" "come è possibile...no, parlerò a mio padre, lui sicuramente capirà che è stato il demonio a..." "Anche vostro padre ha ipotizzato il demonio, ma è stato smentito. Vostra sorella è entrata in camera vostra passando dal passaggio segreto, voi l'avete colpita squarciando le tende con l'attizzatoio, sapendo che era lei. Non potevate forse tollerarne lo sguardo?" "no! è tutto sbagliato, io non...le tende erano già squarciate! e poi quel suono di campana! Non c'è nessun passaggio segreto in camera mia! L'avrei di sicuro trovato!" "stammi bene a sentire" disse la voce, avvicinandosi a me, ora lo potevo vedere, il suo volto era magro, scarno, quasi cadaverico, i suoi occhi risplendevano nel buio come torce, "Non è stata opera demoniaca, è stata opera vostra, non è stata opera demoniaca, è stata opera vostra, mi avete capito bene?" "NO! Non è stata opera mia!" risposi piangendo e prendendomi la testa tra le mani, "NO! NO! è una menzogna!" "è stata opera vostra, è stata opera vostra, ora ricordate?" disse il volto, e mi ritornò alla mente, un ricordo, strano, nebuloso, in cui vedevo mia sorella entrare in camera mia, passando dal passaggio segreto, dietro al dipinto del mio antenato, entrare sorridente nel mio letto perchè aveva paura di dormire da sola di notte, chiudere le tende aspettandomi. Mi vidi prendere l'attizzatoio, mi vidi alzarlo attraverso le tende integre, vidi..."NOOOOOOOOOO" "Si. è stata tutta opera tua. Io non c'entro nulla ragazzo" disse il volto, perchè solo allora mi accorsi, che c'era solo un volto umano davanti a me, senza corpo alcuno. "AHHHHHHHHHHH" urlai, ritirandomi il più possibile sul capezzale del letto. "Finiscila idiota, non hai tempo" "Sei stato tu, sei stato tu a..." "NO, ma se insisti a non darmi ragione, ti ritroverai morto molto prima" "cosa...vuoi dire? del demonio non c'è da fidarsi!" "infatti. Del demonio no, di me sì" "Tu...non sei il demonio?" "Si, cioè no, cioè IO sono UN demonio, non quello che ti ha ingannato ad uccidere tua sorella, ma pur sempre un demonio" "Come ingannato, mi avete mostrato..." "Si, ti ho mostrato cosa è realmente successo. Sei stato convinto con le arti ingannatrici a sognare ad occhi aperti, e ti è stata cancellata una parte di memoria, per poter passare come posseduto, e così ucciderti. Ora, per l'amor di Lucifero, ti degni di darti una mossa? Esci di qua, in fretta, e raggiungi la città di Thyorm" "Cosa? no, devo parlare a mio..." "NO. LUI è quello che ha pagato per farti ciò!" "Come? perchè?" "mai chiesto chi fosse la donna che da un po' di tempo vagava per le stanze del castello? Quella coi capelli rossi? BENE! Ora hai una risposta: la futura sposa di tuo padre!" "Non ti credo! mio padre è fedele alla memoria di mia madre!" gli dissi urlando, e serrando d'istinto il fodero della spada. Il fodero bruciò e urlando lo lasciai andare. "Un oggetto maledetto!?" "NO. una lama nera non può che risiedere dentro ad una fodera bianca" scattò il volto, la sua espressione sembrava stanca. Quasi sfinita. "Non ho più tempo, quindi ascolta, e po fa quello che ti pare. Quella lama fenderà qualsiasi cosa durante la notte, e bloccherà qualsiasi cosa durante il giorno. La fodera rivelerà qualsiasi menzogna col fuoco di notte, e svelerà qualsiasi verità con l'acqua di giorno. Qualsiasi cosa accada, non separartene. Sono il mio unico mezzo di comunicazione con te. Fuggi da questo castello..." oramai del volto del demone non restava altro che la bocca. "e domani notte, se sarai ancora vivo e in possesso della spada, ti spiegherò altro" poi anche la bocca scomparve, mentre il primo debole raggio di sole faceva il suo teatrale ingresso attraverso le vetrate colorate. Rivelando un disegno elaborato sul fodero, di un angelo armato di una spada nera, che combatteva ferocemente contro un diavolo, armato di una spada bianca. Sullo sfondo, un volto metà nero e metà bianco osservava la scena, con un lieve sorriso. Sfoderai la spada, era leggera, a dispetto delle apparenze, fu solo per un attimo, ma vidi chiaramente, che la lama era nera, e che non rifletteva assolutamente la luce, ma sembrava assorbirla. Quando bussarono alla porta, rimisi in fretta la spada nel suo fodero, e scesi