Vai al contenuto

La nostra storia...


Kordian

Messaggio consigliato

:cry::cry::cry:non si lasceranno mica vero? e poi chesuccede? :cry::cry::cry:

Sei pregato di non fare interventi OT in questa sezione.

Grazie. :wink:

Tornando in tema...

Ottimo Deed! =D>

Mi piace molto la tua drow e come la interpreti. E mi piace anche come dai vita ai personaggi di noi altri, senza tradirne la loro natura.

Ancora una volta... brava! =D>

E ora... a chi tocca, visto che tra un po' ne saprete molto di più sulla dea? :twisted:

Link al commento
Condividi su altri siti


L'elfo si alzò.

Si spostò dal masso su cui si era seduto, leggermente in ombra, e volse il suo sguardo alla foresta, dando loro le spalle.

Gli altri lo guardarono, in attesa forse di qualcosa che sapevano non sarebbe venuto dall'elfo.

E rimasero stupiti quando parlò.

"Dici che tocca a noi parlare? Eeheh ironico questo." La risata dell'elfo era sarcastica, ma non cattiva. Forse solamente stupita dall'effetto della semplicità, in quella situazione cosi complicata.

Si volse verso i proprio compagni e li guardò, accucciandosi a terra:"da quanto tempo è che noi ci muoviamo assieme, per un motivo o per l'altro? Parecchio no? Beh, è dovuta giungere quest'elfa, questa drow, per farci parlare un po'. So poco niente di voi; sapevo appena appena qualcosa di Aixela, dopo che mi aveva parlato in quel villaggio.

Ma degli altri non so praticamente nulla.

Però, chissà perchè, sento di fidarmi di voi. Strano.

Chi sei tu Sturmir? Perchè hai intrapreso questo viaggio? Cosa ti spinge, e perchè dovremmo fidarci di te?

E tu Perenor? Non sembri naturalmente spinto ad affrontare avventure e pericoli, anche se dimostri di imparare all'occorrenza. Eppure sei qui, ad affrontare demoni, orchetti, e altre creature immonde. Sarebbe interessante sapere cosa ti spinge.

Garfuss, beh, forse preferisco non sapere cosa lo spinge. O forse lo so già..".

Un mezzo sorriso comparve sul suo volto, la cicatrice che prendeva la stessa piega della mezza luna sullo sfondo della notte, gli occhi verdi a riflettere il piccolo fuoco da campo.

Con la sua voce intrattenne gli altri interlocutori, che lo guardarono stupiti dall'improvvisa esplosione di curiosità dell'elfo sempre cosi riservato.

Ma tutti si resero conto che forse aveva ragione; sapevano cosi poco l'uno dell'altro, da non potersi fidare nemmeno di affidare la propria saccoccia dei soldi nelle mani degli altri, ma in più occasioni avevano affidato la vita.

Forse era stato solo per esigenza, forse per istinto di sopravvivenza, o per chissà che altro motivo.

Ariaston pensò che era stata solamente la fiducia nella profezia a unirli, soggetti e oggetti di un presentimento antico.

Ma ora che non c'era più?

Sentì il bisogno di dire qualcosa, di far sapere a loro cosa muoveva se stesso.

"Ma comincerò io, dopo della simpatica ladra, a dare motivazioni."

Di nuovò si alzò, andando a sedersi contro la parete di una grossa roccia poco più in la; tolse la propria daga affilata dalla fondina al fianco, e la appoggiò a terra, come se spogliadosi delle armi potesse esporre meglio ciò che lo difendeva, i propri segreti.

"Non vi racconterò il mio passato. Non vi dirò perchè le mie mani sono bianche, perchè ho questi tatuaggi o da dove arriva la cicatrice che mi solca il volto"; mentre parlava e descriveva il proprio corpo si toccava con le mani le parti interessate, quasi a scoprire se stesso mentre si esponeva.

Le dita si allontanarono dalla cicatrice e si nascosero nelle pieghe del mantello.

"Non credo vi serva, e potreste semplicemente non capire. Vi dirò invece cosa mi muove nella vita, cosa voglio e cosa cerco. E con questo capirete perchè sono qui."

Li osservò un istante, poi mi mosse rapidamente, fulmineo, mentre il suo braccio saettava fuori dal mantello e scagliava qualcosa verso il tavolo di fronte a loro.

Un lampo bianco riflesse nella notte, candido come la bianca piuma di cui ogni tanto farneticava Garfuss. E poi tutti sentirono il vibrare della lama della daga Bianca conficcata nel tavolo di legno.

Osservarono la intonsa lama, pulita come se non mai usata, che si muoveva delbolmente sul legno.

"Garfuss, non cedere alla tentazione e non toccarla!" La voce del guerriero era ironica, ma ferma e precisa.

"Beh, quella che vedete è la mia ragione. Non è una semplice daga. Quell'arma forse qualcuno di voi se la ricorda, visto che l'ho già usata in passato. La uso solo quando affronto i Demoni.

E' un arma diversa, particolarmente letale nei confronti di quelle creature."

Lo sguardo di Ariaston non si mosse mai dall'arma mentre parlava.

"E' quello a muovermi. Io sono alla costante caccia di demoni, o per meglio dire di UN demone.

So dove trovarlo volendo, ma conosco già la sua potenza e so che non sarò in grado di affrontarlo ancora per un bel po' di tempo.

E allora giro il mondo.

Tutto il mondo!"

La sua voce si stava perdendo in ricordi passati, remoti e vicini, sempre caldi dentro la sua mente.

Stava facendo un riassunto della propria esistenza, rendendosi consapevole dei propri sentimenti e motivazioni, e ritrovando una nuova spinta pian piano verso il domani, ormai ignorando completamente la presenza dei compagni di viaggio.

"In questo mio girovagare cerco esperienza, conoscenze e abilità per me. Ho affrontato nemici pericolosi, lavorato come boscaiolo, come garzone, come assassino e ladro, aiutato chierici nel loro girovagare per cercare nuovi proseliti, conosciuto eremiti e lord, donne dolci e altre spietate, animali e magia, solitudine e passione.

Ma a spingermi era sempre il mio destino e il pugnale, e fino a che non sarò pronto il mio cercare continuerà.

E' per quello che sono qui.

Quando mi trovavo in quel villaggio, con quell'essere che lo stava sconvolgendo, capiì che era una buona esperienza.

Potevo imparare molto da quegli avvenimenti, e mi intrattenni incuriosito.

E il resto lo sapete, no, su come siamo arrivati qua?

E anche ora continuo a combattere solo per quello.

Devo migliorare!"

Fece una piccola pausa, spostò la testa all'indietro e sorrise.

"Se un giorno non mi vedrete più, saprete perchè, ora che vi ho detto tutto questo.

E allora potrete venire a cercarmi nelle terre dei demoni, molto distanti da qua e da dove ci incontrammo.

Ma io ci sarò, e il mio destino mi affronterà, inerme al mio cospetto.."

