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La nostra storia...


Kordian

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Capitolo 1

Dreamin' my dreams

Quanti giorni erano passati dal loro imbarco?

Aixela non ne aveva la più pallida idea. La nave era nella nebbia da quella che sembrava un’eternità, avanzando lenta, anche se qualche volta sembrava stesse ferma, pur avendo le vele che la sospingevano chiaramente, gonfiandosi come un uomo troppo pieno di sé. Soltanto l’oscurità della notte le diceva che era passato un giorno, ma a volte dormiva così profondamente che si svegliava ancora con quel sole nascosto o ancora con la notte, non capendo se il suo fosse stato un sonno troppo lungo o troppo corto.

Lirian era quasi sempre sulla prua, improbabile vedetta di una terra che tutti volevano raggiungere, ma che nessuno aveva il coraggio di veder comparire davanti a loro. Sturmir stava diventando sempre più impaziente con il kender che girava per la nave, chiedendo indicazioni e ogni altra cosa possibile all’equipaggio. Poi la noia prese il sopravvento e smise anche di inseguirlo, concentrandosi svogliatamente sul suo libro di incantesimi, seduto quasi sempre in compagnia di Perenor che cercava di capire qualcosa da quel libro misterioso, senza successo. Aixela ricorda ancora lo stupore e la frustrazione del chierico quando poche ore fa aveva aperto il libro trovandovi le pagine bianche, come se non fosse mai stato scritto.

In quanto ad Ariaston… be’, lui era sempre in disparte, pur se lei poteva sentire ogni tanto i suoi sguardi verso la sua spada, verso Lirian e verso Alathariel. Non erano sguardi di odio o di minaccia, ma di curiosità velata da una leggera paura. Nessuno sapeva quello che stava per succedere e la nebbia rendeva tutto possibile nelle loro menti. Sarebbe potuto apparire anche un drago davanti a loro e non sarebbero rimasti sconvolti.

Ma quello che successe poche ore dopo li sconvolse più di un drago.

Lo scricchiolio della nave stava facendo compagnia ad Aixela, umile sottofondo del sogno che stava facendo. Era in un prato verde, non la solita caverna dove vedeva morire ogni volta sua padre. Una cascata scrosciava a pochi metri da lei, mentre i daini passeggiavano tranquillamente, come se fossero ignari della sua presenza o la accettassero. Gli alberi circondavano la radura come un accogliente recinto, portando alle sue orecchie i canti di uccelli di ogni specie.

E lei era felice.

Sdraiata sull’erba, guardava le nuvole stagliarsi contro il cielo azzurro, bianchi ciuffi di cotone che disegnavano figure infantili di orsacchiotti, conigli e altri animali. Lirian era seduta accanto a lei con Alathariel sdraiata sulle sue gambe, mentre la cullava e le raccontava una storia di un gruppo di eroi che avevano salvato il mondo. E la piccola rideva e ascoltava con interesse, chiedendo curiosa tutti i particolari, piangendo alla morte di uno di loro e arrossendo nell’apprendere di un bacio profondo tra due di essi.

Aixela le guardava con occhi di gioia, il viso rilassato che faceva da specchio ad un’anima che aveva raggiunto la tanto agognata pace. Allungò la mano per toccare la spada e carezzarla come faceva al solito.

Niente.

Cercò meglio, andando a tastoni, ma ancora nulla. Si mise a sedere, guardandosi intorno, cercando di capire dove potesse averla messa, anche se ricordava che era nel fodero. Invece questo era vuoto.

Poi… una luce intensa, proprio di fronte a lei, al limitare degli alberi. Era la spada. Ma quella non era la sua luce. Era una luce oscura, brutta, tenebrosa. Sembrava che l’erba appassisse, che gli alberi di lamentassero, contorcendosi in spasmi di agonia, le foglie che cadevano come tanti soldati dalle armature arrugginite. L’acqua della cascata divenne lava bollente che innalzava il fumo fino al cielo che sembrava riflettere il buio della terra, oscurandosi di nubi grigie e tempestose.

E su di tutto campeggiava la spada, rossa di sangue.