dal letto, per scoprire di avere ambo i piedi incantenati. Così rimasi, in attesa del mio fato... Capitolo 2: "Il libraio" "The Moving Finger writes; and, having writ, Moves on: nor all your Piety nor Wit Shall lure it back to cancel half a Line, Nor all your Tears wash out a Word of it" Venni interrotto dalla mia lettura del Liber Divinus da un colpo di tosse. Mi voltai, giusto in tempo per vedere un angelo alla porta. Ora, so che può sembrare folle dire di vedere un angelo, o una creatura soprannaturale, ma garantisco sulla tomba di mio nonno che quello era un angelo. Ci misi un po' a riprendermi dallo stupore, ed in effetti, a momenti caddi dallo sgabello sul quale ero seduto, che si trovava dietro al bancone, per inciso. "é lei la persona conosciuta come il Libraio?" fece, timidamente e con una voce che non ci si sarebbe aspettati da siffatta corporatura robusta. Per un attimo fui tentato di dire di no, anche perchè immischiarsi di cose estranee al regno mortale non è mai piacevole, soprattutto per gli umani in generale. Non risposi però, ero come imbambolato, se si poteva dire il termine. Meccanicamente, risposi: "Si, sono io, desidera?". Ciò mi condannò a percorrere strade desolate e cammini tortuosi. Se ora mi pento di tale scelta? Per niente. Se allora me ne pentii? Certo che sì! L'angelo entrò infine nella biblioteca, piegando le sue ali, erano quattro, potrei giurarlo, e quindi ciò lo doveva classificare come un Arcangelo. La sua voce melodiosa mi colpì di nuovo, sembrava stesse parlando nemmeno a me, ma alla mia anima direttamente, tanto era soave e dolce! Fu così che sentii per la prima volta pronunciare il suo nome: "Friederick de Sonne, vorrei che mi diceste tutto quello che sapete su di lui". Rimasi lievemente sconcertato, quello era un nome che non conoscevo. Timidamente, intimorito dal poter offendere tale cliente, dissi:"Mi spiace, oh sublime angelo! Ma non lo conosco bene, ma forse l'indice dei libri, potrà darci la soluzione!" Poi mi mossi agile come mai avevo fatto prima, eppure delle volte venivano fior di signori e di nobili, coi loro paggetti, ad arricciare il naso, ma sentivo che questo cliente era meglio non deluderlo. Raggiunsi infine l'indice e lo aprii, eccolo, c'era un libro solo che conteneva tale nome, "Sonetti in versi" autore: Friederick de Sonne. "Mio signore, l'ho trovato!" esclamai gioioso, ero stato bravo, ma non avevo ancora finito. Senza aspettare risposta andai a prendere tale libro, immediatamente, e lo portai con somma gioia al mio signore e padrone. "Eccoglielo! L'ho trovato!" L'arcangelo lo aprì, e lesse ad alta voce: "Non dovrem combattere il male, chiamandoci buoni, ma contro gli assoluti del volgo ferale, dovremmo levar la spada, che bruciano giusti per la contrada, spacciandoli per streghe e diavoli. Il male riposa, il bene svanisce, rimane una nera rosa, che via via, appasisce" Quando finì io ero in lacrime. Lui, svanito. Appena svanì la libreria divenne brutta, umida, tersa, odiosa, insopportabile alla vista, e all'olfatto, un puzzo tremendo aleggiava nell'aria, ed io iniziai a mordermi le mani. Non potevo lasciar perdere. Dovevo ritrovarlo. Non potevo più restare in quell'odioso luogo, a fare quell'odioso lavoro. Varcai la soglia del mio negozio senza pensarci due volte. Saltai giù nel rigagnolo delle acque di scolo, che scorreva proprio sotto al gradino del mio negozio. Non ci feci nemmeno caso, e corsi via, lasciando il negozio in balia di chi lo volesse. Non ragionavo nemmeno più. Semplicemente mi mossi, e senza nemmeno sapere cosa fare o dove andare, lasciai la città. Morii tre giorni dopo, di fame e di stenti, e mi ritrovai davanti di nuovo l'arcangelo. Nella radura in cui ero morto, da spirito, guardai il mio corpo che lentamente si decomponeva, mentre egli mi veniva vicino. "Ti va di venire con me?" chiese lui, la sua voce non mi sembrava più così tanto melodiosa, e il suo viso...anche la sua corporatura era diventata più minuta, ma io comunque annuì. Lo seguii, per molti anni, decadi e secoli. Lo seguii fin quando guardandomi in uno specchio di acqua gelida mi accorsi di una cosa...lui non ne veniva riflesso. Io si. Eppure ero morto. Avevo visto il