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Il vostro miglior BackGround o Cronistoria!


Galdor

Messaggio consigliato


Questo è l'unico background che ho scritto sul PC. Non so se sia il migliore che ho fatto ma lo posto lo stesso.

è il backgroun di un ladro/monaco/ninja della luna crescente

Sono nato in una famiglia molto ricca. Mio padre era il governatore di un feudo di medie proporzioni. M’insegnavano fin da piccolo il galateo e le buone maniere. Stufo di stare sempre con gente noiosa e falsa, uscivo di tanto in tanto fuori dal castello dove vivevo, e mi aggiravo tra il popolo, nei bassifondi. Lì potevo trovare la vera vita, fatta di stenti e sacrifici. Provando pena per questa povera gente portavo loro viveri e vestiti vecchi, presi principalmente dagli avanzi della mia famiglia. Dopo poco capì che il mio non era un atto di bontà verso quei poveri pezzenti, ma di dispetto verso la mia famiglia. Decisi che era il momento di smettere di dipendere da quei fantocci. Cominciai a studiare le arti marziali ed imparai anche a colpire con precisione i punti vitali dei miei nemici. Facevo pratica in una stanza che mi ero fatto costruire apposta e dove avevo incaricato le guardie di portare le varie bestie che catturavano fuori il castello. Data la mia scarsa forza, imparai a lottare usando la mia astuzia e agilità. Imparai l’arte dell’inganno osservando mio padre ed esercitandomi poi nei bassifondi. Raggiunta la maggiore età e dato che i mostri che trovavo in giro erano ormai troppo deboli per me, decisi di partire all’avventura, lasciando il regno in mano al mio fratello maggiore. Mi guadagnavo da vivere svaligiando i posti più disparati. Mi trovai un compagno, Souveliss,un monaco che trovai in una vecchia locanda a scolare litri e litri di birra. Da come beveva capì che non era un ubriacone come gli altri. All’inizio credetti che fosse una specie di stregone da come faceva “sparire” la birra. Lo sfidai a duello per poter testare le sue effettive capacità. Era abbastanza forte, quasi quanto me. Dopo il duello egli mi propose di lavorare per il suo monastero, per sistemare alcuni ladruncoli che non avevano saputo tenere le mani apposto. La paga era buona e pensai che sarebbe stato divertente, quindi accettai. Sistemata la faccenda Souveliss dovette tornare al suo monastero, così ci dividemmo. Durante uno dei miei viaggi, trovai nel bosco un uomo in fin di vita. Lo soccorsi ma quando gli chiesi cosa fosse successo e da dove venisse egli non mi volle rispondere. Durante la notte fummo attaccati da una banda di ogre e dato che il mio compagno era ancora grave, dovetti vedermela da solo. Vedendo le mie capacità egli mi disse che era un membro dei ninja della luna crescente e che se volevo, sarei potuto entrare a farvi parte. Avevo già sentito parlare di questa organizzazione e della forza straordinaria dei membri che la componevano. Una nuova strada si era aperta dinanzi a me e quasi senza esitare decisi di percorrerla. I ninja della luna crescente mi hanno insegnato molto e sono sicuro che ancora me ne insegneranno.

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Io sul bg della mia chierica sto (a singhiozzi) scrivendo un libro... ;-)

Impresa epica in cui mi sono già fermato più volte... ma vi posto prima il bg sintetico, poi (penso domani) la prefazione del libro...

CHIERICA DI SUNE/DIVINE DISCIPLE/CONTEMPLATIVE

Fin da piccolissima comincia a lavorare nella locanda del padre, in una remota località del Cormyr meta di avventurieri. Dall'età di 12 anni è costretta dal padre a "intrattenere" gli ospiti della taverna insieme alle altre "dipendenti". La madre fugge molto presto e lei quasi non la conosce. Vive tra le angherie degli avventori e dello stesso padre, finchè due emissari di un vicino tempio di Sune, su indicazione di un oracolo ricevuto dalla dea in persona, vengono a portarla via da quel mondo di sofferenza per rivestirla della tunica clericale. Dopo un periodo di 6 anni al tempio per costruire la propria fede, viene inviata come prima esperienza sul campo in un remoto villaggio alla base della Spina dorsale del mondo. Qui incontra il party che le segnerà l'esistenza, al quale si unirà e con il quale eviterà il risveglio di un avatar di Tiamat pronto a distruggere e conquistare l'intera Faerun. Dopo tale compito, creerà un tempio alla dea sull'isola sospesa tra i piani dalla quale proveniva l'avatar di Tiamat, vi si trasferirà congedandosi dai suoi amici, destinata a girovagare per lo spazio e per il tempo per diffondere il suo messaggio di bellezza, amore e passione.

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il background migliore che ho fatto è questo:

Artemis Bard Marthem nacque il terzo giorno della prima decade di Ennael, in una notte buia e tormentata. Nella piovosa notte, nel maniero della famiglia Marthem, poco distante da Daggerford, il nono discendente di Morgray Marthem, nonché quarto della casata di Louen Bard Marthem III detto Il Bretone, venne alla luce dopo un parto tormentato. Il suo nome derivava dalla tradizione, poiché il primo discendente di Morgray si chiamava Bard e Artemis, come tutti i parenti prima di lui, prese come secondo nome il nome dell’avo. Il padre, Mauritius Bard Marthem, aveva già previsto per lui una vita votata a St. Benhold, ma si sbagliava.

Quando Artemis arrivò all’età di cinque anni, iniziò per lui l’addestramento marziale e l’insegnamento della dottrina di St. Benhold. Ma ad Artemis tutto ciò non piaceva. La sua natura, caotica e ribelle, gli imponeva di guardare il mondo da un’altra angolazione. Lui sognava la libertà, voleva girare il mondo. Non condivideva niente riguardo la dottrina di St. Benhold, ed era pronto a chiedere sempre una spiegazione e a dire la sua in proposito. E questo al padre non piaceva. Voleva che il figlio diventasse un devoto, che accettasse tutto ciò che gli veniva detto, ma ogni tentativo era vano. Al contrario, Artemis imparava i concetti del combattimento con la spada molto rapidamente e mostrava una innata capacità nel combattere con lo spadone. Lo usava a due mani e a due, si allenava ad usarlo coi pesi e imparava a usare una lancia da cavaliere come una spada. Ma ad Artemis questa vita stava stretta. Imparare ad usare la spada era per lui motivo di grande orgoglio, ma non gli piaceva che qualcuno gli dicesse cosa fare, quando farlo e come farlo. E non gli piaceva di dover imparare una dottrina per lui innaturale. I sogni di Artemis erano costellati di draghi, di strade nei boschi, di montagne innevate. Cose che aveva letto solo nei libri, leggende di grandi eroi. E quando sentiva le storie del nonno Lupin Bard Marthem, un uomo che aveva viaggiato a lungo, sognava di vivere una vita come la sua. Le mura del maniero erano la frontiera più grande della sua mente. Sognava di uscire da quel muro, anche solo di osservare le montagne dei Misthri. Sapeva dov’erano, ma non sapeva com’erano. Dopo cinque anni di addestramento, quando Artemis divenne un ragazzo abbastanza robusto e indipendente, prese la decisione più importante della sua vita: interrompere il suo allenamento a metà, e scappare di casa. Non sapeva dove andare, sapeva solo che doveva andare.

Uscì dal maniero una notte, portando con sé una coperta invernale, del cibo, una spada corta e un anello di eletrum con il sigillo della famiglia Marthem. Camminò fino a Daggerford, dove trovò alloggio in una locanda. Trascorse serenamente due giorni, visitando la città. Poi, una sera, ebbe un litigio con un mezz’orco. Si chiamava Henk, ed era un mezz’orco a capo di un piccolo gruppo di mercenari chiamato il Consiglio della Belva Spinata. Henk stava bevendo ad un tavolo quando Artemis urtò incidentalmente nel mezz’orco facendogli rovesciare la birra. Il mezz’orco, convinto che Artemis fosse un halfling che voleva derubarlo, ingaggiò con lui una sfida. Artemis tenne testa ad Henk, fino a quando Henk commise un errore che Artemis sfruttò per mettere alle strette Henk. Il mezz’orco, interessato, decise di conoscere meglio quell’ottimo guerriero, che invece di un halfling piuttosto alto era soltanto un ragazzino di dieci anni. Henk chiese ad Artemis se gli interessasse entrare a parte del Consiglio, e Artemis accettò. Henk presentò ad Artemis il figlio, Keth, e gli altri mercenari. Artemis si trovava bene con Henk, che lo allenava e lo pagava, affidandogli piccoli lavori. Artemis era un giovane molto promettente, e Henk e il figlio Keth gli erano molto affezionati. Artemis ricambiava, considerando Keth il fratello maggiore che non aveva mai avuto. Lavorò per il Consiglio della Belva Spinata quasi un anno. Una volta, mentre Keth e Artemis viaggiavano nelle foreste del Chult, videro una cosa che non dovevano vedere. Un enorme guerriero stava compiendo un rito magico segreto, al quale i due ebbero la sfortuna di assistere. Il guerriero indossava un enorme armatura di piastre di ottima fattura, un elmo con due corna, un mantello rosso con la pelliccia di lupo. Keth lo riconobbe. Era Archaon, un tempo famoso guerriero, che si narrava avesse ceduto l’anima al Dio della Nera Distruzione in cambio di enormi poteri e dell’immortalità. Artemis e Keth erano nascosti, e osservavano il rituale. Archaon versava un liquido nero in un calice, recitava una formula e beveva il liquido. Alla fine del rituale, Archaon si accorse di Keth e Artemis. I due cercarono di scappare, ma il destriero di Archaon li riprese velocemente. Keth, essendo più grande, difese Artemis, che finse di essere morto. Artemis vide Keth cadere, e quando Archaon se ne andò, Artemis pianse la morte del mezz’orco per due giorni. Il sangue di Keth sulle mani, il terrore nel suo cuore, la morte negli occhi di Keth. Dopo aver scavato con le mani per seppellire Keth, e dopo averlo pregato, svenne.

Al suo risveglio si trovava in una capanna. Era una capanna circolare, con il tetto di sterpi e fango e le pareti di rami. Era sdraiato su un giaciglio di paglia, e accanto a lui era inginocchiato un elfo. Artemis riconobbe quell’aspetto selvatico tipico degli elfi selvaggi, non perché li avesse visti ma perché aveva letto qualcosa su di loro. Artemis chiese dove si trovava, ma non ricevendo nessuna risposta, usò quel poco di elfico che conosceva. L’elfo, che si chiamava Quarion, aveva trovato Artemis dormiente sulla tomba di Keth. Lo aveva accudito per giorni, fino a quando Artemis non era rinvenuto. Quarion disse ad Artemis che si poteva fermare quanto egli volesse, e Artemis accettò di buon grado. Nel villaggio di Quarion Artemis si trovava bene. Si allenava da solo con una spada di legno, e Quarion gli insegnava tutti i segreti della foresta. Imparava l’uso dei veleni, come curarli, i segreti della foresta e imparava l’elfico e il silvano. La sera, Artemis raccontava le leggende di cui aveva letto da piccolo agli elfi, quando si riunivano attorno al fuoco. Artemis imparò a usare le piante e le loro qualità curative e grazie a queste conoscenze riuscì a salvare un bambino del villaggio. Poi, dopo qualche mese, decise di andarsene dal villaggio. Prima di partire, Quarion gli regalò una collanina legata ad una leggenda. Secondo la leggenda, la collanina che Quarion regalava ad Artemis era stata creata molto tempo prima, ed era passata dalle mani di molti guerrieri valorosi, maghi potenti e avventurieri famosi. Si raccontava che le anime di quelli che avevano posseduto la collana fossero racchiuse dentro di essa, e portassero fortuna a chi la indossasse. Artemis era scettico, ma accettò il regalo solo in rispetto del saggio elfo che lo aveva a lungo ospitato.

Una volta arrivato a Chaen Darbon, Artemis decise di entrare a far parte di una ciurma di corsari. I corsari erano scettici, e non volevano accettare nella ciurma un ragazzino tredicenne. Ma Glaivas l’Alchimista, intuito il grosso potenziale di Artemis, garantì per lui e decise di prenderlo sotto la sua ala protettrice. Artemis apprese il modo di disegnare e interpretare mappe da Glaivas, il quale gli permetteva anche di utilizzare la sua biblioteca personale. Nella biblioteca di Glaivas c’erano un sacco di tomi interessanti, e Artemis li lesse quasi tutti. I libri che lo interessavano di più erano quelli riguardanti l’artimanzia, la scienza e il mistico potere dei numeri, e delle rune. Artemis, per meglio interpretare le rune, studiò a fondo il linguaggio dei nani e il metodo di scrittura. Poi imparò il potere delle rune, e come infonderlo. Imparò tutto questo da autodidatta. Viaggiò per mari per circa un anno, durante i quali fece un’interessante scoperta. Su una spiaggia della costa occidentale di Noldaban trovò una spada sconosciuta, che né lui né nessun altro aveva mai visto. Era una spada di eccellente fattura, simile ad una spada bastarda. Visto che sulla lama erano raffigurati dei fiori di loto, Artemis iniziò a chiamarla spada del Re dei Loti. La spada era impregnata di magia, rivelando quando veniva sfoderata una potente carica elettrica. Continuò a viaggiare con i pirati qualche altro mese, ma un giorno, studiando le rune, Artemis prese la decisione di abbandonare la ciurma e andare a visitare Grond, la capitale dei nani.

Arrivò ad Evansimble, dove pernottò qualche giorno aspettando il tempo propizio per partire verso Grond. Durante il viaggio venne attaccato da un vermeiena, che lo sfinì. Il combattimento fu duro, e Artemis riportò una brutta ferita, ma alla fine ebbe la meglio. Ma il combattimento era stato così straziante che, una volta finito, Artemis cadde a terra privo di sensi e ferito gravemente. Era destinato a morire, quando una carovana lo trovò. Era la carovana di Thersos di Reth, che si stava dirigendo verso Grond. Una volta a Grond, i nani curarono Artemis che riprese i sensi. Artemis rimase dai nani fintanto che non recuperò pienamente le forze. Durante il suo soggiorno Artemis faceva pratica di nanico e imparava a incidere le rune da Thraur, un famoso maestro di Rune. Una volta completamente guarito, Artemis si rimise in viaggio verso Evansimble.

-fine parte 1-

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-inizio parte 2-

Una volta arrivato ad Evansimble, Artemis fece un itinerario che aveva come destinazione Vaelen. A Vaelen, Artemis venne preso in custodia da Mefistofelus, un vecchio arcimago molto potente e amico di Thraur. Mefistofelus fu felice di ospitare un quattordicenne così promettente, al quale insegnò ogni cosa che sapeva. Soprattutto, Mefistofelus fu felice di vedere in Artemis un allievo così devoto di artimanzia. Ad Artemis, invece, piaceva il metodo di insegnamento di Mefistofelus perché non era un indottrinamento, ma una discussione e un flusso di idee. Mefistofelus era soprattutto divertito dall’interessamento morboso di Artemis verso un oggetto magico posseduto da Mefistofelus, il Mazzo dell’Illusione. Questo mazzo di carte evocava la creatura corrispondente alla carta pescata. Artemis, con il consenso del maestro, utilizzava questo mazzo per allenarsi. Poi, un giorno, Artemis conobbe Alexander Degreus, un ricco principe ospite di Mefistofelus. Alexander Degreus gli raccontò di un piccolo esercito mercenario da lui finanziato. Era l’Armata dei Draghi, capitanata da Fenrir. Artemis, stimolato anche dal ricordo del Consiglio della Belva Spinata, decise di entrare a farne parte. Il giorno della investitura, durante il quale Artemis venne investito del titolo di Soldato dell’Armata dei Draghi ed Eletto di Fenrir, Mefistofelus fece un regalo ad Artemis. Gli regalò l’oggetto che gli era sempre interessato, il Mazzo dell’Illusione. Ma il Mazzo dell’Illusione creato da Mefistofelus era speciale, e le carte potevano essere usate continuamente senza che la carta perdesse il potere.

