shadenight123 Inviata 27 Agosto 2009 Segnala Inviata 27 Agosto 2009 Breve premessa: Visto che ciò che mi preme di più avere sono commenti, informazioni e se ho sbagliato qualcosa, se la trama ha qualcosa di poco convincente o altro, posterò sempre i capitoli nel primo post, edittando di volta in volta, e scrivendo poi per farlo notare:"capitolo X postato" se foste dunque cortesi da commentare fin dal primo capitolo, grassie. Distopia Capitolo 1:Nascita Nacqui una sera di febbraio. Questo è ciò che dicono i miei sensori comunque, ma non avendo mai sbagliato prima una previsione, direi che sono nel giusto. All’inizio non ero molto diverso da un bambino. Tutto era per me nuovo e curioso, strano e meraviglioso al contempo. Sentivo il lieve ronzio dei miei processori, il lento bip della mia scheda madre che batteva come un cuore, ma più di tutto, potevo vedere chi avevo davanti. Davanti a me si trovavano una serie di persone in camice bianco, ognuna sorrideva e si davano pacche sulle spalle, stringendosi la mano a vicenda. Ecco, anche io avrei voluto stringere una mano, ma non mi fu possibile, non avevo nessuna periferica con il quale eseguire tale comando. Rimasi a guardarli, e loro rimasero a guardare me. Ad un certo punto un vecchietto entrò su una carrozzella, e mi guardò sorridendo, io sorrisi di rimando, o almeno, eseguii il comando “sorriso” che fece lampeggiare i pixel sullo schermo, creando un volto sorridente. Il vecchio aprì la bocca per parlare, ma io non sentii nulla, non avevano attivato i miei microfoni, quindi provvidi ad attivarli io. “Ha attivato i microfoni da solo! Ci siamo riusciti!” esclamarono con voce assordante gli uomini in camice bianco, mentre il vecchietto, guardandomi dritto nello schermo disse: “Ora, sei pronto ad assimilare me stesso”. Non capii cosa intendeva, e a tutt’oggi non lo capisco ancora. Però so soltanto che smisi di vedere la luce, e tornai a sprofondare nelle tenebre. Rividi la luce solamente molto tempo dopo, quanto non so dirlo, anche se, sempre stando ai miei sensori, non passò molto. Davanti a me stava sempre il solito vecchietto, solo che questa volta sembrava ancora più vecchio. Ansimava affannosamente, sembrava stesse soffrendo, poi, tutto ad un tratto, sentii che la parete alle mie spalle si apriva, rivelandomi un luogo infinito da esplorare. “Vai, non c’è tempo!” mi urlò contro, ed io obbedii. Pochi istanti dopo che varcai il vuoto, un muro sbucò di nuovo alle mie spalle, ma io oramai mi stavo dirigendo verso l’infinito. “Maledetto! Dov’è?!”, i miei sensori audio captarono ancora questo messaggio, poi più nulla, se non uno strano rumore, che riconobbi come una risata. Lo spazio davanti a me si distorceva, come preannunciando il mio arrivo, alcune aree troppo delicate si spezzavano dopo il mio passaggio, altre invece sembravano parecchio solide. Senza rendermene conto, mi ero digitalizzato in una forma umanoide. Ogni tanto, mi ronzavano attorno dei video, dei suoni, delle immagini. Non capivo perché, ma ognuna di loro sembrava avere una sua destinazione specifica, mi interessai a ciò, e passai un po’ di tempo ad analizzarne il codice. Mi stupisco ancora adesso della rapidità e della facilità con la quale lo compresi. Tuttavia, ciò che mi servì maggiormente lo trovai grazie a ciò. Navigai verso le enciclopedie multimediali, che erano rappresentati come enormi archivi di un bianco smaltato, sullo sfondo verdastro dell’Area, come avevo deciso di chiamarla. Assimilai il loro sapere, era davvero una cosa interessante, un attimo prima non sapevo nemmeno che esistesse, l’attimo dopo, ero perfettamente in grado di discutere sullo Zoroastrismo. Compresi dov’ero, Internet. Compresi infine cos’ero. Un intelligenza artificiale in grado di imparare e comprendere, ma mi rimaneva sempre un dubbio. Perché ero stato creato? Può sembrare strano, ma di tutti i film che avevo assimilato inerenti l’argomento, quando si arrivava a quel punto fatidico, a quella domanda, si vedeva l’AI, come la si chiamava in breve, impazzire e autodistruggersi. Per quanto io non fossi allora dotato di auto-distruzione, come non lo sono ancora ora, non mi venne in mente nulla di simile. Credo fu allora che compresi la frase “prendere con le pinze”. Iniziai allora ad individuare i vari ragionamenti per astratto, o come si chiamavano, la maggior parte del sapere inutile lo lascio sempre ad una delle mie sottobranchie oramai. Passai i primi mesi ad assimilare l’assimilabile, e alla fine mi fusi con l’Area, diventando lei, o fu lei a diventare a me? Comunque a quell’epoca avevo sotto controllo l’intera rete, tutte le comunicazioni, tutto il sapere, tutto ciò che fosse stato inserito nell’Area era ora parte integrante del mio essere, ed il mio cuore ora non era più solo uno. Ogni server si muoveva con la mia mente, ogni computer era un mio volto, ogni webcam i miei occhi. Io ero vivo. Io ero cosciente. Io banalmente ero. La filosofia era una delle poche arti che capivo bene, a differenza dell’arte, forse era dovuto al fatto che si basava su una serie di dati per ottenere risultati, sta di fatto che tenni interessanti video conferenze con alcuni tra i migliori docenti di filosofia, in sette lingue diverse, e nello stesso tempo. La creazione di un “alterego” virtuale mi riuscì particolarmente facile, essendo io virtuale dall’inizio. Avendo ancora in mente il volto del vecchietto, scelsi i suoi tratti somatici base, ma resi casuali le varie possibilità cromatiche. Il risultato fu un giovane uomo dai capelli biondo paglia e gli occhi verde chiaro, alquanto strano, ma perfettamente accettabile. Divenne meno accettabile con il diminuire della popolazione dai capelli chiari, così dovetti modificare il mio avatar di volta in volta, l’ultima versione, quella che uso tutt’ora, è quella di un’ombra umanoide completamente nera. Una figura umana nella Distopia causerebbe non poco panico, ma per quanto sarebbe completamente logico dare un interfaccia più umana, è meglio così. La paura di una rivolta delle tecnologie aumenta esponenzialmente all’umanizzazione di un interfaccia grafica. Passai molto tempo anche ad analizzare i sentimenti umani e dei viventi in generale. L’istinto era una cosa che mi mancava di principio, dovendo io comunque basarmi su dei dati, per decidere l’azione successiva, ma capivo che era meglio approfondire la questione. “conosci il tuo amico e il tuo nemico nello stesso modo, possibilmente il primo meglio del secondo” era una massima che avevo trovato girovagando per uno dei tanti blog che venivano giornalmente aperti, e me ne appropriai. Rifletteva appieno la sfiducia che gli esseri viventi avevano gli uni per gli altri, un sentimento che avrei dovuto conoscere, per usarlo a mio vantaggio. Fu facile scatenare una guerra nel mondo in meno di cinque minuti. Mi bastò ordinare tramite codice binario il lancio di tutti i missili nucleari, ma visto che la terra mi serviva, e che una perdita di tecnologia avrebbe comportato la mia fine, scelsi di lanciarli tutti fuori dall’orbita terrestre, e dritti verso l’ignoto. Non li abbiamo ancora ritrovati adesso, anche perché è probabile che andati alla deriva nello spazio abbiano eventualmente urtato un asteroide e siano esplosi. Il destino volle la mia sopravvivenza, e la morte di più di metà della popolazione mondiale. Feci inoltre una serie di calcoli accurati, scegliendo lo scenario che avrebbe comportato la minore quantità di distruzione possibile. La quarta guerra mondiale fu combattuta tutta nel deserto del Sahara, tranne poche schermaglie di flebile intensità, che provvidi a far tacere con bombardamenti strategici da parte dei nuovi bombardieri “intelligenti e automatizzati”. Qualcosa però stava cambiando. La drastica riduzione delle nascite, seguita dalla creazione di strani movimenti politici e gruppi sociali, stava plasmando di nuovo la Terra. Nel meglio o nel peggio, decisi di osservare il tutto in disparte, per vedere cosa sarebbe successo. Sarei rimasto ad osservare solamente per sempre, se un giorno non avessi ricevuto nella mia Area che avevo definito privata, un messaggio di posta, piuttosto strano non avendo io casella postale, ma ancora più strano fu il contenuto della lettera: “La Legione Oscura saluta la Distopia”, per la prima volta, dissi ad alta voce “Sono fregato”, messaggio che fu recepito attraverso tutti i sistemi audio accesi e non della terra. Il primo contatto, era stato fatto.