Si alzò lentamente, riafferrò il pugnale e mentre si voltava per tornare a sedere scomparve nelle pieghe del mantello, rapidamente cosi come era comparso..

anf anf anf...ce l'ho fatta..scritto di un colpo..e ora volevo passare la palla o a strike o a daermon, ma non so quanto presnti siano..fate voi..

Link al commento
Condividi su altri siti

:cry::cry::cry:non si lasceranno mica vero? e poi chesuccede? :cry::cry::cry:

Invece io ti prego di intervenire, semplicemente scrivendo la parte per un tuo personaggio... se non sbaglio una volta c'era anche un topic per i commenti, ma è stato lasciato cadere, perchè non commentava nessuno al di fuori di quelli che scrivevano...

Perenor non aveva più tanto tempo per i giochetti. Quasi non fece attenzione alle parole di Ariaston od al baluginare della fredda lama. Una cosa soltanto gli girava dentro la testa: perchè la donna era tornata. E soprattutto COME era riuscita a fare una cosa del genere. L'avevano già vista altre volte realizzare dei prodigi, ma semplicemente apparire e scomparire in un luogo.... non era cosa da tutti. O la vicinanza con quella dea crudele aveva già avuto i suoi effetti su di Lei, oppure stava rapidamente crescendo. E più fosse cresciuta, più sarebbe stata fragile, malleabile... indifesa.

Perenor provò di nuovo rabbia, non soltanto per essere stato usato, ma anche per la sua inutilità. Per i dubbi che non gli avevano fatto comprendere la gravità del pericolo nel quale avevano gettato il loro mondo.

Quella dea avrebe distrutto tutto senza pietà. O peggio avrebbe risvegliato qualche orrendo potere.

Stava usando Aixela per arrivare a qualcosa di più, forse per usare lei stessa i poteri non ancora ben compresi dalla giovane donna.

Perenor continuava a sbattere sui propri ragionamenti senza venire a capo di nulla. Si alzò, sorrise all'elfo ed uscì dal fuoco per isolarsi.

Sapeva che gli altri lo stavano guardando, con preoccupazione forse, ma ancora di più con diffidenza.

Nonostante tutto era finito il tempo per pensare.

Stavolta doveva pregare, prima che fosse tutto troppo tardi.

Prima che l'idea che gli era appena venuta in mente lo solleticasse troppo.

Era troppo folle... ma era possibile.

L'orchetto si avvicinò timoroso nella radura deserta, un essere insignificante che si addentrava nell'aura di tremendo potere e tremendo male del suo nuovo padrone. Lei aveva dato il suo assenso. Ora era suo compito agire e vendicarsi, con ogni mezzo...

-Mio Signore, li abbiamo trovati.- sussurrò l'orchetto spaventato.

-Dove?- sibilò il Lich, quasi sorridendo di piacere, se avesse avuto le labbra per farlo.

-A poche miglia da qui. In un nostro accampamento. Ci hanno attaccati di sorpresa e si sono attestati nelle nostre posizioni. Ma non sanno di essere ormai circondati.-

Il Lich sfregò le ossa delle falangi, producendo un sinistro scricchiolio.

-Bene, per ora non dovete assolutamente agire.- ordinò il Lich.

Tutto procedeva come previsto.. ed il kyton non era troppo lontano da lì.

Link al commento
Condividi su altri siti

I cavalli proseguivano lungo il sentiero. Aixela si chiese se la sua compagna avesse gettato una sorta di incantesimo di protezione su di loro perché non vennero mai attaccati da nessuno. Persino gli animali feroci che si potevano nascondere tra gli alberi sembravano spariti. Le sembrava tutto troppo simile al suo arrivo in quell'isola: c'era calma... troppa calma.

Guardando alla sua sinistra per osservare il paesaggio montano in lontananza, lanciava ogni tanto delle occhiate ad Ashling. La vedeva sempre più tesa ad ogni metro che facevano. Eppure davanti a loro non c'era nulla, solo il sentiero che proseguiva costeggiando gli alberi alla sua destra, mentre una pianura immensa si stendeva dalla parte opposta. Alle loro spalle si erano lasciate il villaggio in cui avevano alloggiato per una notte.

Eppure lei stessa percepiva qualcosa in quel paesaggio. Le dava una senzazione di già visto, di un luogo in cui era stata tempo addietro, ma che in quel momento non riusciva a ricordare.

Le venne da pensare che forse nel suo peregrinare era passata in quei posti. Dopotutto, dopo che avevano lasciato l'isola, erano apparsi in un posto che lei non aveva riconosciuto, quindi poteva trovarsi in qualsiasi parte del mondo, forse uno in cui era stata.

Istintivamente guardò di nuovo Ashling e non credette ai suoi occhi.

Pur se aveva girato la testa dalla parte opposta si accorse che stava piangendo.

Link al commento
Condividi su altri siti

Invece io ti prego di intervenire, semplicemente scrivendo la parte per un tuo personaggio... se non sbaglio una volta c'era anche un topic per i commenti, ma è stato lasciato cadere, perchè non commentava nessuno al di fuori di quelli che scrivevano...

Uh...ok, :-s ma ho visto che non sono l'unico ad aver commentato...e poi ehm...ho scitto in piccolo piccolo... :oops:

Link al commento
Condividi su altri siti

Si, come tutti, ma sei OT di nuovo, e in questo topic nn si vorrebbe proprio!

Per favore, non commentare più qui dentro, è stato aperto un topic apposito per i commenti a questi racconti.

Grazie..cmq chiedo ad un admin se toglie questi (compreso il mio) post fuori luogo.. ;)

Link al commento
Condividi su altri siti

  • Amministratore

Inspirò.

Si riempì i polmoni dell'aria fresca del primo mattino, e le narici degli odori della natura. Amava queste sensazioni, e ogni volta che tornava in questi luoghi si crogiolava nel riconoscere i profumi.

Aprì gli occhi.

I boschi, le montagne... sì, era sempre piacevole tornare sul Piano Materiale. La semplicità di un mondo dove ogni cosa rispondeva a precise leggi fisiche non mancava mai di stupirlo.

Stirò i muscoli, mosse qualche passo, provò un paio di sequenze di colpi: pugno, calcio, gomito.

Mentre il sole dell'alba si rifletteva sulla testa perfettamente rasata di Subumloc, lui si guardava le mani. Come sempre, aveva il controllo assoluto di ogni muscolo del suo corpo.

Ma non era il caso di perdersi in queste divagazioni. Subumloc era lì per un motivo preciso, aveva una missione da compiere.

Si sedette a gambe incrociate, incurante della rugiada che bagnava l'erba e il suo saio. Gli anni di addestramento monastico non gli avevano insegnato solo le tecniche di combattimento senz'armi, ma anche disciplina e concentrazione.

