Strikeiron Inviata 25 Maggio 2010 Segnala Inviata 25 Maggio 2010 Ho scritto questa cosa in un momento particolare e non so perché mi ha aiutato molto a superare dei momenti un po' difficili. Però non ha senso tenere la cosa per me. Quindi la posto qui a puntate. Ogni cosa ha un principio: La Strega, il bambino e il coniglio Come ogni storia che si rispetti anche questa ha inizio da un coniglio. Se ne stava al limitare di un declivio erboso, con alla sommità una strana casa, a metà tra il diroccato e il maltenuto. Il tetto formava una sorta di piccola veranda, sotto la quale qualcuno aveva progettato una bella e comoda panchina, ma tutto il legno usato per una simile costruzione era annerito e coperto di muffe e strani funghi. Come se i buoni propositi del suo costruttore fossero stati lasciati all'incuria del tempo. Eppure era abitata: i vetri erano lucidi e il coniglio queste cose non poteva notarle da laggiù dove stava, eppure osservandolo un po' si sarebbe potuto quasi dire che stesse come saltellando da una zampa all'altra, come irrequieto. La sua attenzione era sicuramente attirata da qualcosa che aveva notato al di là del vetro, all'interno di quella casa. E in effetti ogni tanto raccoglieva le forze in un salto appena più alto di quanto gli permettessero le proprie zampe, come a voler osservare senza però doversi avvicinare troppo. Alla fine, vedendo che in questo modo gli era impossibile combinare alcunché, il piccolo animale si decide e a piccoli saltelli si avvicinò alla costruzione in legno, arrampicandosi sul declivio erboso. Là giunto saltò sulla panchina, dalla quale poteva osservare meglio all'interno. E fu appunto così che intravide qualcosa: a un occhio inesperto avrebbe potuto sembrare un nanetto che correva all'interno. Ma lui non era un coniglio inesperto. A dire tutta la verità non era nemmeno un coniglio come i tanti che avreste potuto vedere nelle vostre case tranquille. Lui era un coniglio con un nome e quel nome era la sua maledizione. In realtà all'interno della casa c'era un bambino. Poteva vederlo chiaramente ora, aggirarsi di stanza in stanza toccando tutto quello che gli capitava a tiro, aprendo cassetti e rovesciandone in alcuni casi il contenuto. Continuava a muoversi dentro le stanze, cercando di aprire le porte e le finestre per uscire, ma per fortuna ogni via di accesso era bloccata, un po' perché era troppo piccolo per arrivarci e un po' perché qualora fosse riuscito a uscirne sarebbe stato in pericolo. In effetti era già in pericolo dentro quella casa, ma magari non lo sapeva. Il coniglio si grattò un orecchio con una zampa, malcelando un certo disappunto. Chissà cosa avrebbe detto la Strega quando fosse tornata a casa, scoprendo che un moccioso aveva messo il naso tra le sue cose e nelle sue stanze. Anzi a dire la verità era piuttosto strano anche il fatto che la Strega non si trovasse in casa. Il coniglio passò a grattarsi l'altro orecchio mentre il bambino completava indispettito la sua opera di distruzione, arrampicandosi qua e là come un disperato. Non doveva avere più di cinque o sei anni e indossava un buffo pigiamino azzurro con gli orsetti disegnati sopra. In effetti pensandoci bene non era tanto strana la casa in quel momento o il coniglio che stava sbirciando dalla finestra, quanto quel piccolo bambino così disperato e irrequieto. Un turbine di vento fece muovere l'aria tutt'attorno all'altura e in uno svolazzo di ampie vesti nere si sentì distintamente un CIOK!, come se improvvisamente qualcuno avesse spezzato di scatto un grosso ramo di legno secco. Il coniglio si affrettò a scendere dalla sua postazione di osservazione e raggiunse la figura alta e scarna che era apparsa all'improvviso davanti alla porta di casa. Chiunque fosse, stava armeggiando con un grosso mazzo di chiavi, alla ricerca della chiave giusta che potesse aprire la casa. Purtroppo però i lunghi capelli fitti e neri, pettinati in avanti, sembravano rendere al nuovo arrivato l'impresa molto più difficile del dovuto. Il coniglio si avvicinò con circospezione proprio quando la chiave giusta venne infilata con decisione dentro la toppa e girata con un grande sferragliare delle serrature ben oliate. La Strega, perché di lei si trattava, sospirò di sollievo, spalancando la porta della propria casa e apprestandosi a entrare, quando dall'interno giunse un furibondo baccano di pentole che non contente di cadere erano evidentemente appena rimbalzate in vari posti della casa tutte assieme. La strega si girò di scatto verso il coniglio, senza però che i capelli le si scostassero dal volto: "Gerolamo!? Cosa succede? Chi è entrato in casa?" sbottò, allarmata. Gerolamo tolse le zampe davanti agli occhi e le aprì con le palme delle zampe verso l'alto, senza dire nulla, quasi a confermare di non poter essere accusato di nulla. Nemmeno del proprio nome che in realtà odiava. Come si può chiamare un rispettabile batuffolo bianco in forma e foggia di un adorabile e innocuo coniglio in quel modo? Ma come c'era da aspettarselo il nome gliel'aveva dato, assieme alla testa per rendersi conto di quanto fosse brutto, la Strega. E la Strega un nome ce l'aveva, un nome che le avevano affibbiato ma che lei non avrebbe mai accettato di avere. Ma questa è un'altra storia. La Strega stava aspettando una risposta da Gerolamo e quest'ultimo sapeva che non era il caso di farla aspettare troppo: "Mia signora, nella casa c'è un bambino piccolo. Umano per giunta, si direbbe." le rispose con voce alta e chiara e perfino un po' formale. La Strega si precipitò in casa. Il bambino senza nome Gerolamo rimase stupefatto dalla velocità con la quale la Strega era entrata in casa. Forse per un istante aveva pensato di poter perfino proteggere il bambino dalle ire funeste della Strega. Ma questa era stata troppo veloce e a Gerolamo non rimase altro che addentrarsi nella casa, con piccoli saltelli misurati. Non si poteva dire che in quella casa vi fosse stato già prima di allora un qualsiasi presupposto di ordine. Anzi, a dire la verità, non si riusciva a distinguere tra il putiferio che aveva combinato il bambino frugando nelle stanze e quello che era già presente in esse prima del suo arrivo. L'ingresso era spoglio e semplice, ma di buon gusto. Chiunque avesse voluto venire a fare visita alla Strega non avrebbe comunque avuto bisogno di uno di quegli inutili orpelli che gli umani chiamano attaccapanni. Anche se vi fosse stata, la visita sarebbe stata breve e frettolosa. Erano decenni che la Strega non riceveva visite. Né avrebbe voluto averne dal momento in cui quegli stupidi umani, non credendo più nei suoi poteri nel leggere le sorti della natura, l'avevano adocchiata e segnata gli uni cogli altri come di "quella che getta fatture e malie". La Strega non era mai stata così, ma che importa? Le voci erano state tante e tali che lei si era ricoperta e ammantata dell'immagine che le volevano affibbiare. Si era nascosta dietro di esse, per così dire. Solo una cosa non aveva voluto mai sopportare e era quell'epiteto spregiativo con il quale gli altri avevano cominciato ironicamente a segnarla quando passava tra loro: Bellicapelli. Perfino il coniglio, che ora si stava addentrando dall'ingresso alla cucina, sapeva che solo l'eco di quell'epiteto l'avrebbe fatta infuriare. Gerolamo procedeva lentamente e con circospezione. Di certo non voleva che il riverbero delle magie che la Strega infuriata avrebbe scagliato sul bambino, finisse su di lui, trasformandolo, che so, in un coniglio con le corna. Va bene il nome, ma le corna no, gli avrebbero impedito di inoltrarsi nelle gallerie e un coniglio che non possa infilarsi nelle gallerie è meno di un coniglio spacciato. La cucina era ingombra di ogni cosa. I fuochi erano sempre accesi, magicamente abbaglianti e caldi per qualsiasi esigenza, mentre un tavolone centrale era ingombro di ogni cosa: pergamene scritte a metà, vasi con dentro strane sostanze giallastre nelle quali navigavano corpuscoli non ben identificati, vestiti laceri e cerchi di magia tracciati col gesso e malamente cancellati in uno scatto d'ira o forse in un periodo di frustrazione. Qui il bambino aveva visitato solo i cassetti della cucina, chissà, magari per cercare la chiave. Numerose pentole ammaccate giacevano a terra come i rottami di un'antica costruzione deforme. Ma i cassetti erano forse l'unica cosa nella quale giacevano pacchi di banali suppellettili, sempre in ordine sparso. Gerolamo avanzò con circospezione: dalla cucina una stretta porticina portava nella zona dello studio e nella camera più sacra di tutte, ovvero quella dove il sonno della Strega non doveva mai essere disturbato. Prima di entrare in quella stretta porta il coniglio si fermò un istante in ascolto: sentiva qualcosa, ma era un rumore sommesso e quasi timido. Costante e pervicace. Chissà se il bambino era ancora tale o la strega lo aveva trasformato già in qualcos'altro. Dal rumore non era possibile capirlo. Fa che non sia in un coniglio per carità, pensò Gerolamo. Avrebbe dovuto insegnargli tutto da capo e magari con ben poco profitto. Ai limiti della collina infatti la Volpe era ben furba e sempre in attesa. Gerolamo superò il corridoio, scavalcando i vestiti che giacevano buttati lì forse dal bambino. Teneva alla sua zampa destra la porta della camera da letto e quella del bagno. In fondo la porta dello studio era socchiusa e da là proveniva lo strano rumore. Tutte le altre stanze erano vuote e quindi la Strega non poteva che trovarsi là dentro. Lo studio era la camera più bella di tutta la casa, là dove per ottenere maggiore luce era stata ricavata una finestra a abside, tutta istoriata con vetri colorati. Poi, nel tempo, un'edera rampicante era cresciuta dall'esterno e aveva coperto l'intelaiatura esterna con i suoi mille viticci. Poiché era un sempreverde aveva tolto qua e là tutto l'anno la luce stupenda che proveniva dall'esterno, trasformando la stanza da luminosa che era stata in una sorta di antro oscuro e soffuso dell'alone verdastro delle foglie. La Strega si era abituata a accendere delle candele per vederci meglio. Gerolamo si infilò nella fessura della porta e la aprì quel tanto da potervi gettare dentro un'occhiata, con estrema cautela. La figura della Strega torreggiava sulla figura del piccolo bambino. Il coniglio sospirò di sollievo: nonostante tutto era ancora umano e quel rumore che aveva sentito prima era il suo frignare. Erano lacrime inghiottite in mezzo a respiri profondi, quasi un ritmo costante a segnalare la sua presenza lì dentro. Nella casa della Strega c'era un bambino. Inaudito. E la Strega stava là in piedi, osservando il piccolo umano senza dire nulla, forse quasi imbarazzata dietro la chioma di capelli che ne nascondeva il viso e l'espressione. Pian piano le lacrime si spensero e la casa rimase immersa nel silenzio, un silenzio tranquillo e pacato, quasi rilassante. La Strega sospirò indignata e finalmente parlò, ma la sua voce fu più dolce e rispettosa di quanto avrebbe mai voluto: "Chi sei? Cosa fai qua dentro?" Il bambino la guardò, per nulla impressionato dal suo aspetto e sulla sua faccia si disegnò un'espressione a metà tra un nuovo scoppio di lacrime e un punto interrogativo. Gli occhi erano gonfi di lacrime appena scese sul volto, ma l'espressione era corrucciata e decisa, quasi di sfida. "Non lo so. Non mi ricordo come mi chiamo." rispose il bambino, la voce resa un po' incerta dal pianto. Gerolamo entrò nella stanza di soppiatto, con le orecchie ritte e ben vigili: la cosa si stava facendo interessante. Non solo la Strega non aveva fatto nulla di male al bambino... ma in quella casa e in quel preciso istante erano radunate tre circostanze quanto meno inusitate. Una Strega con un nome che non avrebbe mai voluto avere. Un coniglio con un nome che non gli spettava, ma che gli era stato dato comunque. Un bambino che non ricordava di avere mai avuto un nome.