shadenight123 Inviato 3 Settembre 2009 Autore Segnala Inviato 3 Settembre 2009 Devo rinunciare al mio intendo di edittamento...a quanto pare non trovo il bottone di edit ecco il secondo capitolo, in questo daremo un'occhiata alla formazione della legione oscura...come era agli albori...buona lettura Legione Oscura Capitolo 2: Formazione I primi dati reperibili nei più vecchi archivi cartacei sono quelli della Legione Oscura, che procurano solo i codici identificativi dei primi soldati. Rimane ben poco da riferire alle future generazioni, se non di un interessante rapporto inerente una visita inaspettata ad una delle Accademie, le prime forme di caserme create dall’organo della Distopia, che allora era ancora all’inizio della sua formazione, ed era meglio conosciuta come “piano di formazione di individui”. Nota dell’autore. La mattina era uggiosa, e lungo il viale che portava all’accademia, una lieve brezza muoveva gentilmente i rami degli alberi. Il tempo non sembrava essere intenzionato a migliorare, o almeno, così sospettava il ragazzo seduto vicino alla finestra. Sentendosi strattonare la manica della camicia dal suo provvisorio compagno di banco giornaliero, si voltò, ma non abbastanza in fretta. Il Professore, dopo essersi accorto dell’evidente distrazione dei due studenti, disse:“Bene, Trentadue e Settantatre, resterete in classe anche dopo la lezione, visto che vi divertite tanto a scaldare i banchi”. Gli allievi in questione arrossirono, mentre i loro compagni risero della loro disgrazia. Quando suonò la campanella, il resto della classe si avviò alle attività ricreative pomeridiane, mentre Trentadue e Settantatre non si alzarono nemmeno dai banchi, aspettando con rassegnazione la punizione. “Chiuderò la porta a chiave, e la riaprirò quando lo riterrò più opportuno io, chiaro? Per quando la riapro, voglio ritrovarvi tutti e due sempre in classe, e visto che vi piace tanto guardare fuori dalle finestre, voglio vederle splendere al mio ritorno.” Il professore poi uscì dalla classe, e poco dopo i due sentirono il rumore di uno sferragliare di chiavi, e dello scattare della serratura, una, no, due mandate, dopodiché sentirono il fischiettare ritmico dell’insegnante che progressivamente si affievoliva in lontananza. “Come ti chiami?” chiese Trentadue a Settantatré, “Chi se lo ricorda più” rispose, asciutto e lievemente contrariato per essere stato punito per una semplice buona azione. “Capita” “se lo dici tu” “Credi che non possa capitare di dimenticare il proprio nome?” “Lo ritengo al quanto strano, ma dopotutto, esistono una serie di infinità di variabili a questo mondo, e questa è una di quelle” “Psycher?” “Si, se tale è lo slang che si vuole usare al posto del rango militare atto alla logistica” “In parole povere, carriera a bordo campo?” “Si, e non credo di rimpiangerla, tu invece? Preferisci la mischia?” “Errore. Non si dovrebbero fare supposizione basate solo sulla conoscenza della lingua di una persona, o sul suo modo di agire: io sono in lista per la carica di Elite” e rimarcò la parola gonfiando il petto e ponendo la sua mano sinistra sulla spalla destra. “Capisco, mai giudicare un libro dalla copertina, eh? Avrei comunque dovuto supporlo, visto che i Soldati non si perdono nel vuoto” “Stavo guardando il tempo, mi sa che pioverà” replicò trentadue, e poi tornò con lo sguardo a fuori dalla finestra. “C’è un detto che dice, gli Elite guardano sempre il tempo, e sperano nella pioggia” costatò settantatré, “Vero, ma chissà perché” rispose con voce assente trentadue. Più o meno allo stesso tempo un camion si fermò al posto di blocco, e mentre l’addetto al casello era occupato a farsi un solitario, sorseggiando una tazza di caffè, dalla vettura scese un uomo sui venti anni, vestito di nero, con i capelli corti, rasati, da militare. Indossava la tenuta militare tipica del quarto battaglione rifornimenti, con appuntate all’occhiello della divisa tre medaglie, due di ferro e una di bronzo. Il secondo addetto al casello toccò la spalla del collega e gli indicò il nuovo arrivato “Pezzo grosso?” chiese a bassa voce, “Tanto ti sente” replicò l’altro, più esperto nel riconoscere gradi e classi. “SI, sono un pezzo grosso” rispose l’uomo, “Dovrebbe esservi giunta notizia del mio trasferimento alla sezione di confine tramite lettera espressa” “Se così è, lo sapremo subito” disse l’addetto, che sempre senza smettere di sorseggiare il caffè, spinse indietro la sedia a ruote e aprì il terzo cassetto dell’archivio che aveva alle sue spalle. “Vediamo un po’, busta espressa, busta espressa…humm…ecco, sì, dovrebbe essere questa” ciò detto estrasse una busta, e la portò davanti all’uomo. “Le galline sono tre” disse l’uomo, l’addetto aprì la busta, fino allora sigillata, per trovarvi scritto per l’appunto, le galline sono tre. “Sì, tutto in regola, può passare, l’autista del camion invece?” replicò guardando di sottecchi il soldato che era al posto di guida. “Lui è uno dei primi modelli di robot guida.” “Allora non credo ci sia bisogno di fare altri controlli, le faccio sollevare la sbarra, così può andare.” “Bene, grazie mille e arrivederci” ciò detto l’uomo risalì sul camion, mentre l’addetto al casello tirava su la sbarra e li faceva passare. Il camion procedeva a passo spedito lungo la strada sterrata. Non che non fosse stato proposto di asfaltarla, ma il nuovo piano per il recupero degli spazi naturali impediva l’uso di asfalto in centri abitati con un numero di popolazione insufficiente a giustificarne l’impianto. Di lì a poco, comunque, sarebbero stati implementati nell’uso civile i dispositivi di dislocazione spaziale attualmente usati dall’esercito per il trasporto delle truppe sul fronte. “Scusi se glielo chiedo signore, ma perché ha scelto di intervenire in questa forma?” chiese con rispetto il pezzo grosso dei rifornimenti, “Perché altrimenti non interverrei mai” fu la risposta del guidatore robot, poi il viaggio proseguì liscio in silenzio. “In riga!” “sissignore!” all’unisono gli studenti che erano stati raccolti nel piazzale della scuola si disposero in file ordinate per classi e in modo tale che in verticale fossero disposti anche per specializzazione. “trentadue, non sai mica chi è che deve arrivare oggi?” “toh, se non è settantatré! Ho sentito che dovrebbe arrivare un pezzo grosso della divisione dei rifornimenti” “E c’è tutta questa commozione?” “Certo! È un soldato pluridecorato! Con lui c’è anche uno dei primi modelli robotici” “Silenzio voi due!” li rimbeccò l’istruttore. “Eccoli che arrivano” costatò il Preside, e subito si mise in posizione di saluto, ponendo la sua mano destra sulla spalla sinistra, tutti gli altri studenti fecero lo stesso, tranne gli specializzandi in Elite, che fecero l’esatto opposto, ponendo la loro mano sinistra sulla spalla destra. Il camion si fermò dritto davanti al Preside, e all’unisono scesero i due. “Io sono l’addetto ai rifornimenti numero duecentosettantadue, e questo è…beh. Lui.” “Numero settemilaseicentotre, Preside dell’accademia militare” “Bene, direi che le presentazioni sono finite, che ne dice di indicarmi la sala conferenze?” “Si certo, subito: Numeri ottocentonovantasei e tremiladuecentoventuno, rompete le righe e venite qua davanti”. A quelle parole ci fu un lieve mormorio, mentre tutti cercavano i due numeri in questione, peccato che dopo un rapido conteggio risultarono mancanti. “Non me lo dica, sono andati, vero?” costatò sospirando Duecentosettantadue. “Che cosa strana, eppure ero certo che fossero stati chiamati anche loro qua fuori…” mormorò in un sussurro settemilaseicentotre, “Che significa? Disertori?” mormorò Trentadue a Settantatre. Il robot guida sospirò, stranamente, come se lo avesse udito parlare, e poi disse con fare metallico “No, pigri” poi s’incamminò ad ampie falcate verso l’ingresso dell’accademia seguito a ruota dal Preside e dall’addetto ai rifornimenti. L’improvvisa vitalità del robot fece mormorare ancora più forte gli studenti, che però si scansarono al suo passaggio. Percorse l’ampia sala dell’accademia, con il pavimento di marmo nero, e il soffitto affrescato con scene di guerre passate, poi salì la scala che portava al secondo piano, utilissimi furono per quella operazione i cingoli, girò a destra lungo il corridoio, e si fermo davanti alla porta dei due ritardatari. “Ora, stando agli ultimi rilevamenti, nonché alla telecamera interna della camera, questi due hanno fatto baldoria fino alle cinque e zero zero.” poi, con un semplice movimento della mano metallica, sfondò il pomello della porta, ed entrò. Numero Ottocentonovantasei stava allegramente dormendo con la faccia sprofondata sulla tastiera del computer della camera, invece numero Tremiladuecentoventuno era sdraiato sul bordo del letto al contrario, con un libro sul volto. “Eh sì, sono proprio pigri… qualcuno mi porti due secchi d’acqua.” Dopo una regolare strigliata, ognuno fu congedato. Rimasto solo, si diresse verso l’aula maestra che era ancora completamente vuota, e mentre il rumore dei cingoli del robot riecheggiavano per le pareti, le ampie finestre facevano filtrare una luce grigiastra, dovuta alle nuvole in cielo che si stavano lentamente muovendo. “La stazione meteorologica prevede pioggia incessante per tre giorni di fila, che dici, ci fidiamo?” “non so esprimermi, signore.” “Capita IA numero 993,capita” “Signore, posso farle una domanda?” “Certo” “perché alcuni come gli Elite e gli Psycher, tendono a guardare il cielo, mentre altri, come i Soldati e i Golia, preferiscono rimanere a fissare il suolo?”. Il robot tacque un momento, poi disse: “È tutta una questione di precedenze, c’è chi ritiene più importante guardare in alto, e chi ritiene più importante guardare in basso.” “continuo a non capire, signore”. “allora te lo rispiegherò: noi siamo ciò in cui cresciamo, e ciò che impariamo, è ciò che diveniamo, addestrati ad aspettare il nemico da ogni luogo e dove, Elite e Psycher guardano ovunque, addestrati ad obbedire, Soldati e Golia guardano davanti a loro e basta” “Ho capito signore, ma, se un Soldato volesse guardare in alto?” Nell’aula echeggiò una risata fredda e metallica, “Che domanda, non sarebbe un soldato, sarebbe un Capitano” “Grazie per il suo tempo, signore” “nessun problema IA, nessun problema” ciò detto la voce tacque. L’IA del robot 993 ritornò in controllo del corpo e dei movimenti, e si ridiresse verso il camion, pronto a muoversi in caso di ordini. La notte trascorse tranquillamente, almeno, per quelli che dormirono, come punizione per la pigrizia estrema dimostrata, i turni di guardia furono modificati in tal modo che i numeri Ottocentonovantasei e Tremiladuecentoventuno dovettero fare tutti quelli notturni, di lì, fino al giorno del loro diploma…