Adesso tutta la sua concentrazione era volta ad individuare le tracce che era incaricato di seguire. Naturalmente non erano tracce fisiche, orme o resti di un accampamento; cercava le impronte che gli uomini lasciano nel destino. Riusciva a vederle con l'occhio della sua mente; un intrico di linee colorate, di fili che si intrecciano tra loro, che si uniscono e si separano, alcuni improvvisamente spezzati, altri apparsi da poco... Ciascuno di questi fili rappresenta un giocatore nella grande scacchiera cosmica.

Solo che questa volta i giocatori non sapevano di far parte di un gioco straordinariamente vasto e complesso, al punto di aver attirato l'attenzione dei superiori di Subumloc. Per questo l'Hebdomad l'aveva mandato: trovare i "giocatori" e vegliare su di loro, essere la loro guida, il loro "angelo custode". Proprio lui, che era stato un campione del male! Doveva svolgere questo compito come ennesimo atto di espiazione, non una punizione ma un risarcimento per l'infinità di crudeltà che aveva commesso.

Ma ora lui era cambiato. Era felice di questo incarico, e felice di poter passare del tempo con dei mortali, così imprevedibili, così... liberi.

Il difficile sarebbe stato farsi accettare tra loro senza rivelarsi, dopo averli trovati. Da questo momento Subumloc cedeva il posto all'umile Fratello Columbus, dell'Ordine di Pistis Sophia. La missione aveva inizio. Si alzò e si incamminò nella direzione che sentiva di dover prendere.

Link al commento
Condividi su altri siti

Ashling fermò il cavallo.

Il mondo interò sembrò arrestarsi con lei. La leggera brezza che le aveva accompagnate improvvisamete cessò, zittendo anche le fronde degli alberi. Solo qualche uccellino forzava quel silenzio, intonando canti che sembravano comunque fuori luogo in quell'atmosfera cupa. Persino il sole che era alto nel cielo azzurro sembrava rendere tutto più tetro. Aixela si chiese se fosse opera dei poteri della sua compagna, ma non seppe mai la risposta.

In lontananza, diverse voluttuose forme di fumo salivano verso il cielo, sputate fuori da comignoli di case. Non vi erano mura a delimitare il perimetro di quel villaggio, ma solo delle torrette di guardia poste a quelli che dovevano essere i quattro angoli.

Aixela cercò di guardare meglio e vide delle guardie che sembravano parlottare tra di loro in cima alle torrette. Più in basso la vita sembrava scorrere normale. Dei bambini giocavano in un cortile, rincorrendo forse una palla. Fuori dalle porte, dei falegnami lavoravano il legno grezzo mentre poco più in là si vedeva un martello battere su un pezzo di metallo arrossato, restituendo con ritardo il rumore di ferro contro ferro. Della donne parlottavano in una piazza, lanciando occhiate in giro, pronte a trovare una nuova vittima sacrificale per i loro pettegolezzi.

Un villaggio normalissimo.

Eppure, mentre si avvicinavano, vide che lo sguardo di shling era furioso, freddo, minaccioso. Ma ci volle poco per capire che quella che stava provando era solo tristezza camuffata, era un dolore profondo, di quelli che possono veramente far male e lasciare ferite profonde, più mortali di quelle di una spada.

E intanto nelle mente di Aixela balenavano immagini di quella vita nel villaggio. Guardava un posto e si accorgeva di averlo già visto, pur se capiva che non erano i suoi occhi ad aver impresso nella mente quelle immagini. L'allegria che vi era intorno contrastava con quello che la sua mente le offriva in continuazione. Non si accorse nemmeno della bvreve conversazione di Ashling con le guardie alal torretta che le fecero passare senza problemi. Come non si accorse degli sguardi di certe persone che sembravano conoscere la sua compagna, guardandola con un misto di cimpassione e di rispetto... una miscela che la ragazza mora sembrava non apprezzare, aumentando il fuoco rabbioso nei suoi occhi. A volte le sembrò che stesse per spazzare al suolo tutto e tutti, ma poi la vedeva stringere le briglia del cavallo e andare avanti con evidente sforzo, cercando di non dare a vedere questa sua debolezza.

Poi voltarono all'improvviso in una stradina che si inerpicava per una collinetta dove erano arroccate delle case, così stretta che ci passava un solo cavallo per volta. Infine scesero lungo un pendio, uscendo dalla stradina e inoltrandosi per un campo erboso.

Si fermarono all'ombra di un albero. Aixela si voltò e vide il villaggio dietro a sé. Era abbastanza distante, pur se poteva ancora distinguere le persone. Poi guardò di nuovo l'albero e i suoi occhi andarono istintivamente a terra. Appena posò lo sguardo sul prato sottostante venne colta da un brivido che le fece gemere.

Guardò Ashling e la vide con le lacrime agl occhi che indicava il terreno: «Siamo arrivate.»

Link al commento
Condividi su altri siti

Libero, finalmente libero. La catena delle manette tintinnò sommessamente, urtando il pavimento in pietra. Che suono rinfrancante quello! Il suono della libertà! Non c’era tempo da perdere, rimaneva solo da aprire la fragile porta della cella, e sarebbe potuto svanire nelle ombre della buia prigione, non visto e non udito dagli stupidi orchetti suoi carcerieri. Era da mesi, ormai, che aspettava quell’occasione, erano passati sette anni da quando la sua nave aveva fatto naufragio e lui, privo di qualsiasi cosa tranne del suo amato stocco, si era ritrovato su quell’isola, dominata dagli orchetti. Era stato catturato da subito, la prima notte dopo la sventura. Tutt’oggi si chiedeva perché degli esseri tanto barbari ed ignobili l’avessero risparmiato dalla morte.

Ma ora non doveva indugiare, prese la rincorsa, per quanto glielo concedesse la sua angusta cella, e si scaglio contro la porta in legno. Non aveva però calcolato la sua precaria condizione fisica, la porta assorbì l’urto, e lui si ritrovò dolorante sulla paglia sporca che costituiva il suo giaciglio. La spalla gli doleva fortemente, pulsando e scaldandosi progressivamente. No, non era stata una buona idea. Un tempo i suoi muscoli scattanti gli avrebbero permesso di abbattere porte ben più pesanti di quella, ma la prigionia e, soprattutto nell’ultimo periodo, la denutrizione, l’avevano fiaccato, indebolendogli il fisico e la mente. Si domandava preoccupato se sarebbe più riuscito a tenere in mano il suo stocco, sempre che fosse riuscito ad uscire da lì…