mio corpo decomporsi. Forse che gli angeli godono di tale privilegio che gli spiriti dei defunti non hanno? Ma era un privilegio, o solo una cosa strana? Rimasi pensieroso, ma più passava il tempo, più la figura davanti a me diventava sempre più brutta ai miei occhi. Sicchè una sera, calato il sole, decisi di confrontarlo: "Voi non assomigliate più all'angelo che eravate quando giungeste alla mia porta! Ed io sono certo di non ingannarmi quando ritengo che voi non siate un angelo affatto!" lui si voltò, il suo volto era ora ricoperto di pustole, occhi rossi dardeggiavano in cavità vuote, i capelli gli caddero d'un colpo, e lunghi denti da fiera gli crebbero. Artigli invece che unghie, ali scheletriche, invece che piume bianche, non più magro, ma marcescente! Rise, di gusto rise. Poi mi si avventò contro. E allora venni salvato. Egli era un ragazzo, avrà avuto forse una dozzina e mezza d'anni, mi guardò e poi rivolgendosi al mio assalitore disse: "Cosa vedo mai...un angelo con le pulci. Sei proprio messo male eh, Bezoar?" "TU!" urlò il...demonio? Si! ormai un demonio era ai miei occhi, orribile visione che giammai dalla mia mente si potrà levare. "Si Bezoar, son io. é stato un piacere rivederti" poi senza che nemmeno il demonio potesse muovere un muscolo, fu come se la terra si aprisse, ed egli venisse risucchiato negli inferi. "Chi siete voi?" chiesi al mio salvatore, "Che domande fai! Sono il diavolo Belzebù! Sono Lucifero. Sono quello con le corna, zoccoli di morte, una lunga coda rossa e un tridente in mano" ribattè lui, alzando una mano a simbolo della sua potenza. "Non vogliate prendervi gioco di me, sono solo..." e rimasi a meditare su chi o cosa io potessi ora essere...non me ne accorsi, ma lui mi si avvicinò con una fodera di spada in mano, "Ehi, Libraio, ti interessa una seconda possibilità?" Fu allora che senza riflettere, risposi come sempre rispondevo a tale domanda, "Si" dissi, ma non feci in tempo a dire :"...sono io" che mi ritrovai nel fodero, intrappolato, a vedere il mondo dal di dentro. "bene" lo sentii dire, "ora mi manca solo una spada" poi se ne andò fischiettando, portandomi appresso, ma per quanto mi sforzassi, non mi riuscì di proferir parola, o urlo. Capitolo 3: "Il drago" Leggende narrano che in tutto il mondo solo tre draghi abbiano mai fatto la loro comparsa. Essi erano enormi, alti come montagne, e con teste munite di lunghe corna appuntite, le loro code sferzavano il terreno con forza quando erano agitate, provocando terremoti. Ognuno aveva un colore diverso: il drago rosso portò la devastazione, il drago blu portò il terrore e il drago d'oro portò la rabbia. Queste tuttavia sono solo leggende. Del paesaggio moderno non rimase nulla a testimoniare ciò, non si è nemmeno sicuri infatti che il deserto delle Grandi Ossa sia la loro tomba. Li tuttavia durante la notte si suole dire che feroci grida mostruose echeggiano tra le ossa, riverberando come se provenissero da molto lontano. Tra i molti gruppi di speleologi inviati, alcuni tendevano a non tornare al campo la notte, vuoi per improvvise tempeste di sabbia, vuoi per gli animali velenosi e in larga parte mortali, vuoi anche perchè l'avorio di quelle ossa valeva come il diamante nei mercati del Sud. Il campo degli speleologi, ma forse è più opportuno chiamarlo "fortezza" si trovava precisamente al centro del deserto delle Grandi Ossa, e vantava un sistema di specchi ustori veramente eccellente. Cosa ci fosse da bruciare nel deserto? Beh, i Vermi. I Vermi, essere per l'appunto vermiformi, lunghi dal mezzo kilometro al kilometro pieno, avevano una vera predilezione per il...metallo. Si ipotizza che nelle profondità del deserto vi siano ampi giacimenti di ferro e metalli vari, dai più preziosi ai meno, sta di fatto che fin da quando si posa piede nel deserto, la terra inizia a tremare. I carri che viaggiano attraverso il deserto sono fatti di ossa d'animali, e gli animali stessi non hanno i ferri quando viaggiano per esso. Le armi e le armature vengono spruzzate di ampie quantità di peperoncino, olio e aglio, e chiuse in pesanti sacchi di cuoio, anch'essi spruzzati dello stesso miscuglio. Delle volte però, ciò non basta affatto. Il