Strikeiron Inviato 26 Maggio 2010 Autore Segnala Inviato 26 Maggio 2010 La Tana e la Strega La Strega rimase in silenzio valutando il fatto che quel bambino spuntato fuori da non si sa dove non sapesse nemmeno di avere un nome. Nel frattempo Gerolamo si aggirava nella stanza con fare circospetto, avvicinandosi al bambino che, per giunta, non sembrava per nulla intimorito. La Strega meditò un po' sulla prossima domanda da fare a qual bambino con il pigiamino con gli orsetti, poi si decise: "Ma da dove sei venuto?" gli chiese. "Non lo so- le rispose - mi sono svegliato in quella stanza" "Quale stanza?" Gerolamo raddrizzò le orecchie, stentando a credere a quello che stava sentendo. "Quella con il letto con quei grandi teli neri attorno." La Strega raddrizzò la sua imponente figura e prese fiato a trattenere l'estrema indignazione. "Me la vorresti mostrare?" Il bambino, senza alcuna esitazione, la prese per mano e la trascinò fuori, nel corridoio, puntando decisamente verso la camera da letto. Già era inaudito che la Strega si facesse toccare da qualcuno, ma che il bambino, con tutta l'irruenza dei suoi piccoli passi, la stesse trascinando di peso nella camera da letto, ovvero la camera più sacra di tutta quella casa, era un qualcosa che neppure Gerolamo avrebbe mai potuto concepire nella sua testolina. Trotterellò impaziente nel corridoio e si infilò nella porta aperta della stanza che non gli era mai stato concesso di vedere. All'interno il letto enorme occupava quasi tutta la superficie disponibile, ben avvolto e nascosto in un baldacchino di drappi scuri. Una semplice cassettiera pretendeva il proprio spazio utile in un lato della stanza. Tutto era estremamente pulito e in ordine: anche qui i vetri erano stati coperti dal rampicante che in gran parte aveva preso possesso del retro della casa, ma era come se la pianta avesse saputo dove crescere in maniera da far filtrare la luce all'interno. Il legno delle pareti odorava di resina e di primavera insieme e non di chiuso o stantio come ci si sarebbe potuti aspettare. Soltanto una cosa strideva orribilmente là dentro: un piccolo lettino in legno colorato dai colori sgargianti, con una strana coperta rigonfia sopra che combatteva alacremente per attirare la propria attenzione con un colore ancora più impossibile e violento per la vista. Non c'era dubbio alcuno: era come se un pezzo della casa di un altro fosse improvvisamente apparso dal nulla e precipitato lì dentro. Il bambino corse verso il proprio letto con decisione e si acquattò tra le coperte. "Ecco. Io mi sono svegliato qui." La Strega tremava intensamente nella sua figura esile e per un istante Gerolamo pensò che alla fine l'ira avesse avuto la meglio sui buoni propositi. La Strega non era propriamente cattiva a ben vedere, ma non aveva nemmeno un ottimo carattere e il coniglio sapeva che prima o dopo avrebbe perso il controllo. Anzi, temeva che il momento sarebbe presto arrivato. La Strega smise di tremare, come riscuotendosi da un sogno. Guardò tutta la stanza, si avvicinò al lettuccio e lo guardò con attenzione, ritornò indietro e considerò quanto altro era cambiato là dentro. Inspiegabilmente quella era la stanza dove il bambino non aveva toccato nulla: le lenzuola del letto erano intonse, i teli del baldacchino cadevano elegantemente a terra, senza che nessuno li avesse osati scostare e la cassettiera era perfettamente chiusa a celare tutti i suoi segreti. Infine la Strega si decise. "E' ora di tornare a casa, piccolo, ma non per questa strada. Gerolamo verrà con te." Gerolamo abbassò di scatto le orecchie, al sentir pronunciare il proprio nome. Quello significava una sola cosa: avrebbe dovuto portare il bambino incolume attraverso la Tana. Nonostante fosse un coniglio gli scappò ben evidente un gemito a metà tra l'esasperazione e la disperazione. La Strega lo sentì chiaramente, ma non un solo cenno dietro ai suoi capelli fece intuire cosa ne pensasse.
Strikeiron Inviato 27 Maggio 2010 Autore Segnala Inviato 27 Maggio 2010 Andata, coniglio e contorno l bambino, in mezzo al groviglio di coperte, guardò prima la Strega, non capendo a che strada si riferisse e immediatamente dopo il coniglio, che saltellava irrequieto e nervoso, quasi spaventato. "Sai bene Gerolamo che nessun essere umano, sebbene piccolo, può attraversare la barriera che circonda la casa." disse la Strega. "Lo so bene. Però questo significa che dovrò fargli attraversare la Tana e non in questa forma. E' pericoloso." "Lo so. Ciò nonostante deve essere fatto e in fretta. Questo bambino non può rimanere qui più a lungo e io non ho il potere di riportarlo indietro, né posso farlo mangiare dalla Volpe. L'unica cosa che posso fare è chiedere udienza all'Arcimago." Gerolamo rabbrividì, mentre il bambino lo osservava. Perché proprio tra tutti soltanto l'Arcimago doveva essere in grado di risolvere quel problema, al costo di far affrontare loro infiniti pericoli? La Strega uscì dalla stanza e si diresse decisa in cucina. Dopo poco la si sentì sferragliare e borbottare tra le proprie pozioni e i propri utensili. Il coniglio avrebbe voluto ben spiegare al bambino cosa la Strega avesse appena deciso di fare e quali ne sarebbero state le conseguenze, ma da che parte poteva iniziare? Molti anni prima, quando Gerolamo ancora non c'era o chissà, magari era solo un piccolo di coniglio attaccato alle mammelle di sua madre assieme ai suoi fratelli, la Strega aveva deciso improvvisamente di isolare la propria dimora dal resto del mondo dei viventi. Per questo aveva accumulato tutta la sua magia e la conoscenza della natura per far crescere attorno alla collina i rovi più spinosi e impenetrabili, non lasciando alcuna via d'ingresso o d'uscita. All'inizio i rovi erano cresciuti verdi e belli spinosi, spessi e robusti, intrecciati in una fitta maglia che non lasciava passare attraverso neppure il più piccolo dei conigli. Poi, con il tempo, alcune piante si erano seccate e irrigidite, diventando come lame mortali. Alcuni pezzi si erano spezzati e rinsecchiti e avevano creato nella barriera dei passaggi, mentre i conigli avevano scavato al di sotto di essa numerose gallerie per raggiungere la collina dove dimorava la Strega. Perché lo avessero fatto nessuno lo sapeva. Forse in parte perché la collina era sempre piena di cibo, anche nell'inverno più rigido. Con il tempo i conigli avevano osato di più e il labirinto delle gallerie era emerso al suolo, con passaggi che passavano in superficie, quasi a contatto con i rovi. In quei tempi pare che la Volpe avesse preso dimora in quel fitto groviglio. Incurante delle spine e dei pericoli, si era scavata pian piano la propria tana e ne aveva preso possesso. Per di più aveva fatto in modo da dimorare all'incrocio con le gallerie dei conigli. Molti di questi ultimi si erano accorti troppo tardi di essere incappati in un pericolo mortale, mentre la Volpe riusciva con pazienza e tenacia a penetrare sempre di più attraverso le barriere di piante. Alla fine giunse alla collina. La Strega la vide e la ricacciò indietro. I passaggi per i conigli, assieme a quello che aveva costruito la Volpe, non erano sufficienti perché gli umani potessero attraversare la barriera e tanto bastava. Soltanto si assicurò che il perfido cacciatore non potesse avere più accesso alla casa e alla radura, là dove i conigli potevano, qualora lo volessero, dimorare tranquilli. Fu così che nacque la Tana e Gerolamo ben sapeva, poiché a causa di essa aveva perso molti amici e conoscenti nella sua vita, che attraversarla era difficile e insidioso. Rimaneva pur sempre l'unica strada per arrivare nel mondo di fuori. Il bambino si stava appisolando sotto la sua coperta quando la Strega fece ritorno nella stanza, con in mano un bicchiere di vetro, colmo fino all'orlo di un liquido pallido e lattiginoso, simile al latte appena munto. Odorava allo stesso modo, ma non lo era. Gerolamo alzò un orecchio con interesse, temendo ciò che stava per accadere. Il bambino si riscosse dalla propria apatia e riemergendo dalla coperta guardò il bicchiere con interesse: "Cos'è? E' per me?" La Strega gli si avvicinò e porgendogli il bicchiere rispose: "Certo piccolo mio. bevi tutto d'un fiato.". E il bambino bevve, avidamente, trattenendo il fiato per mandare giù quel liquido indescrivibilmente delizioso il più rapidamente possibile. E non aveva ancora finito tutto quanto che le mani che stringevano il bicchiere divennero pelose e bianche come la neve, il naso si arricciò e si ritrasse, mentre una folta pelliccia cresceva su tutto il corpo. Pian piano scivolò dal proprio pigiamino, acquattandosi e saltellando sulle zampe, con le lunghe orecchie da coniglio che gli coprivano gli occhi. Il bicchiere vuoto gli sfuggì dalla presa e scivolò sul fondo del lettino, mentre la Strega, ormai enorme, si affacciava su di lui. Con circospezione lo prese inerme per la collottola e lo depositò accanto a Gerolamo. "Ecco, ora sapete cosa dovete fare. Mi raggiungerete al di là della barriera e poi proseguiremo insieme alla Città." disse la Strega. Gerolamo roteò gli occhi, simulando la propria disperazione: "Ma Mia Signora..." tentò di protestare. "Niente ma. Conosci le regole. Neppure una carota durante il tragitto. Anche una sola e il bambino sarebbe perduto!". Già perché non bastava la Tana e la Volpe, in essa acquattata. Non bastavano i rovi taglienti come lame che avrebbero ostacolato il loro cammino e formato spesso trappole mortali quanto tagliole. La regola era che chiunque fosse stato trasformato in coniglio dalla Strega avrebbe potuto riprendere la propria forma soltanto qualora non avesse, una volta trasformato, mangiato alcuna carota. Ma la pozione di per sé metteva fame, Gerolamo lo sapeva bene. Soltanto un pezzettino di carota e il bambino avrebbe dimenticato chi fosse mai stato prima della trasformazione e non avrebbe mai più potuto riprendere la propria forma originale. Il piccolo coniglio accanto a lui non sembrava più di tanto preoccupato: ora annusava le proprie zampe e cercava di far star ferme le orecchie, tentando inutilmente di addentarle per questo. Non bastavano tutti gli infiniti ostacoli che avrebbero dovuto affrontare per superare la barriera... i conigli avevano scavato le gallerie per un motivo soltanto: trovare da mangiare. E l'avevano trovato. Eccome se l'avevano trovato. Le gallerie brulicavano di carote. E la Volpe aveva imparato a seminarle per ogni dove attraverso tutta la Tana. Sapeva bene come la disperazione della fame faccia perdere la testa anche al più furbo dei conigli. Figuriamoci un bambino. La Strega scomparì con uno schiocco improvviso, così com'era comparsa. Era ora di mettersi in cammino, pensò Gerolamo, con infinita rassegnazione e una grande responsabilità nel piccolo cuore da coniglio.