Ancora indolenzito si alzò in piedi, scrutando tra i capelli lunghi e sporchi che gli erano cresciuti, la stanza in pietra. Vicino al lurido pagliericcio un buco costituiva la sua latrina, e poco più lontano giaceva la catena che lo aveva costretto per tanto tempo a non allontanarsi dal muro, agganciata per un’estremità estremità ad un grosso occhiello in metallo. La porta sconquassata, faceva filtrare da più venature e buchi la debole luce di una torcia del corridoio. Nei rari periodi in cui le celle erano affollate, alcuni orchetti stavano di guardia, ma ultimamente, con lui come unico occupante della prigione, solo uno di quegli esseri, zoppo per giunta, si occupava di portargli da mangiare e di stare a guardia. In quel momento neanche lo zoppo, che peraltro si era dimostrato più umano del previsto, secondo gli standard della sua gente, era presente nella guardiola. Lo aveva sentito allontanarsi in tutta fretta, gamba permettendo, al richiamo di un suo superiore pochi giorni prima. Da allora aveva intravisto la speranza di fuga, non sarebbe marcito in una lurida prigione, su un’isola, con orchetti come carcerieri! Animato da nuovo coraggio e furore, staccandosi dal muro opposto all’entrata, si scagliò nuovamente contro la porta. Tuttavia anche questa volta si trovo sbalzato sul pavimento, con la testa ad un palmo dalla latrina. Disperato chiuse gli occhi e reclinò la testa, desiderando ardentemente un letto ed un cuscino, come quelli su cui si era riposato per molte notti, nel castello del suo principe. Questi, della città libera di Xera, nell’estremo sud del continente, aveva conquistato il potere con la ricchezza e la fama derivate dalla redditizia attività di mercante. Lo aveva assoldato come guardia di palazzo, ma da subito,. notandone l’abilità straordinaria con la spada, l’aveva elevato a membro della scorta reale. Quale onore era stato per lui, vedersi elevato, in meno di un mese, dal fango delle strade della zona povera, alle sale lussuose e profumate del palazzo del principe. Aveva passato venti anni al suo servizio, prima che, per una congiura di palazzo fallita, lui, unico ancora dalla parte del principe si fosse trovato ricercato da chi aveva frainteso i suoi intenti…

Un cigolio lo ridestò all’improvviso, cosa che gli provocò non poche fitte in tutta la schiena, ma non ebbe tempo per soffermarsi a lungo sul dolore, la porta si era aperta e la luce inondava l’interno della cella, abbagliandolo. Con ritrovata forza e volontà scatto in piedi, e, zoppicando leggermente, si mosse verso la porta. Sporse leggermente la testa oltre la soglia. La porta, apertasi di 180°, mostrava il corridoio sgombro. Da un lato alcuni gradini conducevano alla porta che dava nella fortezza, mentre dall’altra il corridoio terminava. Una seconda arcata, tuttavia si apriva sul lato opposto delle quattro celle, conducendo alla guardiola. Con circospezione, lo spadaccino si mosse verso l’entrata della saletta, e gettò un rapido sguardo. Vuoto. Ottimo; entrò e sempre con cautela si guardò intorno. La stanza era spoglia e solo un tavolo ed alcune sedie erano collocate al centro di essa. Due bottiglie piene a metà erano appoggiate sul rozzo mobile. Con gli occhi che gli brillavano l’uomo si avvicinò ad esse, e presane una, la svuotò con sollievo. La gola riarsa era ora piacevolmente rinfrescata. Fino a quel momento non si era ancora accorto di come fosse debilitato fisiologicamente, lo stomaco vuoto gli iniziava a dolere, ed il suo corpo desiderava ancora liquidi per reidratarsi. Afferrò quindi l’altra bottiglia, ma malauguratamente gli scivolò dalle mani ancora incatenate l’una all’altra, andando a frantumarsi al suolo. L’uomo si fece sfuggire un gemito di disappunto. Ma non si perse d’animo, continuando l’ispezione della stanza. Sul lato opposto a quello da cui era entrato si apriva un finestrella sbarrata, che dava direttamente…su un pendio. Un fiotto di sangue gli irrorò il corpo, dimentico della spossatezza, si diede a cercare un modo per allargare l’apertura.

La prigione sorgeva sottoterra e prendeva aria da quella piccola finestra, scavata, come tutta la struttura, nella roccia. Il pendio non era molto scosceso ed avrebbe potuto scenderlo con relativa facilità. Da lì scorgeva un boschetto e, oltre quello il mare. Un ondata di nuovi ricordi gli riaffiorò alla mente: la fuga rocambolesca la notte successiva al tradimento, l’imbarco su una nave di contrabbandieri, ed infine, infine il naufragio, dopo solo una settimana di viaggio. Sembrava che tutte le svolte della sua vita avvenissero in lassi di tempo molto ridotti, pensò, ed un sorriso si aprì sul suo volto sporco e tirato. In breve riuscì a smuovere alcune pietre da sotto la griglia in metallo della finestra, arrivando ad aprire un passaggio sufficientemente ampio da farci passare il suo magro corpo, dimagrito ulteriormente dalla prigionia. Passando, un lembo del vestito, un tempo ricco e fastoso, si stracciò ulteriormente impigliandosi in una delle sbarre di ferro arrugginito. Improvvisamente si rese conto di essersi dimenticato della sua inseparabile arma. Facendo attenzione alle sbarre, ritornò nella guardiola e, guardatosi nuovamente intorno, aprì un armadio, in un angolo, che prima, preso dalla foga, non aveva notato. Lì trovò un mantello logoro, e, in un fodero di legno…la sua arma. Tremando per l’emozione afferrò lo stocco, compagno di battaglie ed avventure, che lo aveva sempre salvato. Il palmo si strinse su un’elsa elaborata, che rappresentava tre serpenti attorcigliati. All’altezza della lama le tre teste si dividevano, da una usciva la lama, lucente e perfetta, mentre le altre teste facevano da guardia orizzontale. Alla base dell’elsa sentiva la forma famigliare di un teschio in metallo, simbolo della sua posizione di guardia reale. Sentendo quel cranio ripensò al suo passato, alle sue avventure. Ma i suoi vagheggiamenti furono troncati dal suono di un lucchetto scattava, aprendosi. Allarmato si girò verso l’entrata. Sapeva di non avere possibilità in uno scontro diretto, nonostante le sue capacità, da troppo tempo non maneggiava armi…e poi aveva i polsi ancora legati. Imprecò fra sé, rimpiangendo quando quel posto era occupato da bracciali d’oro. Non riuscendo ad aprire le braccia per più di venti centimetri, scartò l’idea di prendere il mantello, per quanto gli sarebbe potuto essere utile. Decise di gettarsi fuori dall’apertura. Per sua fortuna non trovò le sbarre ad ostacolarlo, ed in poco tempo si avviò lungo il pendio, un po’ correndo ed un po’ scivolando. Quasi subito senti le urla alle sue spalle, ma dubitava che lo zoppo sarebbe riuscito a seguirlo, anche se avesse voluto. Aveva quindi un po’ di tempo per dileguarsi nel bosco.

Stremato dalla fatica arrivo nel bosco dolorante ed esausto. La lama fra le mani gli impediva di muoversi liberamente; dopo non molto, dovette fermarsi. Non riuscì a star in piedi per più di pochi secondi, cadde, svenuto per lo sforzo, nel bel mezzo della foresta.