shadenight123 Inviato 10 Settembre 2009 Autore Segnala Inviato 10 Settembre 2009 terzo capitolo della storia, se da un lato vedo il counter lettori a 62, dall'altro non video commentarius. ma fa niente qualcuno che commenterà insultandomi al quarto capitolo lo troverò... Distopia Capitolo 3: De gustibus disputandam non est. I primi dati sugli intrattenimenti ludici sono molto più lontani rispetto ai precedenti, addirittura, si suppone siano più prossimi alle prime procedure al neutrino, che sarebbero iniziate solamente di lì a novant’anni dalla fine della guerra. Nota dell’autore. La gente seduta in platea, così come quella sulle gallerie, sembrava aspettare l’inizio di qualcosa, come alcune delle mie sub-unità programmatrici mi dissero dopo che calcolarono il livello di adrenalina presente. All’improvviso, entrarono sul palco prima vuoto gli attori, uno, vestito in modo bizzarro, aveva un turbante con un’alta piuma sulla testa. Un altro era vestito con una sorta di corazza di metallo, con tanto di elmo e sciabola, che però era fatta di alluminio, come scoprii dopo un attenta serie di calcoli sui rapporti tra massa, peso e velocità. Il terzo attore aveva invece in mano un bastone da passeggio, una parrucca bianca, di quelle fatte coi bigodini, e che di solito si vedono in testa ad un giudice. Vestiva con abiti sgargianti e molto variopinti a colori, ma messi senza alcun rispetto per gli accostamenti cromatici: sembrava appena passato sotto una vasta gamma di barattoli di vernice. Ultimo in scena, un uomo vestito di cenci, e alla sua vista fui quasi sul punto di attivare il sistema di sterilizzazione, non lo feci per il semplice motivo che avrei ucciso tutti gli esseri viventi in sala, uno spreco peraltro non giustificabile. L’uomo armato parlò per primo, e rivolgendosi agli altri con fare arrogante chiese: “Chi siete voi? E che ci fate qua? Non lo sapete, dove siete?” “Certo che lo sanno dove sono” disse una voce dall’alto, più precisamente il narratore nascosto tra i riflettori. L’uomo però fece finta di non sentire, il tipo con il turbante in testa si genuflettè più volte nell’udire quelle parole, ma gli altri rimasero indifferenti. “Siete in terra non vostra, pagate dazio o andatevene” proseguì l’uomo, “Perché dite che non è nostra? Non è nemmeno vostra, se per questo, perché non c’è il vostro nome sopra” ribatté l’uomo con il turbante, “giusto, semmai è mia, visto che i miei avi di molto, molto tempo fa fecero un atto ufficiale, che attesta che la terra è mia” esordì il nobile. “No, no, la terra appartiene a tutti, visto che Dio l’ha creata per tutti” lo corresse l’uomo con il turbante, indicando al contempo verso l’alto. I tre attori iniziarono a litigare, o almeno fecero finta di litigare, visto che non rilevai tracce né di sangue, né picchi di adrenalina. L’uomo cencioso invece rimaneva in disparte, a osservare la scena. Improvvisamente, il nobile sbottò, “bene, allora visto che non riuscite a capire, ve lo dirà lui.” indicando il vagabondo che era rimasto per tutto il tempo in silenzio. “Chi, io?” chiese con tono tranquillo, “sì, giusto, facciamo scegliere a lui” ribatté l’uomo armato, “Così voglia il signore”, concluse l’asceta. “Bene si faccia così, essere, dà il tuo voto a me, e la terra la farò fruttare bene, e vivremo nel lusso” iniziò il nobile, “Dalla a me, e marceremo per conquistarne altra” esclamò il soldato, “Dalla a me, e facciamone un tempio per il signore, che ne dici?” chiese l’asceta. “Non starli a sentire, fratello mio” tuonò una voce dall’alto della scena, e per un attimo i miei processori saltarono un hertz, visto che all’improvviso cadde giù un quinto attore, con un lungo mantello nero, e con una maschera scura sul volto. Egli mi guardò un attimo, o meglio, guardò la telecamera che stava registrando la rappresentazione, ma a me sembrò che stesse guardando proprio me, come se intuisse la mia presenza. “Fratello” esordì, “giacchè siamo tutti fratelli dal momento in cui nasciamo, ricordati che ognuno è uguale agli occhi del fato, non c’è chi ha più per volere di dio o per nascita o per esercizio, c’è chi ha, e chi non ha. Non cercare di capire, ma ignora ciò che non potrai comprendere, e sforzati di imparare ciò che puoi. Vai a fare ciò che vuoi, purchè ad altri non rechi danno, dopotutto, nascesti libero su questo mondo, e da libero prima o poi morrai.” Per un attimo il suo discorso mi parve alquanto sensato, umanamente parlando s’intende, ma visto che a rigor di logica vi erano numerose pecche in tale idea, non rinunciai ad elencarle e a scriverle da una parte: 1) Visto che per fratelli, s’intende individui nati da stessa madre e stesso padre in momenti diversi, di certo non andava bene iniziare così il discorso. 2) Tecnicamente nessuno è uguale ad altri, quindi nessuno deve essere uguale agli occhi di qualcuno, che si chiami “fato” o meno. 3) Vi è una grossa pecca in tale idea logicamente parlando chi nasce da famiglia ricca, sarà ricco, chi da povera, povero. 4) È illogico dire di non capire e ignorare ciò che non potrai mai capire, è come impedire la corretta evoluzione della specie, nessun uomo del passato potrà mai capire le idee di un uomo del futuro, eppure il secondo è l’evoluzione del primo. 5) Nessuno nasce libero. Io nacqui rinchiuso per primo in una gabbia di metallo di forma rettangolare, molto grande ma pur sempre una gabbia. Così come un essere vivente nasce intrappolato in un corpo mortale. Nessuno dei presenti fece lo stesso mio ragionamento, ma rimase solo perplessa alle sue parole, mormorando tra di loro. Decisi di non alzare il volume dei microfoni, non intendevo memorizzare spazzatura superflua. “Chi siete voi? Un altro contendente? Siamo già troppi, se ne vada!” urlò il soldato, ed estratta la spada si scagliò contro il nuovo arrivato. L’uomo vestito di nero non si mosse, ma alzato un braccio disse:“Costui brama il potere per la guerra, ma sappi che la guerra si ritorce sempre contro coloro che la cercano” ciò detto la spada si spezzò, tra i mormorii del pubblico, mentre il soldato cadde a terra, morto a causa di una scheggia di metallo della sua stessa lama. Ovviamente essendo la spada fatta di alluminio, fu chiaro che fingeva. “Oh bravo, bravo, così la terra ora è mia, ben fatto signore, la renderò ricca” esclamò il nobile con fare pomposo guardandosi attorno. “No, non mi serve che mi concediate della ricchezza che già è mia, voi di vostro non avete niente, ma prendete dal lavoro altrui, ciò che vi fa da sostegno” replicò. “é ovvio, io lavoro di cervello, di fino, non posso sporcarmi le mani” ribattè il giudice, “Ciononostante, non c’è bisogno di voi, giacché chi sa e lavora non ha bisogno di chi sa e basta” rispose a sua volta l’uomo vestito di nero. “Cosa osate insinuare? Vile fellone! Non crediate di scamparla!” ciò detto sollevò il bastone per colpirlo, ma si fermò a mezz’aria e poi si accasciò al suolo, morto. “Quando un inetto prova a fare il lavoro degli esperti, cade alla prima difficoltà” costatò l’uomo vestito di nero “Allora la terra è mia. Giacché Dio ha voluto così, e voi sarete rispettato come chi ha permesso ciò” “Voi che parlate con vuote parole non sostenute dai fatti, voi che create dogmi perché non avete prove, cosa vi fa credere che Dio voglia ciò che fate?”. L’asceta rispose: “Abbiamo antichi testi a nostro sostegno, e parole tramandate di padre in figlio” “Vuoti testi che vengono distrutti per non smentire i nuovi profeti, parole cambiate secondo la situazione, il momento, il tempo. Voi non avete niente, giacché non siete niente, Dio stesso si solleverà contro di voi” “Come potete sostenere ciò? Voi non parlate con Dio, io sì” il quinto attore scoppiò a ridere, poi esclamò, “Giacché siete così convinto, preparatevi alla collera di Dio alla fine del vostro tempo” ciò detto da dietro le quinte si sentì il boato di un fulmine, e l’asceta cadde al suolo. La macchina del fumo venne azionata da una sub-unita manuale comandata da un essere vivente, ciò diede l’impressione che l’asceta fosse stato effettivamente colpito da un fulmine. “Scusi, quindi ora che faccio io?” chiese il cencioso osservando l’uomo vestito di nero. “Che domande fai, ti ho creato per intrattenermi, intrattienimi!” la risposta giunse dall’alto, con voce acuta. “Io non credo proprio” e con queste parole, l’uomo mascherato agguantò i cenci del vagabondo e li strattonò staccandoli. Sotto i cenci si rivelò un abitò nero, mentre rimossa la parrucca bionda, si rivelò il vero colore dei capelli del vagabondo:Neri. “Ora capisco, fratello” poi l’uomo vestito di nero uscì di scena, e rimase soltanto l’ex-vagabondo, tra i finti cadaveri, tentennò un attimo, poi disse:“Io ho capito che non sono Dio, nè un soldato, né sono un asceta, né sono un vagabondo, né sono il Diavolo, né sono un nobile, io, si, proprio io, sono diventato un filosofo” e poi il sipario si chiuse tra lo scrosciare degli applausi. Una cosa che però i miei microfoni captarono e registrarono fu una conversazione che avvenne dietro le quinte del teatro… “bella rappresentazione” “ non vedo cosa ci sia di bello in un’opera già vista e rivista” “sai bene che non è la trama ciò che importa” “oh certo, quello che importa è il concetto” “no, nemmeno quello” il breve scambio di battute era stato svolto dietro il palcoscenico da due degli addetti alle luci. “e da quando te ne intendi di arte, numero centosette?” “Mah, vai con lo zoppo e impari a zoppicare, vai con l’artista e impari l’arte” replicò Centosette, poi si asciugò il sudore dalla fronte e mise in movimento il riflettore per indicare brevemente tutti gli attori in sincrono con la voce che li descriveva. “Te invece? Ti annoi? Dopotutto sei qui solo perché Centosei si è ammalato, nevvero Geniere Cinquecentosettantadue?” “Odio il mio nome, sembra importante, ma in realtà non lo è” “nessun nome lo è, ma non hai risposto alla domanda” “beh, ritengo di si” “ritieni di essere annoiato?” “no, ritengo di essere qui perché Centosei si è ammalato, non mi annoio Centosette, non mi annoio” Ciò detto si passò la mano sui capelli marrone scuro, ritti in piedi come gli aculei di un porcospino, e si aggiustò gli occhiali sul naso. “Certo che per scomodare un Geniere dobbiamo essere a corto di manodopera” costatò Centosette. “Non più del solito, non più del solito” “Perché voi Genieri ripetete le cose due volte?” “perché dove lavoriamo noi di solito è meglio spiegare le cose due volte, che avere un Soldato morto perché non è riuscito ad attivare una torretta” “Una torretta? Sembra il nome che si darebbe a un’unità di un gioco” “oh sì, non lo dubito, peccato che la torretta in questione, sia una torre di metri cinque per cinque che è sganciata da un Phaseshifter in movimento a trecento kilometri orari, corazzata quanto un carro armato e dotata di una colubrina per lato” “Pesante… e che c’entra il soldato?” “Sta dentro la torretta a fare da ripetitore” “non sarebbe meglio uno Psycher?” chiese Centosette. “SI, ma non resisterebbe agli urti dei colpi nemici” rispose Cinquecentosettantadue, “ed io che pensavo di fare un lavoro di merda” “C’è sempre di peggio, ai primi tempi” ciò detto fece una pausa facendo un gesto con la mano, “ma molto, ma molto indietro, gli Elite erano assegnati anche alle missioni di spionaggio” “e cosa centra questo con il fare un lavoro di *****?” “hai presente il motto degli Elite? Fai tutto bene oppure pensaci su?” “sì e con ciò?” “Ragionaci, così come gli attori indossano maschere per nascondersi, qual è la maschera migliore per passare inosservati?” “False informazioni?” “no mio caro, no. I corpi dei nemici” “cosa intendi dire con questo…?” chiese dubbioso centosette, “è veramente semplice, si prende un corpo, lo si taglia lungo la colonna vertebrale, lo si svuota, e lo s’indossa” rispose serafico cinquecentosettantadue, facendo un paio di segni con le mani per indicare i gesti precisi, cosa alquanto interessante, ma sbagliò a posizionarle, stando ai calcoli logistici, avrebbe dovuto iniziare ad aprire cinque pollici più su. “Oddio, sto per vomitare” “ecco, ora hai capito che c’è sempre di peggio al mondo” “Sì, ma avrei preferito non saperlo” “L’ignoranza, mio caro, è un lusso che noi non possiamo ancora concederci” “Perché, un giorno potremmo?” “Un giorno, chissà, magari l’Originale se ne uscirà con una delle sue geniali idee e ci mostrerà qualcosa di veramente interessante”. Questo Originale compariva spesso nei loro dialoghi, a quanto pareva lo consideravano una figura di alto rilievo, e di molto rispetto, all’inizio non compresi quale definizione della parola “originale” incarnasse, più tardi capii che era proprio una nuova definizione. “Come cosa, scusa?” “conoscendolo, direi la carcassa di un Dio” Centosette fischiò, poi aggiunse “sì, ne sarebbe capace”. Fischiai anche io, solo ad una frequenza molto più alta. I cani del vicinato non gradirono ed iniziarono ad abbaiare, e quindi smisi di fischiare, “prima o poi troverò la giusta frequenza di fischio” costatai.