Strikeiron Inviato 29 Maggio 2010 Autore Segnala Inviato 29 Maggio 2010 Tana per la Volpe Passo dopo passo Gerolamo si era finalmente deciso a inoltrarsi nel dedalo delle gallerie. Era passato parecchio tempo dall'ultima volta che lo aveva attraversato, ma non molto era cambiato da allora. Pian piano cominciò a orientarsi, ritrovando familiarità nei segni che indicavano la direzione giusta. Che quei luoghi fossero pericolosi era fuori di dubbio. Proprio per questo motivo i conigli avevano pian piano costruito una serie di segnali attraverso i quali fosse possibile, per lo meno, aggirare il pericolo più grande di tutti. Ciò nonostante la Volpe doveva essersi accorta di qualcosa, forse dal fatto che aveva visto diminuire momentaneamente il numero delle proprie prede, forse perché qualcuno aveva parlato. E così ogni tanto i conigli chiacchieravano tra loro che la rete fosse interrotta stranamente, o deviasse dal proprio percorso per spingere la malcapitata vittima a perdersi in strade alternative, là dove la Volpe poteva avere gioco facile sulle sue prede. Fino a quel momento però Gerolamo non aveva notato nulla di strano; seguiva attentamente il piccolo coniglio davanti a lui, dicendogli sempre prima dove doveva spostarsi, come doveva muoversi, cosa non doveva toccare e molto altro. Il coniglio che fino a poco tempo prima era stato un bambino sembrava stranamente dargli retta. Certo, talvolta dovevano aggirare attraverso le gallerie qualche imponente colonna che profumava piacevolmente di carota e terra fresca. Il piccolo si fermava, allora. Si girava verso Gerolamo e quasi lo guardava supplicando. Ma la Strega era stata estremamente chiara su questo punto: nemmeno il più piccolo morso da una carota. Gerolamo si assicurava ogni volta che così fosse. E così continuavano, in perfetto silenzio, di galleria in galleria, talvolta illuminati dalla luce della superficie spostandosi nella direzione giusta, al di là della barriera. Della Volpe nessuna traccia. Man mano che andavano avanti Gerolamo prendeva sempre più sicurezza. Fu così che cominciò a distrarsi sulle strane ombre che formavano i segni o sui giochi di luce esterna che si aprivano nei passaggi, per pensare a qualcosa di un po' più pratico. Non riusciva infatti a capacitarsi ancora del motivo per il quale la Strega volesse consultare proprio l'Arcimago. A dire il vero Gerolamo ne aveva sentito parlare pochissimo, sempre dalla Strega e mai in termini lusinghieri. Forse aveva deciso di appioppargli il bambino. O forse la Strega era sempre stata intimamente gelosa dell'Arcimago perché sapeva che costui possedeva poteri più certi e sicuri di quanto lei non potesse. Che strani pensieri. Gerolamo constatò che probabilmente quella strana penombra di gallerie lo stava confondendo e il suo istinto lo mise subito in allarme, rizzandogli il pelo sulla schiena. Non a questo doveva pensare, ma doveva stare attento a quello che stava facendo in quel momento: ovvero portare il piccolo coniglio sano e salvo al di là dalla barriera. Là dove la Strega li stava già sicuramente aspettando con impazienza. Quando sentì il primo rumore non si accorse subito che il piccolo coniglio bambino si era inoltrato un po' troppo in là davanti a lui nella galleria. Pensò che non sarebbe andato comunque troppo lontano perché, per quanto gli era dato di ricordare, più avanti il passaggio procedeva soltanto diritto senza intoppi. Per un istante lo perse di vista. Avrebbe dovuto richiamarlo e farlo tornare indietro, ma forse richiamandolo avrebbe commesso l'imperdonabile errore di farsi sentire, comunicando al mondo intero che stavano attraversando la barriera, anche a orecchie malintenzionate. Per questo si affrettò lungo il cunicolo, rendendosi conto di essere stato imprudente a distrarsi. Ma tanto il bambino non poteva essere che poco più in là, in attesa della sua guida. Solo che quando arrivò alla curva cieca di sinistra, Gerolamo si rese conto che il cunicolo non gli sembrava piegasse come nei suoi ricordi. Accelerò il passo e giunse a un bivio, là dove due gallerie lo fissavano come due freddi occhi indagatori. E ora? Gerolamo non si ricordava di nulla qui. Del bambino nessuna traccia. Soltanto dal passaggio a sinistra ancora un rumore, come lo sgranocchiare con schiocco di una lunga e succulenta carota, seguito da un mugolio di piacere. Decisamente strano in quel luogo. Chiunque fosse non poteva essere la Volpe, decise Gerolamo, ma allo stesso tempo si rese conto che il bambino, dovunque fosse andato, era più probabile che fosse stato attirato nella direzione del pericolo, là dove proveniva quello strano rumore. Ci si buttò a capofitto, sapendo in cuor suo che era sua la colpa di tutto questo. Anzi della sua imperdonabile disattenzione. Non poteva sapere che negli anni la Volpe si era fatta sempre più furba e scaltra. Quando era stata giovane aveva potuto anche scavarsi i primi passaggi da sola, ma crescendo non era stata più così piccola e così vivace da mantenerli. Pertanto si era scelta un ottimo posto di osservazione e aveva atteso l'arrivo delle proprie piccole vittime. Quei conigli affamati avevano spesso paura di Lei e le credevano in tutto e per tutto pur di aver salva la propria vita. Così avevano lavorato al posto suo, creando falsi passaggi e tranelli, cambiando la disposizione delle gallerie così come veniva trasmessa oralmente, da coniglio a coniglio, o come la ricordavano alcuni di loro che l'avevano attraversata. Ormai là dentro nessun passaggio era più sicuro, dal momento che le sue povere vittime lo cambiavano di volta in volta credendo così di aver salva la vita. Per questo motivo in parte il passaggio era ancora come quello che ricordava Gerolamo, ma in parte non lo era più. E i conigli che avevano contribuito a creare quella menzogna o non erano più vivi per raccontarlo, o erano stati troppo pavidi per rivelare il segreto, o ancora si erano persi nelle loro stesse gallerie e erano ritornati alla fine dalla Volpe a affrontare la morte con il senso di colpa per il loro destino da traditori. Per questo Gerolamo non si accorse subito che la curva nei tunnel tornava indietro, verso il centro della barriera, là dove i rovi erano stati più fitti e letali, ma anche dove erano più antichi e rinsecchiti. Troppo grande era la sua preoccupazione per il bambino perché se ne potesse accorgere. Fu così che alla fine, quando si era ormai perso del tutto senza aver ancora trovato anima viva, sbucò improvvisamente in un enorme salone. I rampicanti qui salivano al cielo come colonne improvvisate di una cattedrale e la luce filtrava qua e là aggiungendo mistero e bellezza. In mezzo, su un improvvisato piedistallo di carote, la Volpe giaceva acquattata e pigra, il manto quasi scintillante nella tonalità rossiccia e un sorriso vago e letale mentre sgranocchiava con calma l'ennesima carota del mucchio sul quale sedeva tranquilla, badando prima a pulirla dal terreno con le zampe. Lei era la Volpe. La regina di quel luogo a Lei sacro. E osservava divertita il piccolo coniglio davanti a lei. "E così sei arrivato qui da me, piccolo" disse, con voce melliflua, proprio nell'istante in cui Gerolamo sbucò nel salone e lo spavento fu tale che si rituffò immediatamente al salvo nella galleria dalla quale era venuto. Qui poteva ascoltare ancora ogni singola parola. "Vuoi qualcosa da mangiare?" continuò la Volpe, vedendo nello sguardo del piccolo la brama di poter avere almeno un minuscolo pezzo di carota. Il bambino annuì, spostando leggermente la sua testolina, per nulla spaventato. Lei meditò un attimo sul da farsi, poi si decise: "Vedi, prima di tutto dobbiamo fare un gioco. Io chiuderò gli occhi e conterò, mentre tu dovrai nasconderti qui dentro, in questa stanza. Se ti nasconderai bene e io farò fatica a trovarti allora ti darò una grande ricompensa. Che ne dici, forse anche un'intera carota?" Gli occhi della Volpe scintillavano dell'astuzia e del piacere di poter cominciare una nuova Caccia, ma il bambino non se ne accorse. Gerolamo rabbrividì per il terrore e il senso di colpa. Era arrivato troppo tardi.