Artemis si trasferì quindi nel palazzo dell’Armata dei Draghi, dove risiedeva nei periodi di intervallo tra i vari incarichi. Una volta Artemis venne incaricato di scortare un mercante attraverso tutta Evans. Una notte, mentre la scorta era accampata in una radura, Artemis andò a fare una passeggiata. Il suo passeggiare assorto e pensante lo portò in una grotta, e delle tracce lo fecero arrivare ad una spiacevole destinazione. Un drago. Artemis si ritrovò faccia a faccia con Smaug, uno dei priminati, un grande dragone rosso potente e malvagio, che soltanto il sentir pronunciare il nome incuteva paura. Artemis si difese come potette, ma era nettamente inferiore. Ed era solo. Stava per soccombere, quando cadde prono su un pugnale da lancio. Il drago si stava pregustando il momento in cui avrebbe divorato il giovane, e abbassò la guardia tanto bastava per permettere ad Artemis di colpire il drago. Una volta sopraffatto, per Artemis fu facile finire il drago. Ancora una volta la fortuna di cui sembrava essere impregnata la collanina di Anime lo aveva salvato. Artemis si ricordò di prelevare accuratamente le scaglie del drago, i denti e gli artigli, insieme ad una parte del tesoro di esso, nel quale trovò due bracciali magici, un numero impressionante di oggetti di valore e una fortuna il monete d’oro. Quando tornò all’accampamento, svenne stremato dallo sforzo.

Al suo risveglio si trovava nella sua stanza, nel palazzo dell’Armata dei Draghi. Alexander Degreus gli era accanto, vegliando su di lui. Quando Artemis si svegliò, Alexander gli fece vedere ciò che era stato forgiato con il materiale che Artemis aveva preso dal drago. Con i denti e gli artigli, un fabbro nano aveva forgiato una spada in vetro di drago, che aveva arricchito di electrum e che, raccontò Alexander, era stata incantata da Dràin in persona. Invece con le scaglie era stata creata un’armatura, tutta in mithral e scaglie di drago, di eccezionale fattura, leggerissima e resistentissima. Artemis era felicissimo di questi regali, e ringraziò più volte Alexander che declinò il merito di tutto al mercante che Artemis aveva scortato. Smaug, infatti, avrebbe di sicuro attaccato il convoglio, recando ingenti danni al carico. Invece per merito di Artemis tutto si era risolto a priori. Ma oltre alla spada e all’armatura, nella tana di Smaug era stato ritrovato un uovo, che lo stalliere aveva fatto schiudere. Da questo uovo era nato un piccolo drago rosso. Era stato addomesticato dallo stalliere, e ora veniva donato ad Artemis. Artemis chiamò il drago Klauth, e lo tenne con sé ogni giorno, insegnandogli a cacciare come se Artemis fosse stato un suo genitore. Era felicissimo di avere un drago, che era intelligente e diligente, e per niente cattivo. Nonostante fosse un drago rosso, era stato allevato in modo che fosse obbediente, ma libero. Come Artemis. Erano due spiriti affini.

Artemis stava diventando celebre. Molte persone lo riconoscevano, o avevano sentito parlare di lui nelle storie e nelle canzoni dei bardi. Era solo un ragazzo di quindici anni, ma era forte come un guerriero vissuto, e aveva ancora da imparare. Durante gli ultimi mesi della sua permanenza nell’Armata dei Draghi, però, Artemis aveva un chiodo fisso. La sua famiglia, e Quarion. Artemis non aveva dimenticato il passato, e meditava spesso di tornare nel suo maniero e nella capanna del vecchio Quarion. Non per nostalgia, ma per riconoscenza. E così fece. Un giorno, di punto in bianco, annunciò ad Alexander la sua partenza verso i luoghi d’infanzia. A niente servirono i tentativi di Alexander di dissuaderlo, Artemis era determinato a partire. E così fece. Una fredda mattinata d’inverno, di primo mattino, Artemis raccolse le sue cose e partì verso Daggerford. Verso casa. Artemis giunse a casa dopo molti giorni di viaggio, inaspettatamente. Nessuno lo riconosceva, o si ricordava del figlio di Mauritius, Artemis, e solo suo nonno lo riconobbe. Lupin Bard Marthem, suo nonno, lo vide dalla finestra del maniero, che cercava di entrare, e giunse al portone. Chiese alle guardie chi fosse lo straniero, che somigliava incredibilmente al nipote fuggito cinque anni prima. Ma quando Artemis mostrò l’anello di electrum con il sigillo della famiglia, Lupin non ebbe più dubbi. Era il nipote, Artemis.

Alahandra, la madre di Artemis, pianse a lungo di gioia per aver ritrovato il figlio perduto. Era diventato forte e alto, con i capelli che gli scendevano disordinatamente sulle spalle, con un mantello da viaggio logoro addosso, ma era pur sempre suo figlio, nonostante fosse cresciuto senza di lei. Il padre, invece, non fu felice di vederlo. Avrebbe preferito che fosse morto, ucciso da una bestia, quando era scappato. Artemis rappresentava per Mauritius un fallimento, il figlio che aveva deciso di rinnegare il Codice di St. Benhold. Non riusciva ad accettare che il figlio lo avesse tradito, lo avesse rinnegato, insieme al loro dio. Ma ormai doveva accettarlo. Artemis era diventato grande, indipentente, e anche se avesse voluto non avrebbe mai imparato ad accettare la dottrina di St. Benhold. Ma Lupin parlò con il figlio Mauritius, facendolo ragionare. Artemis si era coperto di gloria in tutta Evans, era diventato un guerriero abile e quasi imbattibile, aveva conosciuto il mondo, anche senza adorare alcuna divinità. Non era uno sciocco, anzi conosceva molte lingue, era saggio e cauto, ed era un successore perfetto per la stirpe dei Marthem. Artemis rimase qualche mese nel maniero, tranquillo, per far sbollire il padre. Partecipò a feste, a giochi, a banchetti, anche se quella non era la sua vita. Per la prima volta nella vita, era costretto a fare qualcosa contro la sua volontà. Nessuno glielo chiedeva, ma lo faceva per compiacere il padre. Per qualche mese abbandonò la spada e l’armatura, dedicandosi alla bella vita. Era sempre pulito e profumato, non faticava. Anche Klauth, nella stalla, sembrava avere gli occhi spenti. Spesso non volava per giorni, quando Artemis aveva troppo da fare. Ma Artemis accudiva e coccolava lo stesso il piccolo Klauth, considerandolo un ricordo della vita passata da avventuriero, una vita che pensava di non poter abbracciare più. Si era rassegnato ad una vita di ozio, come faceva ormai il padre divenuto vecchio, che rifiutava di insegnargli le arti marziali. Aveva ormai riposto l’armatura, quando venne bloccato dal nonno Lupin, che gli disse di prepararsi a scappare la notte successiva.

-fine parte 2-

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-inizio parte 3-

La notte successiva, Artemis si fece trovare davanti al portone dell’edificio principale del maniero. Lupin lo raggiunse, dicendogli di non preoccuparsi e di fuggire, di correre libero per il mondo, ignorando il padre. Lo avrebbe coperto lui. Quella stessa notte Artemis, liberando Klauth, volò via dal maniero verso la ritrovata libertà. Ma non portò con se l’armatura completa e la spada. Le pose in camera, sul letto, come promessa di un suo ritorno. Aveva scelto, per partire, una cotta di maglia leggerissima, in mithral, appartenuta al nonno Lupin. La mattina successiva, Artemis giunse ad Evansimble. Trovò una locanda dove alloggiare, e far alloggiare Klauth. Mentre Klauth riposava dopo un intera notte di volo, Artemis vagava per Evansimble. Si fermò davanti ad una armeria, ricordandosi improvvisamente di non aver portato con sé nessuna arma. Entrò nell’armeria, dove comprò un arco lungo composito ed una spada lunga. Mentre tornava alla locanda, venne avvicinato da una guardia. Essa gli chiese se, essendo un avventuriero, Artemis volesse mettersi a disposizione del conte di Evansimble e lavorare come cacciatore di taglie. Artemis non se lo fece ripetere due volte, e accettò. Iniziò a vagabondare per le terre vicine ad Evansimble, cacciando ricercati e predoni. Compariva in città soltanto per consegnare i prigionieri, e poi scompariva. Si spostava comodamente, sfruttando Klauth, si procurava il cibo cacciando, dormiva sotto le stelle, riscaldato dal drago, si riposava tra una caccia e l’altra. Si mimetizzava perfettamente tra le piante, con un mantello verde, e agiva silenziosamente. Era uno stile di vita diverso a quello a cui era abituato, ma si adattò presto. Prima viaggiava allo scoperto, coperto di armatura e con uno spadone. Ora agiva silenzioso, con mantello verde e arco, e uccideva i nemici repentino come un serpente. Fu proprio mentre viaggiava per le foreste che, casualmente, si imbattè in un boa corallino del sud, che lo morse avvelenandolo. Ma Artemis, che aveva appreso da Quarion come curare i veleni, catturò il serpente e si curò. Chiamò il serpente Oth, che in draconico significa “dente”. Oth aiutava Artemis a uccidere silenziosamente le prede e i nemici, e Artemis accudiva Oth. Oth faceva ricordare ad Artemis Quarion e la foresta, e gli fece venire voglia di andare a trovare l’elfo.

Partì, un giorno, di punto in bianco. Senza dire niente a nessuno, Artemis si incamminò verso le foreste del Chult. Erano passati sei anni, e ora Artemis era diciassettenne. Arrivò nelle foreste del Chult dopo molti giorni di viaggio, e trovò il villaggio disabitato. Non c’era nessuno, e quando Artemis entrò nella capanna, trovò Quarion morente sul suo giaciglio. Artemis si chinò e cercò di soccorrerlo, ma Quarion era giunto alla fine. Morì tra le braccia di Artemis, mentre lui piangeva come un bambino. Asciugatosi le lacrime, Artemis uscì. L’enorme figura che trovò ad accoglierlo fuori dalla capanna Artemis la conosceva bene. Un guerriero enorme, che indossava un enorme armatura di piastre di ottima fattura, un elmo con due corna, un mantello rosso con la pelliccia di lupo. Era Archaon, che aveva cercato Artemis per sei anni. Nessuno aveva mai visto Archaon in faccia e lo aveva potuto raccontare, e Artemis non doveva essere da meno. Archaon non parlò, ma Artemis intuì che Archaon voleva combattere. Artemis raccolse la sfida. Prese la spada e iniziò la sfida. Artemis era superiore tecnicamente, ma l’arma di Archaon era carica di magia. Infliggeva dei colpi potentissimi ad Artemis, che era armato di una semplice spada lunga. Ma bastò un errore di Archaon perché Artemis portasse un colpo letale. Colpì Archaon alla giugulare, e anche se Archaon resistette un poco, alla fine cadde a terra. Ma non era deceduto. Artemis raccolse la spada di Archaon e lo finì. Quando Archaon venne colpito, si disintegrò in un’esplosione di luce. Nello stesso istante in cui Archaon venne distrutto, Artemis lasciò il suo corpo. Il suo spirito si distaccò, quasi dormiente. Quando si risvegliò, era su un pavimento di nuvole. Artemis era nudo, faceva freddo, ma un freddo piacevole, che non faceva soffrire. Il pavimento di nuvole era diviso nettamente a metà, una metà nera e una bianca. Artemis era esattamente a cavallo della divisione, e questa divisione conduceva ad un tempio. Artemis entrò nel tempio, dove su due troni stavano due esseri. Non erano fatti di carne e ossa, ma di luce e di ombra. Queste due figure iniziarono a parlare simultaneamente, ma Artemis non capiva nulla di ciò che dicevano. Parlavano un linguaggio arcaico, con suoni che Artemis non aveva mai udito. Ma ad un certo punto, il linguaggio delle figure iniziò ad essere molto chiaro. Non capiva le parole in sé, ma le figure dovevano aver stabilito un contatto psichico con lui. Le due figure iniziarono a narrargli una storia che Artemis conosceva già, la battaglia del Dio della Nera Distruzione, nella quale il destino di Evans venne seriamente compromesso da un Dio venuto da un’altra dimensione. Ma i due esseri di luce e ombra parlarono anche di una storia, la storia del Clan del Loto Nero. Il Clan del Loto Nero era una scuola di spada, che acquisendo sempre più potere, divenne un piccolo esercito mercenario. Il culmine della potenza del Clan del Loto Nero ebbe luogo nel periodo in cui il Dio della Nera Distruzione. Il Clan del Loto Nero annoverò tra le sue file tutti i guerrieri valorosi di Evans, senza distinzioni. Questo esercito sconfisse il Dio della Nera Distruzione. I comandanti del Clan del Loto Nero, avendo guidato alla vittoria i popoli di Evans, vennero trasportati in un altro piano. Abitavano sul piano di arrivo, il piano comunicante con la vecchia dimensione degli dèi di Evans. Erano i guardiani del piano di loro residenza, e erano giudici perfettamente neutrali. Essi decretarono Artemis comandante del Clan del Loto Nero, in quanto Artemis avesse sconfitto Archaon. Ma un'altra persona venne decretata comandante con lui. Artemis si accorse solo allora che accanto a lui c’era una persona. Senza volerlo, Artemis venne a sapere che il compagno era Drake Black, colui che aveva ucciso l’altra metà dello spirito del Dio della Nera Distruzione. In pochi istanti conobbe tutto di lui. E anche l’altro, dall’espressione che aveva, doveva conoscere tutto di Artemis. Poi, subito dopo, si crearono due spade nelle mani di ognuno dei due: due spade uguali, gemelle e opposte. Le due spade di Artemis, una bianca e una nera, erano simili a quelle di Drake, che però erano una blu notte e una azzurro ghiaccio. Poi i due sentirono la testa girare, gli occhi chiudersi, e mentre cadevano sul pavimento di nuvole, sentirono le entità salutarle, e rendergli onore.

