Sephore Inviata 29 Agosto 2005 Segnala Inviata 29 Agosto 2005 Ok, devo ammettere che mi vergogno un po'... ho letto i vostri racconti e non credo di essere all'altezza, ma in fondo non siamo qui per giudicarci ma per confrontarci, giusto? Quindi bando alle paronoie e buona lettura a chi vorrà... Giada Si è svegliata stamattina, molto prima del suono della sveglia, con un gran senso di vuoto e solitudine attaccato alle ossa a renderle ancora più pesanti di quanto già non sono. Dopo essersi girata e rigirata inquieta e triste tra le coperte calde ha deciso di alzarsi e ha aperto la finestra per aggiungere un altro puntino al giardino lontano già costellato di cicche di sigaretta. Era l'ennesima notte che passava così, a fumare e pensare, mentre ascoltava lento il fruscio delle auto in lontananza... Non posso continuare così! Giada sentiva che aveva bisogno di dormire, svuotare la mente, smettere di pensare... ma quell’alone di malinconia che gli velava gli occhi non voleva proprio lasciarla in pace. Si girò e, suo malgrado, vide una ragazza che la guardava severa nel suo pigiama rosa. "E smettila tu!" Le tirò un cuscino e lo specchio cadde risparmiandole quella fastidiosa visione. Non sapeva cosa precisamente la facesse sentire così. Troppi ricordi, probabilmente. Rimorsi e rimpianti si sovrastavano l’un l’altro in una lotta senza fine impedendole di dormire, mangiare, studiare… impedendole di vivere serenamente. Di questo aveva bisogno, infatti. SERENITA’. Quella che puoi trovare solo quando accetti te stessa, il tuo passato, i tuoi errori, e capisci che, se le cose non fossero andate come sono andate, ora saresti diversa. Non importa se meglio o peggio, saresti un’altra, e continuando a rimuginarci sopra, non fai altro che rinunciare al futuro per cercare di cambiare un passato che non può essere cambiato. Giada se lo ripeteva ogni giorno, ma la notte le urla che era riuscita soffocare venivano fuori, tutte insieme, in una grande spirale di suoni e colori senza senso, come se quella luna beffarda e distante che la osservava annoiata dal suo piedistallo risvegliasse in lei vecchi dolori. E piangeva. Piangeva ogni notte tutte le lacrime che non poteva versare di giorno. Anche stanotte piange. Quanto vorrebbe riuscire a cambiare pagina e vivere, finalmente. Quanto vorrebbe cancellare dalla sua memoria quelle scene che si sente marchiate a fuoco nell’angolo più oscuro della sua anima e che la tormentano... E’ colpa tua! Se ora sei qui a piangere è solo colpa tua! E’ inutile crearti degli alibi insensati, sai che è così: è solo colpa tua! Questo ripeteva da sempre. Da quando era bambina, anche se non era troppo sicura di esserlo mai stata. Rifiutata, emarginata, etichettata per la sua diversità, per il suo sentirsi un’anima intrappolata nel corpo sbagliato, per il suo pensare troppo e parlare poco. Lenta, lentissima, lacerante e soffocante è passata anche questa notte. I fari si spengono per far posto alla nuova luce che nasce delicata e silenziosa ad orlare le cime degli alberi e i tetti delle case. Eppure Giada è ancora alla finestra, il viso sempre rigato di lacrime, lo specchio rovesciato a terra, il letto disfatto, vuoto e freddo, la sigaretta accesa. Un'occhiata fugace all'orologio: le 7.15. Tira un sospiro, asciuga le guance e torna dentro, preparandosi ad uscire indossando quella maschera che, con i suoi mille colori, nasconde al mondo il triste grigiore di un'esistenza vuota. E' uscita e si è mescolata alla gente trascinandosi dietro quel peso d’impotenza e spaventosa apatia. Fa quasi paura nei giorni come questo. Non c'è nessuno, in questo mondo, di cui le importi. Nessuno in cui riesca a rispecchiare la sua anima e con cui essere, finalmente e semplicemente, se stessa. Con quella maschera sta proprio bene: brava studentessa, figlia ubbidiente (o quasi), buona amica per delle "amiche" cui se provasse anche solo ad accennare quel che le brucia dentro non l'ascolterebero nemmeno. Quelle amiche che la chiamano in piena crisi di nervi e parlano, parlano, parlano perché "Che regalo faccio al mio amorino?" e "Non mi dice mai che mi vuole bene!Insomma me lo ha detto ieri dopo due giorni!Ti rendi conto?" e continuano a parlare, parlare, parlare e c'è lei dall'altra parte che sta piangendo, morendo lentamente, buttando via quella parte di sé che le fa credere nelle persone... ma che importa a loro, basta che ci sia qualcuno dall'altra parte della cornetta che fa finta di ascoltare i loro enormi problemi... Ma quella maschera variopinta nasconde anche questo, e la fa continuare ad andare avanti con un bel sorriso di plastica stampato in faccia a dispensare consigli e perle di saggezza a queste povere anime disperate in cerca di