O.T

oh, io ci provo, ditemi che cosa ne pensate. Ho cercato di lasciare qualche aggancio, cercando di rispettare quanto scritto fino ad ora. Dovrebbe svolgersi in una zone diversa, sempre sull'isola, dove appunto vi è una piccola fortezza degli orchetti.

fine O.T

Link al commento
Condividi su altri siti

Dopo il discorso di sfogo del guerriero Perener si allontanò dal gruppo.

Qualche attimo di silenzio seguì, mentre tutti probabilmente meditavano, chi su se stesso chi su qualcos'altro.

Poi pian piano tornò la consapevolezza di essere all'interno di un fortino di orchetti, circondati da orchetti in tutta l'isola e da chissà che altro, e in attesa di una nave che forse non sarebbe tornata.

Sturmir suggerì di accordarsi per la notte, per i turni di guardia, e di disporsi per riposare, e tutti si mossero, dimentichi delle storie udite.

L'elfo si distese a riposare un poco il corpo, dopo essersi accordato per l'ultimo turno di guardia. Sarebbe stato svegliato da Sturmir, che sarebbe succeduto a Perenor in questo compito.

Lentamente la notte avvolse le loro menti, appesantendole e intorpidendone i sensi, e caddero in un sonno inqueito e leggero, misto tra l'agitazione e la paura.

Ma la mattina giunse, cogliendo Ariaston ancora disteso sul proprio giaciglio, in quel dormiveglia che solo gli elfi riescono a mantenere, consci dell'ambiente circostante, ma in uno stato di trance riposante.

La giovane Aiskra lo aveva sostituito nel compito di vegliare sui compagni, perchè si sentiva abbastanza riposata da poter addempiere al compito.

Si svegliarono quasi tutti assieme, e fecero una veloce colazione con frutta e acqua.

Mancavano ancora tre giorni all'arrivo di Paltron e l'attesa stava diventando lunga e snervante. Quel giorno decisero di non uscire dall'accampamento, per non dare nell'occhio, e solo una breve uscita fu prevista quando avvistarono un paio di cervi che si aggiravano per la foresta.

Quella sera mangiarono bene.

La mattina successiva giunse tranquilla; era un allegra giornata di sole e un po' di buonumore li risvegliò alle prime luci, riposati e pronti ad un altra giornata di attesa.

Arrivò il primo pomeriggio, poco dopo il pasto a base di carne di cervo e poca frutta. I dialoghi erano pochi ed annoiati, e parlavano sopratutto di cosa avrebbero fatto se Paltron non fosse giunto come promesso.

Daltrone non sapevano quanto potevano fidarsi di quell'uomo.

Si rendevano conto che sarebbe diventato particolarmente difficile la permanenza in quella terra, se non impossibile forse.

Ma ognuno di loro aveva nella testa l'immainge di quella donna che aveva portato via Aixela, e del potere che emanava da lei; ma veniva trattata come un tabù, e nessuno ne parlò mai.

Lirian era di guardia, e si muoveva silenziosa e tranquilla lungo il perimetro di guardia attorno all'accampamento, osservando la spiaggia e la foresta ai due lati.

Ad un certo puntò si fermò, osservando più attenta la foresta, al suo limitare con le prime sabbie.

Poi si voltò, la faccia allarmata e leggermente pallida e chiamò i compagni: "Ehi! Abbiamo visite!"

Quando corserò a vedere cosa stesse succedendo videro una scena alquanto particolare.

Alcuni orchetti, quattro o cinque, stavano correndo dietro a quello che sembrava essere un uomo di mezza età; gli orchetti erano piccoli ed evidentemente infastiditi dalla forte luce del sole, e procedevano lenti ed incerti. Ma l'uomo era più in difficoltà di loro, forse debole ed impacciato da una lunga custodia che teneva in mano.

Cadeva a più riprese, e quando riusciva ad alzarsi era costretto a scatti repentini per allontanarsi dalle grinfie di quegli esseri.

Ma pian piano guadagnavano terreno ed infine lo costrinsero a voltarsi, ed a estrarre un arma, una spada fina, dalla custodia che teneva in mano.

Fu chiaro subito che si trattava di uno sconto impari, con l'uomo cirdcondato da quattro orchetti, mentre uno più lento, forse zoppo, li stava raggiungendo con un manganello in mano.

Ariaston era assorto nell'osservare quella scena, quando percepì qualche rumore poco alla sua destra; si voltò e si accorse che era Sturmir, il nano, che stava correndo verso il gruppetto, con l'ascia in mano e mormorando parole di odio nei confronti degli orchetti.

Al guerriero venne da sorridere, mentre si rendeva conto che forse una mano a quell'umano non avrebbe dato fastidio, ma Iskra fu più veloce di lui e si affrettò a seguire il nano infuriato.

Poco dopo erano a circa 100 metri dal gruppo, mentre due orchetti si voltavano verso di loro, stupiti ed infuriati.

Lo scontro si preannunciava divertente: il nano mago, indiavolato e pronto a scatenare le sue magie sulle creature ignare, l'elfa drow agile e veloce guerriera, e un umano malandato e debole, contro 5 orchi accecati dalla luce del sole e non a proprio agio.

L'elfo rimase a guardare, interrogandosi su da dove arrivasse quell'umano..

ho scritto questo giusto per proseguire...ora può continuare chi vuole, basta che si prosegua..benvenuto Serghuio ;)

Link al commento
Condividi su altri siti

  • Amministratore

"Mi scusi, è lei il capitano Paltron?"

L'uomo alzò gli occhi dal suo lavoro per incrociare lo sguardo di un personaggio piuttosto strano, forse più di quelli che aveva incontrato nei giorni scorsi.

Davanti a lui stava un uomo che indossava ampi vestiti di tessuto grezzo. Aveva la testa completamente liscia, e sembrava appena arrivato da un lungo viaggio a piedi.

"Sì, sono io" rispose. "Perché?"

Il viaggiatore si inchinò, con le mani giunte. "Il mio nome é Columbus. Appartengo all'Ordine Pellegrino di Pistis Sophia, e vorrei chiederle di trasportarmi per un pò sulla sua nave".

Un altro che chiedeva un passaggio! "Veramente in questi giorni sono già impegnato con altri viaggiatori; anzi, lei è stato fortunato a trovarmi, dal momento che stasera devo salpare. Ora, se non le dispiace, ho ancora alcune cose da fare... addio." disse Paltron.

"Aspetti."

Il tono del misterioso viandante non ammetteva repliche. Paltron, che nella sua lunga carriera di navigatore si era trovato davanti alle situazioni più strane, non poté che fermarsi e guardare di nuovo il suo interlocutore.

"E' molto importante che io sia presente sulla sua nave nel momento in cui inconterà di nuovo i suoi passeggeri. Non posso offrire nulla in cambio della sua ospitalità, ma le mie braccia saranno al suo servizio durante tutto il viaggio".

Paltron, dopo un attimo di esitazione, annuì. Il tono di quest'uomo era assolutamente convincente... Come poteva rifiutare?