Quando Artemis si svegliò, era in una stanza di pietra, accanto a Drake. Drake era già sveglio, e i due iniziarono a conversare. Artemis era leggermente scettico, ma quando vide il fondo a letto le due spade che gli erano state regalate, non mise più in dubbio ciò che gli era successo. Ai piedi del suo letto, inoltre, c’era un lupo bianco sdraiato, mentre appollaiato sulla testiera stava un corvo imperiale nero come la notte. Dovevano essere gli avatar degli esseri che lo avevano accolto sul piano di arrivo. Artemis li chiamò Aussir e Kepesk, altri due nomi draconici che significano rispettivamente “bianco” e “tempesta”. Anche in fondo al letto di Drake c’erano le sue spade. Artemis si alzò, si vestì in fretta, prese le spade e uscì dalla camera. Drake lo seguì. Era in una casa. Scese le scale scendendo al piano terra, dove seduto ad un tavolo stava una persona piuttosto vecchia, ma atletica, con gli occhi color ghiaccio e i capelli biondo platino. Si presentò. Era Adamil dei Baner, una famiglia di abili spadaccini. Aveva trovato Drake e Artemis nella camera, sdraiati, con quelle spade di ottima fattura e quei due strani animali. Adamil ospitò Artemis e Drake per qualche settimana, sfidando i due appena gli era possibile. Si divertiva un sacco con quegli ottimi spadaccini, e Artemis e Drake apprendevano in fretta. Il rapporto tra Drake e Artemis, a sua volta, aveva preso un ottima piega. Conosciuti per caso, avevano scoperto di essere spiriti affini. Quando Artemis decise di tornare al maniero Marthem, Drake volle seguirlo.

-fine parte 3-

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-inizio parte 4-

Al suo arrivo al maniero, Artemis ebbe una fantastica sorpresa. Klauth e Oth erano nella stalla. Erano tornati da soli ed erano stati accuditi. Ma Artemis trovò ebbe anche una brutta notizia. Il nonno, Lupin, era morto qualche giorno prima nel suo letto. Era morto nella notte, improvvisamente, anche se era sano di salute. Ma aveva lasciato un regalo al nipote. Nella stalla, vicino a Klauth, c’era un posto occupato da una bestia fantastica, regale e possente. Un ippogrifo nero. Era l’animale del nonno, e il nonno l’aveva lasciato a lui. Era un animale bellissimo, e Artemis lo ribattezzò Isk, “stella”, per una piccola chiazza bianca a forma di stella sul collo. Artemis aveva ora cinque animali, tutti rappresentanti eventi importanti della sua vita. Artemis ospitò Drake nel maniero e vi rimase per qualche anno, conciliandosi finalmente col padre Mauritius. Il tempo nel maniero passava veloce. Artemis si divertiva con Drake, e essi facevano dei frequenti viaggi insieme, nei quali l’amicizia dei due non fece altro che rafforzare. Drake era diventato uno di famiglia, abitando nel maniero Marthem. Artemis faceva molti viaggi anche da solo, specialmente quando si voleva ritirare per studiare un libro. Durante uno dei suoi frequenti viaggi, Artemis conobbe una ragazza. Era una giovane elfa, bella, magra e simpatica, che si chiamava Valanthe Liadon. Era stata incaricata da Thenemis Galanodel di portare un messaggio a Dràin. Artemis scelse di accompagnarla. Ad Artemis Valanthe stava molto simpatica, e lei ricambiava. Più i due si conoscevano, più questa simpatia si trasformava in amore. I due si innamorarono, e una volta finita la missione, Artemis portò Valanthe al maniero per presentarla ai genitori. Valanthe era brava e dolce, una ragazza rispettosa, e ai genitori di Artemis piacque. I due si sposarono qualche anno dopo, all’età di ventitrè anni. Artemis e Valanthe si trasferirono nella camera dei genitori di Artemis, e, alla morte del padre, Artemis divenne il capofamiglia. Il capofamiglia più giovane della storia della famiglia Marthem. Ma il matrimonio non cambiò Artemis. Artemis e Valanthe continuarono a viaggiare, a fare avventure, a dormire sotto le stelle. I viaggi con i suoi cinque animali erano molto meno frequenti, e Artemis liberò Klauth che, diventato più grande, era pronto per una tana. Klauth si stabilì vicino al maniero Marthem, e rimase in buoni rapporti con Artemis. Per ricordare il drago, Artemis si tatuò sull’avambraccio destro una runa nanica “D”. Per ricordare anche gli altri animali, Artemis fece seguire la “D” da una “C”, una “H”, una “S” e una “L”, le lettere rappresentanti i suoi animali. Anche i viaggi con Drake erano meno frequenti, ma Drake scelse di restare al maniero Marthem. La vita al maniero era noiosa, ma Artemis sopportava.

All’età di ventisei anni, ad Artemis venne donato il regalo più bello. Un figlio. In una notte, nella terza notte della prima decade di Ennael, una notte piovosa, venne alla luce Lupin Bard Marthem II. Nei suoi primi anni di vita, Artemis scelse di non insegnare al figlio quello che sapeva, ma scelse di aspettare che il figlio volesse apprendere ciò che voleva dal padre e dalla madre. Il piccolo Lupin era volenteroso e imparava volentieri, e aveva una grande passione nel liuto che imparava a suonare dalla madre. Artemis si divertiva molto a passeggiare col figlio, che portava spesso da Klauth. Artemis insegnava a Lupin quello che gli avevano insegnato Quarion, Glaivas, Mefistofelus, Thraur, e tutto ciò che aveva imparato da piccolo. Per Artemis era bellissimo insegnare al figlio tutto ciò che sapeva, dall’artimanzia alle vecchie leggende, dalle rune alle lingue. Valanthe invece insegnava a Lupin ad usare la magia, mentre Drake era diventato il suo istruttore di combattimento. Quando Artemis compì quaranta anni e il figlio quattordici, Artemis decise che il figlio doveva abbandonare il maniero. La porta del maniero era sempre aperta per il piccolo Lupin, ma doveva vedere quello che aveva imparato in teoria. Lupin partì in una fredda mattina d’inverno, all’alba, portando con sé una coperta invernale, del cibo, una spada corta e un anello di eletrum con il sigillo della famiglia Marthem. Venne accompagnato nel viaggio da Aussir, mentre Artemis lo vedeva uscire dal portone, camminando, come fece lui trenta anni prima.

XD sono 5 pagine di word!

P.S

di questo personaggio ho anche l'albero genealogico!

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Io la butto sull'umorismo. Ci siamo presentati ad un torneo con questo backgorund di squadra. Ci siamo divertiti da matti e siamo anche adanti bene ^_*

“Eroi gloriosi, saldi nell’Onore, impavidi contro forze soperchianti. I conquistatori di Torn, la città dei demoni, i liberatori di Kal, la principessa imprigionata. Numerose sono le gesta di coloro che la gente conobbe come i Cavalieri Verdi, e mai alcun cantore potrebbe narrarle tutte, neppure se cantasse per un intero giorno ed un intera notte! Ma Voi, fortunati Signori, avrete la fortuna di sentire alcune di queste storie proprio da coloro che, armi in pugno, le vissero!”

Sin qui, in genere, tutto procedeva liscio. Gli avventori più curiosi si accalcavano a sentire l’uomo dai capelli ormai bianchi che sembrava voler iniziare a raccontare qualche storia interessante, mentre un halfling, dall’aspetto non più tanto giovane, iniziava a suonare un piccolo mandolino, riempiendo l’aria di note acute ed allegre. Una terza figura, seduta su una sedia, faceva il controcanto al mandolino, con un flauto traverso.

“La storia che ho scelto di narrarVi oggi, mie Signori, è la storia di Zul, la principessa imprigionata”

Raramente c’era qualcuno che iniziava a lamentarsi a questo punto della narrazione. Capitava solamente con il pubblico più raffinato, conoscitore attento delle genealogie. Ma il gruppo non frequentava questo genere di pubblico ormai da parecchio tempo. E nelle locande il pubblico in genere, per fortuna, non era sufficientemente attento per accorgersi di una svista su qualche nome sin dall’inizio. E chi proprio se ne accorgeva non ci badava più di tanto! In fondo le principesse se non hanno più di un nome non valgono una tacca.

“Ella si trovava a Torn, la città dei draghi, e viveva, triste e sconsolata, presso una torre angusta e contorta, imprigionata da un malvagio signore…”

Le pause drammatiche erano sempre state uno dei pezzi forti di Draedan. Sapeva come catturare l’attenzione del pubblico, e questo era il motivo che li aveva spinti a scegliere lui come cantore e narratore.

“Nessuno era tornato vivo dopo aver tentato di liberarla… nessuno! Tranne i Cavalieri Verdi”.

Buscopan, cercando di non confondere le note, si interrogò mentalmente: “Cavalieri Verdi… Chissà poi perché avevamo deciso di chiamarci con un nome del genere. Forse perché eravamo tutti al verde quando decidemmo di andare all’avventura insieme…”

“I valorosi avventurieri avevano scelto il loro nome per la Speranza che portavano nei cuori di tutti coloro che li incontravano” dichiarò solennemente

Buscopan, rafforzato dalla consapevolezza di aver portato speranza a destra e a sinistra soffio in maniera un po’ troppo solerte nel flauto, provocando una nota più simile allo stridio di un’arpia che ad un suono melodico.

Il pubblico sembrò non apprezzare. E nemmeno Draedan, che detestava perdere l’attenzione del proprio pubblico, e che con enfasi riprese a parlare.

“Essi partirono, su richiesta del Padre della giovane Crystal…”

A questo punto in genere anche gli ascoltatori di bocca buona storcevano il naso. E, disgraziatamente, qualcuno pensava di fare un commento sagace sulla scarsa memoria del cantore”.

Era sempre così che le cose prendevano una brutta piega. Draedan non aveva mai apprezzato che gli si facessero notare i propri errori e la sua reazione quando veniva tirata in ballo sua mamma era molto pirotecnica. Lockelpic, poi, dava il meglio di sé quando doveva “tirare fuori i suoi amici dai guai”, e anche in questo caso non si smentì. Posato il mandolino sfilò rapidamente il suo coltello da lancio dalla fodera, e lo lancio verso il boccale di birra del grosso mezzorco. Questo numero aveva sempre impressionato molto la gente delle locande, tanto da portare dei facinorosi avvinazzati vogliosi di rissa a battere le mani chiedendo di ripetere il numero. Sfortunatamente Lockelpic non aveva indossato le sue lenti quella sera e, invece del boccale, prese la mano dello sfortunato bersaglio. Il mezzorco parve non apprezzare. Buscopan, con rassegnazione, ripose il suo flauto nello zaino, diede una generosa golata di un acquavite, e mormorò una sconcia preghiera all’Impronunciabile, conscio di come si sarebbero evolute le cose da lì a poco.

La cosa più spettacolare della serata fu la somma di monete d’oro che l’oste chiese per riparare il mobilio.

I Cavalieri Verdi non erano dei cialtroni. Avevano veramente compiuto grandi imprese, liberato principesse, sconfitto possenti nemici. Solo che gli anni erano passati anche per loro, ed implacabilmente li avevano resi meno affascinanti, meno convincenti, e soprattutto meno precisi nei dettagli.

Più di venti prima, dopo l’ennesima avventura in cui avevano rischiato la pelle, dopo aver dovuto combattere con l’ennesimo mago malvagio che si era messo in testa di conquistare il mondo intero, si erano seduti attorno ad un tavolo a riflettere. Infilarsi in stretti cunicoli ad uccidere orrende creature aveva i suoi indiscutibili vantaggi. Le donne cascavano ai tuoi piedi quando tornavi dopo aver ucciso il capo di una tribù di orchetti (1), e le ricompense erano generose. Ma la parte migliore era raccontare le proprie imprese. Bambini, osti, giovani fanciulle: non faceva distinzione. Tutti rimanevano con la bocca aperta ad ascoltare le eroiche gesta. Pagare ciò che si beveva era impossibile (2), e tutti per strada ti salutavano come se fossi il loro migliore amico.

Attorno a quel tavolo furono proprio queste le considerazioni che portarono il gruppo di avventurieri, i Cavalieri Verdi, a prendere una decisione drastica. Perché faticare tanto per uccidere un drago se poi la parte migliore era raccontare di averlo ucciso? Ciascuno di loro era abbastanza consapevole di come fosse fatto un sotterraneo “gelido sinistro” da poterlo evocare con efficacia, e tutti i componenti del gruppo avevano tanto chiara l’espressione “diabolica e mortale” di un mago cattivo (3) da poterla mimare a regola d’arte. E di materiale per le loro storie ne avevano già accumulato abbastanza.

“Draedan ha imparato a padroneggiare potenti incantesimi, che ci vorrà ad imparare a suonare due strumenti!?” aveva commentato Lockelpic. L’halfing la faceva sempre più facile di quel che era, ma stavolta non aveva tutti i torti (4), e se ne convinsero anche i suoi compagni.

E fu così che i Cavalieri Verdi, valorosi avventurieri con la passione per la bella vita, decisero di appendere al chiodo i propri ferri del mestiere e intraprendere la strada dell’arte.

Per lunghi anni la compagnia, di taverna in taverna, di corte in corte, di tempio in tempio, cantò le proprie gesta (5) - e talvolta le gesta altrui - riscuotendo sempre un discreto successo. Gli anni, e un alimentazione non sempre regolare, portarono via due di loro: Carota, possente guerriero dal carattere focoso, fu ucciso dagli eccessi nel cibo, mentre Chiragan, che sempre aveva guidato il gruppo come esploratore, decise di fermarsi in un villaggio e mettere su famiglia con una procace locandiera, aprendo un negozio di oggetti magici di seconda mano.

Eppure il crepuscolo giunge per tutti, anche per gli eroi. E così, dopo lunghi anni di gloria come intrattenitori, i Cavalieri Verdi si trovarono al verde anche di fatto. Ormai solo le bettole più scadenti offrivano loro ospitalità in cambio delle musica e del racconto delle loro gesta e le occasioni in cui tutto andava liscio erano più rare di un mezzorco che non sia un barbaro.

Con i soldi per il mobilio dell’ultima locanda se ne andarono i loro ultimi risparmi.

Attorno ad un fuoco i tre si guardarono negli occhi. “Non posso andare avanti così! Non vedo nulla davanti a noi!” disse Lockelpic. L’halfling intendeva dire che dovevano trovargli un nuovo paio di occhiali, ma Buscopan, travisò le sue parole. “Hai ragione vecchio mio! Non possiamo continuare ad umiliarci in questa maniera! Non senza guadagnarci qualcosa, perlomeno!”.

E fu così che i tre presero la decisione di riprendere la via dell’avventura. In fondo certe cose non si disimparano mai. Aveva ancora tutte le loro armi da parte, non più all’ultima moda, ma certamente ancora affilate, e potevano contare sul sicuro aiuto di un amico con un’attività avviata per reperire qualche oggetto utile (6) . Avrebbero dimostrato che valevano più di tanti giovani. Avrebbero dimostrato che non erano cambiati. Avrebbero dimostrato che potevano ancora compiere gesta eroiche. Partirono brindando, con l’acqua del fiume, al rinata compagni. Ai “Cavalieri Sempreverdi!”.

E poi tornarono indietro a cercare Draedan, che si era appena ricordato la potente magia che rendeva invisibili. Ma non che fosse una magia reversibile.

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Note alla storia

1) I saggi, a riguardo, non sanno darsi spiegazioni. In effetti un avventuriero di ritorno da un’avventura non è la persona più desiderabile che ci sia. Fra trappole e mostri erranti che decidono di errare proprio dove passi tu, non c’è molto tempo per l’igiene personale. E uccidere un orco e staccargli la testa per mostrarla a tutti i cattivi come monito tende ad essere un’operazione che lascia meno puliti di un contadino alle prese con un maiale. Ma si sa che le donne sono creature misteriose.

2) Cosa, questa, che rendeva molto felice Buscopan. E che forse lo aveva reso anche così dipendente dall’acquavite.