deserto delle Grandi Ossa sarebbe stato da lungo tempo abbandonato, come tragitto di scambio, non fosse altro che le due regioni di Yohalla e di Javuk sono in guerra da tempi immemori, e l'unico tratto di strada che conduce a quei due stati montani è per l'appunto il deserto delle Grandi Ossa. "Passami il piccone nuovo acquisto!" il capo spedizione adorava urlare nelle orecchie di persone a lui vicinissime, così come adorava molto chiamare tutti i nuovi arrivati con il nomignolo di "nuovo acquisto". Per quanto usare il suo nome sarebbe stato più rapido e facile, non ci teneva molto a contrariare il suo datore di lavoro. Anche perchè nel deserto, si obbedisce o si muore. Rairen, era il suo nome, Rairen della città della Luce, se si voleva usare l'appellativo consono a quelli della sua razza, la razza dei draghi. Certo, estinti a tutti, considerati mere leggende, ma perfettamente integrati nella società a tal punto da avere proprie città e un proprio governo, senza che nessuno di quelli stolti umani si potesse accorgere di nulla. Idioti fino in fondo, tanto da non capire che i Draghi in realtà erano abilissimi nell'uso della magia, talmente abili infatti da poter mutare aspetto, forma, colore, dimensione, assumere un aspetto umanoide e infine umano era stato facile, assimilare i loro modi di fare e di agire? ancora di più, bastava ragionare da poppante draconico. Così poco alla volta, si erano infiltrati, avevano assunto il controllo, ed infine erano diventati una parte della popolazione. Per evitare di essere scoperti però era stato imposto un veto assoluto: mai procreare con un non-drago. I mezzidraghi di solito erano incontrollabili, dicevano gli anziani, e come tali potevano facilmente far rivelare il resto della popolazione draconica. Così fu, e per secoli i draghi vissero all'ombra, Finchè tre maledetti idioti non decisero di conquistare il "mondo". Furono uccisi nei modi peggiori, da quelli stessi umani che erano stati ritenuti di mentalità infantile. Fu uno spettacolo interessantissimo vedere come crollarono, i famigerati draghi enormi, conquistatori del mondo, uno dopo l'altro, a seguito di pesanti balestrate, o di cannonate, o di nugoli di frecce. I loro corpi furono poi trascinati senza vita nel Deserto, e lasciati a marcire, alla mercè di corvi e animali vari. Il sangue draconico aleggiava ancora nell'aria del deserto, e probabilmente a causa delle sue alte concentrazioni di ferro, aveva dato origine alla sviscerata fame di metalli dei vermi, secoli dopo. Rairen tuttavia era un drago giovane, di appena 500 anni. Ai 450 anni un drago doveva abbandonare la città e perfettamente integrarsi nella società umana, li, doveva imparare a mutare aspetto, nome, razza se necessario, e adattarsi alla situazione, a creare documenti falsi e ad esibirli con noncuranza anche davanti ad un mago anziano umano. A perfezionare fino all'inverosimile le proprie tecniche di ipnosi e mimetismo, infine, a diventare una persona di spicco nella società, per poi riuscire a fingere la propria morte in modo plateale, e possibilmente, con coinvolgimento di molte altre persone. Fu così che Rairen venticinque anni prima venne eletto Re di Ghijul, nelle lontane terre nordiche, a seguito del rito di incoronazione del nuovo re mediante il sangue. Per morire, vent'anni dopo, fermando con le mani una nave da battaglia dell'Impero Astrale. Fu una bella morte, all'ultimo secondo urlò una frase plateale, divenuta poi addirittura il grido di battaglia del suo clan, "IO NON MI FERMERò MAIIIIIIII". Rairen ovviamente non rimase a vedere lo spettacolo degli anni successivi. La sua prossima meta era ora passare i successivi cinquecento anni che lo separavano dall'età adulta e quindi dal ritorno in città in modo tale da non poter mai essere riconosciuto da un'altra persona come un arzillo vecchietto di cinquant'anni. Per la prossima decade sarebbe stato uno speleologo del Deserto delle Grandi Ossa. Così avrebbe unito l'utile al dilettevole, e avrebbe cercato di ritrovare quel buono a nulla di suo nonno. Suo nonno, Traveron delle Notti Stellate, era stato uno dei draghi anziani più potenti al mondo, ma aveva avuto la malacreanza di morire combattendo