Questa conversazione aveva avuto luogo diversi giorni prima. Ora la nave era già in vista dell'isola, che avrebbe raggiunto in una giornata e mezza, forse meno. Il monaco era seduto a gambe incrociate sul ponte, immerso in meditazione mentre gli spruzzi d'acqua marina gli toccavano la pelle. Un nuovo filo si era legato a quelli che stava cercando, e presto anche lui li avrebbe raggiunti.

Link al commento
Condividi su altri siti

La luce soffusa dell’alba filtrava dalle fronde degli alberi, proiettando sul fitto sottobosco un chiarore delicato. Quella luce destò lo spadaccino, sporco e dolorante nelle sue vesti stracciate, ma pur sempre grato agli dei per la sua salvezza. Non sapeva esattamente dove fosse, né quanto avesse dormito, intuiva tuttavia la necessità di spostarsi, sicuro che gli orchetti, per quanto impegnati nelle loro faccende, l’avrebbero cercato, e così conciato non sarebbe sopravvissuto di certo. Fece per alzarsi, puntellandosi a terra, quando si ricordò dei “bracciali” che gli precludevano l’uso completo delle braccia. Ecco un altro problema da risolvere, come se non bastasse il dover scappare da bestie assassine come gli orchetti, malconcio, dopo anni di prigionia. Rotolandosi su un fianco riuscì comunque a mettersi in piedi, per darsi un’occhiata intorno. I deboli suoni del bosco allietavano le sue orecchie, mentre la luce illuminava gli arbusti e gli alti alberi intorno a lui. Poco lontano cresceva un arbusto di bacche, more probabilmente. Lo stomaco venne messo a tacere, con evidente sollievo dell’uomo. Si sarebbe ora dovuto dedicare alle manette. Sedutosi su una roccia che sorgeva lì accanto, si mise ad esaminare il congegno. Nulla di complicato, manette in ferro, arrugginite e rovinate dall’incuria e dal tempo. Respirò quindi profondamente e tentò di far forza sull’oggetto, senza altro risultato che un diffuso indolenzimento dei muscoli. Si accorse allora di come il suo corpo fosse debole e stemprato, in confronto a quello che era stato. Un tempo era una leggenda nella sua città, capace di sconfiggere in duello 10 uomini contemporaneamente, con lo stocco come solo alleato. Ora invece riusciva a malapena a tenerlo in mano. Si chiese anche cosa sperasse di fare. Incatenato, solo, su un isola sperduta, senza possibilità di difendersi e ricercato. Un improvviso furore gli salì dal cuore, il viso si tinse di rosso, sotto la barba ed i lunghi capelli, mentre la catena si tendeva. La rabbia per la sua condizione, la forza della disperazione lo stavano riempiendo. Uno scricchiolio…e le braccia si distesero. C’era riuscito! Spompato dallo sforzo, ma trionfante, si lasciò scivolare sull’erba ricoperta dalla rugiada mattutina.

In pochi minuti si liberò anche dei bracciali, rivelando due polsi maciullati; la carne viva, coperta di sporcizia, iniziava a bruciargli, ora che la circolazione era stata riattivata completamente. Riusciva a sentire lì vicino lo scorrere di un ruscello, che, scoprì in breve, sgorgare da due rocce muschiose. Con sollievo si rinfresco le ferite e si lavò il volto. Ne approfittò per controllare appieno il suo stato fisico. Niente tagli o infezioni a parte i polsi, ora lucidi e color del fuoco. In compenso erano molti i colpi che aveva subito, e le privazioni avevano deperito il suo corpo. Doveva fasciarsi le ferite. Strappò un lembo dello sporco vestito, e, lavatolo al meglio che poteva, lo divise in due parti, con cui avvolgere i polsi. Stava compiendo la medicazione quando vide nell’acqua cristallina un volto sconosciuto. Capelli lunghi e sporchi scendevano arruffati ai lati della testa, una barba nelle stesse condizioni era cresciuta per almeno venti centimetri. Con sua stessa sorpresa si ritrovò a ridere all’idea di cosa era diventato. Un selvaggio, un orco lui stesso. Che differenza in confronto a quando portava il cranio ed il volto, rasati perfettamente, sempre profumato e fresco di bagno, agghindato con sontuosi giusta cuore. Preso lo stocco si mise a guardarlo, passando lentamente la mano lungo il fodero in ebano trattato, vera rarità, decorato con motivi floreali. Un’ondata di tristezza lo travolse. I tre serpenti della guardia lo scrutavano impassibili, con i loro occhi di smeraldo. Con estrema cura passò un angolo del proprio vestito stracciato, imbevuto d’acqua, lungo il fodero, e quindi sulla spada, per detergerne l’acciaio lucente, rimasto avvolto dalle ragnatele fino a poche ore prima. Non ebbe ancora molto tempo a disposizione per pensare e ricordare, ben presto accanto alla sua faccia, nel ruscello gorgogliante, ne vide un’altra, brutta e zannuta, incorniciata da un rozzo elmo metallico. Capì subito la situazione, con un rapido movimento si slanciò da un lato, dimentico della stanchezza, brandendo lo stocco, già sfoderato. Sulle prime pensò di avere qualche possibilità, ma visti altri quattro mostri comparire tra i cespugli, comprese la situazione. Nonostante il suo corpo avesse resistito allo scatto meglio del previsto, sapeva che in quest’occasione il suo stocco avrebbe fatto poco contro le asce degli orchetti. Notò che l’ultimo della fila era il carceriere zoppo, che brandiva minacciosamente un manganello dai chiodi arrugginiti.

Sentiva il richiamo della sfida del duello, tuttavia la sua parte più saggia prevalse, inducendolo a tentare un diversivo. Si slanciò in avanti, fintando un affondo, ma, a metà della mossa, si blocco è scartò di lato, scavalcando con un balzo il ruscello. Da subito sentì gli orchetti che lo rincorrevano, urlando nella loro lingua gutturale. I rami più bassi gli sferzavano la faccia, si sentiva spaventato, insicuro, ma al tempo stesso il suo cuore pompava adrenalina nel sangue, rendendolo più reattivo ed attento. La sua destrezza e velocità avevano contributo a fargli distanziare per un buon tratto gli orchetti, più lenti ed impacciati nel sottobosco. Ma la stanchezza si faceva sentire, sapeva che gli orchetti non avevano affinità con la luce del giorno, d’altronde lui si sentiva ancora atrofizzato e debole. Dopo quelli che sembravano secoli, il bosco finì, degradando nella sabbia della spiaggia. Lì iniziarono i veri problemi, non riusciva a correre e gli capitava spesso di inciampare. La lama, che aveva rinfoderato durante la fuga senza apparente motivo, costituiva un impaccio notevole. Si accorse di aver perso il vantaggio guadagnato tra gli alberi ed in breve si ritrovò i dannati alle spalle. Era il momento dello scontro, non poteva più rinviare, con un gesto fluido sfoderò l’arma e si preparò all’inevitabile. Alle sue spalle aveva sentito un grido, ed il rumore di passi precipitosi nella sua direzione. Gli orchetti si avvicinavano sbraitando, con le asce sollevate sopra la testa, il suo stocco era pronto a prendere le loro vite, o almeno avrebbe tentato.