Aixela cercò di raggiungerla a si accorse che la spada stava traendo forza da lei stessa, come un vampiro che si nutre della sua vittima. Solo che lei non si sentiva vittima. Si sentiva benissimo, come mai era stata prima. Era onnipotente. Poteva raggiungere la spada con essa fare quello che voleva. Oppure… oppure…

«Ma che cavolo significa tutto questo?»

Era la voce del Capitano Paltron. Il mondo contaminato che stava sognando si spense e assunse le forme di una cabina di nave umida e scricchiolante. Ma il senso di onnipotenza rimase. E con esso rimase la spada al suo fianco, appesa alla sua cintura come un essere dormiente che aspettava solo il momento di svegliarsi. Sentì la sua mente che la spingeva a prenderla, a brandirla… a distruggere. Ma a distruggere cosa?

Posò la sua mano sull’elsa, alzandosi dal letto. Solo allora si accorse che la nave non beccheggiava più come al solito, dondolando leggermente, come se fosse ferma. Poteva sentire ancora gli scricchiolii del legno, ma sembravano come zittiti ed in attesa di qualcosa.

«Vi giuro che una cosa del genere non mi è mai capitata in anni che seguo questa rotta!»

Era ancora il Capitano.

Scrollando i suoi pensieri dalla sua mente, cominciò a salire le scale verso il ponte.

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Capitolo 2

Fear

Aixela giunse sul ponte con un leggero affanno dato dall’agitazione piuttosto che dalla fatica delle scale. Avrebbe corso con la spada in pugno, ma aveva quasi paura a sfoderarla.

Vide il Capitano e tutti gli altri sulla Prua della nave, intenti ad osservare qualcosa. Ma intanto lei stessa aveva notato la prima differenza. Alzò gli occhi al cielo e lo vide azzurro, di un azzurro intensissimo, come quello del suo sogno. Non vi erano nuvole o nebbia a interrompere quella distesa celeste. Anche guardando alle sua spalle, non intravedeva alcuna traccia di quella foschia perenne che li aveva avvolti durante tutto il viaggio.

Era una bellissima giornata.

Incuriosita dalle imprecazioni di Paltron, tra le cui dure righe riusciva a leggere una certa preoccupazione mista a paura, si diresse lentamente verso il gruppetto intento ad osservare qualcosa oltre la prua.

Lirian e la piccola Alathariel furono le prime ad accorgersi di lei, seguite subito dopo da Ariaston, il suo sguardo che vagava prima sull’orizzonte, poi su di lei e infine sulla sua spada. L’equipaggio si aprì al suo passaggio, come aveva sempre fatto per tutto il viaggio. Aixela sorrise leggermente pensando che se avessero saputo della sua natura omosessuale forse non sarebbero stati così carini con lei.

«Lo giuro! Mai vista una cosa del genere!» Continuava a dire Paltron, parlando con Perenor, ma chiaramente rivolto a se stesso.

«Cosa non avete mai visto?» Chiese incuriosita Aixela, i sensi che le urlavano una imminente situazione di pericolo, pur se le sue capacità non la avvertivano di nulla.

«Questo!» Rispose il Capitano, indicando con la mano il paesaggio davanti a sé.

Aixela guardò il punto indicato e vide il mare che si stendeva come una tavola oliosa azzurra priva di onde, rispecchiando il cielo sopra di loro. Più avanti il tutto era interrotto dal verde e dal marrone di una costa. Il tutto dava un senso di pace e di calma e persino i suoi sensi smisero di urlare pericolo.

«Non vedo nulla di strano…» Commentò lei, scrollando le spalle.

«Perché tu non sei mai stata qui, ragazzina.» Aixela strinse leggermente i pugni poi si rilassò, continuando ad ascoltare Paltron «Quella è l’isola dove troverete Merenil. Siamo arrivati… ma… è tutto così dannatamente strano! Guarda il mare! Guarda il cielo!» Le ultime frasi uscirono come un urlo di rabbiosa preoccupazione.