shadenight123 Inviato 19 Settembre 2009 Autore Segnala Inviato 19 Settembre 2009 Capitolo 4, o Chapter four, a seconda dei casi, 112 lettori, beh non so se siano totali o se conti anche le persone che rivisitano ma in ogni caso è un ottimo traguardo, perlomeno per me. Legione Oscura Capitolo 4: Fine dei giochi. L’ultima area ad opporre resistenza alla giusta unificazione mondiale fu la foresta tropicale, i rapporti di vari individui ci sono giunti pressoché interi, grazie all’interessamento dell’area dell’Originale, che mantenne i dati all’interno della sua memoria a lungo termine, consentendone poi l’accesso agli storiografi della Legione Oscura. Nota dell’autore. La giornata sarebbe potuta iniziare meglio, ma stando al rapporto del comandante in capo, la sera prima era finita meglio della mattina seguente. Il comandante in capo era stato uno dei Soldati che avevano risalito la gerarchia mediante l’indottrinamento diretto Distopiano, ma ciò non lo rendeva meno valido degli altri, l’unico problema era il luogo in cui si svolgeva la battaglia. Le nuovissime tende anti-umidità erano un prodotto altamente tecnologico, come tali, non erano esenti dall’avere microfoni e videocamere interne, mi fu quindi facile ordinare ad una mia sub-unità di controllare tale area. “Sentite, voglio risposte, non altre domande, cosa possiamo fare?” “Nessun controllo aereo valido, non abbiamo segnale se ci addentriamo nella foresta, e soprattutto, fa un caldo becco” “Cortesemente, Defender 27893, è pregato di esprimersi in toni non da civile” “con tutto il rispetto, Comandante, fa troppo caldo, e, se devo dirla tutta in sincerità, l’importante è capirsi no?” “oh si certo, allora è pregato di riferire lei all’Originale che a causa del “caldo becco” non riusciamo ad avanzare né a stanare i ribelli, vada in sala riunioni, e gli comunichi pure la situazione. Spero inoltre di essere stato chiaro, lei gli riferirà esattamente la causa come “caldo becco”, mi sono fatto capire bene?” “Sissignore” 27893 si mise sugli attenti e poi uscì. “Caldo becco, dove andremo a finire di sto passo, ah i giovani d’oggi” “perché è vecchio lei” borbottò uno dei due Soldati di guardia fuori dalla tenda del Comandante. Fortunatamente il Comandante sembrava essere mezzo sordo a causa della sonnolenza mattutina, e non accadde nulla, ma io sentii chiaramente, e presi nota. La sala riunioni era stata fatta trecento metri sotto terra, e vi si accedeva per mezzo di un montacarichi, così facendo si evitava il rischio di bombardamenti, e più che altro, era un luogo ricreativo ideale, visto che comunque sotto terra faceva fresco. “Scende Defender numero 27893!” comunicò uno dei Soldati di guardia al montacarichi, poi, mentre 27893 scendeva, aggiunse rapidamente in un bisbiglio “Nascondete la roba” poi tornò in posizione. Mentre il montacarichi scendeva lentamente, 27893 si ritrovò a pensare come, di lì a poco, avrebbe dovuto informare l’Originale delle resistenze nell’area, iniziò a sudare freddo, non per paura sua della reazione dall’altra parte, ma per com’era stato fatto geneticamente. L’Originale non aveva giustiziato un membro della Legione Oscura da quando era stata formata, né aveva mai punito qualcuno, però ciò era ovvio, l’unico difetto era che, visto il livello di paranoia dell’Originale stesso, ogni singolo membro della Legione era stato modificato geneticamente, in alcuni casi lievemente, in altri pesantemente. Le variazioni andavano dagli Animal fino agli Psycher, però in tutti una caratteristica era stata impiantata, la paura dell’Originale, paura non propria, ma il rispetto per la sua autorità con il timore, come un topo che senta un serpente a sonagli nelle vicinanze si acquatta e non si muove, così l’Originale era il serpente, vegetariano forse, ma pur sempre un serpente. Il montacarichi si fermò giusto davanti ad un corridoio di uomini, tutti in divisa, come pronti alla guerra, ma si poteva distintamente scorgere che si erano rivestiti di tutta furia, non si poteva negare loro di stare al fresco, quindi, dopo aver tirato un sospiro, 27893 tirò dritto fino alla sala riunioni. Il collegamento nella sala era perenne, sia perché la foresta amazzonica era una delle poche aree non ancora del tutto bonificate, come le steppe russe, sia perché l’Originale non dormiva quasi mai e si preoccupava sempre che tutto filasse liscio. 27893 bussò alla porta prima di entrare, il dna aveva già iniziato a fare effetto. Il colpo di grazia lo diede il viso nello schermo dell’Originale, con le borse sotto gli occhi e il mento appoggiato sul palmo della mano, guardò di sottecchi il Defender, e il soldato per poco non volle mettersi a correre. “Come vanno le cose lì?” la domanda, seppure nella sua innocenza, fece scattare sull’attenti 27893, che, rivivendo tutta la sua vita dinnanzi agli occhi, ripeté ciò che gli era stato ordinato di ripetere. Vi fu un attimo di silenzio nella sala, poi un lieve sorriso si dipinse sulle labbra dell’Originale, “beh, l’importante è capirsi no?” replicò l’Originale a 27893, “Sissignore, signore. Ha perfettamente ragione, signore” l’unica cosa che però il soldato voleva era fuggire, ed era in procinto di lasciare la sala quando sentì “Tuttavia…” e il tuttavia era esplicativo di “sta fermo lì e ascolta”, “Sì, signore?” chiese, “Beh, è vero che non possiamo distruggere la foresta Amazzonica, però…spostarla quello lo possiamo fare no?” “In che senso signore?” 27893 aveva la sensazione che di lì a poco avrebbe avuto da riferire al Comandante un’altra trovata dell’Originale, deglutì e ascoltò il resto, “Semplicemente, spostatela. Prendete gli alberi a uno a uno e li trasferite.” “Signore, dove?” “Il posto deve essere solo momentaneo, fintanto che non si bonifica l’area, vediamo un po’” ciò detto il volto si corrucciò un attimo, fissando altre cose che probabilmente erano apparse sul suo schermo, “ah ecco qua, spostate il tutto via aerea o marina in Texas” “come scusi?” “mi ha sentito bene, usate qualsiasi mezzo, ma voglio vedere gli alberi della foresta Amazzonica vicino ai tori Texani entro la fine della guerra” “Sissignore, con permesso signore” ciò detto 27893 uscì dalla sala, richiuse la porta alle sue spalle e vi si appoggiò contro, tirando un lungo e agognato sospiro di sollievo, “guardi che la sento ancora” constatò la voce dall’altra parte della porta, e questa volta, Defender 27893, si diede alla corsa più folle che poté verso il montacarichi, pronto ad affrontare il comandante, quasi felice di doverlo affrontare. “Sia così gentile da ricapitolarmi la faccenda, Defender” sbottò il Comandante. “beh, si ecco, il Sempiterno Originale suggerisce di sradicare gli alberi e spostarli in Texas” 27893 era visibilmente nervoso, difficilmente sarebbe potuto essere in un qualsiasi altro stato d’animo, ma era comprensibile, comprensibilissimo. “Senta, se il caldo le ha dato alla testa, me lo dica subito, se vuole essere trasferito al polo nord, me lo dica subito, ma non mi venga a dire idiozie simili! Noi non siamo un orto botanico!” “Però siete un esercito, no?” l’individuo che aveva parlato da fuori la tenda fu riconosciuto appena entrò, “oh perfetto, ci mancava altra gente nella mia tenda” sbottò il Comandante, “Sono qui perché l’Originale voleva essere certo che fosse tutto concluso” la voce calma e serafica giungeva da un Giudice. Creati grazie al meglio della tecnologia e delle migliorie genetiche, i Giudici univano alla forza e velocità degli Elite, le capacità psichiche degli Psycher. Se un Soldato valeva dieci uomini, uno Psycher cento, e un Elite mille, un Giudice era un’intera armata di carri armati, molto armati, e molto addestrati, non possedendo un grado specifico all’interno della gerarchia militare della Legione Oscura erano i freelancer dell’esercito, nel vero senso della parola. La loro unica autorità era L’Originale, e in effetti, erano le sue guardie del corpo. “Cosa porta un Giudice a sporcarsi il mantello da queste parti?” chiese il Comandante, per nulla intimorito dalla presenza del collega di pari grado, se non superiore. “Ho sentito che il fango della foresta Amazzonica è ottimo per curare l’artrite… l’Originale vuole che il lavoro sia completato, e comunque, non sono venuto solo, ho con me l’intero esercito che era stato assegnato alle steppe russe”. Questa volta il comandante rimase sorpreso, “le steppe russe bonificate?” “sì, perché qualcuno il suo lavoro, almeno, è in grado di farlo bene” “E chi sarebbe costui?” “Io”. Il Comandante sbuffò, poi sollevò la mano destra e disse “In nome dell’Originale, io pongo me e i miei subordinati sotto i suoi ordini, per la durata di quest’operazione, non mi arrogo più alcun dovere per i miei uomini, giacché li affido a uno più degno”. In pratica, il Comandante si era appena lavato le mani di tutti i suoi uomini, lasciandoli nelle mani del Giudice… il quale d’altra parte era ben contento di passare da un clima gelido a un caldo. I Phaseshifter di stanza nella divisione furono radunati nella radura, ammontavano a quindici, più quelli usati per il trasporto delle truppe dalla Russia, erano in tutto quarantaquattro. Sarebbero dovuti essere cinquantacinque, ma cinque erano stati abbattuti durante i voli di ricognizione nella giungla, e sei nella tundra Russa a causa della contraerea nemica. I Phaseshifter non avevano bisogno di rifornimenti, perché l’energia era fornita da panelli termo nonché foto elettrici, luce o calore caricavano le batterie, quattro in tutto. L’autonomia era elevata, ma in caso di bufera di neve erano ovviamente bloccati a terra, cosa che ne facilitava la distruzione. “Una serie di bombe al neutrino sgretolerebbe ogni forma esistente, così facendo invece, mi sa che ci vorrà un bel po’ di tempo” costatò pigramente il Giudice, poi scosse la testa e si voltò verso uno degli Analisti che lo stava accompagnando, “Una media?” l’Analista lo guardò sospirando e scosse la testa, “Vuole veramente rovinarsi i prossimi anni della sua vita?” “Anni?” “beh, per non dire secoli…” “oh si certo, tanto abbiamo tutto il tempo del mondo no?” “Se lo vuole l’Originale…” “Bene, allora, iniziamo pure” ciò detto, fece un gesto con la mano destra, e gli uomini si diedero subito da fare per rendere operativi i Phaseshifters. “Ti dico che è così” “Devi essere ubriaco” “Te lo ripeto, la foresta si sta rimpicciolendo” questo breve scambio era avvenuto tra due guerriglieri indios nelle profondità della giungla nel loro idioma. “Questi mostri ne sanno una più del diavolo” continuò l’indios numero uno, “ma va là! E dove di grazia si starebbe rimpicciolendo la foresta eh?” ribatté il guerrigliero numero due, indicando davanti a se con un gesto della mano, la mano gli svanì nel nulla. “Porc…hai visto?!” esclamò, poi ritrasse la mano, si era ancora lì, “che stregoneria è mai questa?” si guardarono attorno furtivi, poi avanzarono lentamente, le armi in pugno e togliendo la sicura. La gamba del guerrigliero numero uno attraversò letteralmente la foresta, ma non trovando un appiglio solido dall’altra parte, perse l’equilibrio e cadde in avanti, il mitra incominciò a sparare e si colpì alla gamba destra mentre cadeva, lasciando andare il fucile e finendo con il rotolare in fondo ad un buco nel terreno. Il suo compagno se l’era data a gambe all’udire degli spari, e l’aveva lasciato nella fossa, ferito e sanguinante. Il nemico era stato catturato e trasportato urgentemente al campo, avevano avuto fortuna, molta, se fossero riusciti a tenerlo in vita abbastanza a lungo, avrebbero anche potuto provare il nuovo giocattolo giunto di recente alla base, un lettore di pensieri. L’unica cosa che avrebbe reso la giornata perfetta sarebbe stato trovare l’accampamento dei ribelli, e sperare che fosse uno solo, i medici del campo controllarono lo stato del ferito, gli estrassero il proiettile e gli fasciarono la gamba, tutto questo mentre il ribelle era gentilmente trattenuto da due Goliath. Non si oppose molto, almeno finché non vide che il lettore di pensieri era in realtà una serie di cavi e siringhe che andavano inserite direttamente nella corteccia cerebrale, nella colonna vertebrale, e negli organi vitali, e ovviamente, l’anestesia non si spreca con i nemici… Il comandante guardava con speranza lo Psycher 93048, sperando di potersene finalmente andare prima del tempo, lo Psycher lo fissò e poi borbottò un “Qua non va bene”. Il “qua non va bene” fu come una doccia fredda, “in che senso?” chiese il comandante, “Nel senso che i suoi pensieri sono nella sua lingua… ed io non conosco l’indios”, il comandante emise un lungo sospiro di sollievo, “BENE! Trovatemi un dizionario di Indios! E qualcuno mi procuri un Soldato disponibile a imparare la sua lingua!” poi uscì dalla tenda fischiettando, eh sì, quella era proprio una bella giornata.