Strikeiron Inviato 30 Maggio 2010 Autore Segnala Inviato 30 Maggio 2010 Una carota tira l'altra Il piccolo coniglio aveva accettato di partecipare a quel nascondino letale, soltanto che non ne aveva capito le regole. Soltanto Gerolamo, nascosto nell'imboccatura del tunnel, capiva quale pericolo mortale stesse correndo. Alla Volpe piaceva giocare. Il Gioco era la cosa che le piacesse di più al mondo e ovviamente non era un gioco nel quale Lei non risultasse alla fine incontrastata e unica vincitrice. Avrebbe cercato il piccolo coniglio all'interno della stanza e nelle gallerie e l'avrebbe sicuramente trovato. La ricerca sarebbe stata subito una caccia e il piccolo bambino sarebbe stato fin da subito una preda. A meno che Gerolamo non si fosse inventato qualcosa e in fretta. Ma come poteva avvertirlo? Come poteva nasconderlo là dentro? Erano ambedue persi in quel groviglio di gallerie, irrimediabilmente persi. Poi la Volpe cominciò a contare, gli occhi chiusi e un sorriso beffardo sul muso affilato. "Uno" Gerolamo, per la prima volta nella sua breve vita, fece la cosa più sciocca che mai un coniglio avesse potuto fare: prima di pensarci si precipitò a capofitto dentro il salone. "Due" Il piccolo coniglio si stava ancora guardando intorno con allarme e divertimento, cercando di decidere da che parte potesse nascondersi, quando Gerolamo si precipitò su di lui e prima che potesse protestare gli sussurrò: "Stai zitto e calmo. Fidati di me." "Tre" scandì la volpe, con tono squillante. Non avevano molto tempo. Dovunque si fossero nascosti sarebbero stati sempre lontani dalla possibile via di fuga e la Volpe non avrebbe faticato a trovarli in fretta, utilizzando il suo fiuto. Un coniglio odora da coniglio, non c'è nulla da fare. Gerolamo pensò che quello era il problema più grave da affontare, ma proprio in quell'istante percepì con la forza di una martellata l'odore delle carote. Un odore intenso e pungente che calava su di lui come un maglio. La Volpe teneva ancora gli occhi chiusi e la sua enorme sagoma rossiccia era completamente distesa e acquattata su un cumulo di terra e carote. A dire il vero le carote formavano il grosso di quell'enorme baldacchino. C'era da stupirsi di come quell'enorme mucchio potesse reggerne il peso visto che in quella trama di ortaggi vi erano buchi abbastanza grandi da far passare un piccolo animale. Da quanto tempo la Volpe dimorava su quello strano sostegno, si chiese Gerolamo? Poi non perse tempo e afferrando il piccolo per la collottola lo trascinò dentro quel labirinto, infilandosi in uno degli spazi più vicini e scivolando sempre più a fondo al di sotto del cumulo, senza fare troppo rumore e spostare quel precario equilibrio. Insieme si infilarono sotto la Volpe, sempre più in profondità sotto di essa, là dove l'odore delle carote era più forte. "Quattro" La voce della Volpe giungeva ora più ovattata e confusa, ma insieme trionfante, come se fosse sempre più vicina alla propria preda. E in effetti era vero. Lì l'odore delle carote era talmente forte da sembrare un muro solido nel quale loro si stavano addentrando. Ma quello era un bene: se la Volpe aveva dimorato abbastanza a lungo su quello strano sostegno doveva essersi abituata all'odore, fino a essere incapace di distinguerlo. Le carote avrebbero coperto il loro nascondiglio e la loro presenza là sotto. "Cinque! Dove sei finito mio piccolo coniglio?" chiese la Volpe. Con sollievo Gerolamo non sentì il piccolo divincolarsi dalla sua presa, né emettere suono. Insieme udirono la Volpe sollevarsi con uno scricchiolio dalla sua pedana e scenderne. Stava cercando nella stanza, evidentemente sicura di trovare subito la sua preda, ma insieme eccitata da quella nuova caccia che interrompeva la monotonia delle sue giornate. "Dove sei piccolo? Dove sei nascosto? Tanto sai benissimo che ti troverò." esclamò la Volpe, molto vicina, con tono un po' giocoso. La sua voce si allontanava e si avvicinava, mentre perlustrava il salone, cercando il loro odore. Inutilmente. Le carote erano un ottimo nascondiglio. La Volpe era furba, ma non abbastanza fantasiosa da capire che Gerolamo era stato così imprudente da infilarsi nell'esatto cuore della sua Tana. Gerolamo tenne le orecchie aperte, cercando di capire in quella semioscurità cosa stesse facendo ora la cacciatrice. "Ah-ah!" esclamò la Volpe compiaciuta, la voce che proveniva da un'estremità della stanza. "C'è un tuo compagno allora... ne ho appena sentito l'odore." E i suoi passi felpati entrarono nel corridoio e si inoltrarono nelle gallerie. Gerolamo trattenne con nervosismo un sospiro di sollievo: la Volpe si era ingannata. Aveva sentito l'odore di coniglio nella stanza, ma aveva pensato al piccolo, dopodiché era arrivata nel corridoio e qui un nuovo odore l'aveva indotta a pensare che il piccolo fosse scappato nelle gallerie, con un nuovo compagno. Stava seguendo il loro percorso a ritroso; quando si fosse accorta del proprio errore sarebbe stato troppo tardi. Gerolamo attese, fino a essere sicuro che la Volpe si fosse ben inoltrata in profondità, lontana dal salone e non si fosse semplicemente acquattata per tendere un agguato. Tese l'orecchio e dai corridoi lontani sentì la Volpe che ancora parlava tra sé, alla ricerca del piccolo. Dovunque fosse non si era nascosta lì vicino. Non era poi così furba. Con calma Gerolamo uscì dall'intrico di carote e depositò il bambino a terra per darsi un'occhiata intorno e trovare velocemente una via di fuga da quell'improbabile situazione. Prima si era completamente perso, ma dando un'occhiata all'interno del Salone si rese conto con sollievo dell'ultimo stratagemma della Volpe. Aveva sempre pensato che si fosse costruita la Tana in mezzo alla Barriera e invece Lei si era acquattata all'uscita da essa. Quale burla. Tutte le sue vittime morivano nella disperazione, pensando di essere perse per sempre e invece non erano che a pochi passi dalla propria libertà, senza saperlo. Con una semplice occhiata Gerolamo individuò la galleria che portava all'esterno, là dove la Strega li stava aspettando. Pochi passi e sarebbero stati liberi da quell'incubo. Tornò dal piccolo per avvisarlo e portarlo in fretta fuori, verso la salvezza. Stranamente il piccolo coniglio era stato silenzioso e fermo durante tutto il tempo. Comunque non importava. Questo avrebbe aiutato la loro fuga. Con circospezione lo prese per la collottola e senza troppa fatica lo portò nella galleria giusta e da qui nel mondo esterno, verso la luce e la loro salvezza, nel verde dell'erba rigogliosa. Lo appoggiò a terra e sospirò, finalmente sollevato da un infernale peso. "Ecco piccolo. Siamo arrivati. Ora finalmente troveremo la Strega a aspettarci.". Lì dov'erano la Volpe non sarebbe arrivata in fretta: erano in salvo. E forse Lei sarebbe stata costretta a continuare a sgranocchiare le proprie carote, divenendo infine vegetariana. Gerolamo giurò a se stesso che avrebbe avvertito tutti i suoi compagni di quell'infido stratagemma. Così che Lei non potesse più avere prede. Ma con orrore si rese finalmente conto del perché il piccolo fosse stato silenzioso per tutto quel tempo. Era stato tutto perfettamente inutile e era stata tutta colpa sua. Il piccolo coniglio, un'espressione vacua sul musetto, aveva la bocca ancora piena di carota sgranocchiata.