«Li vedo.» Rispose lei con calma «Il mare è calmo. Il vento è… “in poppa”, come dite voi. Il cielo è limpido. Tutto perfetto, direi. Non capisco, quindi…»

«Appunto! Non c’è mai stato un tempo così! Qui intorno era sempre nebbia e tempesta. Per questo ci mettevamo distanti dalla costa e attraccavamo con le scialuppe. Non c’è stato un solo dannatissimo giorno senza quel maledetto vento e quel maledetto mare che faceva rollare la barca come un fuscelletto primaverile.» Paltron riprese fiato e respirò per calmarsi «Ora… invece… è tutto così perfetto… troppo perfetto!»

La sensazione di pericolo tornò a farsi sentire in Aixela. In effetti era tutto troppo perfetto, troppo limpido e pulito. Quell’isola e quella città erano considerate maledette ed in racconti che si narravano su di esse erano terribili.

Eppure… ora sembrava l’Isola Felice. Mancava solo che si sentisse qualche uccellino cantare in lontananza e non sarebbe rimasta stupita. Anzi, le sembrava proprio di sentirne cantare qualcuno.

«Be’, allora potete portarci vicini alla costa, visto che il mare…» Cominciò a dire Perenor.

«Mai! Siamo gente di mare, non contadinotti.» Sbraitò Paltron «Verrete calati qui con le scialuppe e il resto sta a voi. Il mio lavoro l’ho fatto. Verrò a prendervi quando era stato stabilito… sempre che vi trovi.»

Il gruppo cercò di insistere, ma trovò le opposizioni dello stesso equipaggio, restio ad andare avanti anche di un solo metro. Non restò altro da fare che sedersi in una scialuppa e guardare il legno della nave dall’esterno, mentre l’imbarcazione toccava l’acqua, destinata verso quell’isola terribile dall’aspetto paradisiaco.

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Capitolo 3

A sort of homecoming

Il kender fu il primo a scendere sulla spiaggia, inseguito prontamente da Sturmir che, nonostante sperasse che si infilasse in qualche buco per non uscirne più, aveva paura che potesse mettere nei guai il gruppo.

Guardando la scena con un sorriso, Lirian scese dalla barca e aiutò gli altri a portarla a riva, nascondendola tra la fitta vegetazione poco distante. Intanto guardava quei due che si rincorrevano e sentì nascere una sorriso sincero sulle sue labbra. Quell’isola era stupenda, piena di uccellini dai più vivaci colori che riempivano l’aria di suoni e canti che non aveva mai sentito. La sabbia era fina e morbida, il cielo azzurro e limpido. Non le sembrava affatto un’isola maledetta e cominciò quasi a pensare che quei marinai dovevano essere dei pazzi ancorati a vecchie e stupide superstizioni.

Eppure appena sentì il grido acuto di una bambina, si girò di scatto con la spada in mano. Solo notando lo sguardo stupito di tutti capì che il grido era quello di Alathariel che aveva appena atterrato il nano, facendogli uno sgambetto per impedirgli di prendere il kender. Rossa in viso, rinfoderò l’arma e cominciò anche lei a preparare il suo equipaggiamento per mettersi in cammino. Avevano a disposizione poche ore di sole ancora e volevano sfruttarle al massimo.

Perenor aprì ancora una volta il libro, solo per ritrovarlo di nuovo privo di scritte. Sbuffando, lo richiuse con rabbia. Era quasi stanco di sentirsi una pedina nelle mani di qualcuno che si stava divertendo a giocare. Forse per la prima volta da quando l’aveva incontrata, il chierico cominciò a capire Aixela e quella sua perenne espressione malinconica di animale in fuga. Qualcuno li stava usando, qualcuno che voleva che compissero una missione importante, una missione che avrebbe significato forse la salvezza del mondo. La Profezia che ogni tanto girava per le loro teste sembrava dire proprio quello. Gli bastò un solo sguardo intorno per capire che tutti (forse con la sola eccezione del kender) avevano la stessa sensazione e che forse proprio questa era l’unico motivo che li spingeva a cercare questo tempio su quest’isola maledetta.

Ariaston si aggiustò lo zaino in spalla: «Allora, dove siamo diretti?»

La domanda colse tutti di sorpresa.