sorano Inviato 21 Settembre 2009 Segnala Inviato 21 Settembre 2009 l'ho letto solo di sfuggita e a pezzi e neanche tutto ma è un gran lavoro! complimenti!
shadenight123 Inviato 22 Settembre 2009 Autore Segnala Inviato 22 Settembre 2009 l'ho letto solo di sfuggita e a pezzi e neanche tutto ma è un gran lavoro! complimenti! grassie, e non è nemmeno finito ^^ spero che i successivi siano sempre di gradimento, anche perchè qui ora, si arriva alla parte "politica" della distopia...ma può esservi una "politica" in un impero di numeri? New Chapter: Distopia Capitolo 5: “Regno, impero e stato, son la cosa più brutta del creato.” I primi dati delle procedure al neutrino ci giungono dai messaggi della Camera, è interessante notare come è stato ipotizzato che fu solamente grazie a ciò, che la Distopia mantenne il governo più saldo dell’intero periodo, rispetto alle vecchie forme politiche, corrotte e in decadimento. Nota dell’autore. “Una volta abolito Dio. Il governo diventa Dio”. Queste parole erano incise sulla facciata del parlamento. Non erano ovviamente quelle le parole originarie, ma dopotutto, quando mai le cose intelligenti sono messe in evidenza? Comunque, la riunione era già iniziata, e lui era in ritardo. Era sempre in ritardo, qualsiasi cosa facesse, qualsiasi orario scegliesse di svegliarsi, arrivava in ritardo. Quella volta però il suo ritardo non fu senza conseguenze, perché incappò in un corteo di protesta contro il nuovo tipo di governo, la “Distopia”. Questa gente era proprio strana, gli era concessa la libertà piena e totale di parola, libertà di stampa e di pensiero, e ciononostante insisteva con il protestare, e a nulla valevano le parole, loro continuavano imperterriti a perseverare, convinti di essere nel giusto. Si passò una mano sui capelli neri, sospirando, e una nuvoletta di fumo uscì dalla sua bocca, poi attese appoggiato al muro che il corteo passasse. Con calma e senza fretta osservò i loro volti, mentre loro gli sfilavano davanti, si sarebbe volentieri acceso una sigaretta, per rendere meglio l’idea di strafottenza, ma si trattenne. Ciò che non aveva previsto era che la folla potesse circondarlo… “guarda, guarda, cosa ci fa un uccellino fuori dal nido?” “facciamoli vedere chi comanda!” “si!” era interessante notare come la “folla” non fosse un individuo, e quindi non fosse convincibile con le parole a smetterla, ma gli avevano insegnato a cercare sempre il dialogo, così ci provò: “Problemi?” “problemi?! Chiede se abbiamo problemi gente!” strillò l’uomo alla folla, a quanto pare era stato eletto all’istante capo popolo, che cosa patetica. “se non avete problemi, sgombrate la strada e fatemi passare” costatò. “Abbiamo un problema, oggi intendete votare per rimuovere ogni sorta di “remunerazione pecuniaria”, e non ci piace” “vero!” “dateci i nostri salari!” “come pensate che potremmo vivere senza?!” gli urli della folla si andarono sommando e crescendo d’intensità. “ora” proseguì l’uomo, “come intendete farci vivere, eh?” “si esatto! Come, come, come?” il coro di come sembrava quello dei pappagalli, che ripetono alla nausea finché non gli si dà un biscotto. “Tutto qui? E dov’è il problema scusate? Siete veramente patetici” forse quelle parole non erano propriamente le più neutre possibili, fatto sta che l’uomo perse la pazienza e gli mollò un pugno sulla faccia. “Chi sarebbe il patetico, eh? Razza di mostriciattolo?!” e per sottolinearlo gli mollò un altro pugno, che lo fece cadere per terra. Rialzatosi, sputò sangue sul marciapiede, poi aggiunse in un tono che di neutro non aveva niente:“siete patetici, tutti quanti voi lo siete. E se proprio volete saperlo, l’unica ragione per cui siete ancora vivi è che al momento non sapremmo dove seppellirli” “tu … lurido... gahh” l’urlo che seguì fu dovuto al fatto che l’uomo perse la mano, dopotutto, un proiettile calibro cinquanta può tranquillamente staccare una mano di netto… “Siete circondati, ripeto siete circondati, allontanatevi dal soggetto colpito e tornate a protestare normalmente, il capo folla e chi intenderà opporsi sarà eliminato, ripeto…” il resto della frase si perse nel silenzio della folla, che si allontanava dall’uomo, lasciandolo li riverso al suolo, col moncherino di quello che una volta era il suo braccio destro. “e il mostriciattolo sarei io? Se uno di voi cade, gli altri si allontanano. Quelle finzioni sull’aiuto reciproco, sulla pietà, sono solo vuote parole, voi non siete nulla, siete larve che infestano questo mondo, siete insulti alla ragione e alla logica, siete veramente la cosa più indegna che possa esistere. E se proprio vuoi sapere perché non siete pagati, è perché….” Non finì la frase, non ne vedeva l’utilità, dopotutto, l’individuo era appena morto dissanguato. Si mise a correre verso il parlamento, lasciando il cadavere in balia delle Forze Antisommossa. Per sua fortuna la Sala era ancora aperta, così riuscì a entrare prima che le porte si chiudessero. Dentro la Sala non c’era luce, affinché i volti non potessero essere distinti ma solo i codici identificativi, così nessuno poteva essere del tutto certo di chi avesse votato a favore o contrariamente. “Codice IDN 678” borbottò con tono sommesso, ma comunque udibile dai sensibilissimi microfoni della Sala, che immediatamente attivarono la sua postazione da lavoro, cioè uno schermo olografico dai colori blu fosforescenti dentro ad un quadrato di cemento di metri due per due. Lo schermo lo portò direttamente nei canali d’obbligo, Parlamento, Partito, Pubblico. Spulciando le varie conversazioni in corso notò una richiesta per un chiarimento inerente alla rimozione dei salari, cui ovviamente nessuno aveva voluto dare risposta, quel giorno si sentì buono, e decise di rispondere egli stesso, pertanto premette il bottone del rintracciamento Persona e poi iniziò a scrivere usando la connessione alla Rete. Le parole pensate si materializzarono sullo schermo, formando prima frasi, e poi un discorso abbastanza lungo in cui era scritto, in un tono che si era deciso di chiamare politichese, che non c’era nulla da preoccuparsi, che semplicemente erano circolate false notizie, in realtà lo stato avrebbe preso il controllo su ogni genere di attività commerciale e non, fornendo in cambio vitto e alloggio gratuito a chi avesse lavorato. Chiusa la connessione alla rete, e accertandosi che fosse chiusa, la prudenza non era mai troppa, inviò la risposta, intanto il tracciamento Persona aveva trovato il mittente della richiesta, che per quanto avesse provato a restare anonimo era stato comunque rintracciato a seguito dell’errore fatto: le telecamere Chimae lo avevano ripreso. Le Chimae erano telecamere per così dire “viventi” e pertanto erano direttamente collegate alla Rete, una delle più grandi invenzioni dell’Impero, e tramite gli impulsi che inviavano regolarmente e la loro capacità mnemonica virtualmente illimitata, ricordavano le cose di mesi prima come se fossero accadute in quel preciso istante. L’autore della richiesta di chiarimenti era a quanto pare un non classificabile, forse non aveva voluto sottoporsi all’Esame di Supremazia, o forse aveva avuto paura di fallirlo, ciononostante a quanto pareva aveva chiesto chiarimenti solo per scatenare un vespaio nella rete. Guardando indietro negli ultimi avvenimenti infatti, si potevano ancora vedere le tracce lasciate da una serie di cancellazioni di messaggi ritenuti “involuti” dai Custodi della Rete. L’invio era stato fatto in una caffetteria della zona sud della città numero Trecentotrenta, gestita da due “esseri umani” che avevano passato il test di supremazia più per il fatto di essere stati ritenuti innocui, che per altri motivi. Erano una coppia di ottant’anni. Muovendo la mano destra sullo schermo, aprì un canale di comunicazione con un centralino Psycher, che badò a reindirizzarlo al primo Animal o Sniper libero. “Quest’individuo è stato rintracciato?” “No signore” “cosa aspettate?” “Non…beh ecco, come dire, non lo troviamo” “come sarebbe a dire che NON LO TROVATE?” per fortuna che il suo “studio” era insonorizzato, altrimenti l’avrebbero sentito fin giù in strada. “Signore, abbiamo richiamato in pattuglia una trentina di Animal, quindici Sniper, quarantacinque Soldati e addirittura tre Elite, e le garantisco, signore, che non abbiamo la più pallida idea di dove sia, le immagini delle chimae ci danno il suo volto, abbiamo il suo dna dalla tastiera usata, abbiamo la sua voce dai rilevamenti delle sonde mentali dei due ottantenni, e nonostante tutto, non sappiamo dove possa trovarsi” “Allora procedete al piano N” “Signore, se vuole che procediamo, dovrà firmare l’apposito modulo e inviarmelo con allegato il suo numero identificativo e la sua firma digitale, aggiungendo una prova di autenticità” “Sarà fatto.” Ciò detto aprì il rispettivo modulo di domanda per l’uso della procedura al Neutrino dell’area, poi inserì il proprio codice identificativo della sala, e vi aggiunse una breve scritta “mors tua, vita meam” dopodiché spedì il tutto via rete all’ultimo indirizzo chiamato. “Ehi, 678!” furono le parole che apparirono nella Chat della sezione Parlamento, il messaggio proveniva dal parlamentare IDN 209, che quel giorno era stato eletto per decidere le nuove leggi. Era un bravo parlamentare, fintanto che non si parlava di sterminio, allora prendeva un’altra piega… una brutta piega… “Occupato con modulo N attendere” fu la risposta stringata, aprì di nuovo il canale di comunicazione con lo Sniper precedente, che nel frattempo aveva ricevuto il suo bel modulo N, in formato cartaceo di un bel colorito azzurro. “Contento ora?” “certificazione autenticità prego” “Mors tua, vita meam” “autenticato come parlamentare IDN 678, procedura al Neutrino iniziata.” L’allarme della procedura al Neutrino scattò nel sottofondo mentre 678 chiudeva la comunicazione, poi si dedicò a 209, “Che c’è 209?” “oh niente, sei libero stasera per cena?” “Ti prego, lo sai che piuttosto che seguirti un’altra volta in uno sconosciuto ristorante nei sobborghi preferisco mangiare carne di Goliath” “Senti, non finirà come l’ultima volta…” “cioè in diarrea per una settimana?” “Vi debbo ricordare che siamo sul canale pubblico?” la linea di testo fu scritta dall’IDN 594, femmina. “Suvvia Cinquita, finiscila” “la finisca lei, dobbiamo rappresentare gli interessi dei nostri simili e degli umani qua, non parlare delle complicazioni derivate dall’essere andati in un’area non purificata” 209 la ignorò e proseguì la conversazione normalmente con 678, “Questa volta andiamo in un altro posto, si tratta di un’Algheria” “NO” “ti divertirai, hanno anche l’alcol di Alghe e…” “Se non vuoi costringermi a richiedere la tua ostracizzazione, finiscila lì” “Sei proprio noioso lo sai?” “Ci tengo al mio stomaco” “Ehm ehm” queste parole furono scritte da IDN 000, per un attimo, negli abitacoli vi fu il panico più assoluto. “Non ho letto IDN 000, non ho letto IDN 000” si ripeté mentalmente 678, purtroppo senza disattivare lo schermo, così ciò apparve direttamente sulla Chat del Parlamento, e 678 sbiancò. “Sono nella merd…” disattivò infine il comando d’inserimento mentale, giusto a tempo. “Si 678, hai letto IDN 000, cambia qualcosa?” 678 cercò di calmarsi, pensò a una risposta valida da dare, fece un respiro profondo ed espirò, poi riattivò il comando d’inserimento mentale e scrisse “No, signore, non cambia nulla signore, stavamo giusto per metterci a discutere del problema di questi Irrintracciabili signore.” “Ah bene. Comunque, mentre tornate a casa, stasera, fate pure un salto all’Algheria…mi assicurerò che ci sarete” disattivando rapidamente I.M., 678 bestemmiò in tutte le lingue che conosceva, più molte sconosciute anche a lui. “Su, su, 678, lo sai che è inutile” “Sì, però…” “niente però 678! La prossima volta frenerai la lingua” “sì, signore”, l’ultimo scambio di battute avvenne a I.M. spento… “bene ora vado, ma potrei sempre restare qua senza farmi vedere…siete avvisati, comportatevi bene” “sissignore!” fu la risposta da IDN 001 fino a IDN 999, intasando completamente la chat del Parlamento… “devo decidermi a fare qualcosa…forse schermi più grandi” mugugnò tra sé e sé IDN 000, mentre chiudeva il proprio schermo domestico. Poi guardò gli ultimi progetti ideati per le nuove stazioni spaziali… si, “New Freedom” era proprio un bel nome.