contro i tre draghi, di vecchiaia, non in battaglia. Un momento prima stava per sferrare un attacco letale (travestito da donna dai capelli rosso fuoco di vent'anni e arcimaga dei maghi Stellati) e l'attimo dopo era riverso al suolo morto. Fortunatamente, un compagno drago fu abbastanza lesto da mimetizzare nella sabbia il cadavere draconico di suo nonno. Purtroppo però il deserto nascose quel corpo così bene che fu impossibile ritrovarlo a battaglia finita. Quel secolo però prometteva bene, erano state ritrovata delle ossa codali che non appartenevano a nessuno degli scheletri ritrovati fin'ora, che ammontavano appunto a tre. Pertanto, aveva fatto scalpore il ritrovamento di un quarto scheletro draconico. Suo nonno, o per lo meno il suo scheletro, si era divertito molto a spostarsi nei secoli. Un pezzo di qua, un pezzo di là. Al momento, a suo nonno mancava ancora la parte superiore del tronco, e una delle due ali, nonchè la zampa destra anteriore e gli artigli del piede sinistro. I pezzi erano stati via via rubati e sostituiti con altrettanti pezzi contraffatti: un drago anziano non sarà mai esposto in un museo per gli stolti umani da vedere. Il piccone d'osso non si trovava. Ovviamente il capo spedizione inviò Rairen a cercarlo, ed ovviamente Rairen decise di lasciar perdere quel gruppo e fingere di essere morto per il morso di un animale pericoloso. Incamminandosi lungo il deserto, ad un certo punto notò una rovina, il vento doveva averla fatta riapparire, ma magari sarebbe scomparsa dopo un quarto d'ora. Incuriosito Rairen entrò, e, scesa la scala di pietra antica, si ritrovò a vagare per cunicoli, alcuni riempiti di sabbia, di cui si liberò trasformandola prima in vetro e poi rompendola, altre volte invece i cunicoli erano proprio stati distrutti, ed allora dovette passare un po' di tempo a ripararli con la magia. Arrivò in fondo al complesso dopo quella che giudicò essere la quinta settimana. Quando aveva fame gli bastava evocare con la magia uno o due animali più vicini, ed ingoiarli interi. Il suo intestino di drago poteva tranquillamente digerire Vermi del deserto interi, figuriamoci i serpenti Onnivori o le Locuste Mangiacani. Finalmente trovò la sala maestra. E li ebbe una brutta sorpresa. Ad attenderlo, sonnecchiante, con una mano posata sul mento e le gambe incavallate, stava un umano. Per quanto non ci fossero altre entrate, il fatto che un umano fosse giunto li ben prima di lui lo irritava, "Ehi, si può sapere che ci fai tu qui!?" "Sapessi Rairen della città della luce, sapessi" borbottò lui, ancora sonnolento. "Io mi chiamo Joab, non conosco nessun Rairen di non so quale città" "Suvvia drago finiscila, io non sono un'idiota umano, sono un tuo pari se non superiore, smettila di seccarmi e vattene" Rairen si adirò per essere stato definito inferiore ad un umanoide. Forse non era umano, ma di certo non era un drago, infatti i draghi per riconoscersi tra di loro emanavano una speciale fragranza che solo loro potevano annusare con le loro narici. "Superiore a me?! Chi ti credi di essere eh?!" urlò Rairen, rilasciando la sua coda e usandola per sferzare il ragazzo. La coda fu agguantata, per la punta affilata, con due dita. L'istante dopo il ragazzo iniziò a tirare vicino a sè la coda, e ad inserirla in uno strano fodero. Ci volle poco, un attimo, e Rairen non sentì più la sua coda, fu allora che panicò e si trasformò completamente, artigliando le pareti per evitare di essere trascinato dentro di esso. Fu inutli, le sue urla e le sue grida si riflettavano sulle nude pareti di pietra, e lui stesso non sapeva a chi gridare aiuto. Ed alla fine fu buio. "E anche la lama è fatta, ora manca l'idiota" "Ciao lama" fece una voce, "Chi sei tu!?" "ero un bibliotecario l'ultima volta che ho controllato, poi ho seguito un angelo, infine mi sono ritrovato qui. Tu invece chi sei?" "VOGLIO USCIRE DI QUI ORA!" "urla pure, non ti sentirà nessuno, alla fine, è bello avere qualcuno con cui parlare, sai? Come ti chiami?" Rairen restò sordo a quelle domande, e per lungo tempo, un lunghissimo tempo, non udito, urlò. The end al momento. O finchè ispirazione non mi colga.
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