O.T

perfetto l'aggancio wolf, ditemi che ve ne pare

fine O.T

Link al commento
Condividi su altri siti

Ed ora basta scherzare...

Il Kyton era irrequieto. Come potevano aspettare e così tanto poi? Come il lich lui voleva vendicarsi del kender, dell'elfo, del nano... insomma di quel gruppo di miserabili straccioni. Ma ogni volta il lich lo fermava.

Non era ancora giunto il suo tempo.

Ma cosa aspettava? Quante miserabili decine di orchetti avrebbe dovuto accumulare in quel sottobosco prima di sferrare l'attacco finale? Al Kyton non piaceva quel sottobosco, non lo faceva sentire a suo agio e soprattutto odiava aspettare così, senza far niente... fino ad ora aveva soltanto ammazzato qualche orchetto, così solo per passare il tempo. Ma non poteva esagerare troppo. Anche se dentro di sè odiava quello stramaledetto Lich, sapeva che per il momento era opportuno aspettare.

Lei l'aveva chiamato in disparte, dopo che aveva parlato col Lich. E lo aveva messo a parte dei Suoi piani, piani nei quali quel miserabile nonmorto era soltanto una piccola, insignificante pedina.

Sei un Kyton, un demone, gli aveva detto e come tale sarai trattato.

Sì lui era un demone, era più forte e resistente e più furbo.

Per questo valeva la pena aspettare e per quanto gli era stato promesso: altri demoni avrebbero raggiunto questo piano di esistenza. L'avrebbe fatto il Lich, senza rendersi conto delle conseguenze. Lei si sarebbe occupata del resto... non occorreva che tornassero al proprio originario piano di esistenza. L'avrebbe creato qui, su questo mondo impuro.

Un parco giochi pieno di umani con i quali avrebbero potuto divertirsi, per l'eternità. Ed il primo a godere di questo privilegio sarebbe stato quel kender.

Il kyton sorrise sotto le catene uncinate che lo rivestivano.

Non c'era nulla di meglio che la promessa di una tortura che non avrebbe MAI avuto fine.

Il Lich stava aspettando le ultime ore: gli orchetti erano in posizione ormai e quegli sciocchi aspettavano alla sua portata. Presto li avrebbe spazzati via... ma non avrebbe commesso l'errore di sottovalutarli stavolta. Si diresse nel fitto sottobosco, l'aria resa gelida e silente dal suo passaggio. Non animale, non respiro...neppure la luce in quella radiura immersa nelle ultime luci del tramonto. Attese che il sole sparisse per tracciare i simboli sullo scarno terreno. Immediatamente l'erba appassì per effetto della maledizione. Tutto quanto si ammalò lì intorno... fino a quando la formula di convocazione non fu completa. Le linee sul terreno brillarono sinistramente nell'oscurità.

Manca soltanto un'unica piccolissima cosa....

DEMONE, VIENI A ME.

Link al commento
Condividi su altri siti

Quell’isola era decisamente troppo affollata. C’erano troppi di quei puzzolenti orchetti in giro.

Non si pose troppe domande, Iskra’, seguendo velocemente il nano che si era lanciato nella direzione di quei piccoli mostri e di quello che pareva un umano in evidente difficolta’, salvargli la vita? Quello era forse l’obbiettivo di Sturmir, il suo era piuttosto ricacciare nel buio profondo quelle orride creature, ma non il buio profondo di una galleria scavata nella roccia o di un cunicolo sotterraneo, bensi’ l’oscurita’ profonda della morte.

Il nano correva sempre in direzione della spiaggia, lei fendeva quasi l’aria con il corpo mentre correva, accostatasi a Sturmir disse:

<< Io cerco di arrivargli dalla direzione opposta, in modo da prenderli tra due fuochi, e probabile che debba allungare il giro, anche se conto di tagliare per la boscaglia, non arrivero’ molto dopo di te, ma sappi che al momento che li raggiungerai per qualche tempo sarete tu e l’uomo in fuga a doverli fronteggiare.>>

Non attese neppure una risposta, con un balzo, da fare invidia a una pantera, Iskra’ spari’ nel folto della boscaglia, sentiva gia’ un vago odore di morte spandersi nell’aria.

Quando giunse alla spiaggia trovo’ Sturmir impegnato a vibrare asciate contro i mostriciattoli, spalla a spalla con l’umano.

Si decisamente pareva non essere messo troppo bene penso’, forse da solo non ce l’avrebbe fatta.

Era sbucata silenziosamente alle spalle del gruppetto, Sturmir l’aveva vista ma non aveva detto nulla per non tradire l’effetto sorpresa.

Con decisione Iskra’ si tolse l’anello e torno’ a mostrare la sua vera natura, era una cosa che faceva sempre quando combatteva, perche’ chi fosse perito sotto i colpi della sua spada vedesse in viso il suo uccisore, imprudenza? Si forse ma era abituata a giocare con la propria vita, tanto da rischiare di farsi vedere per quello che era.

Pronuncio’ poche parole in una lingua gutturale alla volta degli orchetti, di cui ne l’umano ne il nano capirono bene il significato, di certo capirono che aveva detto ai quei mostriciattoli qualcosa nella loro stessa lingua.

Per tutta risposta un orchetto si getto’ a corsa nella sua direzione, mentre lo zoppo e altri due rimasero a fronteggiarsi con Sturmir e l’altro tizio, e un quinto…giaceva a terra in una pozza di sangue, e dunque non sarebbe stato piu’ un problema.

Quando fu sufficientemente vicino, Iskra’ pronuncio’ alcune parole e il corpo dell’orchetto divenne stranamente luminescente, quello fermo’ la sua corsa, quel bagliore che si sprigionava attorno al suo corpo lo infastidiva notevolmente, a quel punto la giovane elfa si scaglio con violenza contro di lui, approfittando del momento di confusione che si era creato grazie al suo diversivo, e parti’ con il primo affondo, che colpi’ al fianco l’orchetto, fianco dal quale usci’ un fiotto di maleodorante sangue nero, sara’ stato per il dolore ma quello si riprese dall’attimo di sbandamento e prima di scagliarsi su di lei, disse qualcosa nella sua lingua, che per tutti sarebbe somigliato a una sorta di <<gurr ugh’rrtu >> e tutta un’altra serie di suoni incomprensibili, in realta’ era un insulto alla razza drow, e a lei in particolare che l’aveva ferito.

Iskra’ sorrise, e penso' “disprezzami pure brutto mostro, perche’ il tuo disprezzo sara’ la via che mi condurra’ alla vittoria.”