Erano sull’isola. Sulla stessa isola c’era la città di Merenil ed il tempio in cui erano diretti. Ma nessuno aveva idea di dove esso fosse. Gli occhi della maggior parte del gruppo di spostarono su Aixela, come se lei sapesse la direzione da prendere, ignorando il kender che stava dicendo che aveva con sé una mappa e si era messo a rovistare tra le sue borse.

«Io… io non lo so…» Cominciò Aixela «Non sento niente.» Guardò Lirian e Alathariel come se cercasse conferma di quello che aveva appena detto. Entrambe abbassarono lo sguardo mentre una sensazione di impotenza si impadroniva di loro.

«C’è un sentiero poco più avanti sulla nostra destra. Si addentra un po’ nella boscaglia, ma non tanto. Poi si ricongiunge ad una strada larghissima. E poi ancora avanti per un bel po’. Sembra che questa strada sia percorsa da carovane e da ogni sorta di viaggiatori, visto che è chiamata “Via dell’Oro”. Una volta lì potremo chiedere informazioni, conoscere gente, parlare con loro. Saranno sicuramente contenti di sentire le avventure che abbiamo passato, come con quei demoni, quei maghi, quel lich, quelle catene, quelle strane persone, quei tatuaggi, quelle luci, quelle…» Una mano tappò la bocca del kender. Era Sturmir, che gli strappò di mano il pezzo di cuoio che aveva e gli diede una rapida occhiata.

«Dove hai preso una mappa di quest’isola?» Chiese il nano, conoscendo già la risposta.

«L’ho trovata nella borsa. Devo avercela messa quella volta che sono stato in quell’antichissima biblioteca… ve l’ho mai detto? Gente tirchia! Tutti attaccati al più piccolo pezzo di carta. Per questo, vedendo quanto ci tenessero, ne ho raccolto qualcuno per fare in modo che non lo perdessero. Poi mi hanno sbattuto fuori… non so perché ma succede sempre… e non ho avuto modo per dirgli che avevo delle cose loro. Ma mi sono ripromesso che appena ripasserò da quelle parti ridarò loro tutto. Anche se non so come…»

«Va bene… va bene.» Lo zittì Perenor, studiando la mappa, insieme a Sturmir. «Be’, sembra che strada sia breve e relativamente facile… anche troppo.» Lanciò un’occhiata al bosco davanti a loro «Ma abbiamo affrontato demoni e siamo qui, quindi credo che qualche animale della foresta non dovrebbe farci così tanta paura, no?» La sua mente gli mandava immagini di animali mostruosi che lui si affrettava a ricacciare indietro. Deglutì ed una goccia di sudore freddo fece capolino sulla sua fronte.

«Bene, allora abbiamo una direzione.» Disse Aixela, improvvisamente a proprio agio nel prendere decisioni «Io e Ariaston apriremo la fila. Perenor e Sturmir la chiuderanno, mentre Lirian e Alathariel staranno nel mezzo.»

«E il kender?» Sbuffò il nano, indicandolo.

Aixela sorrise divertita: «Ha senso assegnargli una posizione?» Fece l’occhiolino «Pensiamo solo a fargli fare il minor danno possibile.» Diede una pacca sulla spalla al nano e poi si sistemò lo zaino, aspettando che tutti fossero in posizione (tutti tranne il kender).

E il gruppo cominciò ad incamminarsi.

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Capitolo 4

It's all so quiet

La strada era semplice. Anche troppo. Sembrava quasi che quella foresta quasi li invitasse ad addentrarsi dentro di essa, come se volesse guidarli verso la loro meta.

Non incontrarono nessun animale, nessuna creatura e nella loro mente cominciò ad insinuarsi il dubbio che forse non vi erano neanche insetti. Anche il cinguettio degli uccelli che aveva tanto affascinato Lirian sulla spiaggia era cessato per lasciare il posto al solo rumore delle fronde degli alberi che seguivano il soffiare del vento.

Il sentiero, che il kender aveva indicato come “La Via dell’Oro”, non aveva neanche il segno di un solo passaggio. Nessuno traccia di carri, zampe, piedi… nulla. Sembrava che fosse stato appena creato e che loro fossero i primi a passarci. Eppure si stavano dirigendo verso una città, verso quella che almeno in passato era stata una città. Ora magari si sarebbero trovati davanti ad una serie di rovine che avrebbero reso difficile individuare il tempio stesso. Oppure magari non vi era più nessun tempio e loro stavano inseguendo qualcosa che non esisteva, una speranza a cui aggrapparsi che sarebbe crollata.