3) In effetti i maghi cattivi tendono ad essere degli individui abbastanza monotoni. Se non vogliono conquistare il mondo allora bramano per distruggerlo. E sembra che nessuno di loro possa fare a meno di avere “occhi iniettati di sangue” e “una veste nera come l’oscurità dell’Abisso”.

4) I dubbi maggiori i suoi compagni li avevano circa il fatto che riuscisse a conservare abbastanza a lungo il suo strumento. Le guardi cittadine sono colme di pregiudizi sugli halfing, e pensano sempre che vogliano commettere qualche marachella. E un halfling con uno strumento assume un’espressione che lo rende incredibilmente simile ad uno che sta per uccidere la tua cara sorellina mentre contemporaneamente ti estorce del denaro.

5) Questo soprattutto dopo l’infelice esibizione davanti al Duca di Sgrano. Per l’occasione Draedan ebbe la geniale trovata di accompagnare il racconto con magiche illusioni, senza avvisare prima Buscopan, che, non proprio digiuno di acquavite, alla vista di alcuni zombi vicino alla Duchessa, si lanciò contro di essi imbracciando un’arma di fortuna, per “ punire le sacrileghe creature”. L’arma di fortuna, un vassoio con un tacchino ripieno, superati gli zombi eterei, aveva raggiungo il nobile viso della Duchessa, che si sostituì al ripieno con perfezione.

6) È risaputo che gli avventurieri scarsamente dotati di oggetti magici soffrono della Sindrome detta del Mago Potente o dell’Invidia dell’oggetto magico.

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  • 3 settimane dopo...

Ho cominciato un'altra campagna e ho fatto un altro PG.

Il PG è un Kaorti (abissi e inferi, una razza aliena originaria del reame remoto che è il reame della follia) aspirante stregone e alienista.

Il mio nome è Hijak Nesk. Sono nato in montagna, accudito dai miei genitori. La mia era una famiglia di pastori che riusciva bene o male a tirare avanti. Alcune volte scendevo in città con mio padre, divenuto più grande incominciai ad andare da solo. Sono cresciuto bene con i miei genitori, anche se erano poveri non mi facevano mancare niente e, dopotutto, era l’amore ciò che contava. Mio padre era severo con me, so di averlo odiato qualche volta, ma adesso che sono maturo so che lui mi voleva bene e che era severo con me, solo per farmi crescere meglio. Mia madre mi insegnava a leggere e a scrivere, era un’insegnante una volta, ed è da lei che ho appreso le prime cose. Mio fratello era il mio modello, da grande volevo diventare come lui, era molto simpatico e intelligente, sapevo che se ne sarebbe andato un giorno da quelle montagne. Infatti all’età di 12 anni (quando io ne avevo 6) lasciò la nostra casa perché voleva fare l’avventuriero, voleva imparare l’arte della magia da qualche mago più esperto. Ero ansioso di andare anch’io all’avventura. Non sapevo però cosa fare, mi piaceva la magia ma purtroppo non avevo tanta voglia di studiare come mio fratello, anche se avevo le capacità. Invidiavo coloro che nascevano con poteri magici, io ero un inutile elfo senza poteri e senza voglia di studiare. Mi ero ormai rassegnato a vivere da pastore. Fino a che venne quel giorno, il giorno che cambiò la mia vita per sempre…

Ero andato a far pascolare le pecore come facevo ormai ogni giorno da quando avevo compiuto 12 anni. Mi si avvicinò un uomo con vesti stracciate addosso, sembrava un mendicante. Intravidi poi altre persone come lui. Gli chiesi cosa volesse ma non mi rispose. Cominciai a scappare, La mia casa purtroppo era lontana. Decisi di nascondermi in alcune grotte che conoscevo. Gli uomini cercarono di seguirmi ma dopo un po’ li seminai dato che loro non ce la facevano più. Mi nascosi lì per un po’. Poi andai a casa, mio padre e mia madre erano lì, seduti su due sedie. Non parlavano, mi fissavano incessantemente. Dopo un po’ sentì una botta dietro la nuca e svenni…

Mi svegliai dentro quella che sembrava una grotta con una strana sostanza che la ricopriva. Attorno a me c’erano strani individui informi, sembravano masse aliene inconsistenti. Mi accorsi subito che avevo assunto una strana forma, in qualche modo assomigliavo agli strani esseri di cui avevo paura! Rimasi fermo per non so quanto, volevo piangere ma dai miei occhi non uscivano lacrime, forse non ero neanche più in grado di provare quei sentimenti, la mia forma mi sembrava del tutto normale, voleva solo imitare ciò che forse avrei fatto se fossi stato ancora umano. Non lo ero più però. Non provavo più compassione, non mi preoccupavo affatto di dove fossi e di dove fossero i miei genitori. Ero ormai integrato con i miei assalitori. Dovevo espandere la follia del reame remoto sul piano materiale! Non mi sarei fermato finché non avessi compiuto la mia missione. Ero diventato malvagio. Viaggiai e viaggiai, mi creai tanti nuovi “amici” e schiavi. Non so quanto tempo sia passato e sinceramente non me ne mai importato. Un giorno fui mandato a corrompere un mago insieme ad altri miei compagni. Mio fratello! Mio fratello era diventato un mago! Dovevo farlo diventare come noi, avrebbe anche incrementato le sue capacità. Egli era molto forte ma alla fine riuscimmo a sconfiggerlo. Finalmente poteva unirsi a noi! Ero tanto felice. Volevo essere io stesso a trasformarlo. Così lo portai nella mia ciste personale, prima che iniziassi la trasformazione egli si svegliò, mi disse di smettere di fare questo perché stavo causando dolore a tante persone, disse poi che la mia natura era ben diversa. Io non ricordavo della mia vecchia natura, non capivo a cosa si riferisse. Così cercai di nuovo di stordirlo, questa volta però lui mi fermò, aveva una potenza magica straordinaria, non credevo fosse così forte. Mi bloccò ma io riuscivo a capire cosa mi stava dicendo. Quelle parole erano così dolci, mi raccontò della nostra infanzia, di come ero. Perché ero diventato così? Quei Kaorti mi avevano contaminato con quelle idee folli! Ero diventato folle anch’io, potevo porre rimedio a ciò? Perché dovevo farlo, io non ero diventato folle, avevo capito solo quello che altri non erano riusciti a comprendere. Non era giusto però, mi resi conto che avevo fatto soffrire troppa gente, i Kaorti erano malvagi! Volevano solo dominare il mondo con la loro gente! Giurai che non avrei più trasformato nessuno in un kaorti, la loro essenza era malvagia ed io disprezzavo i malvagi! I kaorti erano anche alcune delle poche creature a conoscere verità segrete, i kaorti erano una razza superiore! Perché dovevano essere malvagi? Il reame remoto! Forse lì avrei trovato delle risposte! Dovevo diventare più forte per raggiungere quel luogo oltre il tempo e la spazio. Forse sono un folle ma ci riuscirò!

Dopo aver liberato mio fratello lasciai la mia ciste in cerca di potere. Lo status da Kaorti mi aveva dato i poteri che avevo tanto sognato. Sarei potuto partire all’avventura, le altre crature mi avrebbero però accettato? Sicuramente no, avrei deciso più avanti cosa fare però.

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Questo l'avevo scritto per introdurre il mio personaggio su Ultima Online:

Pochi minuti sono trascorsi dal canto del gallo e Daglator vaga ancora tra le rovine in fiamme del suo villaggio natio.

…sono tutti morti…

Molte primavere sono trascorse da quando, ancora ragazzino, lasciò la famiglia per affidarsi agli insegnamenti di Murlock, suo riverito Maestro, che gli trasmise gran parte delle proprie conoscenze.

“Diventerò un grande mago ed il mio nome sarà il terrore dei malvagi e dei disonesti” dichiarò orgoglioso al momento di separarsi dai genitori.

“Sii felice, e sereno nelle tue decisioni” gli disse affettuosa la madre “e ricorda che sarai sempre nei nostri cuori”.

…papà, mamma…bruciati vivi…

Al limitare del villaggio la giovane Hanna, compagna d’infanzia, lo raggiunse donandogli un bacio e una carezza, per poi scappare piangendo. “Ti prego, torna presto da me” la udì singhiozzare.

…amore mio…le membra sparse…

L’addestramento è stato massacrante. Ogni notte il giovane Daglator crollava sul giaciglio esausto udendo le parole del suo Maestro “Non sarai mai all’altezza del tuo compito. Non hai carattere”.

Ed in cuor suo andava via via convincendosi che forse aveva ragione. Ma non mollava, non si arrendeva, ed ogni giorno era più devastante del precedente.

Eppure con la spada era diventato piuttosto abile e sentiva sempre più radicato in se il germoglio di fiamma che Murlock gli aveva *****cato, e che un giorno la magia del Fuoco sarebbe divenuta la sua più fedele alleata.

E così fu, quando al suo quindicesimo compleanno il suo mentore lo sfidò all’ennesimo duello. Mentre l’aria gelida dell’autunno inoltrato sferzava i due volti nel centro della piccola arena ancora umida del sangue versato, le fiamme divamparono dalle mani di Daglator avvolgendo il corpo di Murlock e facendolo cadere in ginocchio. E prima di soccombere sotto l’ultimo fendente, orgoglioso dichiarò: “Ce l’hai fatta ragazzo mio. Il tuo tempo è giunto. Dammi il colpo di grazia e prendi il mio posto. Ora il Maestro sei Tu”.

…mamma, ce l’ho fatta…

Da allora sette anni sono passati, e il giovane avventuriero ha vagato nei territori dell’Ovest, apprendendo e combattendo, affinando le sue arti in battaglia, provando nuove esperienze e sondando sentieri a lui sconosciuti, a volte proibiti.

Le fiamme si stanno spegnendo e Daglator cammina in mezzo ai corpi carbonizzati e alle macerie del luogo che un tempo chiamava casa.

Il sole fa capolino all’orizzonte. L’odore acre della carne bruciata riempie l’aria. Un cane si rifugia guaendo tra le braccia di un bambino che lo chiama a sé piangendo.

…UN SUPERSITE…

Daglator si avvicina a lui mentre il bambino si copre gli occhi singhiozzando.

D’improvviso, le fiamme ne avvolgono il fragile corpicino, il bambino grida disperato ed il cane gli sfugge dalle braccia, un tizzone in movimento che in pochi istanti si accascia al suolo. Dei due non resta che cenere.

…non male, vecchio mio. Non male…

In seguito è stato necessario modificarlo affinchè il mio personaggio non entrasse in-game già così potente.

Questa l'ultima versione:

Fin da quando ero piccolo, gli altri bambini mi scansavano evitando di giocare con me.

I miei genitori non mi permettevano di avvicinarmi alla stalla per paura che i cavalli si imbizzarrissero e tentassero la fuga.

Ho sentito mio padre, una volta, dire a mia madre ″Perché gli Dei ci hanno voluto punire così?″.

Mia madre mi voleva bene ma non riusciva a sentirsi a suo agio con me vicino.

Io stesso sentivo…qualcosa.

Perché gli Dei mi hanno fatto nascere così, pensavo.

Dopo che da ragazzo fuggii dal mio villaggio, ho passato molto tempo a elemosinare per i sentieri, lontano dalle città. I miei genitori non mi sono mai venuti a cercare. Forse è meglio così.

Quando mi sdraiavo di notte, sotto il cielo stellato, spesso provavo a concentrarmi sui ricordi della mia infanzia, cercando se ce ne fosse stato almeno uno degno di essere ricordato, conservato. Ma era tutto inutile. Non riuscivo a tenermi sveglio per più di pochi minuti che subito piombavo in un sonno profondo e pieno di sogni, dove spesso avevo strane visioni di simboli runici, dove vedevo antichi rituali officiati da ignote figure. Visioni che parevano avvolgermi con la loro aura, una sorta di energia che mi chiamava a se, ma dalla quale sono sempre fuggito.

E dopo aver sognato mi risvegliavo con la stessa inquietudine che provavo quando da bambino gli altri tentavano di avvicinarsi a me, allontanandosi poi bisbigliando tra di loro su che cosa realmente io fossi.

Mi sentivo solo, un reietto. E spesso mi trovai a desiderare la morte…

Ma poi, tutto cambiò.

Un giorno un uomo che mi vide mendicare, Murlock si chiamava, mi chiese che cosa stessi facendo. Alla mia risposta mi disse che ero uno stupido e che una persona dotata quale ero io avrebbe potuto aspirare a ben altra vita.

Chi era quest´individuo e perché mi parlava così?

Un mago, ecco chi, o meglio cosa era. Un mago quale non ne avevo mai visti altri, che mi rivelò di percepire in me una predisposizione all´uso delle arti arcane, una energia che covavo nel profondo ma che ignoravo di avere, che non sapevo utilizzare.

Trascorsi alcuni giorni in sua compagnia, durante i quali mi spiegò molte cose, e alla fine mi disse che da solo avrei dovuto trovare la mia via, che il mio destino apparteneva solo a me, che avrei dovuto cercare e imparare gli incantesimi di cui anche lui era custode.

″Come, dove?″, gli chiesi ansioso.

Viaggiando, incontrando gente, facendo esperienze, fu la risposta.

Non l´ho più incontrato.

E´ da quell´incontro che custodisco con gelosia i consigli che generosamente mi ha elargito.

Ora devo spingermi oltre.

Devo cercare, apprendere, imparare la vera Magia.

Devo trovare ciò di cui ho bisogno.

Voglio uscire dal mio guscio e conoscere altre persone, divenire qualcuno.

E forse, un giorno, potrò tornare al mio villaggio e mostrare a tutti chi è Daglator.

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E questi li ho scritti per il mio PG e quello della mia ragazza quando un nostro amico ci masterizzò alcune sessioni di D&D ambientate nel mondo di Diablo:

Axelrod è un fiero discendente della stirpe barbara degli Hellkite, custodi del Monte Arreat e del suo arcano potere.

Nel suo territorio e nelle regioni confinanti è conosciuto da tutti con il nome di Jackal (sciacallo) per la sua spietata e sanguinaria ferocia in battaglia e per la determinazione e la crudeltà con le quali riesce ad estorcere informazioni ai nemici catturati prima di infliggere loro il colpo di grazia.

Come a molti altri membri del suo Clan gli è stato permesso di inoltrarsi nei territori posti al di là dei confini dei propri insediamenti per intraprendere una vita da avventuriero e porsi al servizio della giustizia, anche se per questi individui l’idea di giustizia spesso non va oltre il concetto della legge del taglione.

Ai tempi della cattura di Mephisto e Baal ad opera dei sacerdoti Horadrim, quando Diablo ancora imperversava nelle catacombe del Monastero sconsacrato di Tristram, Kromvald, fratello di Jackal, era stato convinto dall’Arcivescovo Lazarus ad avventurarsi nella tana dell’ultimo dei tre Primi Maligni a capo di un manipolo di coraggiosi armati di fede e spe-ranza.

Il loro compito era quello di liberare il piccolo Albrecht, figlio di Re Leoric, signore delle terre di Khanduras, che era stato rapito dalle entità demoniache.

Purtroppo, come la storia ci racconta, quei coraggiosi vennero massacrati dal demone chiamato “il Macellaio”, fedele servitore di Diablo ed al quale Lazarus consegnava gli i-gnari abitanti di Tristram attirati con l’inganno.