Strikeiron Inviato 31 Maggio 2010 Autore Segnala Inviato 31 Maggio 2010 Piove sempre sul coniglio bagnato Per di più in quel preciso istante cominciò a piovere. La pioggia scendeva copiosa nella radura, bagnando completamente il pelo di Gerolamo e brillando sull'erba color di smeraldo. Da un lato ormai era bagnato fradicio, dall'altro l'acqua stava lavando le tracce e avrebbe reso alla Volpe impossibile cercarli là fuori. Queste due cose erano assolutamente insignificanti rispetto alla catastrofe che era appena avvenuta. La Strega si era assolutamente raccomandata che il piccolo coniglio non mangiasse nemmeno il più piccolo pezzo di carota. E invece era successo. Ora non aveva nemmeno la più piccola memoria di essere stato una volta un bambino. Ora era un coniglio. Punto e basta. Più piccolo di lui, ma pur sempre un coniglio. Gerolamo non sapeva come sentirsi per questo: erano riusciti a sfuggire per un soffio alla Volpe eppure era andato comunque tutto storto. Non era colpa sua, lo sapeva. Ma la Strega avrebbe dato la colpa a lui? Non poteva essere. Questo non lo faceva stare meglio. Nulla in quel momento sembrava essere capace di farlo stare meglio: a malapena sentiva il pelo sempre più fradicio che lo faceva rabbrividire. Pian piano si riprese: forse la Strega avrebbe saputo come fare. Forse sarebbe stato difficile, certo, ma ci sarebbe stato sicuramente un modo per ridare al piccolo coniglio la sua memoria di bambino. Non poteva essere una catastrofe così catastrofe! Solo che la Strega lì non c'era. Gerolamo era sicuro di non potersi essere sbagliato almeno su questo: quello era il luogo dell'appuntamento, non c'era dubbio. Solo che non c'era nessuno a aspettarli: soltanto gli scrosci insistenti di pioggia torrenziale che diventava sempre più fastidiosa. Con un grosso peso nel cuore Gerolamo tornò indietro, prese il piccolo coniglio e lo portò proprio sotto un fitto cespuglio. Di foglia in foglia del cespuglio l'acqua cadeva sul terreno lasciando una zona asciutta. Lì attesero che la pioggia finisse. Il piccolo coniglio si addormentò all'istante e Gerolamo lo lasciò fare: lì non c'era più pericolo e nonostante tutto lui avrebbe vegliato nel frattempo. La preoccupazione per l'assenza della Strega non riusciva a farlo stare tranquillo: non poteva dormire. Non quella notte. Pensò che forse la pioggia l'avesse convinta a aspettare all'asciutto che spiovesse per poi raggiungerli. Pensò che quando le nubi si fossero diradate e la luce del sole avesse ricominciato a illuminare la radura, allora Lei avrebbe fatto la sua comparsa. E allora avrebbe saputo come mettere tutto a posto. Mentre pensava il tempo passò. La luce divenne notte e le stelle fecero capolino tra le nubi, mentre lo scroscio della pioggia cessò del tutto, lasciando le piante a sgocciolare nella sua scomparsa. Il pelo fradicio divenne umido e ancora più fastidioso di prima. La radura era ancora deserta quando il sole mattutino vi fece capolino. Il piccolo aveva dormito beatamente durante l'intera notte, ma non Gerolamo, che non aveva chiuso occhio. Per lo meno, al riparo della pianta si era asciugato. Sai che consolazione, pensò. Quando la luce fu abbastanza intensa si scrollò di dosso le ultime gocce d'acqua e si inoltrò nella radura, in lungo e in largo. Forse la Strega l'avrebbe visto e avrebbe capito che era arrivato nel luogo dell'appuntamento, comparendo all'improvviso per accompagnarli. Con testardaggine Gerolamo cercò sotto ogni singolo filo dell'erba verde smeraldo, alla ricerca di una traccia, di un indizio, della presenza di qualcuno o almeno del suo passaggio. Ogni tanto tornava a controllare se il piccolo coniglio stesse ancora dormendo. Tutte le volte lo sentiva russare beatamente e allora tornava indietro, rassicurato. La ricerca fu così estenuante che si dimenticò anche di mangiare. Quando il sole fu alto in cielo fu evidente che la Strega non sarebbe mai arrivata. Gerolamo non riusciva a capire il perché: che fosse stata trattenuta da qualcosa? Forse era colpa sua che non aveva capito bene? Le era successo qualcosa? Il piccolo coniglio strisciò allegramente da sotto la pianta e cominciò a mordicchiare i fili d'erba, l'espressione vacua degli occhi persa in un'inesprimibile contentezza. Solo Gerolamo non era contento. Di nulla. Pensava sempre di più a una sola cosa: alla catastrofe. Decise che avrebbe aspettato ancora e ancora. E le ore passarono: il sole scomparve di nuovo gettando dietro di sé l'oscura coperta stellata. Gerolamo era esausto, ma neppure quella notte riuscì a dormire bene. Si svegliava ogni tanto di soprassalto, credendo a un tratto di aver intuito un rumore. Forse era la Strega. Altre nubi arrivarono in cielo e riprese a piovere. Come se ce ne fosse stato bisogno. Una volta Gerolamo uscì addirittura dal proprio nascondiglio, ma il buio e il silenzio furono la sua salvezza. La Volpe, probabilmente un po' insonne quella notte, era uscita dalla propria Tana e stava perlustrando la radura in lungo in largo, il muso basso a terra nell'erba che odorava ancora di pioggia appena caduta. Gli arrivò vicino, molto silenziosa e schiva, ma non riuscì a sentirli. Ancora tra i denti sgranocchiava una di quelle maledette carote; forse era diventata la sua mania per avere sempre qualcosa sotto i denti. Gerolamo sentì l'odore pungente della carota e si precipitò lesto sotto al cespuglio dove trattenne con cautela il piccolo che si rigirava nel sonno. La Volpe scomparve quasi come uno spettro e arrivò la mattina. Ancora della Strega nessuna traccia. Gerolamo uscì dalla pianta nel tepore del mattino e si rese conto per la prima volta nella sua vita che era inutile aspettarla. Non sarebbe mai arrivata. Ora però non sapeva che fare: tornare indietro non se ne parlava nemmeno. Non avrebbe rischiato nuovamente la propria pelle con quella maledetta Volpe. E di rimanere lì non era il caso: era pericoloso e prima o dopo l'odore della pioggia non li avrebbe più protetti. L'unica era andare avanti. Senza la Strega. Con un peso raddoppiato nel cuore Gerolamo pensò all'ultima speranza che gli fosse ormai rimasta: tutto sommato fin dall'inizio dovevano recarsi dall'Arcimago. Lui avrebbe saputo come mettere a posto le cose e magari avrebbe anche saputo cosa era accaduto alla Strega. Avrebbe forse capito cosa l'avesse indotta a non rispettare la propria parola. L'Arcimago. Sì certo. Lui avrebbe avuto una risposta per tutto. Gerolamo cercò di allontanare i propri tristi presentimenti e prese con sé il piccolo. La strada fino alla Città era molto lunga, soprattutto per il passo di un coniglio.
Strikeiron Inviato 1 Giugno 2010 Autore Segnala Inviato 1 Giugno 2010 Quando vedi una città assediata l'importante non è entrare: è uscirne. Gerolamo aveva camminato per giorni, trascinandosi dietro il piccolo e dandogli di tanto in tanto qualcosa da mangiare e da bere perché non venissero meno le forze. Di certo non carote. Ciò nonostante il piccolo non aveva più pronunciato parola da quando avevano lasciato la Tana della Volpe, poco meno di una settimana prima. Avevano dormito in ripari improvvisati e spesso si erano fermati esausti a riposare, senza mai incontrare anima viva sulle strade che avrebbero dovute essere ben battute da pellegrini, viaggiatori e mercanti. Invece erano stati soli tutto il tempo, Gerolamo chiedendosi, di tanto in tanto, cosa fosse successo per giustificare quel simile deserto e il piccolo coniglio guardandosi sempre intorno e ciondolandosi, di quando in quando, a rallentare la marcia. Quando Gerolamo non notava la presenza di anima viva continuava a pensare all'assenza della Strega e in un certo qual modo era sempre come se mancasse costantemente qualcosa dentro di lui. A un certo punto la strada regolare e ben curata diventò un acciottolato irregolare e sfrangiato di solchi di catapulte e grandi macchine da battaglia che vi erano state trascinate sopra malamente. Qualcuno di quei mostri si era rotto durante il percorso e era stato abbandonato dove si trovava, come un monito di un'orribile bestia pronta a prendersi la propria rivincita, chissà come e perché dopotutto. Ma Gerolamo continuò soltanto a sospettare qualcosa senza averne la certezza fino all'esatto momento in cui, superando l'ultima collina, arrivarono in vista della Città. A dire il vero non se la ricordava benissimo, ma vederla così ora aggiunse un nuovo scoramento al suo cuore. La Città era stata fortificata nel tempo, con un anello dritto e regolare di grosse pietre, luccicanti nel sole e maestose nell'ombra, interrotte qua e là da imponenti bastioni ben piantati, le postierle come occhi placidi ma attenti a chiunque si avvicinasse. Ora, tutt'attorno alle mura sfrangiate e danneggiate, un enorme e colossale anello di catapulte alla giusta distanza di tiro circondava tutte le più piccole uscite; sciame di armate pattugliavano i campi antistanti, marciando in perfette formazioni e rivoltando ogni zolla di terra che una volta era stata piena di erba. Si allenavano per quando fosse stata aperta la più piccola breccia. Allora si sarebbero riversati all'interno di quelle mura, per mettere al sacco l'intera Città. Solo che al suo interno c'era l'Arcimago. A dire il vero, nonostante avessero l'Arcimago, non sembrava che i cittadini stessero messi così bene, pensò Gerolamo. Però a questo punto, arrivati fin lì, lui ed il piccolo non aveva altra scelta: dovevano entrare, costasse quel che costasse. Non importava che la Città fosse assediata: di certo nessuno avrebbe fatto caso a due piccoli, insignificanti conigli. A meno che dentro la Città gli assedianti non stessero crepando di fame e allora sì che ci sarebbero stati dei problemi. Grossi problemi. I conigli erano buoni da mangiare. Ma Gerolamo conosceva quei luoghi e