L’orchetto si scaglio’ su di lei brandendo l’arma, iskra’ fece una finta e si getto’ di lato appena in tempo per non essere colpita. Era stata lenta, la sabbia non era un terreno che conosceva bene, a dire il vero, non aveva mai nemmeno visto il mare, solo una volta era stata nel deserto, ma era a bordo del carro di un mercante, quindi doveva calcolare in ogni suo movimento la possibilita’ che il terreno le risultasse sfavorevole.

Si rialzo’ velocemente da terra mentre l’orchetto stava tornando alla carica, mentre si stava preparando a spiccare l’ennesimo salto, un piede sciovolo’ affondando nella sabbia, e lei si ritrovo’ distesa sulla schiena, l’orchetto non poteva pretendere di meglio, e lo intui’ dalle parole di scherno che le rivolse. Si getto’ a capo fitto su di lei, in quel momento Iskra’ si attacco’ alla vita con tutte le sue forze, con uno scatto fulmineo si porto’ davanti al petto la spada, e proprio in quel momento il mostriciattolo le si getto’ addosso, la spada si conficco’ nelle carni maleodoranti, un fiotto di sangue scuro schizzo’ dalla ferita, l’acido della sua magica spada corrodeva le carni dell’ormai piu’ morto che vivo, orchetto, e mentre questo la malediva per sempre, senti’ un dolore lancinante al fianco sinistro, la rozza spada dell’orchetto le aveva procurato una burtta ferita.

Se l’era vista davvero brutta stavolta, del resto era sempre cosi’ abituata ad agire d’impulso i guai non li attirava, se li andava proprio a cercare.

Si riscosse dai suoi pensieri, non sentiva piu’ rumori di battaglia intorno a se’.

<<Ehi Sturmir>> chiamo’.

Il nano e l’umano le si fecero vicino.

<<Levatemi questo lurido animale di dosso>> la voce tradiva il dolore, ma era leggermente sprezzante come sempre.

I due sollevarono il cadavere puzzolente gettandolo di lato, allora videro la ferita che si era aperta nel suo fianco.

Non si curo’ neppure di guardare la reazione dell’uomo alla sua vista, con delicatezza si fece scivolare tra le dita l’anello, lo infilo’ tornando ad essere quella di sempre.

Sturmir e l’uomo di cui non sapeva nulla l’aiutarono a rialzarsi, la ferita era profonda, ma non era grave, dolorosa ma non pericolosa, e lei era testarda come un mulo, tanto che si incammino’ da sola zoppicando seguita a ruota dagl’altri due verso il bosco, e verso l’accampamento.

Spero di non aver "snaturato" nessuno dei vostri personaggi ;) adesso cedo il passo a qualcun altro.

Link al commento
Condividi su altri siti

In breve le creature oscure gli furono addosso. Lo stocco danzava nell’aria, preciso e veloce, deflettendo tutti i colpi avversari. La lama cantava, felice di poter incontrarsi con altro acciaio dopo tanto tempo di inattività. Lo spadaccino non si arrischiava in attacchi, preferendo una tattica difensiva, destinata però, nella quasi totalità dei casi, alla sconfitta. Sentiva come il duello gli facesse da combustibile, dato come si sentiva rigenerato, spinto all’azione. Aveva dimenticato la sensazione di potere e forza che si conquista durante un duello, aveva scordato il cocciare delle lame, l’energia che si sprigionava. Si accorse tuttavia, di come gli fosse difficile organizzare una strategia, un gioco di colpi, combatteva di riflesso, d’istinto. Ed era ancora bene che non sentiva la stanchezza. Ricordava ancora di quando, molti anni prima aveva disputato un incontro durato per più di dieci ore, allora non sentiva il peso, era come un semidio, potente ed infallibile. D’un tratto i passi che aveva sentito si fecero più vicini, riportandolo al difficile presente. Accanto a lui scorse un nano corpulento, armato d’ascia. Pareva determinato a mordere la carne degli orchetti con la sua arma, che si abbatteva con forza sulle loro deboli protezioni. Lì per lì non si fece domande, ogni aiuto era ben accetto, tuttavia non potè non chiedersi cosa ci facesse su un’isola come quella un nano, apparentemente solitario.

Per quanto stupidi e poco addestrati gli orchetti li stavano accerchiando, stringendoli in una morsa mortale. Istintivamente i due andarono a coprirsi le spalle, dandosi vicendevolmente sicurezza e protezione.

Qualcosa gli sfrecciò accanto,intuì che stesse parlando con il nano, prima di ripartire, verso il bordo della foresta, per ricomparire poi pochi istanti dopo. Sembrava un’elfa, benché la sua pelle fosse nera come l’ebano del suo fodero. Capelli bianchissimi incorniciavano un volto furente e determinato, nonché bellissimo. In pochi attimi sbaragliò gli orchetti, menando fendenti forti e precisi sulle loro pellacce sudice. Sembrava traesse un perverso piacere dalle uccisioni, un piacere che la induceva alla ricerca dello scontro, della sfida. Non molto dissimile da lui sotto questo aspetto. Aveva sempre avuto una predilezione per le sfide, specie marziali, aveva partecipato a decine di tornei, risultando quasi sempre vincitore. Ora però sentiva il peso della lunga mancanza di azione. Sperava con tutto il cuore di poter rimediare, di poter ritrovare l’abilità di un tempo, guadagnata nel corso di oltre cinquant’anni di vita da spadaccino, e lenita in sette anni, in una sporca prigione. Nel frattempo l’elfa era rimasta davanti all’ultimo orchetto. Non potè ben vedere quanto accadde, ma intuì che mentre si attaccavano vicendevolmente, la donna non era riuscita a schivare il colpo, ritrovandosi una lama nel fianco. L’orchetto era morto. Parte delle sue viscere giacevano al suolo, insanguinando la sabbia, ma fortunatamente la guerriera non sembrava conciata troppo male. Era comunque chiaro che la ferita era seria. Insieme al nano sollevarono il corpo del mostro, liberandola. Il nano si inginocchio, controllando la ferita, gli sembrava gli stessero parlando, ma non riusciva più a sentire, la vista gli si annebbiò, e, nuovamente esausto, in soli due giorni, stramazzò al suolo per la seconda volta. La scarica d’energia generata dall’incontro era svanita, rammentandogli la sua infelice condizione, i polsi avevano iniziato a sanguinare, macchiando di rosso le sporche bende, le gambe e le braccia gli formicolavano; ma ora non voleva pensarci, voleva solo riposare, rigenerarsi, rimandare a poi tutti pensieri e le domande che gli si affollavano in mente. La caduta gli parve infinta, non tentò neanche di fermarla, cadde con un tonfo sommesso sulla sabbia chiara, desiderando un riposo infinito.

non mi convince molto, ma ritengo sia la cosa più palusibile.

Link al commento
Condividi su altri siti

Crea un account o accedi per commentare

Devi essere un utente registrato per poter lasciare un commento

Crea un account

Crea un nuovo account e registrati nella nostra comunità. È facile!

Registra un nuovo account

Accedi

Hai già un account? Accedi qui.
 

Accedi ora
×
×
  • Crea nuovo...