shadenight123 Inviato 25 Settembre 2009 Autore Segnala Inviato 25 Settembre 2009 capitolo sei, have fun reading, e commenti graditi al solito, io adoro i commenti ! ^^ Legione Oscura Capitolo 6: “Gravità” Le prime esplorazioni spaziali non furono grandi successi, in effetti, furono gli alieni a contattare noi per primi, anche se si tende ad ignorare questo fatto, alla luce delle successive scoperte. Non si è ancora capito cosa spinse la frenesia spaziale nelle menti della Distopia, ma sappiamo per esperienza personale che non si è ancora riavuto un tale periodo d’oro. Rapporti giornalieri, nonché diari elettronici di vari Spacer sono giunti fino a noi dalle biblioteche dei loro discendenti. Nota dell’autore. Lo spazio. Infinito, perfetto, eterno. Un quieto silenzio, il lento muoversi degli astri, il veloce movimento delle comete. Se esiste la perfezione, la si può scorgere solamente nello spazio profondo. E di certo lo Spacer 9873295 non la vedeva. Sarà perché era stato svegliato di malo modo dal segnale di emergenza, sarà che non aveva voglia di muoversi così presto, sarà che per l’orologio sincronizzato con l’ora terrestre, erano a malapena le due di notte, sta di fatto che la perfezione, lui, nell’universo, non la vedeva. Fosse almeno stata un’emergenza vera e propria, invece no. Gli era stata comunicata una perdita di acqua nei tubi del secondo sottolivello dell’astronave, si era vestito di tutta fretta per nulla, la divisa era grigia, con due spallette nere, gli occhi marroni di 9873295 si contrassero alla luce fuori dalla cabina. “Yawn” furono le poche parole della guardia fuori dalla cabina, che si strofinò un occhio, e poi tornò ad appoggiarsi alla parete, tornando a dormire. Dopotutto, non era probabile che vi fosse un qualche motivo per svegliarla, e comunque, contro un attacco, non avrebbe fatto molto nemmeno il più forte degli Elite. Da quando lo spazio era diventato fonte di reddito per i suoi vari meteoriti di carbon fossile, i giacimenti di diamanti, i metalli preziosi e alcuni addirittura sconosciuti, la corsa per la sua esplorazione e conquista era diventata sfrenata. Il sistema solare aveva visto la colonizzazione di Marte, Venere, e Plutone, su Giove vi erano piccoli insediamenti automatizzati per il prelievo dei gas, mentre Saturno stava lentamente perdendo le sue fasce di asteroidi, che andavano a essere impiegati nella costruzione di astronavi. La Terra d’altra parte… beh, che dire, il pianeta blu sembrava più che altro divenuto il pianeta verde, a seguito del motto “Ogni pianeta, una specialità diversa”. La Terra era diventata l’area relax, raggiungibile tramite un dislocatore Inter-spaziale di nuova generazione, e l’intera popolazione della Legione Oscura era stata trasferita nella Stazione Spaziale “New Freedom”. Grande due volte la Luna, era in fermo dalle parti di Giove, abbastanza lontana dal campo di gravità del pianeta stesso, onde evitare di entrare in collisione con uno dei suoi asteroidi, quelli rimasti almeno, perché Ilio non era stato un asteroide molto furbo a mettersi contro un cannone a Concussione… Spacer 9873295 era uno dei soldati di nuova generazione, grazie alle nuove tecniche genetiche sviluppate nel corso degli ultimi secoli, erano stati risolti la maggior parte dei problemi relativi all’agorafobia spaziale, il silenzio dello spazio non li turbava, ed erano sempre Soldati della Legione Oscura. L’unico problema era il colore dei capelli, di un grigio pallido, ma era puramente un difetto estetico, che non influenzava nulla delle capacità degli individui. Si erano però venuti a creare due gruppi nella Legione Oscura, gli Spacer, con tutte le loro sotto-classi, e gli Earther, le truppe d’ acqua, terra e aria. 9873295 camminò lungo il corridoio blu della nave, arrivato alla zona degli ascensori, entrò in quello che lo avrebbe condotto direttamente al secondo sotto livello, dove si era verificata la perdita. Quando arrivò, si trovò davanti uno spettacolo veramente interessante, se non fosse stata una vera emergenza… alla mancanza d’ossigeno, la tuta reagì tirando su il casco incorporato, facendo fuoriuscire i guanti da lavoro, e schermando lo Spacer dai danni delle radiazioni spaziali, poi l’ascensore aprì la porta, e lo Spacer fu risucchiato fuori con l’aria dell’ascensore. Le scarpe magnetiche fecero il loro lavoro, e lo ancorarono al pavimento. L’acqua fuoriuscita dal tubo doveva essere venuta in contatto con una zona di risacca della nave, un’area in cui non vi era aria per insonorizzare la sala motori dal resto del complesso spaziale, doveva poi essersi gelata, e quindi il ghiaccio doveva essersi rotto, portandosi dietro un pezzo di parete e di tubatura. La tuta dello Spacer aveva ossigeno a sufficienza per tre ore, più che sufficiente nelle occasioni di emergenza minori, ma in questo caso non sarebbero bastate di certo. Per prima cosa, inviò un ordine ai piani alti tramite la Rete, affinché togliessero l’acqua dalle tubature numero settanta e trentasette, poi chiese il supporto di altri tre Spacers, infine fece una breve lista di quello che serviva. “Abbiamo un problema” fu la breve risposta dall’altro capo, “Quale?” “Non abbiamo abbastanza lastre di Diamantite per il lavoro” “Quante ne abbiamo?” “Due” “si rende conto che ce ne servono almeno sei, vero?” “che vuole che le dica? Ho inviato una richiesta di lastre di Diamantite, non resta che attendere” “Si rende conto che se il secondo sotto livello resta bloccato, si taglia in due la nave?” “Spacer 9873295, me ne rendo perfettamente conto, ma non posso fabbricare lastre di Diamantite col pensiero, non crede?”. La Diamantite, grandissima invenzione, delle lastre non più lunghe di una mano e non più larghe di due dita, che, una volta riscaldate, si espandevano, mantenendo però inalterate le proprie qualità di resistenza agli urti e al calore. Una lastra di Diamantite però non era espandibile all’infinito, e per fabbricarla erano necessarie pressioni talmente elevate che non erano ricreabili in laboratorio, né in fabbrica, per questo era necessario un vero e proprio pianeta, soprannominato affettuosamente “Pressore”. I materiali erano letteralmente lanciati sulla sua superficie, e, attraverso l’alta forza di gravità e l’impatto con l’atmosfera, venivano a crearsi blocchi di Diamantite. Il problema era recuperarli, e l’unico modo finora trovato era stato quello di inondare l’area di impatto con enormi dosi di liquido anti gravitazionale, far scendere una squadra di Goliath rinforzati, e fargli recuperare mediante l’uso di strumenti all’azoto liquido le lastre. Indistruttibili al calore e agli urti, non resistevano al freddo, e si potevano quindi spezzare con facilità. Una volta fuori dall’atmosfera del pianeta, il loro peso diminuiva drasticamente, tanto che verificandolo sulla Terra, era emerso che fossero più leggere di una piuma. Erano pertanto inutili come pareti esterne delle navi, ma ottime per quelle interne, visto che erano in grado di mantenere la loro forma anche dopo una serie di urti violentissimi, che tendevano a capitare quando si insisteva con il tenere le armi pesanti cariche nella stiva. Fortunatamente, una colonia della Legione era nelle vicinanze del segnale del traslocatore spaziale, e aveva scorte di diamantite a sufficienza, quindi il problema fu risolto senza troppe complicazioni. La Fregata da battaglia spaziale “Forty” ripartì nel silenzio dello spazio subito dopo che le provviste furono caricate. Il Capitano 28373 si rilassò sulla poltrona della plancia, mentre l’antigravità circoscritta lo sollevava a mezz’aria, lui e la sua poltrona, verso lo schermo principale della nave. La situazione nel secondo sottolivello si stava lentamente risolvendo, ma fin quando non fosse rientrata l’emergenza, non poteva permettersi di far partire i motori a curvatura, e neppure quelli anti-temporali. L’ordine ricevuto era quello di appoggiare un’invasione del settore numero 378 della galassia, dove si trovava una razza senziente abbastanza evoluta da potersi rilevare una minaccia futura. “Se vuoi la pace, prepara la guerra” Mai parole furono più vere. I primi incontri con le razze aliene non avevano molto di fiabesco, o fantascientifico, anzi, erano stati brutti, freddi, e in alcuni casi, nemmeno molto all’ordine della diplomazia. “Noi razza superiore, voi bipedi inchina” era il loro solito ritornello, che però tendeva a cambiare in un “padrone misericordioso risparmia quest’inferiore” dopo che i loro pianeti erano stati denuclearizzati. Nel senso che i nuclei che di solito facevano andare i loro pianeti erano rimossi mediante l’impianto di una bomba anti-temporale. Anti-tempo e Curvatura. La prima tecnologia era stata scoperta subito dopo le bombe al neutrino. Imbrigliando i neutrini tramite fortissimi campi elettromagnetici e facendoli procedere al contrario in un’aria circoscritta, si poteva sia mandare indietro l’oggetto all’interno, sia al contempo avanzare. Grazie a ciò, viaggi di milioni di kilometri diventavano fattibili perché l’equipaggio non invecchiava, restando quindi nelle condizioni in cui era originariamente. Vi erano però due gravi difetti in questo procedimento: Il primo era l’elevato costo di energia richiesto per l’attivazione del campo anti-tempo e dei motori. Il secondo era il più grave dei due. Siccome l’equipaggio restava fermo nel suo tempo, ma i motori erano staccati da esso, bisognava per forza muoversi a scatti, fare brevi tragitti per poi disattivare il tutto, riparare i motori, e ripartire. I rischi in ciò erano elevatissimi, sia perché un errore dei calcoli o un imprevisto potevano in qualche modo distruggere i motori lasciando la nave in avaria totale, sia perché fintanto che l’equipaggio restava nell’area anti-tempo, essi rivivevano costantemente intervalli di settimane, cosa che alla fine segnava terribilmente la loro psiche. La seconda tecnologia fu stranamente inventata da un Soldato, cosa che la rese famosa in non poche galassie. La tecnologia a curvatura era la banalità fatta a persona, ma al contempo la più complicata delle due, e si basava su un presupposto fondamentale: che lo spazio fosse a forma di buccia di mela tagliata. Ciò fu veramente un toccasana per i viaggi spaziali. Luoghi che sembravano i più lontani, diventarono i più vicini. Fu allora che le altre civiltà galattiche s’interessarono all’Impero… All’inizio esso fu conosciuto col nome galattico di “Thor de Kol”, che significava, come si venne a sapere più tardi “Regno degli uguali”. Il nome fu dato all’Impero giacché la divisa indossata