Nonostante aver opposto una fiera resistenza, la stessa sorte toccò anche a Kromvald che, storpiato e mutilato, entrò a far parte della collezione di cadaveri del perverso demone, di-venendo anch’egli un macabro ornamento fieramente esposto alle genti come un racca-pricciante stendardo dei domini infernali, orrendo monito per gli esseri mortali.

Quando la notizia giunse alle orecchie di Jackal questi, accecato dalla rabbia, decise di raggiungere la città per fare giustizia e vendicare suo fratello col sangue del Macellaio ma qualcuno riuscì nell’impresa prima del suo arrivo, ponendo inoltre definitivamente fine all’impero di terrore di Diablo e lasciando a Jackal una inappagata sete di vendetta.

Ora, a distanza di anni, qualcosa sta succedendo………ancora………

Ora lo Sciacallo è di nuovo in marcia verso Tristram, sicuro che l’aura di energia negativa che aveva chiaramente avvertito durante il suo viaggio precedente si stia nuovamente pro-pagando nel regno dei comuni mortali.

Valiant è un paladino appartenente all’ordine di Zakarum.

Nessuno ha idea di quali siano le sue sembianze, tenute sempre celate dall’armatura dalla quale non si separa mai.

Personaggio poco loquace e scarsamente carismatico, il suo passato è avvolto in un fitto mistero per chiunque lo conosca.……

Suo padre Vagrant era anch’egli un paladino seguace di Akarat.

Per essersi opposto alle orde demoniache fu barbaramente massacrato in battaglia, durante una crociata condotta contro le forze del male.

Inoltre, per aver sfidato Diablo, gli Inferi proferirono una maledizione che colpì duramente la sua discendenza: sciagure e disgrazie di ogni genere si abbatterono su sua moglie Sheela ed i suoi figli, portando la famiglia alla disperazione.

Malattie, saccheggi e povertà sarebbero continuati per generazioni se Sheela non avesse preso a malincuore una soluzione estrema: in accordo con gli emissari di Diablo, la male-dizione sarebbe stata sciolta e mai più il male avrebbe perseguitato la stirpe di Vagrant ma, in cambio, ella non si sarebbe opposta a far sì che la primogenita Zoe li seguisse nei Regni dell’Oltretomba. E così fu.

L’anatema venne rimosso ma i Demoni, una volta mantenuta la parola, trovarono un’amara sorpresa quando reclamarono la bimba: la madre, così come d’accordo, non op-pose alcuna resistenza……. ma la piccola avrebbero dovuto trovarsela da soli!!!

Sheela infatti aveva consegnato Zoe all’ordine di Zakarum i cui sommi maestri, per onora-re la memoria del padre, accettarono di iniziarla al loro Credo, per crescerla nel nome della Virtù e della Luce e perché potesse divenire una valorosa guerriera, destinata a riportare la pace nelle terre di Sanctuary.

Il suo nome fu cambiato in Valiant e la piccola venne cresciuta e trattata come un maschio in modo che nessuno, specialmente il demoni che erano sulle sue tracce, potesse ricono-scerla.

Valiant è infatti consapevole che se la sua identità venisse rivelata, le forze del Male torne-rebbero a perseguitarla per avere la sua anima, mettendo in serio pericolo anche la vita di tutti coloro che si trovassero con lei.

Per questo motivo il suo carattere schivo e ritroso la identifica come una guerriera solitaria e restia ad intraprendere missioni pericolose insieme ad altre persone che, loro malgrado, vedrebbero inconsapevolmente messa a repentaglio la propria esistenza.

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  • 3 settimane dopo...

Quentin McCloud, paladino umano di 8 livello.

Chiedete in giro di Quentin McCloud, certamente alcuni vi diranno di non conoscerlo, altri che è un eroe, altri ancora che è un santo...ma questo era prima, questo era prima della Scelta.

La Scelta che ogni cavaliere si augura di non dover mai compiere, la Scelta del destino...ora solo mezzo cavaliere, ne “libero”, ne “devoto”, so soltanto quello che non sono. La mia fede incrollabile c’è ancora, ma la Scelta mi ha segnato nel profondo dello spirito. Sono stato costretto ad abbandonare la via di Martmaras per salvare un amico, ma questo abbandono mi è costato caro. Dapprima inconsapevole di cosa avevo fatto, mi sono reso poi conto dello sbaglio commesso e così ho iniziato la lunga e difficile svolta verso la luce del Dio.

Forse ho scelto di scrivere queste memorie, nel tentativo di non farmi dimenticare. Già, perchè gli eroi, si sa, sono soggetti alla considerazione delle persone e questa considerazione non è eterna, così come non sono eterne tutte le cose migliori della vita.

La mia storia incomincia 11 anni fa, prima della battaglia con gli uomini lupo a Rugalov, prima dello scontro tra l’esercito di Kelvin e le truppe degli orchi...avevo 16 anni allora quando venni scelto come Cavaliere del Bene...

...era ormai un mese che non mangiavamo, e la disperazione unita alla fame si stavano facendo sentire. Mio padre aveva abbandonato me e mia madre quando io avevo solo 6 anni e da allora abbiamo dovuto guadagnarci da vivere facendo lavoretti o commissioni per i nobili di Rifllian.

Una sera mentre ero a casa alla ricerca di qualche moneta dimenticata da qualche parte, trovai una lettera, che portava ormai i segni del tempo. In questa lettera si parlava di Reyott, nato con l’unica colpa di essere albino. I suoi capelli bianchi e gli occhi rossi, gli davano lineamenti demoniaci, i quali indussero il padre Kevin McCloud, sacerdote di Ixion, alla pazzia e lo trasformarono in un vero e proprio fanatico.

La lettera continuava dicendo che Reyott era stato affidato ad una famiglia benestante di Marilenev, con il compito di educarlo e proteggerlo, proteggerlo soprattutto dal padre, mio padre, che era impazzito e gli stava dando la caccia lungo tutto il Granducato.

Appena finii di leggere mia madre rientrò e rimase scioccata nel vedermi con in mano quella lettera. Io le chiesi spiegazioni e l’unica cosa che riuscì a dirmi prima di svenire fu: promessa.

Dopo averla sdraiata sul letto, uscii dalla casa per schiarirmi le idee e ritornai solo a sera tardi, per scoprire che la casa era in fiamme e il simbolo di Ixion era inciso sulla porta ormai dilaniata dalla fiamme. Improvvisamente sentii una forza dentro di me, una forza che non avevo mai sentito prima, e a quel punto svenni.

Mentre ero svenuto, sognai di essere completamente circondato dalle tenebre. Sentivo voci offuscate e un turbinio di ombre mi avvolgeva. All’improvviso una luce penetrò le ombre, distruggendole, e sentii delle parole, ma al risveglio ne ricordai solo una: promessa.

Mi svegliai in una stanza, molto piccola, simile alle celle dei frati. Ero sdraiato, ma non riuscivo a muovermi. Sentivo una strana sensazione al braccio destro... allungai la mano e sentii che sul braccio vi era inciso qualcosa. Con vivo stupore guardai il l’arto e vidi un disegno, dai colori sgargianti, mai visti prima al mondo. Ritraeva un martello, circondato da una forte luce che sembrava trionfare sulle tenebre di sfondo.

Impaurito per la scoperta, cercai di cancellarlo, ma capii che era inciso profondamente sulla mia pelle, e sembrava addirittura fosse quasi in rilievo. Ma la cosa più strana è che non c’erano bruciature o segni di ferita... sembrava fosse spuntato da sotto la pelle, come se fosse già stato li, in attesa di qualcosa...

Ah il braccio, fa male... eppure ora non c’è più il tatuaggio, ma un’indistinta macchia scura che non si cancella ne sembra accennare a sbiadire. Sembra restare li, aspettando qualcosa. Sembra che il martello, che con un acuta occhiata è possibile riconoscere sotto il manto nerastro, sia in attesa di sconfiggere nuovamente le tenebre...

...solo dopo qualche minuto riuscii a parlare e a chiedere se ci fosse qualcuno.

Dopo pochi secondi un uomo, con una lunga tunica bianca e un martello sul petto entrò di scatto, dicendo: «Padre Avan, Padre Avan, si è svegliato.»

Subito sentii dei passi lungo il corridoio e vidi entrare un uomo. Mi colpii subito, egli infondeva pace e serenità.

Gli porsi una serie di domande, alcune insensate e alcune no, solo che mi impedì di parlare mettendomi una mano sulla bocca, e mi disse: «Le risposte arriveranno tra non molto. Ora riprenditi un attimo, lo choc è stato molto forte. Vestiti e poi raggiungimi fuori dalla stanza.»...

Non so perchè ho scritto esattamente quello che mi era successo, ormai avrei dovuto dimenticarlo, invece...Forse è un segno, la promessa...

Comunque il prete si chiamava Avan e mi disse che ogni tanto la mano di un Dio benigno si posa sopra un’anima mortale e la dota di poteri semi celestiali. Ero diventato un Cavaliere del bene, un paladino.

Nei mesi che susseguirono mi istruì nel combattimento, mi insegnò a pregare ed a onorare Martmaras, ricordandomi che il Dio non mi avrebbe mai abbandonato.

Durante una delle missioni che Avan mi diede, ritrovai mio fratello, Reyott.

Come mi manca, anche se a volte era un po’ burbero, era sempre mio fratello, mio fratello maggiore, il mio protettore. Quante volte ha cercato di mettermi in riga... eh si, e quante volte l’ho fatto io...ora, ora non c’è più, come tutti gli altri. Come potrò mai dimenticare i suoi capelli bianchi sempre mossi dal vento, e il suo impeto in battaglia. Eravamo sempre insieme Reyott ed io... I fratelli McCloud ci chiamavano, sempre insieme... ed insieme scoprimmo che in realtà Avan sapeva tutto, ed era stato proprio lui a far si che ci rincontrassimo.

Mi spiegò che in realtà erano Osservatori Stellari, un gruppo di chierici o paladini, che si impegnavano nel tentativo di tenere sotto controllo l’intera Mystara, per far si che la pace regnasse sul mondo, o perlomeno tentavano di lenire il dolore e la sofferenza portati dalla guerra e dalla distruzione.

Il prete, dopo avermi detto queste cose, mi disse solamente di recarmi a Kelvin, dove avrei incontrato un gruppo di avventurieri al servizio del Barone, e di aggregarmi a loro. Li avrei dovuti seguire e lungo il percorso mi sarebbero state date delle risposte.

Partii alla volta di Kelvin, ma ci catturarono e finimmo imprigionati. Martmaras però, così come aveva detto Avan, aveva senza dubbio altri piani per me e mio fratello; destino volle che incontrassimo proprio il gruppo che stavamo cercando. Essi erano molto bizzarri, ma unici per simpatia e comicità.

Vi era tra questi un buffo gnometto di nome Bonfor, non stava mai fermo e aveva sempre la battuta pronta. Si metteva sempre ad inventare nuovi congegni meccanici e disegnava progetti su progetti. Era alto poco più di un metro, o forse neanche, ma questa sua mancanza di statura era compensata da una bontà d’animo infinita.

Sempre a scherzare, non prendeva mai le cose sul serio...quante volte che l’ho rimproverato. Ah quanto darei per ritrovarli ancora, ma forse sempre per colpa mia...promessa...

Poi, come non ricordarsi di Sir Edhen Alkar, grande cavaliere. In sella al suo fedele compagno non lo fermava nessuno. Quante volte che mi ha salvato la pelle, e quante volte che mi ha aiutato a sistemare i casini combinati dagli altri. Grande cuore, in battaglia era sempre pronto a sacrificarsi, ma forse non avrei mai dovuto incrociare la sua strada, così come non avrei dovuto incrociare la strada di tutti gli altri...promessa...

Nerelas, Falco...quanti problemi che hanno creato...quante volte che ho dovuto tirarli fuori dai guai...Il primo, diceva sempre che per sbaglio le cose finivano in mano sua, il secondo invece sosteneva di credere in Nyx... ma io sapevo, ne ero fermamente convinto, che in loro c’era qualcosa di buono, come in ogni persona che lascia la retta via.

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Continua da sopra (non ci stava..)

Il male e il bene sono come due sentieri che percorrono la nostra vita. Essi sono collegati in determinati punti del nostro cammino, fino alla fine dei tempi. Quando incrociamo queste intersezioni siamo messi più di ogni altra volta alla prova, e cadere nell’altro sentiero, più semplice e più allettante, è molto facile. Tuttavia, per ognuno di coloro che percorre il sentiero parallelo, le speranze di tornare sulla retta via ci sono. Infatti, anche se il nostro corpo passeggia sulla via oscura, la nostra ombra, o parte di essa è inevitabilmente sul sentiero della rettitudine. Inoltre bisogna ricordare che le strade per tornare indietro, le intersezioni, ci accompagnano lungo tutta la nostra vita...

Sarei felice di scambiare una mia vita intera per poter stare con loro nuovamente, anche solo per un’ora.

Mhm...Avan mi sgriderebbe se vedesse queste cose, devo concentrarmi su ciò che mi ha detto lui, ma come non pensarci...beh, non sarebbe giusto dimenticarli...

L’ultima volta che li vidi stavo lavorando per gli osservatori stellari. Già, maledetta congregazione. A causa loro, o meglio a causa di un loro emissario finimmo in quel pasticcio nel tempio. Van Tullipan...ti troverò...

Quante volte ancora adesso mi sveglio di soprassalto nella notte...era compito mio proteggerli, ma non l’ho fatto. Quante volte ne ho parlato con il mio maestro, il mio amico Avan...

Il tempio elementale...forse, forse dovrei ricordare...

...eravamo appena sbarcati da una nave di pirati mercenari. Lo scopo della missione, affidatami dall’uomo con la bombetta, era di cercare delle risposte da un eremita che viveva appunto in quell’isola. Cercammo un passaggio attraverso la foresta e dopo ore e ore di ricerca silenziosa ormai al termine, trovammo uno stretto passaggio, come se fosse fatto apposta per non essere scoperto.

Oltrepassata la fitta ed intricata boscaglia, ci ritrovammo in una radura. Un’enorme apertura nella montagna sorgeva davanti a noi, difesa da due enormi statue che cominciarono a muoversi al nostro arrivo.

Essendo molto lente le evitammo e riuscimmo ad entrare nell’antro oscuro.

Quello che apparve ai nostri occhi è impossibile da descrivere.

Pareti lisce come una lastra di metallo si aprivano a destra e a sinistra. Una luce innaturale usciva dai muri, e sembrava di essere tornati indietro di secoli.

Strane statue sembravano osservare i nostri passi e in tutto il labirinto regnava una strana pace.

Dividendoci abbiamo scoperto la strada per arrivare al centro del dungeon e scoprimmo una cosa sensazionale: l’eremita non era altro che un Side, un essere celestiale mandato per proteggere l’umanità.

Parlando con lui ci disse che era prigioniero e che l’unico modo per liberarlo era oltrepassare il tempio, che si estendeva su quattro livelli. Una volta liberato potevamo tornare da lui e ci avrebbe detto ciò che cercavamo. Accettammo subito, la nostra missione era troppo importante, ma l’attraversata del tempio si rivelò più difficile del previsto. Il Side ci consegnò una spada, dicendo che sarebbe servita per rompere il sigillo che lo teneva legato al piano materiale. Iniziammo così la camminata attraverso il livelli del tempio, ognuno dominato da una forma diversa di elementale.