Si accamparono per la notte in una zona che, stando alla mappa, doveva essere prossima alle porte della città. Decisero dei turni di guardia, anche se in cuor loro vi era la paura mista a certezza che non si sarebbe avvicinato nessuno. Eppure i racconti sull’isola erano terribili. La gente scappava ogni volta terrorizzata, non riuscendo a spiegare quello che aveva visto, ma in preda solo ad un’intensissima sensazione di orrore che l’avrebbe accompagnata per il resto della vita.

Esattamente come a quelli che toccavano la sua spada, si diceva tra sé Aixela.

Eppure… nessuna sensazione di terrore, nessuna creatura mostruosa… niente. In tutto il gruppo aleggiava un senso di curiosità insoddisfatta, mista alla gratitudine di non aver dovuto incontrare simili orrori. Ma quel silenzio e quella facilità mettevano più paura di ogni altra cosa.

Sturmir fece il primo turno di guardia.

Aixela sistemò il suo giaciglio e si addormentò con uno strano senso di inquietudine. Solo quando si sistemò la spada sul fianco per sdraiarsi comodamente si accorse che non l’aveva toccata per tutto il viaggio fin lì, come se avesse timore a prenderla in mano o anche soltanto a sfiorarla. Girò lo sguardo verso Lirian e la vide abbracciare la piccola elfa, addormentata in un sonno che sembrava agitato. E nell’oscurità sentiva gli occhi di Ariaston su di lei. E sentiva anche la sua paura.

Perenor aprì ancora una volta il libro, trovando ancora una volta le pagine bianche. Ma chiudendolo si accorse che il simbolo sulla copertina era cambiato. Era un disegno che sembrava composto da quattro diversi simboli che si intersecavano. Tre di essi assomigliavano ai tatuaggi delle tre ragazze. Ma il quarto non l’aveva mai visto. Poi la copertina cambiò e tornò come prima e lui arrivò persino a pensare che la stanchezza gli avesse giocato un brutto scherzo. Quindi si sdraiò sul suo giaciglio e tentò di chiudere gli occhi.

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Capitolo 5

I still haven't found what I'm looking for

Aixela svegliò gli altri delicatamente, ma servì a ben poco. Erano tutti svegli con la sola eccezione di Alathariel che dormiva il sonno degli innocenti. La notte era passata tra pensieri e paure. Avrebbero preferito avere a che fare con un attacco in piena regola, magari anche con un esercito, piuttosto che con un silenzio che faceva sentire loro il ritmico suono irregolare del loro cuore.

Il sole fu accolto come una benedizione e non ci volle molto per preparare l’equipaggiamento e mettersi di nuovo in cammino verso quella che doveva essere Merenil, la grande città maledetta.

Prima di partire, Perenor diede un’altra occhiata al libro, trovandolo ancora una volta vuoto. La sua mente lo costringeva a pensare che era un buon segno, essendo così vicini alla meta di non aver bisogno più di quello che vi era scritto in esso. Ma la sensazione di pericolo e di incompiutezza rimaneva ad ammorbare la sua anima come un vampiro assetato.

Si mise accanto a Sturmir nel chiudere la fila, come era stato programmato e si incamminò seguendo gli altri, lo sguardo basso e pensieroso di chi non vuol far vedere i propri turbamenti, ma che spera che qualcuno li possa alleviare.

Pochi minuti dopo la boscaglia si interruppe di colpo, aprendo la vista ad una radura tagliata in due dalla strada che stavano percorrendo. In fondo, qualche centinaio di metri più avanti, si ergevano le mura della città.

Già da quella distanza era possibile vedere alcune crepe e dei crolli da cui era possibile spiare l’interno fatto di case diroccate e abbandonate. Non un suono solcava l’aria. Non un movimento se non quello leggero degli alberi e dell’erba.