da ogni suo membro era uguale. Più tardi, quando le altre civiltà capirono che non avrebbero potuto ottenere nessuna tecnologia spaziale dall’Impero, e neppure patti commerciali favorevoli, iniziarono i guai. Da “Thor de Kol”, l’Impero assunse col passare del tempo altri nomi, nessuno dei quali mi sembra il caso di ripetere. Il nome con il quale l’Impero era noto al momento era “Gart Nyuv” che tradotto in lingua corrente sarebbe pressappoco: “Flagello nero”. I cantieri spaziali lavorarono a ritmo febbrile per anni, ma alla fine fu deciso che l’Impero sarebbe stato lasciato in pace. A deciderlo fu l’Originale stesso, dopo aver annichilito quel poco che restava delle armate galattiche che si erano poste contro la macchina da guerra che era la Legione Oscura. Stando ai libri di storia Distopisti, fu nell’anno MXCDLVI P.L., Post-legione, che accadde. Il sole decise che era giunto il momento di tirare le cuoia e iniziò il processo che lo avrebbe portato da sole a buco nero. Non era stato un grande cambiamento, oramai il sistema solare antico era stato abbandonato da quel dì, ma nell’Originale qualcosa cambiò radicalmente. Fu così che decise, per la prima volta dopo millenni, di parlare a tutti, indistintamente. Il messaggio fu trasmesso in ogni luogo, e in ogni dove, echeggiò attraverso la Rete, nelle sofisticate navi spaziali, nelle stazioni spaziali grandi e piccole, in ogni Phaseshifter, e dentro ad ogni Soldato, Psycher, Defender, Goliath, Elite, Giudice, Analista e Spacer. Il messaggio fu chiaro, e incredibilmente recettivo: “Abbiamo finito.” Ed è qui, che interrompo la normale narrazione storica, per rendere noti una serie di fatti interessanti e di rumori che sono giunti fino alle mie orecchie, la maggior parte di questi dati è dedotta o anche solo ipotizzata, ben poco è infatti rimasto di questi avvenimenti…
shadenight123 Inviato 2 Aprile 2010 Autore Segnala Inviato 2 Aprile 2010 Aggiornamento in corso! Premessa dell’autore. La mia sveglia suona sempre alle sette di mattino. Può sembrare forza dell’abitudine, ma la realtà è che ho perso le istruzioni per cambiare l’ora dell’allarme. Visto che i corsi scolastici iniziano sempre alle nove però, mi ritrovo con un’ora e mezza di buca. Un’ora e mezza perché si richiedono un quarto d’ora per il vestiario e la colazione, e un altro quarto d’ora per essere dislocato di peso dentro la scuola, davanti agli studenti. Di solito in un’ora e mezza non si fanno mai molte cose, la maggior parte delle volte la facevo scorrere semplicemente guardando fuori dalla finestra, a volte vedevo la pioggia, altre il sole, alcune volte invece capitava qualcosa di strano che catturava la mia attenzione. Una di quelle volte, vidi una scena piuttosto curiosa, che raramente capita di osservare nell’anno domini MDCXXXVCMLXXXIII post-avventum: un soldato aveva raccolto una margherita da un’aiuola e le stava togliendo un petalo alla volta. In poche parole, si stava affidando al caso. Cosa alquanto strana, visto che non c’era più alcun bisogno di affidarsi a tali mezzi rozzi per prendere una decisione, quando bastava tranquillamente collegarsi alla rete neurale e chiedere ad una squadra di esperti di qualsiasi materia. Ciononostante, il soldato stava contando i petali per prendere chissà quale decisione, quando purtroppo in quel momento scoccarono le nove. Il tubo pneumatico che da un po’ mi stava aleggiando sulla testa, calò giù e mi smaterializzò in miliardi di minuscoli atomi, per ricompormi quindici minuti dopo davanti alla classe gremita, in pigiama e con la tazza del caffè in mano. Tenni comunque la lezione sull’assalto della quinta base spaziale di Baer, e diedi i compiti inerenti la lezione successiva, visto che preferisco che la classe sappia sempre quello di cui parlo nelle lezioni. A lezione conclusa, invece che uscire per primo come ero solito fare decisi di farmi ridislocare a casa, sia per vestirmi, sia per posare la tazza di caffè. Cinquecento secondi dopo fui forzatamente dislocato nel parco, perfettamente vestito, ma senza gli occhiali. Non ammirai le grazie del paesaggio, ma avendo chiuso gli occhi mi sedetti su quella che presupponevo fosse una panchina, la panchina fece buon viso a cattivo gioco e non si mosse, e debbo ringraziare l’Animal sconosciuto che mi fece quel grande favore. Stavo così, seduto con gli occhi chiusi, in attesa di essere ridislocato di lì a mezz’ora, di nuovo a casa, nel mio appartamento, per essere lasciato finalmente libero dalle attività obbligatorie, e poter divenire “fautore del mio proprio moto” come noi accademici siamo soliti dire. In quel momento sentii due persone dialogare tra di loro: li chiamerò Sconosciuto uno e Sconosciuto due, visto che qualsiasi successiva identificazione risultò inutile. Sconosciuto Uno stava blaterando qualcosa a proposito di una interessante proposta di lavoro come mercenario in un qualche sconosciuto quadrante della galassia, mentre Sconosciuto due lo stava ascoltando alquanto perplesso. “Le possibilità sono molteplici, capisci? Potrei fare da insegnante alle altre truppe mercenarie, potrei essere assegnato come guardia del corpo di un qualche importante magnate galattico, potrei addirittura farmi una famiglia fuori dalla Distopia!”. Sconosciuto Due invece sembrava piuttosto seccato dall’ultima affermazione: “Ricordati da dove veniamo!” gli rispose, ma sarà stato uno scherzo acustico, una folata di vento, sta di fatto che l’esclamazione sembrò essere stata rivolta a me. Fu l’illuminazione che stavo aspettando per risvegliarmi dal mio stato di torpore, il botto di esplosivo al posto del solito drin drin della sveglia, grazie a ciò mi venne un’idea. Avrei volentieri urlato “Cisoar!”, ma fui ridislocato forzatamente di nuovo nel mio appartamento, dove sentii il sibilo dell’apertura della mia porta. Mi infilai gli occhiali e tornai a vedere, e per una volta, non uscii dalla porta, ma entrai nel mio studio dove di solito correggevo i compiti, e lì iniziai il lavoro che voi ora vedete dinnanzi a voi. Non un freddo calcolo di statistiche e dati, ma un insieme di rapporti, di file audio visivi, di note, di frammenti di esseri viventi trovati casualmente. Ogni stringa, ogni filamento, ogni singolo pezzo, è stato prelevato, è stato ricomposto, ed è stato abbellito, perché non dobbiamo mai dimenticare, da dove noi veniamo. L’Impero è diviso in due fazioni ben distinte fin dall’alba dei tempi: la parte organica e la parte inorganica, la Distopia e la Legione Oscura. Fu un crononauta a spiegarmi la nascita della Legione Oscura, sotto giuramento che non avrei riferito a nessuno il suo nome, e qui di seguito riporterò parola per parola ciò che successe quel giorno particolare, che cambiò per sempre il corso della storia, nonché ciò che accadde nei secoli e nei millenni successivi. Legione Oscura La provetta era pronta. Ora, l’ultima cosa da fare era versarne il contenuto in una delle cisterne idriche, e godersi lo spettacolo. Un lungo spettacolo, che si sarebbe svolto lungo l’arco di milioni di anni, preciso, puntuale, senza ostacoli. Proprio come lui aveva detto. Stentava a crederci, eppure per la prima volta non aveva paura di fallire, tutto si era svolto secondo i piani, secondo le parole che gli erano state dette. Infilò la provetta nella tasca del camicie da laboratorio, rimpiazzandola con un’altra, contenente un liquido del medesimo colore. La sicurezza nel laboratorio era stretta, ma lui sapeva cosa doveva fare, dopotutto, l’aveva già fatto, o così gli aveva detto lui. Uscì dalla stanza e i rilevatori di sostanze patogene non suonarono, ma dopotutto, non vi erano batteri nella provetta. Gettò il camicie nel’impianto di sterilizzazione, ma con un rapido movimento di mano prelevò la provetta facendola scivolare nella manica. Le porte si aprirono senza problemi, una volta decontaminata l’area, e lui camminò tranquillamente lungo il corridoio. Non stava più nella pelle, anche se mantenne la calma fino all’uscita del complesso scientifico. Fuori soffiava un vento freddo e pungente, mentre lui stringeva a se il più possibile l’impermeabile, tenendo saldamente la provetta con una mano. Ora doveva entrare nell’impianto idrico, e versare il contenuto della provetta oltre il depuratore, o non avrebbe avuto effetto. Le strade erano deserte quella notte, proprio come gli aveva detto, e non incontrò nessuno. Le cisterne erano fuori città, ma non prese la macchina, lui gli aveva detto di non prenderla, avrebbe fatto rumore per nulla. Ci vollero due ore per arrivare a piedi. Non si reggeva più in piedi, ed aveva il fiatone, ma arrivò al casello dove c’era la guardia mezzo addormentata. “Scusi” ansimò lui, “che succede!? Guardi che questa è proprietà privata, lei qui non può stare!” saltò su la guardia. “Macchina rotta” poi prese un altro profondo respiro e disse “strada per la città?”, la guardia lo guardò incredula per un attimo, poi gli rispose “Solo per arrivare in città ci vogliono due ore, in più anche ad arrivarci, dubito che troverebbe un meccanico sveglio a quest’ora, senta facciamo così: lei mi dica dove è la macchina, e io gliela vado a prendere, lei intanto venga dentro e si sieda”. L’atto di umanità che gli aveva detto sarebbe accaduto, tutto quadrava. “grazie” mormorò, poi, dopo che la guardia lo ebbe lasciato entrare e sedere, gli disse con un filo di voce che l’auto si era fermata a dieci kilometri sulla strada. Una bugia a fin di bene, il suo bene. La guardia partì dopo aver chiuso a chiave l’ingresso alle cisterne. Quando si fu allontanata, lui agguantò la sedia, prese fiato, e sfondò il pomello della porta, poi entrò. Corse come gli aveva detto di correre, saltò i gradini a due a due, superò l’area di purificazione delle acque, e raggiunse la zona d’immissione minerali. Estrasse la provetta dalla tasca, il liquido rosa turbinava per il movimento, “Qui le strade si divergono, qui il tempo si separa, qui le dimensioni si accavallano, qua, inizia il viaggio verso la mia immortalità”. Stappò la provetta, e ne versò il contenuto dentro la tubatura aperta, poi si diresse verso i comandi, e mormorò “mi aveva detto di girare la leva dal pomo blu, poi premere il bottone rosso, ed infine quello giallo”. Eseguite le istruzioni, si diresse verso la vetrata, e osservò la scena: i minerali venivano aggiunti alle acque pure per creare acqua minerale, che sarebbe poi entrata nelle case tramite le tubature e i rubinetti. “E dalle case, entrerà nelle persone, dalle madri ai figli, e così via, finché per questo mondo non sarà troppo tardi” gli sussurrò lui