Terra, acqua, aria e fuoco. In ogni livello il peso della missione affidataci si faceva sentire sopra i nostri cuori. Il primo livello era vasto, le pareti non si vedevano. Un’arida distesa di terra e rocce si apriva all’orizzonte, ed una luce innaturale ci mostrava la via.

Ci incamminammo lungo un sentiero quando subito venimmo attaccati...Bonfor, quasi in fin di vita, decise che era meglio non proseguire con noi, e disse di aspettarci in superficie, lasciandoci qualche oggetto che poteva tornarci utile.

Scampati al pericolo dell’attacco duergar e dall’attacco a sorpresa di vari elementali che spuntavano dal terreno, arrivammo ai piedi di un’immensa montagna, dove avrebbe dovuto esserci il passaggio al secondo livello, ma ahimé era crollato.

Barattammo così un enorme gemma in cambio di un tunnel che ci avrebbe condotto al secondo livello...

Ah, che dolore lancinante, ricordare queste cose mi provoca un forte mal di testa.

Ma devo continuare, forse ricordare mi farà passare la colpa che sento avvolgere il mio cuore. E’ come una nube nera che mi avvolge, come prima di diventare paladino, prima che Martmaras mi prendesse con se. Non devo dimenticare, Avan me lo ha detto: «Martmaras sarà sempre con te». Io lo so, non mi ha abbandonato, lui è qui e lo sarà sempre, ma come posso essere degno di portare ancora le sue effigi?! Così come sul braccio, i simboli sullo scudo e sull’armatura sono anneriti, solo un osservatore attento potrebbe riconoscere ciò che era disegnato, solo un occhio acuto potrebbe capire cosa sono veramente. L’incantesimo di Avan non ha funzionato, o meglio ha funzionato ma io non sono ancora pronto. So che Martmaras mi ha perdonato, ma io non mi sento degno di tornare a servirlo come facevo prima. Anche se un giorno, qualcosa cambierà. Questa missione mi aiuterà, come ha detto Avan.

Comunque non mi dimenticherò mai di voi amici...

...Quentin: «Forza c’e l’abbiamo quasi fatta, il sigillo è proprio li davanti...Occhi aperti comunque!»

All’improvviso una boato, la terra rossa come il fuoco si aprì davanti al gruppo. Delle fiamme alte tre metri, uscirono divampando tutto attorno, quand’ecco che tra le fiamme una figura si mosse.

Era alta circa 3 metri e avanzava lentamente, facendo rimbombare la terra ad ogni passo.

Dalle fiamme uscì prima un braccio, poi una gamba, ed infine un mostro apparve davanti a noi.

Era un demone, una creatura infernale, evocata forse da qualche mago da strapazzo. Ora era li, impassibile, che si parava tra noi ed il sigillo.

Nerelas: «Oh no, è la fine...»

Reyott: «Lasciatelo a me..»

Edhen: «Tu, vile creatura, cedici il passo o ne pagherai le conseguenze..»

Quentin: «Insieme siamo arrivati qui ed insieme ti sconfiggeremo. Per Martmaras!!»

Passarono pochi istanti, quando all’improvviso la creatura emise un urlo altissimo e si fiondò in avanti, caricandoci.

Il primo che si mise davanti a noi per proteggerci fu Edhen, ma venne scaraventato via dalla spallata del demone.

Ingaggiammo così un duro combattimento, quando all’improvviso la terrà tremò. Il demone ne approfittò per lanciare un incantesimo. Dalle sue mani esplosero delle vampate di fuoco che ci investirono in pieno.

Nerelas: «Attenzione, spostatevi..»

Ormai era finita, il nostro avversario era decisamente più potente; quando all’improvviso, una violenta esplosione fece cadere alcuni massi sopra la testa dell’essere, che per evitarli fu costretto ad abbassare la guardia. Era il nostro momento.

Reyott: «Ahhhhhhhhhhh...ti staccherò la testa...muori!!!!!»

Edhen: «Tu, preparati a scontare la tua pena...distruzione!»

Quentin: «Ritorna negli abissi da dove sei uscita immonda creatura.»

Reyott si lanciò in una carica disperata, io infusi tutto il mio potere, tutta la mia essenza nel colpo, Edhen invece si fiondò a testa bassa sullo stomaco del demone. Nerelas incoccò due frecce, una delle quali centrò l’occhio della creatura. Quando i nostro colpi la raggiunsero, emise un latrato e si accasciò a terra.

Tutta la sala incominciò a crollare, evidentemente il potere che la sorreggeva, era cessato con la morte del demone. Ormai eravamo stremati, ma ormai il sigillo era li a portata di mano.

Quentin: «Forza, al sigillo, presto!»

Arrivammo al sigillo che la grotta incominciava già a crollare. Presi la spada e la infilai nell’altare. Subito il tempo si fermò per pochi istanti, tutto smise di tremare e ci fu silenzio, quel silenzio che si ode prima di ogni battaglia, prima di ogni evento catastrofico...L’aria si addenso e si fece improvvisamente molto calda. Un’energia strana mi scorreva nel braccio dove tenevo la spada. L’aria da calda, diventò gelida e all’’improvviso l’esplosione. Di nuovo il tempo si mise a scorrere...Mi ritrovai con la spada in mano, ma all’aperto, solo, poi il buio...

Dopo un tempo non precisato mi svegliai e vidi le stelle sopra di me. Ci misi del tempo a riprendermi, e fu allora che mi accorsi che le stelle si stavano muovendo... qualcuno mi trascinava...

Mi girai e vidi una figura imponente nella luce della luna. La vista ancora annebbiata mi impedì di vedere bene, ma quando mi parlò mi accorsi subito.. Edhen!

Appena vide che stavo bene, mi aiutò ad alzarmi, ed insieme entrammo nel tempio, dove ci aspettava il Side.

Mentre mi rialzavo chiesi degli altri, chiesi di Bonfor, Reyott e di Nerelas. Mi disse che non aveva trovato nessuno. Dopo l’esplosione si era risvegliato sulla spiaggia ed era venuto a cercarci, ma aveva trovato solo me.

Ecco, ora cosa mi rimane dei miei amici, non ho potuto neanche dire addio a Bonfor, e ringraziarlo per tutte quelle volte che mi aveva tirato su il morale, non avevo potuto abbracciare per l’ultima volta Reyott, e dirgli quanto gli volevo bene. Solo ricordi, promesse infrante, promesse che avrei dovuto cercare di mantenere, ma che invece non lo avevo fatto.

Avevo solo ricordi, oggetti donati per le cause più disparate, ma che ora rappresentano tutto ciò per avevo combattuto e avevo lottato. Quante immagini, quante sensazioni che mi ritornano alla mente guardandoli. L’anello di Avan, datomi prima che fosse imprigionato, forse me lo aveva dato vedendo che ero un po’ preoccupato per la missione, ora, quando sono lontano da lui, mi conforta e alcune volte sembra che mi consigli... mhm questo pezzo di armatura, è la sua, apparteneva a Reyott... quella volta che gli rimase bloccata in una porta di pietra... avevo promesso che glielo avrei ricucito io, ma non ho avuto il tempo di farlo.

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Ricontinua (rinoncistava)

E poi quest’elmo, ancora argentato e lucente, com’era il suo carattere prima...prima della sua di Scelta. Edhen è caduto nel sentiero parallelo, ed ora chissà dove si trova, chissà cosa starà facendo, se si ricorda ancora di me. Spero di si, così come io mi ricordo di lui, fiero e sempre allegro. Non voglio che passi alla storia come il cavaliere nero. C’è del buono in lui, lo si può quasi percepire, ma d’altronde tutti saremmo stati messi a dura prova se ci fossimo trovati nella sua condizione. Già, come dimenticarsene, il fratello, la sorella, Agis Naeil... brutto capitolo per la famiglia Alkar, ma che volle fermamente tentare di chiudere. Fallì nel tentativo di vendetta, perchè si sa che la vendetta è solo una maschera, uno scudo ove nascondersi, e non un metodo efficace per dimenticare, o per tentare di lenire la sofferenza. Il suo cuore ora è nero, ma sotto la coltre corvina, una luce di speranza. Così sarà ricordato con l’onore che gli spetta, tutti possiamo sbagliare e soprattutto cambiare...

Un saggio diceva: «Non importa se nella vita cadrai svariate volte. L’importante non è evitare di cadere, ma è rialzarsi ogni volta!».

Mhm ormai si è fatto tardi, è meglio che torni a seguire la mia pista. Ormai non sono molto lontano dal gruppo di avventurieri che stanno indagando sui Sette Petali.

Queste strade, queste zone, mi ricordano tanto la strada per Kerendas, prima della svolta per quel misterioso villaggio. Già, il Side era stato chiaro, Avan era stato rapito da nemici che avrebbero potuto rivelarsi amici o viceversa. Quei versi mi rimbombavano nella mente lungo tutto il cammino.

...ogni metro che facevo verso l’agglomerato di case, era sempre più pesante.

Arrivai dove l’immortale mi aveva descritto, ed entrai, con la spada sguainata e lo scudo imbracciato.

Grazie ad una piccola gilda di ladri venni a sapere l’esatto luogo, e mai mi dimenticherò quella scena.

Mercurio Van Tullipan si ergeva innanzi a me, con un sorriso sadico in volto. Mi disse, ...Tullipan: «Salve Quentin, vedo che sei uscito sano e salvo dal tempio. Li sul tavolo c’è la tua ricompensa...»

Quentin: «Buonasera Mercury, non mi ingannerai ancora. Dov’è Avan?»

Tullipan: «Ah, vedo che il Side non ha saputo tenere la bocca chiusa allora, beh, visto che ci tieni tanto a vederlo...»

Dal soffitto scesero due gabbie di ferro. In una c’era Avan, imbavagliato e legato. Mentre nell’altra vi era una giovane e bella ragazza, che piangeva disperata. Sul pavimento, in corrispondenza delle gabbie, si aprirono 2 botole, con degli spuntoni affilati.

Tullipan: «Beh, Quentin, diciamo che vedremo quanto è veloce un paladino di Martmaras...»

All’improvviso le gabbie si sganciarono, e ancora il tempo sembro fermarsi, così come successe nel tempio. Mi ripassarono davanti tutti i momenti che avevo passato insieme al mio maestro, al mio amico. Mi chiesi cosa avrebbe voluto che facessi, se avrebbe voluto essere salvato o che salvassi la ragazza. La decisione era difficile, e il tempo si rimise a scorrere.

L’impulso dell’amicizia fu il più forte, mi lanciai disperatamente verso il mio maestro, in tempo per deviare la gabbia dalla buca, ma dall’altra parte della sala, l’urlo della povera donna, cessò immediatamente.

Con orrore mi girai per veder parte della gabbia spuntare dal terreno. Corsi subito verso la ragazza, provai a curarla, ma non riuscivo, o meglio nessuna luce splendeva più dalle mie mani. Sentii un dolore lancinante al braccio, come di una bruciatura, e vidi i segni sull’armatura e sullo scudi divampare e diventare neri improvvisamente.

Tullipan: «Tu e il tuo stupido credo. Vedi, scegli sempre la strada più difficile, ma se mi ascolterai divent....»

Dalla porta dell’edificio entrarono delle guardie armate, probabilmente sapevano che forse era la sede di una gilda di ladri. Corsi verso Tullipan, o almeno cercai di sentire ciò che mi stava dicendo, ma una guardia si fiondò su di me e mi blocco. Prima che mi stordisse, riuscii a vedere l’uomo con la bombetta che scompariva assieme al suo assistente.

Mi svegliai in una cella, disarmato. Insieme a me c’era Avan, che cercava di curare i tagli che mi ero procurato. Quando mi alzai, vidi una fasciatura sul mio braccio destro, srotolandola scoprii che il simbolo di Martmaras, il martello sacro, era scomparso, sostituito da una spessa coltre nerastra.

In quel momento mi misi a piangere. Capii cosa fosse successo, capii perchè non ero riuscito a salvare la ragazza...

Già, quanti ricordi, promesse infrante, impegni non mantenuti.

Avan mi stette molto vicino in quelle ore di perdizione. La mia anima era ormai appesa ad un filo, stavo camminando sulla lama di una spada, o meglio stavo camminando sull’incudine di Martmaras. Egli avrebbe potuto schiacciarmi come niente.

Avan cercò di consolarmi, cercò di farmi capire che nessun uomo può avere la pretesa di riuscire a salvare tutti e soprattutto non può evitare che i destini dei suoi amici non siano legati al suo.

Dopo quasi un anno, passato a ricordare, a lavorare nella chiesa di Kerendas, successe qualcosa, qualcosa che non mi succede ormai da molto tempo.

Sentii che tutto ciò che avevo passato forse era stato perdonato, sentii che la mia fede in Martmaras si era rinvigorita ancora di più, io sapevo, ne ero fermamente convinto: il Dio non mi avrebbe mai abbandonato.

Ne andai a parlare subito con Avan il quale mi disse che le mie preghiere erano state esaudite. Potevo finalmente ritornare ad essere il Quentin McCloud di prima...

...pronunciò uno strano incantesimo, parlava di perdono, di aver espiato le mie colpe.

All’improvviso, un’altra visione, come quella volta, quando ero sedicenne, ero disteso, circondato da un vortice oscuro. Sentii una voce ed una luce sfavillante penetrò le ombre e le distrusse. Pronunciò alcune parole, ma a differenza dell’ultima volta me le ricordai quando usci dalla trance: Quentin McCloud, tu non hai mai perso l’onore di essere un mio fedele servitore. Le mie effigi torneranno a marchiare il tuo cammino, e tu porterai giustizia dove c’è l’oblio, pace dove c’è la guerra, e amore dove c’è l’odio.

Io, Martmaras, Dio del coraggio e dell’onore, ti concedo ancora una volta di trionfare sulle tenebre. Vai ora, sappi che non mi hai mai deluso. Io ti perdono Quentin McCloud... ricordati che la vera Promessa è quella che risiede nel cuore...

Dopo essermi ripreso, parlai con Avan di ciò che avevo visto, eppure il ricordo dei miei amici scomparsi era ancora troppo forte.

I simboli sacri erano riapparsi, così come lo sono ora, ma una patina nerastra li ricopriva. Quella patina che segnava il mio senso di colpa. Perdonato dal Dio, ma non ancora sicuro su cosa egli voleva esattamente da me, mi ripresi sensibilmente.

Avan mi disse che ora l’unica cosa da fare era affrontare la vita giorno per giorno e riscoprire ciò che avevo perduto.

Già, 7 anni fa... 7 anni passati molto velocemente. Quante vite che ho salvato, eppure i miei amici non mi hanno ancora lasciato.

Beh, la mia storia è conclusa. Finalmente Avan mi ha dato delle precise indicazioni sul da farsi...

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  • 2 anni dopo...

interpreto uno stregone inger(razza da me inventata).

l'unico bg che ho ideato (uso sempre questo:-D) :

quando ero ancora un bambino (40 anni) la mia famiglia viene attaccata misteriosamente da nerull stesso. nel tentativo disperato di difendere mia madre ed in preda ad un' ira arcana incontrollabile scopro i miei poteri da stregone, ma ovviamente questo non basta contro nerull e vengo travolto dal suo potere (e ne porterò sempre i segni).

più morto che vivo riesco cmq a malapena agrapparmi a quella flebile speranza che è la vendetta, piangendo sul corpo di mia madre.

presto imparo a cavarmela da solo, sviluppo i miei poteri da solo, in un mondo spietato, cerco di mantenermi in vita.

capisco di non potermi fidare di nessuno, divento freddo e spregiudicato, non esito nemmeno ad uccidere poichè io ho un unico obiettivo...quello di distruggere il dio della morte stesso...

poi basta...dopodichè lo adatto alle varie avventure:-D (c'è da di dire cha fin'ora abbiamo condotto solo due avventure, quindi probabilmente alla prossima ne svilupperò un altro;-))

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Migliore (e unico) BG, scritto per un campagna sul forum.