un appiglio... "Vorrei essere come te, sai. Tu sì che hai capito tutto della vita, sei una ragazza forte. Vorrei poter esserlo anch'io." Queste frasi si sentiva ripetere ogni giorno e rispondeva quasi sempre sfoggiando un sorriso amaro e nervoso. Era la prova di quanto poco la conoscessero le persone che aveva vicino. Nessuno poteva sospettare di come quella ragazza così forte, passasse le sue nottate. Ed il fatto che non uscisse quasi mai da casa, se non per andare a scuola, non insospettiva nessuno, come sembrava del tutto normale il suo religioso silenzio sull'argomento ragazzi. Giada non aveva mai avuto un ragazzo. Quell'aria da secchiona e l'aspetto poco invitante di certo non l'aiutavano, ma principalmente non voleva qualcuno che potesse sbirciare nella sua intimità, che potesse scoprire la sua maschera, che facesse domande scomode e che volesse 'salvarla'. Non voleva essere salvata, perché nessuno poteva farlo. Non voleva sguardi di compassione, avrebbe preferito mille volte che la rinchiudessero in manicomio. Lei era la sola a sapere cosa le fosse successo realmente e così doveva restare, per sempre. Su questo la sua mente non ammetteva repliche, a nessuno mai avrebbe raccontato la verità su quei pensieri che l'agitavano di notte. Molte persone le dicevano che le volevano bene, che le sarebbero state vicine nel momento in cui ne avesse avuto bisogno, ma troppe volte, ormai, si era trovata sola per crederci ancora. "Tu ci sei sempre per me, non aver paura a chiamarmi se avrai bisogno di me. Ci sarò." Ma quando il momento arrivava aveva sempre e solo visto sbattersi porte in faccia. Si sentiva come un fantasma. Di tutta quella marmaglia di visi che le vorticavano intorno non ce n'era uno che potesse dire di conoscerla. Perfino la data del suo compleanno era sconosciuta a tutti esclusi i suoi genitori. Si arriva ad un punto, nella vita, in cui i sogni svaniscono, in cui ti svegli e ti accorgi che non era questa la vita che volevi, che è tutto sbagliato, tu, gli altri, il mondo intero girano nel verso sbagliato. Giada a quel punto credeva di esserci arrivata quella stessa notte d'inverno che l'aveva vista nascere, quella notte che doveva portare con sé la fine del mondo. Il mondo non era finito, ma quella notte qualcosa l'aveva portata: lei. Fin da piccola le avevano insegnato che per ogni anima ne esiste una a lei gemella, che per ogni metà ne corrisponde un'altra del tutto identica, con cui vivere in armonia. Ma Giada aveva smesso di crederci, o forse, non ci aveva mai creduto veramente. Com'è possibile trovare, in quella distesa infinita di volti, uno che sia il tuo? Come si fa a scegliere una casa che sai che è quella giusta, una strada, un nome, un'anima gemella che sia una e una soltanto? Come fai a sapere che non è tutta un'illusione, che dall'altra parte del mondo non c'è la tua vera casa, il tuo vero nome, la tua vera metà? Molte, forse troppe volte ci si accontenta, ci si convince che quella è la strada giusta. E poi, un giorno ci si sveglia e ci si rende conto di aver sbagliato ogni cosa. E allora o molli tutto e tutti da vigliacco, scappando e correndo, o vai avanti rassegnandoti a ciò che ormai non si può più cambiare. Ma non ci può essere una via di mezzo? Rinascere, avere un'altra vita in cui riscattarsi... Sarebbe bello... Ma se poi ti ritrovassi davanti alla tomba della te stessa precedente? Eh, sì sarebbe una bella scarica emotiva... e se scoprissi che l'anima che tanto hai cercato, era vicina, vicinissima a te e ti spiava nel buio della tua ombra? 1
Sephore Inviato 29 Agosto 2005 Autore Segnala Inviato 29 Agosto 2005 GIADA SERRAVINI (01/01/2000 - 01/01/2018) "Eri un angelo troppo bello per questa terra. Te ne sei tornata lassù tra i tuoi simili, tra chi ti può capire molto più di quelle anime perse solo in se stesse che vagano quaggiù. Ti ho sempre amata nel silenzio, mia stella, e tu non te ne sei mai resa conto, forse se avessi alzato lo sguardo dal tuo mondo grigio almeno una volta mi avresti visto e ora sarebbe tutto diverso. Invece mi restano solo le lacrime e queste poche parole per provare a spiegarti quanto ora mi senta solo e vuoto senza di te. Senza i tuoi sguardi, i tuoi silenzi, i tuoi sospiri, le tue lacrime segrete che non sono mai riuscito ad asciugare. Te ne sei voluta volare via, senza pensare che a qualcuno avresti lacerato il cuore. Credevi di essere sola. Credevi che nessuno mai avrebbe ascoltato il tuo grido, mentre io lo ascoltavo da anni. Ti ho visto sciuparti, spegnerti lentamente, rinchiudendoti nel tuo universo, perdendo la fiducia in te stessa, nella tua famiglia, nell'amicizia, negli altri, in tutto il mondo. E quando ho provato ad entrarci era troppo tardi. Chi ha conosciuto