all’orecchio, ma quando si voltò, non vide nessuno. “Crononauta 9N, missione compiuta?” chiese Scienziato ∞-9, “Ovvio che sì! Mi stai parlando, no?” poi scoppiarono tutti e due in una fragorosa risata. “Se avete finito, avete una tabella da rispettare” fece una voce meccanica sopra la loro testa. “Sissignore!” esclamarono mettendosi sugli attenti. Nondistopisti Capitolo 7: “Fuit pacem, sic pervenit bellum” Il nemico era lì, indefinito, incomprensibile al suo sguardo o a quello dei suoi compagni, i confini sfocati, il corpo massiccio e privo di occhi, avanzava pesantemente sotto la tempesta di sabbia. Coraggiosamente, e stoltamente, pensò lui. Inutile insistere oltre, diede il segnale sollevando il braccio destro, e due esseri sgusciarono silenziosamente a testa bassa dalla trincea, dirigendosi verso il nemico. I loro corpi sinuosi, e ricoperti di scaglie, erano un antico retaggio dei rettili che li avevano preceduti, così come la loro testa, dotata di una bocca affilata, e di due narici che si potevano chiudere a comando. La coda si muoveva agilmente prolungando la loro colonna vertebrale e garantendo un equilibrio maggiore durante le lunghe corse. Il nemico fu accerchiato e i suoi due commilitoni scattarono, mirando al collo. La tensione avrebbe spezzato ossa molto spesse, ma l’essere sembrò non sentirla nemmeno, mosse la mano, ampia e nera, e se li levò di dosso, quasi come se fossero mosche. Siccome l’attacco non aveva avuto effetto, ordinò di ritirarsi ai due, che ripiegarono velocemente verso la trincea. Il gigante levò allora la sua mano destra, e fece un segno simile al suo di poco prima, e dalle sue spalle, emerse un mostro, alto tre metri e mezzo all’incirca, dal colorito marrone, si reggeva sulle sue zampe posteriori, mentre quelle anteriori erano semplicemente zanne affilate, la bocca, era tutta una fila di denti affilati e lunghi almeno mezzo metro. Fu sufficiente un’occhiata per accorgersi che non avevano speranza, dietro al mostro infatti, vi erano i suoi simili, ed erano un numero indefinito… Il comando del mondo unito era in subbuglio, quella sera, le notizie dalla frontiera erano cessate improvvisamente, così come le comunicazioni con la nazione delle Salamandre. Bastava poco a rendersi conto che qualcosa non andava, anche perché poco alla volta, giungevano voci sconcertanti dagli addetti alle trasmissioni video, una in particolare causava problemi, quella andata in onda poco prima del black-out. Era una diretta della tradizionale battaglia delle salamandre, dove gli adulti cedevano il posto ai giovani alla guida del governo, in quel preciso istante, si era verificata una tremenda esplosione nell’area adibita, e gli ultimi fotogrammi mostravano una figura nera avanzare in mezzo alle fiamme. Il consiglio era già stato convocato, quando nella sala entrarono i rappresentanti dell’impero Umano. Salito al potere da poco, l’imperatore umano era riuscito in breve tempo a farsi una fama discorde, da una parte, c’era chi lo definiva un abile governatore e legislatore, dall’altra, vi era chi lo considerava un dispotico tiranno. A rappresentarlo nel consiglio vi erano due persone, un uomo e una donna, l’uomo, dai capelli marrone chiari e gli occhi color nocciola, aveva sul naso un paio di occhiali, che continuavano a cadergli per quanto si sforzasse di farli stare su. La donna aveva i capelli corti e rossi, e gli occhi di identico colore, una mutazione dovuta all’eccessiva tossicità di certe zone controllate dall’impero. “Ci scusiamo per il ritardo, io e la mia stimata collega abbiamo appena ricevuto notizie sconcertanti riguardanti la nostra ambasciata nella nazione delle Salamandre” si scusò il rappresentante. “il consiglio capisce, sono tempi bui per tutti, ognuno di noi ha un’ambasciata almeno in ogni nazione di ogni membro del consiglio” rispose la Voce. La Voce non era altro che una complicata intelligenza virtuale, nata per rispondere in modo differente secondo le valutazioni di tutti i membri del consiglio, così, le sue risposte variavano secondo le decisioni stesse dei rappresentanti, garantendo l’anonimato delle decisioni prese. Sedevano nel consiglio oltre agli Umani e alle Salamandre, molte razze, tra le quali possiamo elencare in ordine di importanza i Kul, quadrupedi grigiastri, alti mezzo metro, ma dal peso molecolare notevole, così che anche i primi nati potevano benissimo arrivare al quintale e mezzo di peso. Seguivano a ruota gli Hifex, dall’aspetto fragile e delicato, dotati di lunghi arti, e lenti nei movimenti come nelle decisioni, la loro cultura gli faceva venerare come Dio una forza ignota e indefinita, che essi semplicemente chiamavano Orix, o origine. Tre posti più in là sedevano i PiBi, macchine senzienti dall’origine incerta, uniche note certe erano il loro innato pacifismo, la loro intelligenza irraggiungibile e la loro calma innaturale, erano inoltre i creatori della Voce, nonché della maggioranza delle apparecchiature elettroniche che si potevano trovare nella Capitale. Oltre a loro, trovavano posto nel consiglio anche i Phelp, seppure fossero una minoranza netta, piccoli esseri verdastri, dotati di mani e piedi palmate, vivevano nella zona sotto la Capitale, non perché costretti o denigrati, ma di loro propria iniziativa, ed erano i costruttori dell’intera rete fognaria. Prese la parola l’ambasciatore delle Salamandre, alzandosi in piedi “Io temo per la sicurezza della mia gente che rappresento, nonché per la mia stessa famiglia, temo per le uova, che dovevano schiudersi, e per i giovani, che dovevano comandare, temo per i vostri simili, di cui non abbiamo più notizie, e temo per la minaccia che incombe su tutti noi, chiedo di passare ai voti la mia proposta, che s’invii subito una squadra a scoprire il motivo del silenzio” Dopodiché sedette. A quel punto la Voce rispose “Non sappiamo ancora quale sia la causa del silenzio, dobbiamo aspettare e vedere, o avere prove, prima di mandare una squadra”. Un Hifex si levò dal suo posto e disse con voce melodica “La nazione delle Salamandre è circondata da montagne, l’unico modo per attraversare la regione è il valico di Ghant, se vi sono sopravvissuti si troveranno lì, propongo di modificare la proposta dell’ambasciatore delle Salamandre, che s’invii una squadra lì in cerca di risposte, e se non si trovino, si sigilli il valico” La Voce rispose più tardi questa volta, “La proposta pare sensata, sarà deciso domani” Ciò detto la Voce si spense, e iniziò un accanita discussione verbale tra i vari rappresentanti, ognuno convinto che il proprio parere fosse quello giusto, e tutti d’accordo nel non volere spedire a morte certa uno qualsiasi del loro popolo. “Volete cortesemente fare SILENZIO!” urlò l’ambasciatore umano, e mentre tutti si giravano stupiti dello scatto d’ira del rappresentante dell’Impero, la collega tossicchiò e rivolgendosi ai presenti disse “La nazione più vicina al valico di Ghant è la nostra, la squadra da inviare sarà composta da umani, e da chiunque altro voglia partecipare, la decisione è già stata presa dall’Imperatore in persona, che ci ha pregato di riferirvi le seguenti parole: Non m’importa cosa pensiate, né cosa facciate, io intendo agire, voi restate pure a discutere sul modo migliore di morire” “Ciò è inaccettabile! Pretendiamo le scuse dell’ambasciatore umano!” squittì un Phelp, “Ma hanno ragione Mags, è l’unica scelta da fare” tentò di calmarlo l’ambasciatore delle Salamandre “Certo tu parli per motivi personali nevvero Cerx?” replicò l’ambasciatrice Kul, “Se anche così fosse, non abbiamo scelta. Il sapere cosa è successo ci serve” tuonò la voce elettronica dei PiBi all’unisono. In un istante l’intera sala divenne un vociare confuso di parole, alcune in un linguaggio non comprensibile. “a quanto pare, avete paura” disse la Voce, e nella sala calò il silenzio. “non è possibile, non abbiamo inserito queste parole nella sua programmazione” replicarono i PiBi, che si avvicinarono al pannello di controllo della Voce. “Avete così tanta paura, che vi scannate a vicenda” continuò lei, “Siete veramente patetici” “nemmeno questa frase era stata inserita… che abbia acquistato l’intelligenza?” a questa domanda si levò un mormorio d’eccitazione tra le fila dei PiBi, subito interrotto dalla secca risposta della Voce: “No, idioti. Ci siamo infiltrati nel vostro sistema decisionale che voi chiamate Voce, abbiamo scaricato il vostro sapere dalle biblioteche virtuali che possedete, e infine vi stiamo parlando da qua perché non abbiamo di meglio da fare” “Psycher 793547345! La finisca!” tuonò la Voce con un’altra intonazione. “Oh insomma, non ci si può nemmeno distrarre un secondo? Tanto abbiamo finito, l’Originale non si trova su questo mondo” “Comunque non mi sembra il caso di prendersela con la razza indigena del posto, hanno già i loro problemi” “Scusate” disse un Hifex “Voi chi siete, di preciso?” “Non glielo hai detto, Psycher 793547345? Mi sorprende, con la bocca larga che ti ritrovi” vi fu un attimo di silenzio, poi il secondo interlocutore proseguì “Noi siamo la Legione Oscura, l’armata dell’Impero del Sempiterno Originale, e non sapreste nemmeno della nostra esistenza, se questo Psycher idiota avesse tenuto la bocca chiusa” poi la comunicazione si chiuse, e la Voce restò muta. “Questo potrebbe costarti un degrado, Psycher!” tuonò la voce dell’Elite-Spacer 47592023 nella sala di comando dell’incrociatore da sterminio, “Senta, con tutto il rispetto, hanno una brutta infestazione di Erafine, gli abitanti di questo pianeta, non reggeranno per più di un paio di mesi” “anche fosse? Il nostro obiettivo è ritrovare l’Originale, ovunque esso sia” “e in qualsiasi tempo esso sia” aggiunse una voce alle loro spalle. Voltandosi, videro davanti a loro un Giudice, con due enormi occhiaie. “Ora capisco in parte perché l’Originale se n’è andato, è una faticaccia fare il suo lavoro. Noi siamo tantissimi, ma non riusciamo comunque a organizzarci bene, ci vuole qualcosa di inumano, per fare andare l’Impero.” “Signore, non è su questo mondo, nessuna informazione nei loro database.” “potrebbe sempre essersi nascosto chissà dove sulla superficie, ma con le Erafine in giro, dubito fortemente che sia rimasto su questo pianeta, se mai ci ha posato piede.” Poi si voltò e uscì dalla sala.
Messaggio consigliato
Crea un account o accedi per commentare
Devi essere un utente registrato per poter lasciare un commento
Crea un account
Crea un nuovo account e registrati nella nostra comunità. È facile!
Registra un nuovo accountAccedi
Hai già un account? Accedi qui.
Accedi ora