Il nome di Garandu deriva dall'antico abissale, e vuol dire “Nato dalla morte”.

Venne infatti trovato in una città nel Cormir distrutta dall'assalto di goblin. Insieme a lui vennero trovati innumerevoli cadaveri di persone che gli facevano da scudo. Stranamente, c'erano anche molti corpi di goblin. Venne adottato da una donna e venne portato a Thay. All'età di undici anni la donna lo costrinse a lavorare per i maghi rossi. I soprusi della madre adottiva si fecero sempre più violenti e malvagi, e Garandu crebbe credendo che la forza e il sopruso fossero la chiave per il vero potere. Scoprì da solo i suoi poteri di animare i cadaveri. Decise che era ora di mettere fine ai soprusi della madre. La uccise e la trasformò in zombie, così non avrebbe dato nell'occhio. Lo zulkir della necromanzia decise di aiutarlo quando scoprì i suoi poteri. Gli insegnò l'arte di dominare la vita, mallearla, sopprimerla e trasformarla in non-morte. Lo zulkir scoprì che Garandu era il discendente diretto Nerull.

Dopo sette anni, Garandu divenne abbastanza esperto da abbandonare il suo maestro. Lo zulkir gli regalò un simbolo sacro in platino (conteggiato nell'equipaggiamento). Garandu se ne andò da Thay per inseguire il suo sogno: vedere un mondo non-morto inchinarsi ai suoi piedi per l'eternità. Durante il viaggio entrò a contatto con la malavita di ogni città in cui andò. Chiamò a raccolta assassini, chierici, guerrieri, maghi e con loro fondò una città, che dopo poco tempo “accolse” non morti intelligenti e semplici popolani. Garandu non ha mai rivelato a nessuno il suo vero progetto.

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Background Fruscìo - parte 1 -

In assoluto il migliore che abbia mai scritto (lunghetto - l'ho dovuto dividere in due post - ma ha fruttato anche +2 a conoscenze su drow al mio pg)

-=00=-

Gli zoccoli percuotevano incessantemente a ritmo serrato le lisce lastre di pietre della strada principale di Shadowdale, George Vassel spronava ripetutamente il suo cavallo nella piovosa notte senza luna, seguito a breve distanza da un altro cavaliere.

“Presto!Dobbiamo fare presto!” - gridava George all’indirizzo di Myriam, la levatrice che era andato a chiamare e che cercava affannosamente di stargli dietro in quella folle corsa lungo le vie di Shadowdale.

I cavalli ben presto abbandonarono la strada principale per inoltrarsi lungo vie secondarie fino a raggiungere, al limitare della cittadina, la fattoria Vassel.

Legati in fretta i cavalli, George e Myriam si precipitarono all’interno della abitazione. Una fioca luce proveniva dal piano superiore dell’edificio dove Rowan Tallstag era in procinto di dare alla luce il frutto della sua unione con George.

Myriam si avvicinò all’ansimante Rowan e, tenendole il capo, fece preparare dell’acqua calda e dei panni bianchi, rivolse una preghiera alla Dea Madre e si mise all’opera.

“Un ultimo sforzo” – disse Myriam – “ci siamo quasi, Rowen!”. La donna, stremata dalla fatica, sentiva che le forze stavano per abbandonarla, ma sapeva che ce la poteva fare e quando un tenero vagito si levò nella stanza, la sua gioia fu tale da vincere dolore e stanchezza.

“Ecco il primogenito di George e Rowen!” – urlò Myriam, poi, volgendo lo sguardo verso i genitori - “è un maschio” – disse, fasciando il piccolo con i panni caldi e porgendolo con delicatezza alla madre, – “ Come lo chiamerete?”.

Dopo uno sguardo d’intesa con il marito, con un filo di voce Myriam rispose sorridendo – “Caelith.”

“Che gli Dei Immortali possano sempre vegliare su di te, Caelith Vassel!” – disse Myriam benedicendo il neonato e sollevandolo verso l’alto come per mostrarlo alle divinità e al mondo intero.

-=00=-

Il bosco del Cormanthor non è certo un luogo per viandanti, ma Caelith, addestrato come ranger dal buon vecchio Philis, riusciva ad orientarsi e a ben districarsi quanto meno in quelle (poche) zone del sottobosco che aveva imparato a conoscere e ad apprezzare e nelle quali spesso si addentrava alla ricerca di essenze o all’inseguimento di cinghiali o cervi dei quali riusciva ad individuare le tracce anche là dove la vegetazione iniziava ad infittirsi.

Il giovane ranger ben sapeva, però, che il Cormanthor è infido e che penetrarvi per tratti eccessivi poteva essere letale, soprattutto da quando i drow si erano trasformati da leggenda a concreta minaccia.

Ma si sa, quando si è giovani si riflette poco e l’eccitazione di essere sulle tracce di un bell’esemplare di cervo offuscò la mente del giovane Vassel quanto bastava per spingersi un po’ più in là del solito.

Da dietro alla roccia dove si era acquattato Caelith seguiva con lo sguardo il cervo muoversi placidamente verso un rivo per abbeverarsi.

Con movimenti rapidi e silenziosi, avendo cura di non essere sottovento, Caelith raggiunse il tronco di una grossa quercia il cervo era lì, al di là del tronco, cacciatore e preda separati solo da una quindicina di metri. La traiettoria della freccia che il giovane Vassel avrebbe scagliato era libera, ne sarebbe bastata una, pensò.

Appoggiando la schiena al tronco, imbracciò senza esitazione l’arco e posizionò la freccia pronto a voltarsi e a scoccare il colpo con esito cer5tamente mortale.

Si voltò verso sinistra, flettendo la corda di budello del suo arco composito, ma il suo movimento non potè essere completato: una figura scura gli si parò davanti.

Per la sorpresa Caelith trasecolò, perse l’equilibrio ricadendo all’indietro e perse la presa sull’arco.

Iblith” – sghignazzò la figura.

Un brivido percorse la schiena di Caelith!!!Escremento!!! Sapeva che quella era la parola con cui i drow solevano chiamare quelli che loro considerano le razze inferiori. Suo padre George gli aveva insegnato la lingua degli elfi scuri, così come sua madre l’elfico. Fece per rialzarsi e per correre via. “Xuat zahan (non correre)!!!”

Caelith si fermò, strinse l’elsa della sua spada con la mano destra, e si voltò urlando: “Usstan uil (io sono ), Caelith Vassel!!!”

“Ah”- disse la figura con sorpresa- “parli la mia lingua, iblith, ma io so chi sei tu!!!!”

Caelith inarcò il sopracciglio sorpreso, quel drow sapeva il suo nome, come poteva essere?!?Perchè?!?

Il drow continuò “Tranquillo, umano, non sono qui per ucciderti, se avessi voluto farlo l’avrei fatto già da quando eri dietro a quella roccia!”. Un ghigno si stampò sul volto della creatura del sottosuolo.

Caelith, strinse ancora più forte l’elsa della spada “Non te lo consiglio, mio giovane ed impulsivo amico. Sono qui per lasciarti un messaggio che dovrai portare ai tuoi genitori. Dì loro che Tebryn è pronto per quel debito!”.

Il ragazzo fissò l’elfo scuro, una benda nera copriva l’occhio sinistro, alla cintura due daghe di pregevole fattura, un mantello scuro copriva le sue spalle.

Caelith notò che al collo l’essere del sottosuolo aveva un ciondolo che raffigurava due lenti di vetro nero che finivano con il formare una maschera; un simbolo che gli sembrava di conoscere, ma non ricordava cosa rappresentasse. “Perché fissi l’emblema del sommo Signore Mascherato, umano?”. Caelith, distolse lo sguardo, quello che gli si parava davanti era un adoratore di Vhaeraun, il Dio Mascherato della Notte.

“Devi dire a George e a Rowen che domani li aspetterò qui con ansia e se il suo giovane rampollo vuole farci compagnia – Tebryn fece un inchino di scherno – sarà un ospite gradito! Ora, raccogli il tuo arco, è una buona arma…per essere stata costruita da umani, ovviamente!”.

La risata del drow riecheggiò nel bosco.

Caelith si voltò spalle al drow per recuperare il suo arco “A proposito, il tuo cervo è lì, vicino la riva del ruscello! Aluvè (addio), iblith" disse il drow sghignazzando. Caelith non fece in tempo a girarsi che l’elfo scuro era già sparito senza lasciare traccia alcuna

Recuperato l’arco, il giovane ranger si avvicinò frastornato al corpo del cervo che giaceva riverso sul fianco destro con il muso ancora immerso in parte nell’acqua. Respirava ancora, esaminato l’animale, Caelith notò una piccola freccia sul collo proprio all’altezza della gugulare. Una freccia soporifera! Realizzò come Tebryn in pochi attimi fosse riuscito a piazzare un colpo preciso all’animale e pararsi davanti a lui proprio nel momento in cui si accingeva a d abbattere il cervo: doveva essere un combattente di rara maestria.

Estratta la freccia soporifera dal collo, Caelith, attendeva che l’animale si svegliasse da quell’innaturale sonno, molteplici dubbi e domande si affastellavano nella sua mente.

I suoi genitori conoscevano Tebryn? Questo era probabile, del resto era stato suo padre ad insegnargli la lingua dei drow, e ricordava anche che era stato George a parlargli di Vhaeraun. L’elfo scuro aveva parlato di un debito, ma chi era creditore di chi? Era la sua famiglia che doveva qualcosa a quell’essere? O quell’essere doveva qualcosa alla sua famiglia? Possibile? Cosa legava i suoi genitori ad un drow Vhaeraunita?

Lentamente il cervo si alzò in piedi scrollandosi il torpore dalle membra, Caelith lasciò che l’animale si allontanasse lentamente, spaesato, prima di iniziare a correre libero tra gli alberi. “Oggi pensavo di essere il cacciatore, invece ero preda!” disse a denti stretti tra sé e sé, mentre imboccava la via del ritorno.

-=00=-

George e Rowen si scambiarono una rapida occhiata quando Caelith terminò di raccontare loro lo strano incontro avuto nel bosco.

“Mi dovete delle risposte” – disse corrucciando la fronte – “chi è Tebryn? Come può conoscere me e voi?” .

Prima che i genitori potessero rispondergli il giovane ranger li incalzò “E il debito? A cosa si riferiva?”

“Hai ragione” – disse sconcertata Rowen , poi con un sospiro continuò – “Come già sai, io e tuo padre siamo originari del Cormyr e ci siamo trasferiti a Shadowdale qualche anno prima che tu nascessi”.

Caelith annuì, Rowen continuò guardando intensamente negli occhi suo marito “Quello che non sai è…che io e tuo padre non ci siamo dedicati sempre e soltanto alla fattoria e al nostro piccolo laboratorio alchemico ed erboristico, ma siamo stati avventurieri!”

Caelith ebbe un moto di stupore e inarcando il sopracciglio fece per parlare, ma il padre lo precedette “Guarda” disse George slacciando le corde dorate che stingevano l’apertura di un sacco di velluto rosso e facendo cadere il contenuto nelle sue mani.

Due spille d’argento raffiguranti quattro stelle ai punti cardinali intorno ad una mezzaluna che abbracciava un arpa brillavano nelle mani dell’uomo.

“Siamo stati agenti Arpisti, figliolo!” disse George.

Caelith, osservava stupito le due spille ed i suoi genitori, restando in silenzio.

“Abbiamo conosciuto Tebryn durante una sopralluogo nel Cormanthor.” disse George. Eravamo diretti, insieme ad altri compagni, a Myth Drannor. Quel Vhaeraunita fa parte di un groppo di drow, per lo più nomadi, che si fa chiamare Clan Auzkovyn. Il clan annovera anche alcuni umani, elfi e mezz’elfi adoratori del Signore Mascherato.” Una smorfia di disprezzo mista a compassione si dipinse sul volto della madre.

“Devi sapere, figlio mio, che i drow di superficie, come i membri del Clan Auzkovyn, devono spesso difendersi dai loro stessi simili. Le indagini che stavamo conducendo rivelarono che alcuni ambiziosi comandanti di Menzoberranzan, sfruttando probabilmente alcuni portali, conducono incursioni contro i loro vecchi compagni”.

Caelith, incuriosito e sorpreso, fissava il padre.

“Quella volta assistemmo, non visti, ad una imboscata che i drow adoratori di Lolth avevano preparato ai danni di un gruppetto di esploratori del clan massacrandoli. Fu uno spettacolo rapido e cruento. Non intervenimmo, ma quando i Predoni del Sottosuolo si allontanarono, ci avvicinammo al luogo dell’imboscata.”

L’uomo continuò: “Cadaveri di elfi scuri giacevano privi di vita e l’odore della morte permeò l’aria circostante, quando udimmo una flebile voce levarsi da dietro uno spuntone di roccia - dortho (aiuto) – disse. Imbracciate le nostre armi ci avvicinammo con circospezione allo spuntone girandovi poi intorno. Un drow con una profonda ferita sull’addome ed il volto in una maschera di sangue giaceva a terra agonizzante.”

Rowen intervenne “Appena ci avvicinammo quell’essere cercò di afferrare una delle sue daghe come per difendersi, ma lo sforzo gli fece perdere completamente conoscenza.”

Incredulo Caelith scoccò un’occhiata alla madre, “Conoscendoti avrai cercato di aiutarlo.”

Rowen annuì. “Pulimmo le sue ferite con dell’acqua e le fasciammo, poi gli versai lentamente una pozione nella bocca. Lo trasportammo nel rifugio di fortuna che avevamo approntato per condurre le nostre indagini nel bosco e lì finimmo di curarlo”

“Era Tebryn, non è vero?” chiese Caelith intuendo già la risposta.

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Il racconto di George e Rowen proseguì.

“Avevamo intenzione di curarlo e di ottenere così qualche informazione sui drow nel Cormanthor, ma sapevamo che le nostre speranze di ottenere qualche indizio dal drow erano vane. Tebryn rimase in silenzio per molti giorni. Anzi, il fatto di essere stato salvato da due umani lo aveva particolarmente irritato e contrariato, quasi fosse un’onta per un drow.

Sapemmo da alcuni dei nostri che gli autori dell’imboscata erano stati intercettati ed abbattuti da una squadra di Cavalieri della Spada dell’Ombra e quando informammo il nostro “prigioniero” un ghigno gli si stampo sul volto e il suo unico occhio brillo di un bagliore rossastro. Da allora man mano che le sue condizioni miglioravano anche il suo atteggiamento nei nostri confronti si ammorbidiva, ci eravamo, in un certo senso, conquistati la sua fiducia”.

“Ci rivelò dell’esistenza del clan e degli attacchi dei Predatori, ci disse che un altro casato si era poi stanziato nel Cormanthor, ma non ci rivelò altro.”