Ma la cosa che più colpì tutti fu vedere il kender marciare ordinato in mezzo ad Alathariel e Lirian, tenendo la mano alla piccola elfa. Nonostante il suo continua girovagare e la sua parlantina avessero irritato più di una volta il gruppo, il suo silenzio era ancora più fastidioso perché dava a tutti una sensazione di innaturale. Potevano sopportare l’assenza di ogni forma di vita. Potevano anche sopportare la paura per un viaggio troppo facile, come una trappola ottimamente orchestrata. Ma nessuno se la sentiva di sopportare un kender zitto e diligente.

I tentativi di indurlo ad esplorare e di andare in giro fallirono miseramente, così come fallì la richiesta di raccontare loro una storia. I suoi occhi erano pesanti, forse tristi, come in attesa di qualcosa di terribile.

L’unico che non appariva sorpreso da questo cambiamento del kender era Ariaston. L’elfo sembrava inquieto, agitato, in preda a qualcosa che non comprendeva ma che era capace di scompigliare la sua compostezza. Più di una volta era inciampato in qualche radice sporgente, cercando di non darlo a vedere.

Solo Aixela se ne era accorta… e la cosa non gli piaceva per niente. Sentiva un impulso irrefrenabile di impugnare la spada, pur se non vi erano pericoli visibili nelle vicinanze. Ma un’altra parte di lei rifiutava anche il semplice contatto con l’elsa, venendo addirittura infastidita dal contatto della lama nel fodero che sbatteva sulla coscia ad ogni passo. Nella sua mente la vedeva come un dito che le bussava sulla spalla per chiamarla, attirarla verso di sé con la promessa di qualcosa che non era sicura di voler conoscere.

Le alte mura della città sorpresero il gruppo nei pensieri.

La porta era divelta e aperta. Non vi sarebbe stata difficoltà nel passarla. Come non vi era stata difficoltà fino a quel momento.

Lirian fu la prima a staccarsi dal gruppo e fare il primo passo dentro Merenil, osservando gli edifici meravigliata da come tanta decadenza potesse risultare affascinante. Quasi tutti i tetti erano crollati, così come gran parte delle case. Era possibile vedere ancora qualche palazzo principale, come qualche sede diplomatica, il mercato, qualche villa di ricchi proprietari. Guardando quelle case dall’aspetto così familiare a quelle in cui tutti erano vissuti, nelle loro menti si infiltrò il pensiero che lì doveva abitare della gente comune, persone che erano esattamente come loro e che un tragico destino aveva spazzato via. Un destino che loro non conoscevano.

«Mamma mia quant’è grosso questo! Guardate che braccia… che gambe… che testa… e...» Era la voce del kender che stava di fronte ad una statua, una delle poche cose ancora intatte della città. Si avvicinò a Sturmir e gli bisbigliò qualcosa all’orecchio.

Il nano lo spinse via rabbioso e urlò: «Ma cosa cavolo ne posso sapere io di quanto è grosso quello che ha sotto la veste?» Poi vide lo sguardo della piccola elfa ed gli occhi imbarazzati di Lirian e arrossì a sua volta, abbassando la testa e bisbigliando parola di rancore contro il kender.

Perenor si avvicinò alla statua, riconoscendo in essa una figura a lui familiare ma che al momento non riusciva ad inquadrare. Gli venne in mente l’immagine di una piuma e di un cappello. Ma nulla di più.

Scacciando i pensieri dalla testa, si mise a leggere la scritta alla base. Poi guardò Aixela e disse con un accento che tradiva una soddisfazione velata dalla paura: «Il tempio… è lì.» Ed indicò un edificio quasi completamente crollato, situato proprio dietro la statua.

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  • 2 settimane dopo...

Capitolo 6

Ultra Violet (Light my way)

Il gruppo mosse i primi passi dentro le rovine, guardando in giro alla ricerca di qualcosa che potesse mettere la parola “fine” alla loro ricerca. Le borse del kender non riuscirono a farsi cadere dentro nulla, dal momento che vi erano solo sassi e pietre crollate. Lo si poteva vedere girare per il complesso con una faccia rassegnata e soprattutto annoiata… e tutti nel gruppo sapevano quanto poteva essere pericoloso un kender annoiato. Per questo non smisero per un attimo di cercare un ingresso, magari una botola che portasse sottoterra. Infatti tutti si aspettavano un’entrata del genere, dal momento che in superficie non vi era nulla che potesse definirsi un edificio.