sapeva a menadito le scorciatoie e i passaggi più sicuri: non sarebbe stato per nulla difficile né entrare e nemmeno uscire inosservati. C'era solo una cosa che non riusciva a capire osservando ora da lontano il malefico armeggiare dell'assedio: cosa avesse potuto giustificare una cosa del genere. Era molto, moltissimo tempo che non si mischiava agli affari della Città, eppure ora, vedendola così, lo prese una strana frenesia di sapere cosa fosse successo. Come se da quella risposta dipendesse anche l'assenza della Strega in tutti quei giorni angosciosi e pieni di fatica. In un modo o nell'altro doveva sapere, magari anche avvicinandosi all'assedio quel tanto che bastava per origliare qualche conversazione. Sapere qualcosa di più avrebbe potuto aiutarlo a rintracciare l'Arcimago e allora il rischio ne sarebbe sicuramente valso la pena. Dette una piccola spintarella al piccolo coniglio che era con lui e insieme si avviarono con calma verso la Città, là dove Gerolamo sapeva esservi l'imboccatura delle prime gallerie che correvano dietro le mura. Zigzagavano tutt'attorno a esse, incrociandosi talvolta con le tane delle talpe e di sicuro arrivavano ovunque nessuno di quegli armati potesse immaginarsi. Da lì a attraversare le mura era solo un piccolo passo in più, nulla di così difficile. Così fecero, difatti. Soltanto che Gerolamo non fu in grado di origliare nulla. Quando passarono vicini alle postazioni degli assedianti il terreno sopra di loro non trasmetteva altro che passi tonanti di carica e di marce; di quando in quando il logorante sibilo delle funi delle catapulte, seguito dal rombo e dal tuono di un sasso enorme che si abbatteva sulle mura della Città. Seguiva il tremito e il rimbombo nelle gallerie sotterranee. Poi il silenzio, fino alla successiva sassata, in un ritmo logorante che sembrava poter distruggere ogni cosa, riducendola in polvere, perfino là sotto. Ogni volta che la terra veniva scossa si sollevava una nube e le pareti delle gallerie scricchiolavano instabili, facendoli correre avanti più velocemente per la paura che potessero crollare da un momento all'altro. Il piccolo ebbe paura e solo con fatica Gerolamo riuscì a trascinarlo sempre più avanti e in profondità dapprima nella terra fresca e infine nella roccia. La galleria prese a risalire e accompagnati dall'odore dell'aria e del sole i due conigli sbucarono finalmente all'interno delle mura. Nella Città. Gerolamo andò avanti per primo, lasciando il piccolo a tremare di paura appena sull'imboccatura. Non sarebbe stato saggio rischiare. Con calma si avventurò pian piano nelle vie, le case tutt'attorno vuote e silenziose. L'eco di un fischio e il rombo di un sasso che si abbatteva sulle mura esterne lo fecero appena sussultare, giungendogli ovattati e distanti. Nessun altro sembrò notarli. La Città era vuota, disabitata, priva di vita e di rumore. Come un guscio svuotato dalle normali attività, un pallido fantasma di ciò che poteva essere stata: molte porte e finestre erano state chiuse e sprangate. La gente doveva essere scappata in tutta fretta da quelle contrade. Per le strade nessun altro camminava, forse per la paura che qualche sasso, oltrepassando le mura, potesse cogliere rapido qualche vittima ignara al loro interno. Ma ciò che rendeva tutto quanto ancora più lugubre e irreale era lo strato di polvere chiara che ricopriva tutto quanto come un sudario. Gerolamo fu sicuro finalmente che lì non vi fosse alcun pericolo e tornò indietro a recuperare il piccolo coniglio; lo trovò là dove l'aveva lasciato: gli occhi spalancati e un leggero tremito di paura a fior di pelo. Non fu difficile convincerlo a abbandonare la galleria, resa spaventosa dai rimbombi, alla volta della luce del sole. Un tempo Gerolamo aveva saputo molto bene dove si trovasse l'Arcimago in mezzo a quel labirinto di strade e case e ancora adesso, nonostante qualcosa fosse nel frattempo cambiato, era in grado di orientarsi là dentro. Proprio nel centro esatto della Città si ergeva un palazzo, il più imponente e il più ricco di tutti. Là l'Arcimago aveva preso alloggio, occupando le stanze per puro capriccio e facendone il suo immenso studio di magia. Ci si diresse senza esitazione, senza pensare che sull'ingresso sarebbero stati fermati dalle guardie. Solo che sull'ingresso non c'erano guardie che potessero fermarli e nemmeno nelle altre stanze. Gerolamo zampettò con decisione negli androni deserti, sempre più nervoso. Da quando la Strega non si era fatta più viva lui aveva cercato di allontanare da sé il pensiero di quello strano voltafaccia, aveva spostato le sue preoccupazioni sul trovare l'Arcimago. Si era convinto che quella fosse la soluzione per tutto, anche per la trasformazione del bambino in un semplice coniglio. Ora però, avventurandosi nei saloni deserti e facendosi guida nei ricordi, i brutti presentimenti crescevano sempre più. Man mano che avanzavano dentro il palazzo la polvere sempre più spessa ricopriva quelli che una volta erano stati pavimenti lussuosi, decorazioni ricamate, arredi magnificenti. Quando arrivarono nel cuore della struttura, davanti alle porte in quercia socchiuse dello studio centrale, non avevano ancora incontrato anima viva. Gerolamo scostò piano piano la porta, quasi temendo che l'Arcimago in persona l'avrebbe potuto folgorare, come uno squallido intruso. Là dentro non sembrava esserci proprio nessuno: soltanto carte alla rinfusa e alambicchi lasciati in preda al non utilizzo. La luce della Città fantasma entrava da grandi finestroni e illuminava impietosamente il silenzio più assoluto dell'inattività, con in controluce la polvere spessa che vorticava a mulinelli nell'aria. Gerolamo si rese immediatamente conto che l'Arcimago non si trovava più lì da tempo. Però la stanza non era deserta. Non completamente almeno. Il coniglio si fece forza e si avvicinò a una figura, abbandonata in un angolo su un divano broccato. Era un ragazzino, un paggio forse che, esausto, si era addormentato e russava. Il ragazzino si svegliò di soprassalto quando Gerolamo davanti a lui si schiarì educatamente la gola: "Chi è? La Città è caduta?" esclamò il ragazzino di soprassalto, mimando un coccolone, ma poi vedendo che era solo un coniglio davanti a sé si lasciò di nuovo sprofondare tra i tessuti impolverati con un gemito. "Non mi pare, almeno non ancora." gli rispose Gerolamo. "Non ci vorrà molto allora- si lamentò l'altro- ormai siamo persi, abbandonati." Gerolamo rizzò un orecchio peloso: "Come persi, cosa vuol dire?" gli chiese. "Questa Città cadrà. E' solo una questione di tempo. L'Arcimago ci ha abbandonati al nostro destino: è scomparso e non ha fatto ritorno. Ci ha traditi." spiegò amaramente il ragazzino. Gerolamo si sentì crollare dentro: inutile, era stato tutto inutile. Vedendo la sua espressione il ragazzino gli spiegò: "Un giorno ci siamo alzati e l'Arcimago era scomparso. Non aveva lasciato nessun messaggio. All'inizio pensavamo che sarebbe tornato presto, ma poi sono passati i giorni, le settimane e infine i mesi. E ancora non tornava. Un giorno sono arrivati i soldati e hanno cinto d'assedio la Città: volevano l'Arcimago e ci canzonavano non vedendolo, perché sapevano in cuor loro che eravamo rimasti senza il nostro protettore e senza la nostra guida. Hanno cominciato a bombardare le mura, senza fretta, con metodo, instillando la paura a ogni sassata e noi li abbiamo lasciati fare. La maggior parte di noi ha avuto terrore di quello che avrebbero potuto farci e è fuggita. La Città ha perso la sua anima e la sua gente e non sappiamo nemmeno il perché. Io sono il suo paggio e l'ho aspettato fino a ora. Tornerà, prima o dopo tornerà. - singhiozzò, interrompendosi - Sono certo che tornerà". E qui i singhiozzi divennero più rumorosi, mentre si raggomitolava sul divano. Gerolamo avrebbe voluto consolarlo, dargli un motivo per resistere e farsi animo, dirgli che non aveva aspettato per nulla. Dopo tanto tempo era arrivato un coniglio. Ma chi voleva far ridere? Lui stesso vacillava ora per l'enormità di tutto quello che aveva affrontato fino a quel momento. Per nulla. Si girò verso il piccolo coniglio e si scoprì a desiderare la sua stessa espressione: priva di ricordi e preoccupazioni. Si era dimenticato di essere mai stato un bambino e non lo avrebbe mai più ricordato: per colpa sua. Esclusivamente colpa sua. Lo portò fuori dalla stanza e di qui fuori dal palazzo, sulle strade, lontano dai singhiozzi del piccolo paggio disperato. Lontano da tutto e da tutti. Aveva cercato la Città come l'unico porto sicuro al quale approdare e invece si era infilato in un guscio vuoto e miserabile. Ora non desiderava altro che uscirne. Non importava che fine avrebbe fatto. Non era affar suo. Ripercorse a ritroso il cammino dell'andata, calpestando le orme sulla polvere e i calcinacci, fino a arrivare alle gallerie e da qui sotto e attraverso le mura, sotto i piedi degli assedianti e i boati metodici dei sassi che prima o dopo avrebbero avuto la meglio, al di fuori della loro portata e di qui di nuovo fuori, all'aria e al sole, alla pioggia e al vento. Senza una meta precisa, ma con il piccolo coniglio sempre incollato alle sue calcagna. Era uscito per sempre dall'assedio della Città, ma non dall'assedio dei pensieri che aveva ora dentro. L'Arcimago era stato un'illusione, una partita persa in partenza nella quale aveva sprecato energie e speranze. Eppure in qualche modo aveva sentito che l'Arcimago mai avrebbe potuto tradirlo e disattenderlo. Doveva esserci stato un motivo molto grave dietro a tutto. Così come per la Strega che non li aveva aspettati. Lui e il piccolo coniglio erano usciti dall'assedio, ma ciascuno di loro due era ancora rimasto intrappolato, seppur in una situazione completamente diversa.