“Probabilmente la presenza del nostro “amico” non era sfuggita ad alcuni occhi indiscreti. E così iniziarono a circolare delle voci circa una alleanza stretta tra alcuni agenti Arpisti e i drow e il fatto che Lord Mourngrym non si stesse impegnando più di tanto nella lotta contro i Vhaerauniti e la circostanza che questi ultimi stessero risparmiando Shadowdale da razzie ed attacchi attribuì un manto di verosimiglianza ad una montatura politica costruita ad arte per colpire soprattutto gli Arpisti che attribuiva a costoro il ruolo di mediatori tra i governanti di Shadowdale e i drow”.

“Ovviamente io e tua madre eravamo nell’occhio del ciclone! Così ci fu “caldamente” consigliato di liberare Tebryn, di lasciare gli Arpisti e rinnegare la nostra appartenenza ad essi, in modo che il polverone sollevato potesse senza clamore riassorbirsi.”

“Così liberammo Tebryn, e con l’aiuto e la benedizione di Elminster ci trasferimmo qui a Shadowdale dove acquistammo questa fattoria.”

“Capisco.” disse Caelith “Avete preferito non rivelarmi nulla del vostro passato..è comprensibile! Mi domando se mai l’avreste fatto qualora Tebryn non fosse ritornato.”

“Te lo avremmo rivelato quando i tempi sarebbero stati maturi” intervenne Rowan “ e l’incontro con il drow li ha fatti solo maturare più in fretta!”

Devi sapere, però, che quando liberammo Tebryn, egli prima di scomparire nella boscaglia ci disse con un sorriso sarcastico che al momento dovuto sarebbe tornato a cercarci per saldare ogni pendenza nei nostri confronti! Non abbiamo mai capito se si trattava di una minaccia o una promessa, ma presumo che lo scopriremo presto!”

-=00=-

Giunti al punto prestabilito videro una figura elegante appoggiata al tronco di una quercia avvolta da un mantello scuro con un cappuccio che ricopriva interamente il capo.

“Eccovi qui, rivvilen (umani), vi aspettavo!” disse abbassando il cappuccio e mostrando il suo volto con un unico e vispo occhio!

“George, Rowen” disse il drow porgendo un inchino sornione ai due.

“Vedo che è venuto anche il vostro rampollo, ma non c’era bisogno di venire al nostro appuntamento armati fino ai denti” osservò notando l’equipaggiamento dei tre.

“Ti fideresti di un drow?” rispose George abbozzando un sorriso ironico.

Tebryn scosse il capo, rispondendo al sorriso, “Eppure io mi sono fidato di voi rivvilen” aggiunse “Avreste potuto uccidermi, invece mi avete salvato la vita con tutto quello che ne è conseguito! Ancora non capisco perché l’avete fatto, sicuramente non solo per ottenere quelle poche notizie che vi ho rivelato.”

“Il grande Illmater” disse Rowen “insegna ad aiutare chiunque stia soffrendo a prescindere da chi sia. Un drow è una creatura come le altre, il tuo sangue è rosso come quello degli esseri che tu chiami iblithen (escrementi). Le tue ferite bruciano come quelle di ogni altro essere.”

Il drow storse il naso. “Sappiate che a parti invertite, se mi fossi trovato al vostro posto e voi nel mio,” osservò l’elfo scuro “l’unico gesto di pietà che avrei potuto avere nei vostri confronti sarebbe stato quello di darvi il colpo di grazia e porre fine così alle vostre sofferenze. Ah… gli umani…”disse sghignazzando.

“Cosa vuoi ancora da noi?” chiese George.

“Come ho già detto al vostro figlio, sono qui per azzerare le nostre pendenze: il tempo è maturo!” disse portando una mano verso la cintura.

“Fermo!” intimò Caelith puntandogli contro il suo arco “non ti permetterò di usare i tuoi trucchetti!”

Tebryn non curandosi delle parole di Caelith continuò il suo movimento ed il giovane ranger scoccò una freccia, ma prima che la stessa raggiungesse il bersaglio l’elfo scuro riuscì a bloccarne la corsa afferrandola con le mani e pronunciate alcune parole arcane la freccia saettò verso l’arciere andandosi a conficcare proprio al centro del suo buckler.

“Centro perfetto!” disse Tebryn sorridendo e, rivolgendosi al giovane ranger disse “Ti ho già detto che non sono venuto qui per scontrarmi con voi!”

“Vi potrà sembrare strano, potete non crederci, ma sono qui per saldare il mio debito… un atto decisamente strano per un elfo scuro. In questi anni ho acquisito ricchezza e potere all’interno del mio clan ed ho condotto parecchie battaglie vittoriose contro i Predatori! Ora posso saldare il mio debito!”

“Non vogliamo nulla da te” disse George, tu e la tua gente rappresentate una minaccia per le Valli, tornatevene da dove siete venuti oppure imparate a vivere in pace con le altre razze!”

“Oh, bè… se è per questo anche la tua gente rappresenta una minaccia per la mia … quindi siamo pari! Dubito che molti tra gli umani e gli elfi siano disposti a vivere in pace con i drow come professano utopisticamente i seguaci di Eilistraee! Quanto a tornare nel sottosuolo significherebbe una guerra aperta contro i casati matriarcali delle nostre città! Per cui, caro George, dovrai dirmi quanto vale la vita di un elfo scuro?”

“Non vogliamo oro da te, Tebryn!” irruppe Rowen

“Sono qui per saldare il mio debito e lo farò!” disse pensieroso l’elfo scuro.

Dopo alcuni attimi di silenzio Tebryn disse “Vi faccio una proposta, lasciate che il vostro ragazzo venga con me per il tempo necessario affinché possa addestrarlo all’arte della magia e così salderò il mio debito con voi!”

Rowen e George si scambiarono un’occhiata increduli, Caelith sconcertato abbassò l’arco.

“Mio figlio non ti seguirà mai, drow! Quale è il tuo vero obiettivo? Perché questo desiderio di saldare il tuo debito?” disse Rowen.

“Va via per la tua strada e ci considereremo soddisfatti!” aggiunse George.

“Comprendo la vostra diffidenza verso di me, ma Tebryn Xiltyn tiene fede alle sue promesse e voi avete salvato la mia vita, questo per me ha valore!” detto questo volse lo sguardo verso Caelith “E tu, ragazzo, che ne dici? E’ un’occasione irripetibile per un umano”.

L’attenzione di Caelith fu attratta dal simbolo di Vhareaun “Cerchi di convertirmi al tuo Dio, drow? Ti avviso che è impossibile!” disse Caelith d’istinto.

Sorpreso il drow scosse la testa, ma sapeva di mentire: quella della conversione del giovane umano era una evenienza che aveva considerato e che anzi avrebbe, pur non apertamente, favorito e ciò avrebbe rinforzato il Clan Auzkovyn, e Tebryn saldando il suo debito avrebbe finito per avere anche dei vantaggi.

“La mia offerta rimane in piedi sino a domani al crepuscolo, se il giovane ranger si farà trovare qui lo porterò con me e faro di lui un mago, sarò costretto, però a sedarti perché la collocazione nel Cormanthor dell’ avamposto che io comando dovrà rimanere segreta.

Sappi anche che dovrò farti passare come mio roth rivvil (schiavo umano) per non destare sospetti, formalmente sarai di mia proprietà. Aluvè, rivvilen! (addio, umani)”

-=00=-

Caelith, pensieroso, passeggiava nervosamente lungo l’ampia sala illuminata dal camino e da alcuni candelabri. Cosa fare? Poteva fidarsi di quel drow o era una trappola? A cosa sarebbe andato incontro se avesse accettato? I drow sono esseri infidi ed inaffidabili per natura, sicuramente sarebbe andato incontro ad alcuni rischi, ma aveva notato che un rapporto del tutto peculiare si era rinsaldato tra Tebryn e i suoi genitori, un rapporto che ben poteva dirsi di reciproca fiducia per quanto il termine fiducia potesse essere riferito alle relazioni interpersonali tra drow e iblithen. Eppure non erano gli stessi dettami del Cavaliere dei Venti (Shaundakul) a spingerlo verso questa inusuale esperienza? Egli che in Shaundakul vedeva il proprio patrono non avrebbe dovuto forse lasciarsi trasportare verso orizzonti lontani fare nuove esperienze e diffonderne l’essenza?

Rowen e George si accostarono al figlio “Figliolo, sento che il tuo cuore è diviso, ma questa decisione potrà cambiare il tuo futuro e noi saremmo troppo egoisti nel chiederti di non accettare anche se posso solo immaginare ciò a cui andrai incontro in un avamposto drow” disse il padre.

“Qualcosa mi dice, però, che Tebryn non permetterà che ti accada nulla di male” osservò Rowen “ ma se andrai con lui allerta i tuoi sensi e stai attento”.

Quelle parole rafforzarono il convincimento che si stava facendo strada nella mente di Caelith, al crepuscolo del giorno dopo sarebbe partito con Tebryn.

-=00=-

L’addestramento all’avamposto fu particolarmente duro ed intenso a questo si aggiungeva anche la particolare condizione in cui Caelith si trovava, al di là del patto con l’elfo scuro, e del fatto che il Clan Auzkovyn, tuttavia, è noto per essere aperto perfino agli umani, egli agli occhi dei drow rimaneva un iblith e alcuni membri del clan ben si sarebbero “divertiti” con lui se la riconosciuta autorità di Tebryn, a cui egli formalmente apparteneva, non avesse fatto da deterrente. Ciò, però, non impediva a costoro di insultarlo, umiliarlo e schernirlo o percuoterlo quando ne avevano l’occasione.

Altri, invece, non lo consideravano degno nemmeno di uno sguardo.

“Impari in fretta, giovane umano” osservò Tebryn guardando Caelith all’opera con alcuni semplici trucchetti di prestidigitazione e porgendogli un tomo antico che sarebbe stato oggetto dei suoi prossimi studi.

Lo studio gli consentì di avere familiarità con formule magiche note agli abitanti del sottosuolo

L’addestramento a cui Tebryn lo sottoponeva, però, era anche fisico gli insegnò a muoversi furtivamente e a sfruttare ogni anfratto per nascondersi alla vista dei nemici; talora lanciando pelle coriacea ed altre magie di protezione su di sé e sul ragazzo, in modo che entrambi potessero affondare i propri colpi senza timore di ferirsi, lo affrontava in combattimento per saggiarne i progressi.

Alcune volte lo portava con sé in alcune ronde di esplorazione nel bosco del Cormanthor e lontano da orecchie indiscrete gli suggeriva movimenti di combattimento o gli spiegava il significato di alcuni simboli arcani, come leggere ed interpretare le pergamene e quant’altro.

-=00=-

Tebryn era nella sua stanza intento a pianificare le prossime mosse del clan.

Caelith, probabilmente più per mettersi alla prova che per minacciare concretamente l’elfo scuro, scivolò lentamente nell’ombra alle sue spalle impugnando il suo pugnale, con movimenti fluidi era giunto silenziosamente a pochi passi dal drow.

Con un agile balzo gli fu addosso e bloccando con il suo braccio sinistro quello del drow, punto la sua lama alla gola di Tebryn.

“Pensi che non mi sia accorto di nulla, ragazzo?”

“Devi migliorare ancora molto per potermi sorprendere, ho sentito troppo nitidamente il tuo fruscio!”

“Sì, Fruscio, ti chiamerò così!” disse Tebryn sghignazzando.

“Il tuo fianco destro, poi, era totalmente scoperto, anche questa volta avrei potuto ucciderti”.

Caelith osservò la punta della daga che il drow aveva impugnato verso il basso con la sua mano destra che premeva contro il suo fianco.

-=00=-

“Dobbiamo spostare questo avamposto, siamo rimasti fermi in questo accampamento per un tempo abbastanza lungo. Perché non entri a far parte del clan, Fruscio?” chiese Tebryn, era passato circa un anno da quando l’umano lo aveva seguito.

Caelith sapeva che prima o poi l’elfo scuro gli avrebbe fatto quella domanda e che la stessa costituiva un modo attraverso il quale Tebryn gli dimostrava stima e rispetto e gli riconosceva i progressi fatti.

Caelith sentiva che qualcosa lo legava a quel drow, forse riconoscenza, forse amicizia…forse Tebryn in fondo era diverso dagli altri drow, forse quell’esperienza così vicina alla morte alla quale George e Rowen l’avevano strappato lo aveva cambiato.

Non adorerò mai Vhaeraun!” disse a denti stretti il ragazzo

“Non è necessario, ma comprendo che per te sarebbe difficile combattere per una causa che non senti tua”

“L’addestramento può dirsi concluso, ma devi superare un’ultima prova, dovrai tornare a Shadowdale da solo! Potrai approfittare della confusione che si creerà per lo spostamento del mio gruppo per non dare nell’occhio e “fuggire”, ma non potrò condurti là dove ci siamo incontrati. Ti posso solo suggerire di dirigerti verso sud-est dovresti così giungere ad Ashabenford, al momento quella zona è tranquilla per quanto possa esserlo il Cormanthor.”

“So che anche tu hai rischiato tenendomi qui e mentendo alla tua gente” osservo l’umano “E ti ringrazio per ciò che hai fatto, spero che un giorno ci su Faerun ci sia la possibilità di una pacifica convivenza tra le razze!”

“ Stai attento a quello che dici,” disse Tebryn “parli come un sacerdote della Vergine Oscura e tra i Vhaerauniti può essere intesa come una bestemmia!”

-=00=-

Era il momento di fuggire “Aluvè, ilythiiri” (addio, drow) pensò tra sé Caelith.

I drow dell’accampamento di Tebryn erano in fermento, preparando il loro trasferimento altrove, nessuno avrebbe prestato attenzione ad uno schiavo umano, un iblith; nessuno tranne lo stesso Tebryn che sapeva.

“Addio, umano. Forse un giorno le nostre strade si incontreranno nuovamente!” mormorò mentre dirigeva ed organizzava le ultime operazioni di sgombero.

-=00=-

Caelith, avanzava con estrema prudenza nella boscaglia iniziava a scorgere in lontananza le luci di Ashabenford, lì avrebbe trovato riparo per la notte ed avrebbe avuto modo di rifocillarsi e ripartire il giorno dopo per la sua Shadowdale, magari con una carovana o comunque risalendo il fiume.

-=00=-

Finalmente a Shadowdale!

Pareva che nulla fosse cambiato da quando aveva deciso di seguire il suo “maestro”, infatti ad essere cambiato era principalmente lui.

Durante il duro addestramento aveva appreso molte cose, vivere a stretto contatto con i drow l’aveva reso diffidente verso il prossimo e comunque più prudente, meno impulsivo nelle sue reazioni, ma anche più determinato e consapevole delle sue possibilità e dei suoi limiti.

-=00=-

Dal suo punto di osservazione Caelith poteva vedere George e Rowen seduti accanto al camino che discutevano.

Facendo ricorso a tutto quello che aveva imparato e a tutta la sua destrezza si avvicinò a passi felpati verso di loro.

“Pensi che tornerà presto?” chiese Rowen al marito

“Sono già, qui madre!” irruppe dal silenzio Caelith “e stavolta nessuno ha udito alcun Fruscio!” ed un sorriso radioso gli si stampò sul volto.

Rowen abbracciò forte il figlio ed una lacrima le scese lungo il volto.

George balzò in piedi felice “Figliolo raccontami tutto!”

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