solo la maschera che portavi dice che sei impazzita, che è stato un attimo, che non volevi. Ma io so che era da tempo che organizzavi il modo migliore di uscire di scena. Forse sei nata con la consapevolezza che la tua morte sarebbe stata in volo. Volevi volare angelo bello, vero? E' sempre stato il tuo sogno. Purtroppo le tue ali non si sono aperte. Ti amo, anche se mi hai tolto l'aria, anche se mi hai privato della cosa più importante per me non riesco a smettere di amarti. Vorrei poter trasformare questa rabbia in odio, e forse tutto passerebbe, ma non posso, perché non ti amo come si amano quelle bamboline di porcellana che avevi per amiche, quelle che sì, ti fanno battere il cuore, ma rimangono cotte adolescenziali che passano in fretta ed in fretta si dimenticano. Ti amo come si ama la propria carne, e forse anche di più. Mi svegliavo la notte per affacciarmi alla finestra e alzare lo sguardo per vedere se c'eri anche tu. E c'eri sempre. Ho cominciato ad amarti così, silenziosamente spiando le tue lacrime e le tue sigarette accese. Perché era così impossibile che fossi io la metà che tanto hai cercato? Perché non hai capito, perché non mi hai visto? No, hai preferito uccidere due vite con un solo gesto, e mentre tu ora sei lassù io resto quì a piangere e scrivere e cercare di andare avanti cercandomi una metà incompleta." Chi aveva scritto quella lettera tanto bella e tanto soffocante? Giada la vedeva, la leggeva. Davanti alla sua tomba guardava incredula quella catasta di parole piene di rabbia, d'amore, di dolore. Chi le era stato tanto vicino da riuscire ad interpretare così bene la sua anima? Chi era quella metà che la stava invocando? Cos'era successo da quella sera che l'aveva vista, come mille altre, affacciata alla sua finestra a fumare e pensare? La memoria sfocata non le permetteva di ricordare ciò che era successo... 1 gennaio 2018: il giorno del suo diciotessimo compleanno. Chiuse gli occhi e sentì una ventata d'aria terribilmente gelida e violenta ( Volevi volare angelo bello, vero? ) sul viso. Poi udì come uno sparo nella testa e, d'improvviso, come lampo, le balenarono in mente tutti i ricordi che credeva di avere perduto. Era tornata a casa dopo scuola senza particolari emozioni, forse più apatica del solito. Entrò, i suoi genitori come sempre non c'erano, così andò in cucina e si preparò il pranzo. Mangiò lenta e silenziosa. Sistemò la cucina, e uscì. Andò per negozi e con i soldi che le aveva lasciato sua madre si comprò un paio di jeans stile anni '60 molto carini e un maglioncino rosa. Rientrò che erano quasi le 17. Si fece una doccia fredda, e andò in camera sua. Si mise gli abiti nuovi, si slegò i capelli e si truccò. Si mise davanti allo specchio per un buon quarto d'ora. Sì, era proprio carina conciata così. Si abbozzò anche un sorrisetto soddisfatto. Le 17.45. Chiuse tutte le finestre e la porta d'ingresso a chiave, spense tutte le luci e tornò in camera. Spense anche quella luce ed aprì la sua finestra. Era buio, e il giardino, laggiù in basso, era illuminato solo dai piccoli faretti. Il rumore frenetico della città le giungeva imbottito e distante... Si sedette sulla finestra con le gambe penzoloni e si accese una sigaretta. Quando la finì la lanciò giù, nel giardino. La osservò cadere dai sei piani che la separavano dalla terra e sorrise quando la vide raggiungere l'erba e spegnersi. Si alzò in piedi e tornò dentro. Si guardò di nuovo allo specchio. Riordinò il disordine imperante e tornò ai vetri aperti. Senza il minimo induguio si sedette come prima e si spinse giù, con tanta forza da non sfiorare nemmeno il muro del palazzo con le gambe tese. Ora ricorda qulla sferzata d'aria meravigliosa e il suo corpo infilzato nella ringhiera di recinzione del giardino. Non una foglia si era mossa. Nessuno si era accorto di quello che era appena accaduto. Il mondo aveva continuato ad andare avanti imperterrito mentre lei moriva. Ora Giada riapre gli occhi stonata, guardandosi le mani. Era morta suicida a soli 18 anni. Eppure se ne sentiva molti di più sulle spalle in quel momento. Davanti a lei inequivocabile riluceva la lapide con incisi il suo nome, la sua data di nascita e ( Oh, mio Dio ) quella di morte. Respirò a lungo in piedi con lo sguardo perso davanti a quella lapide spoglia al centro di quel nebbioso cimitero prima di decidersi ad andarsene portando con sé la lettera ( Se avessi alzato lo sguardo dal tuo mondo grigio almeno una volta mi avresti visto e ora sarebbe tutto diverso ) decisa a cercare quella metà che aveva trovato ma non era riuscita a vedere, decisa a guardarla negli occhi, a piangerle vicino e a rassegnarsi a morire davvero.
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