Strikeiron Inviato 2 Giugno 2010 Autore Segnala Inviato 2 Giugno 2010 Saggezza da tartarughe Il ritorno fu lento e penoso: il piccolo coniglio era ormai costantemente stanco e affamato e Gerolamo non aveva cuore di farlo patire oltre. Però le soste erano via via più frequenti e prolungate e l'espressione vacua sul musetto era diventata avida e affamata. In realtà Gerolamo non sapeva che pesci pigliare: aveva paura infatti che una dieta basata su nuove carote avrebbe potuto rovinare una situazione già irreparabile. Ciò nonostante l'erba medica da sola non poteva essere sufficiente a sostenere il loro passo in quella lunga, instancabile marcia. Procedevano penosamente avanti ormai, ripercorrendo i propri passi di nuovo a ritroso. Brucando qua e là quando potevano. Diretti nuovamente alla collina. Gerolamo era poco meno che disperato a dire il vero. Sapeva infatti che arrivati al di fuori della collina dove dimorava la Strega non avrebbero più potuto rientrarvi, a meno di non passare nella Tana della Volpe. Ma questo significava esporre il piccolo al predatore, o ancora peggio alle carote. Altre strade per passare però non ce n'erano. Tutto era andato nel peggiore dei modi: l'Arcimago era scomparso, il bambino si era perso e la Strega li aveva abbandonati. Era inoltre assai improbabile che potessero incontrarla lungo il tragitto; Gerolamo ci aveva riflettuto un attimo, ma il pensiero acuiva la sua solitudine e la sua disperazione in quella brutta avventura, nonché l'impressione che nulla che potesse fare potesse mai in alcun modo invertire la sorte malevola nella quale era incappato, senza volerlo. Eppure stava tornando, contro ogni logica e contro ogni prudenza. Aveva vissuto per anni su quella collina, ne serbava il ricordo e l'odore come di un luogo felice e tranquillo. Forse avrebbe potuto far finta, una volta ritornato, che non fosse accaduto nulla. Che non fosse colpa sua se il piccolo coniglio aveva smarrito completamente il ricordo di essere stato, fino a non molto tempo prima, un piccolo bambino. Evidentemente Gerolamo si stava aggrappando all'illusione che dopo tutto quel tragitto e quelle disavventure, la collina fosse l'unico luogo al mondo dove potesse rifugiarsi. Non certo la Città presa d'assedio, o i campi deserti e le strade che li attraversavano, non le gallerie e la Tana dove la Volpe aspettava malefica e frustrata. In un certo senso stava agendo senza ragionare, come preso da una strano bisogno di rifiutare tutto quanto in blocco, di scaricarsi dalla responsabilità di quel bambino perduto che fin dall'inizio, pur preoccupandosene, non aveva voluto. Anche sulla strada del ritorno non trovarono anima viva, finché non giunsero in vista degli spessi rovi micidiali tanto familiari. Al di là la collina e la sua pace, con l'erba verde e fresca di tranquillità. Gerolamo fece fermare il piccolo di coniglio nel solito posto riparato e cominciò a riflettere. Era il medesimo luogo dove alcuni giorni prima avrebbero dovuto trovarsi con la Strega, ma ancora di Lei non vi era traccia: né impronta di piede, né fili d'erba spezzati a testimoniarne il fresco passaggio. Sembravano passati anni da quando lo aveva spedito all'avventura. Là in fondo vi era l'imbocco della galleria che passava dritta nella Tana della Volpe, ma Gerolamo non voleva passarci. Non perché ne avesse paura. Non gli pareva il caso. E così al tramonto il piccolo coniglio si addormentò, mentre ancora Gerolamo semplicemente aspettava, soppesando nella propria piccola testolina le svariate possibilità che avrebbero potuto farlo tornare indietro, perché al di là di quei rovi c'era l'unico posto in cui si fosse mai sentito a casa. Scese la notte e Gerolamo si avventurò nella radura per far quattro salti sotto le stelle, sperando che la calma e il silenzio lo aiutassero a pensare meglio e a fargli trovare la soluzione che andava così intensamente cercando. L'erba era umida di rugiada sotto le zampe, ma al contempo era soffice come una carezza. Gerolamo ci prese quasi gusto e saltellò a lungo, dimenticando che era notte e che la Volpe era nella sua tana a poca distanza da lì. Per questo la sagoma che si mosse lentamente nel buio lo fece sobbalzare all'improvviso e poco ci mancò che non morisse lì per la paura, sentendosi un perfetto stupido. Si immobilizzò nel buio, le orecchie che tremavano e la sagoma scura, notatolo, si girò verso di lui e gli si avvicinò con lenta e inesorabile lentezza. Dal buio passò in un minimo di luce della luna e delle stelle e allora Gerolamo tirò un fiato di sollievo a vedere che non si trattava della Volpe: era molto più piccola e rugosa, lenta e impettita nei passi malfermi. La Tartaruga lo raggiunse e sorrise: "Ciao compagno. Che ci fai qui a quest'ora tutto solo?" lo apostrofò con voce un po' roca. Gerolamo non seppe che risponderle. "Non aver paura- proseguì la Tartaruga, camminandogli attorno- Non ti voglio mica mangiare. E' che non trovo spesso compagnia e avevo proprio voglia di fare quattro chiacchiere." Gerolamo si rese conto che sarebbe stato inutilmente villano a non risponderle. Conosceva le tartarughe per sentito dire: erano esseri ombrosi e timidi, un po' testardi, ma mai inutilmente offensivi. La loro indimenticabile lentezza ne faceva delle pensatrici per natura. Solo che gli sembrava strano trovarla lì e che gli rivolgesse la parola in piena notte. "Stavo facendo un giro." le rispose, a bassa voce. "Amico mio, non serve che parli piano. Non c'è pericolo qui." La Tartaruga ammiccò con uno dei suoi strani occhi bulbosi. Gerolamo non riteneva che la Tartaruga considerasse la Volpe come un pericolo. Dopotutto, sapeva che poteva ritirarsi nella sua corazza e attendere tempi migliori in caso di pericolo, ma per un coniglio sfortunatamente non sarebbe mai stato così. "Ehmm, amica mia, non vorrei contraddirti ma qui vicino c'è una Volpe. Forse per te non costituisce una minaccia, ma per me è un pericolo mortale." le disse, con il tono più educato possibile. "Hai ragione. Però non puoi sapere, come so io, che la Volpe non si trova più nella sua Tana. Se ne è andata la notte scorsa di soppiatto, credendo che io non la vedessi. Però l'ho vista... Io attendo con pazienza e vedo sempre tutto. Peccato che non lo possa dire mai a nessuno." Gerolamo si sentì sollevato: non aveva modo di dubitare delle parole della Tartaruga. Quest'ultima gli sorrise, un po' misteriosa: "A dire il vero ti stavo aspettando, amico mio. Non sei forse tu il coniglio che si accompagnava sempre alla Strega?" "Sì certo, sono io quello." le rispose. "Allora - continuò lei- ti interesserà sapere che anche la Strega se ne è andata. A dire il vero è comparsa tra i rovi, senza gettare nemmeno un'occhiata indietro a quello che stava abbandonando. Subito dopo la Volpe se n'è accorta e strisciando di soppiatto l'ha seguita. Lei, al contrario della tua padrona, si è guardata indietro un istante prima di andare via. Dopodiché con la coda ha cancellato le tracce e se n'è andata pure lei. Probabilmente nella Tana ci stava bene, ma di sicuro troverà un altro posto dove stare. Aspetterà che la Strega trovi un altro posto dove vivere e allora si metterà là vicino. Lo fa sempre." Gerolamo spalancò la bocca per lo stupore. Come faceva la Tartaruga a sapere quelle cose? E com'era possibile che la Strega fosse ritornata a casa per poi abbandonare tutto? La Tartaruga smise di sorridere: "Scusami, evidentemente non sapevi nulla di tutto questo, ma io sono anni che osservo tutto e aspetto. Sapevo che sarebbe venuto il giorno in cui ti avrei incontrato, Gerolamo. Non è forse Gerolamo il tuo nome?" Lui annuì, domandandosi per la prima volta chi veramente avesse davanti in quella notte stellata. "Vedi Gerolamo- continuò la Tartaruga- io sono qui da quando la Strega è venuta a dimorare su questa collina. Ho visto le siepi crescere e la Volpe costruire il suo rifugio. E la scorsa notte ho visto la Strega in volto, mentre lasciava la sua casa. Era un volto che non si può dimenticare." "Perché mai?" La Tartaruga prese fiato. Evidentemente non era abituata a fare discorsi così lunghi. "Era il volto di una persona che ha deciso di mollare tutto e ricominciare da capo, anche se questo significa regalare tanta amarezza e tanti dolori inutili a chi si lascia indietro. Scommetto che tu capisci, Gerolamo, cosa intendo. Ma tu avrai già compreso che per noi tartarughe, come per ogni altro essere vivente e anche per te, il tempo e la pazienza sono la miglior medicina: leniscono e curano qualsiasi ferita. Non dimenticarlo mai." Nel buio Gerolamo cercò di interpretare la sua espressione, quasi avesse capito solo in parte ciò che l'altra intendeva dirgli. Più che altro non sapeva più cosa dire. Dopo tutto quello che aveva passato, sentire quelle cose da una perfetta estranea lo lasciava un po' interdetto. Lei non poteva sapere che anche se il tempo è in grado di cancellare, non è altrettanto capace di far star meglio chi viene lasciato indietro così bruscamente. Ci sono sassi, nel flusso vortuoso del tempo che vi scorre accanto, che non possono essere spostati così facilmente. Magari levigati, ma nulla di più. La Tartaruga stessa sembrò capire: "Beh, ti lascio proprio tornare a dormire ora, immagino tu debba pensare a molte, troppe cose." Ma Gerolamo non si mosse. All'improvviso capì che la Tartaruga poteva rispondere a una domanda, per quanto gli sembrasse folle e inappropriata in quel momento. "L'Arcimago? Hai visto l'Arcimago, vero?" La Tartaruga divenne improvvisamente seria. "Certo che l'ho visto, ma molto tempo fa. Quando ancora non c'erano ancora i rovi, ma la Strega aveva appena preso dimora sulla collina. A volte veniva qui senza essere visto: di giorno fingeva di essere suo acerrimo nemico, ma di notte la veniva a trovare a volte. La Volpe lo ignorava sempre. Fino a quando un giorno, mentre si allontanava dalla collina- io lo so perché l'ho visto - è caduto bocconi a terra e ha cominciato a camminare sulle mani e i piedi. E' diventato più piccolo e ha perso la propria forma. Gli sono spuntate le orecchie e tanto pelo bianco mentre diventava sempre più piccolo..." "E' diventato un coniglio." terminò per lei Gerolamo. "Certo. E allora la Volpe si è interessata a lui e ha cominciato a dargli la caccia. Ma l'Arcimago era abbastanza furbo da non farsi trovare. Non abbastanza furbo da non avere fame mentre si teneva nascosto. L'ho incontrato proprio qui alcuni giorni dopo, dimentico di chi fosse mai stato. Aveva mangiato delle carote il poveretto e non ricordava più nemmeno il proprio nome." "Sai che fine abbia fatto?" le chiese. "Non lo so, amico mio. So soltanto di avergli spiegato come raggiungere la casa della Strega. Da quando se ne andò sono cresciuti i rovi sempre più fitti e io ho aspettato senza più vedere mai nessuno... fino a oggi. Beh, - esclamò - penso di essere stanca ora. Andrò a dormire in qualche angolino tranquillo". E si allontanò pian piano, con la sua andatura incerta. Nello spazio di quei lenti passi Gerolamo pensò e ripensò a quello che gli aveva appena detto e finalmente, quando fu abbastanza lontana, gli venne in mente un'ultima domanda: "Tartaruga!? Tu sai come si chiamava l'Arcimago?" "Certo che me lo ricordo amico mio; è per lui che ho aspettato tutti questi anni." E l'eco della sua risposta rimbombò quasi nel silenzio stellato, abbattendosi sul cuore pesante del coniglio. "Gerolamo".