La pazienza e il coraggio cominciavano a venire meno. Dopotutto erano al tempio, la loro meta, il luogo che avrebbe risolto molte cose irrisolte dall’inizio del loro viaggio. Vi era la profezia. E una profezia non poteva sbagliare, visto che non avevano fatto nulla per deviare da quello che diceva. Ma era anche vero che mancava l’Astuto.

Improvvisamente Aixela ebbe la sensazione che sarebbero dovuti tornare indietro per cercare questa persona mancante. Forse solo con essa avrebbero potuto avere accesso al tempio… sempre che vi fosse un accesso.

«Ops!»

Quel suono riempì di terrore tutto il gruppo, più di una carica di orchi, demoni e diavoli messi assieme. In tutto il mondo tutti sapevano che la parola più terribile da sentire era proprio quella, se pronunciata da un kender.

E la voce era proprio quella di Garfuss.

Perenor si girò, chiudendo gli occhi, come se non fosse certo di voler vedere quello che era successo, mentre Sturmir faceva lo stesso passandosi una mano sul volto e sospirando. Ariaston non ebbe neanche il coraggio di girarsi, mentre Lirian guardò Aixela intensamente pregustando l’amaro di un disastro imminente.

«Ora capisco perché qui è tutto crollato! Non sanno costruire niente! Volevo solo vederlo meglio in faccia perché è così simile a quel simpatico vecchietto che dice quelle parole strane e che ci ha fatto uno scherzo con quel libro scritto con inchiostro simpatico… che poi tanto simpatico non è visto che sparisce in continuazione. Che ci troveranno di simpatico? Mi ricordo di quando trovai una pergamena vuota che un mago voleva assolutamente senza che io capissi perché. Mi diede anche del ladro, ma io l’avevo solo raccolta dal suo tavolino che aveva lasciato abbandonato e quindi preda di chiunque avesse voluto prenderla… ma questa è un’altra storia e qui… ma perché mi guardi così, Sturmir?»

Aixela fece un solo gesto con la mano e disse ai due di finirla. Si avvicinò poi alla statua e vide il punto in cui il kender aveva aperto un foro, tentando di arrampicarsi fino al volto. La statua dentro era vuota… anzi, non era proprio vuota, ma copriva qualcosa. Con l’aiuto degli altri (e del kender che fu ben felice di avere qualcosa da fare) prese a colpire la figura che si frantumò sotto gli occhi di tutti, rivelando al suo interno una sorta di altarino con una fessura al centro.

Con una mano passò sopra lo strato di polvere bianca che si era formato sulla superficie, rivelando anche dei simboli, posti intorno alla fessura come se fossero ai vertici di un invisibile triangolo.

Il cuore le balzò in gola e non poté fare a meno di farsi scappare un gemito quando si accorse che erano identici a quelli che avevano Lirian, Alathariel… e lei. E quella fessura sembrava fatta proprio per accogliere la sua spada, pur se ancora non si capacitava di questo. La sua spada era un’arma normale. Bellissima. Perfetta. Ma pur sempre forgiata dalle sue stesse mani, usando semplici, seppur raffinate, tecniche di forgiatura. Nulla di magico o di predestinato, quindi.

Eppure… prese la sua arma, pur se con un’evidente riluttanza, infilandola nella fessura con lentezza, come se avesse paura che potesse venire risucchiata in qualche modo. O come se avesse paura che l’acciaio stesso potesse risucchiare la sua anima.

La lama entrò con facilità e si bloccò pochi millimetri prima di arrivare all’elsa.

Tutti si aspettarono un rombo, uno scatto, qualcosa che si aprisse.

Nulla.

Delusa, Aixela tentò di tirare fuori la spada. Ma essa era bloccata. La mano cominciava a bruciarle, espandendo il calore lungo il braccio. Tentò di ritrarla, ma scoprì di non potersi muovere, di essere come incollata all’elsa.

Si guardò intorno in cerca di aiuto.

Solo allora si accorse che il suo corpo stava brillando di una luce viola intensa, illuminando le rovine.

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