Strikeiron Inviato 2 Giugno 2010 Autore Segnala Inviato 2 Giugno 2010 E questa è la conclusione. Se siete riusciti a arrivare fino in fondo e vi sovvengono particolari pecche mi piacerebbe sapere cosa c'è che non va. La trama. Lo stile. La grammatica. rano anni che non scrivevo e penso di non aver mai scritto un racconto così lungo, pertanto devo aver seminato molte ingenuità qui e là nel percorso. Ogni avventura alla fine ha un prezzo. Il coniglio che non accettava il proprio nome l'aveva infine trovato, tra le pieghe della sua avventura. Rimase immobile per lungo, lunghissimo tempo, mentre le parole della Tartaruga gli rimbombavano nella testa. Aspettò l'alba e quando il sole ebbe finalmente deciso di arrivare nella nuova giornata era ancora lì fermo a pensare. Per tutto quel tempo aveva vissuto in un gigantesco rompicapo a incastro, senza mai riuscire a vederne i singoli pezzi. Ma ora era diverso. Eccome se era diverso. Incredibile come ogni piccolo particolare andasse al suo posto in un modo così semplice e naturale. Gerolamo aveva pian piano cominciato a ricordare tutto, dalla maledetta sera in cui aveva salutato la Strega per tornarsene nella Città, approfittando della notte. Solo che la Strega gli aveva offerto un ultimo bicchiere di latte, prima che lui se ne andasse. E lui si era fidato, aveva bevuto alcuni piccoli sorsi. Come aveva fatto con il piccolo bambino aveva trasformato anche lui in un coniglio; solo non subito. I piccoli sorsi avevano fatto effetto lentamente e qualcosa in quella notte era andato terribilmente storto. La Volpe gli aveva dato la caccia per mangiarselo e lui, nascondendosi, era finito in mezzo a un enorme, lussureggiante pasto di carote. E aveva dimenticato tutto e tutti: il proprio nome, il proprio passato, la propria identità. All'inizio perfino il fatto che fosse capace di parlare. Ciò nonostante la Strega l'aveva preso con sé, forse per il senso di colpa. Eppure, durante tutto il tempo nel quale le era stato accanto la Strega aveva continuato a chiamarlo Gerolamo. Lui aveva odiato quel nome per anni o forse chissà solo per mesi. Non immaginava neppure di essere stato sempre così vicino alla verità. Alla fine grazie alla Tartaruga e al suo nome era ritornato a galla e aveva recuperato la memoria. Ora capiva per quale motivo la Strega non avesse più voluto vederlo, dopo averlo abbandonato con il bambino. Lei sapeva che Gerolamo alla lunga avrebbe scoperto la verità e per questo l'aveva lasciato da solo. Ma che colpa poteva avere di questo il bambino? Se Gerolamo avesse saputo prima cosa c'era dietro tutta quella storia forse avrebbero potuto salvare il bambino. Per la Strega il timore che lui scoprisse il suo passato e il suo futuro era stato più importante di qualsiasi altra cosa? Lui, nonostante le carote, aveva avuto sempre un nome addosso al quale aggrapparsi come un'ancora di salvezza, ma per il bambino era diverso. Da quando era arrivato lì, fin dal primo istante non aveva ricordato mai più il proprio nome. Però forse non era stato tutto inutile. Probabilmente c'era ancora una speranza, per quanto folle, di salvarlo. Se Gerolamo era riuscito a recuperare la propria memoria doveva esserci un modo anche per il piccolo coniglio. La carota non era una condanna senza appello nella quale aveva sempre creduto fino a quel momento; esisteva un modo per tornare indietro. Il piccolo dormiva ancora beatamente al riparo del solito cespuglio. Gerolamo lo svegliò e lo prese con sé dirigendosi con decisione verso l'imboccatura della Tana. Se la Tartaruga aveva ragione là dentro non c'era più alcun pericolo. E così difatti era. Attraversarono il lungo salone senza che vi fosse rimasta traccia alcuna della Volpe. Sparito il mucchio di carote nel quale si erano nascosti per sfuggirle, sparite le sue impronte e il suo odore, sparita la paura del suo iniquo regno come un sogno che fosse evaporato. Non fu difficile per Gerolamo avviarsi verso le gallerie che portavano dall'altra parte: sulla collina. Nella casa della Strega c'era ancora il lettuccio del bambino e chissà, magari quello poteva essere un punto di partenza per fargli recuperare la memoria. Questo sperava Gerolamo, quando avviandosi sempre più con decisione verso l'uscita del tunnel sentì un odore strano e inusuale: odor di fumo e fuliggine, odore di terra e erba bruciate. E quando uscì all'aria aperta, dall'altra parte dei rovi, con il piccolo coniglio appena dietro, capì da dove provenisse quell'odore. La casa della Strega non esisteva più. Era stata data alle fiamme e il legno secco e vecchio era stato facilmente preda del fuoco. Da lì si era propagato sull'erba e aveva fatto scempio di qualsiasi cosa avesse incontrato. Doveva essere passato un po' di tempo perché la fuliggine si era già depositata tutt'attorno. Pareva fosse rimasta una sola cosa: una chiazza enorme e annerita di terra bruciata sulla sommità della collina, come un buco nero che inghiottisse lo sguardo. Gerolamo perse ogni speranza: tutto, tutto quanto era andato perduto. La Strega aveva deliberatamente bruciato ogni cosa dietro di sé, prima di andarsene. Evidentemente non voleva mai più vivere in quella casa, né voleva che lui, Gerolamo, potesse tornarvi. Il messaggio era chiaro. Ma anche il lettino era andato bruciato e con quello l'ultima speranza che aveva portato Gerolamo fin lì. Del primitivo splendore di quella collina nulla era rimasto. Gerolamo si trattenne dal versare delle lacrime. Prima di tutto perché era ancora un coniglio e non sapeva che effetto potesse avere il pianto su di lui. In secondo luogo perché le lacrime, seppur liberatorie non avrebbero risolto nulla. E infine il piccolo coniglio non avrebbe capito. Lo guardava ora, con un punto interrogativo stampato sul musetto. Che ci facevano lì dopotutto in quel luogo ormai triste e devastato? Gerolamo giurò dentro di sé che non lo avrebbe mai abbandonato, anche se giurare qualcosa sulla sua inettitudine, in quel momento e in quel luogo, gli sembrava una cosa così ridicola. Poi notò che proprio in cima alla collina, tra poche assi di legno anneriti della Casa della Strega, qualcosa si era salvato. Si avvicinò pian piano per vedere meglio, temendo di essersi ingannato. E invece no. Era la panchina, malferma e abbrustolita, ma miracolosamente sfuggita all'incendio. Gerolamo salì sulla sommità della collina e da lì sulla panchina, da dove si guardò intorno. Da lì quel piccolo mondo grigio e circondato da una siepe sembrava meno soffocante e tetro, eppure era così distante da quello che era stato. Quella era la realtà. Gerolamo vi passò delle ore lassù, continuando a pensare, cercando di capire quale dovesse essere la sua prossima mossa. Il piccolo lo raggiunse e si mise a annusare l'erba tinta di fuliggine ai piedi della panchina. Lentamente la luce scemò e i due conigli si addormentarono nel buio: uno sulla panchina e l'altro sotto di essa. Uno era il sonno inquieto di un uomo nel corpo di un coniglio che non sapeva più dove dirigere il proprio destino, l'altro era il sonno innocente di una creatura che era stata condannata all'oblio di un'altra vita. Nessuno venne a disturbarli quella notte. Soltanto Gerolamo si svegliò di soprassalto nel bel mezzo del buio e si trovò coperto da una strana cosa. A dire il vero non era nemmeno completamente coperto, ma soltanto mezzo scoperto da una sorta di trapunta di un colore squillante. La riconobbe subito. Ora aveva orribilmente freddo. Era un freddo che strisciava su di lui e gli si avvolgeva attorno, facendolo rabbrividire. Ma aveva freddo perché era completamente nudo; muovendosi la panchina oscillò pericolosamente sotto il suo peso, incredibilmente aumentato. La pelle era liscia e priva di pelo, indifesa contro la brina della notte e le zampe erano diventate gambe e braccia. Gerolamo sorrise. Nel buio seppe di essere diventato nuovamente umano. Era ancora l'Arcimago, anche se era sicuro di non possedere più i suoi poteri. Quando un uomo diventa coniglio e ritorna a essere uomo c'è sempre un prezzo da pagare, gli venne da pensare. E' naturale che sia così. Eppure in mezzo a quel nulla di fuliggine e cenere era comparsa la piccola trapuntina del lettino del bambino. Come si era salvata dal fuoco e come era arrivata fin lì? Nessuno l'avrebbe mai saputo spiegare. Gerolamo tese le orecchie per sentire anche il più piccolo rumore. La Strega era forse tornata indietro? Silenzio. Solo ai suoi piedi il lieve respiro del piccolo coniglio che dormiva beatamente. Con calma lo carezzò sulla testa e capì di essersi affezionato a lui. In qualche modo avrebbe trovato la maniera di riportarlo indietro, di ridargli la sua vita un giorno, anche se questo avesse voluto dire dargli ogni volta un nome diverso. Però prima avrebbe dovuto ricominciare a procedere passo passo lungo il proprio sentiero: doveva tornare nella Città che aveva abbandonato. Doveva convincere coloro che si sentivano traditi a tornare indietro e avere nuovamente fiducia in lui. Poteva farlo chiudendo le porte agli invasori. Ma sarebbe stato anche quello un errore. Il più grande. Le porte della Città andavano aperte, le miserie e il vuoto che possedevano andavano mostrate ai suoi assalitori e allora questi ultimi avrebbero perso il gusto della conquista. Sempre che non l'avessero già espugnata. Quello che era fatto era fatto. Il suo destino poteva essere quello di alzare muri più alti o di abbatterli. Ancora non sapeva quale fosse la soluzione migliore e forse non l'avrebbe mai saputo, se non tentando. E la Strega? Gerolamo non seppe cosa pensare di lei. Avrebbe potuto odiarla per quello che gli aveva fatto. Ma l'odio sarebbe stato ingiusto e stupido: lo è sempre. Immaginò che in quel momento Lei stesse cercando un'altra collina, un'altra dimora con la Volpe sempre alle calcagna. Dovunque andasse avrebbe trasformato qualcuno in coniglio per poi fare terra bruciata e ricominciare tutto da capo? Forse sì e forse no. Gerolamo ebbe il forte presentimento che la Strega avrebbe evitato accuratamente la Città. Anche su questo la Tartaruga probabilmente non aveva detto tutto quello che ci sarebbe stato da dire: non sono solo la pazienza e il tempo a curare ogni ferita, ma anche il destino vuole la sua parte, come in ogni cosa. Però che ci sia dato in sorte di essere Uomini, Streghe o conigli, non importa se scegliamo di andare avanti o camminare indietro lungo la nostra strada, contano molto di più le impronte che abbiamo lasciato durante il nostro percorso. Solo la Volpe, nel bene o nel male, non ne lascia mai, ma aspetta sempre di seguire quelle altrui. E' per questo che scappare da lei a rotta di collo non serve mai a nulla. Lei ci troverà sempre, a ogni fine e a ogni inizio. E fino a quando, con il passare delle stagioni, non arriverà la prossima pioggia, noi rimarremo le impronte che abbiamo lasciato, pensò Gerolamo. Con le mani fredde colui che era stato un Arcimago sollevò da terra il piccolo coniglio e lo mise con cautela accanto a sé, sotto la trapunta, cercando di scaldarsi un po' senza svegliarlo. Il batuffolo continuò a dormire profondamente. L'indomani sarebbe stata una giornata pesante per entrambi. Ma questa è un'altra storia.
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