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La nostra storia...


Kordian

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Come immaginava quegli orchetti non erano durati molto.

L'umano sembrava potersela cavare abbastanza bene, con la spada; alcune mosse, alcuni movimenti e l'istinto che lo guidava non erano nuovi ed inesperti, non erano da tutti.

C'era esperienza in quel polso e in quel braccio, ma qualcosa sembrava appannarla; ma la drow e il nano erano riusciti tranquillamente a sbaragliare gli avversari, e ora la situazione era nuovamente tranquilla.

Ariaston non si era mosso dalla sua posizione per tutta la durata del combattimento, limitandosi a osservare e controllare la situazione tutt'attorno. Perenor era andato loro incontro, verso il termine dello scontro, e aveva potuto soccorrere prontamente Iskra, con la sua magia curativa.

Era intervenuto anche leggermente su quell'umano, guarendo qualche ferita vecchia ancora aperta.

Ma appena era stato portato al loro accampamento, l'elfo aveva capito alla prima occhiata che più che altro aveva bisogno di riposo e cibo quell'uomo.

Era stato disteso su un piccolo giaciglio nell'accampamento. Il chierico aveva medicato qualche ferita con acqua e bende che aveva trovato qua è la. Non era di certo equipaggiamento da medico, ma meglio sicuramente del sudiciume che lo ricopriva.

Iskra aveva analizzato i corpi degli orchetti, mentre li nascondeva tra i cespugli gli attorno per non farli trovare da altri nemici; ne aveva dedotto che non erano guerrieri, non normali.

Uno era zoppo, e aveva un pesante cinturone con qualche chiave appesa. Gli altri erano privi di armature serie, e erano armati di semplici spade, anche un po' logore. Dei guerrieri "professionisti" sarebbero stati meglio equipaggiati, magari con balestre, e non si sarebbero mai portati dietro uno zoppo con loro.

No, la situazione era strana, e quell'uomo aveva molto da spiegare.

La giornata scorse tranquilla, e a sera si resero conto che il giorno dopo sarebbe dovuta giungere la nave di Paltron.

Prepararono al meglio tutto l'equipaggiamento e tutto quello che venne in mente per potersi imbarcare in fretta.

Ma capivano che l'assenza di quegli orchi, e di quell'umano, avrebbero suscitato una certa agitazione sull'isola.

L'umano dormì parecchio, e Ariaston lo osservò.

Aveva una certa età, e appariva mal nutrito e stanco. Il corpo era ricoperto da parecchie cicatrici, il che denotava un passato da combattente, anche esperto se ancora vivo.

Osservò a lungo la sua spada, che era stata posta lontano da lui. Ancora non sapevano se fidarsi o meno.

Ma l'arma non era una spada qualsiasi. Era uno stocco ben fatto, ben equilibrato, con un elsa non comune. La osservò a lungo analizzandola, studiandone le proporzioni.

Capi subito che un arma del genere bisognava saperla utilizzare bene, per

pensare di poter sopravvivere ad uno scontro. Era leggera, e quindi contava velocità e precisione, più che potenza.

Ma la velocità e la precisione non nascono da sole, e hanno bisogno di addestramento per diventare efficaci e affidabili. Afferrò l'arma, la soppesò, e tentò qualche affondo e qualche movimento.

No, non era un arma per lui. Ancora troppo pesante e ingombrante; preferiva il filo della sua daga e del suo pugnale.

Però, dopo molto tempo, era tornata in lui quella passione per le armi; non aveva saputo resistere alla tentazione di usarla, apprezzrla e saggiarla. L'ultima lama ad avergli fatto quell'effetto era stata la spada di Aixela..

La riappoggiò alla parete, distante dall'uomo, e tornò ad osservarlo. Si avvicinò a lui, e studiò le mani; leggere, sinuose, ma forti e decise. O almeno è questa l'impressione che davano.

Stava ancora osservando le mani, e il corpo, per poterne intuire i segreti, abitudine da guerriero, quando l'umano si mosse.

Si stava svegliando, e Ariaston si rialzò lentamente, curioso, e si appoggiò alla parete.

Lentamente si scosse, poi aprì gli occhi sollevandosi un attimo con le mani,; poi saltò in piedi, accucciato sulle gambe, appena notò i piedi dell'elfo pochi passi da lui.

Ariaston comprese subito che non era un caso se era stato cosi pronto; era un abitudine, un riflesso di anni a tenerlo vigile anche appena sveglio.

"Ben svegliato..rilassati, non sei in pericolo"

La voce dolce e delicata dell'elfi danzò attorno alle orecchie di quell'uomo affaticato, insinuandosi lentamene. La sopresa fu evidente negli occhi dell'altro.

"E poi..preso come sei non ti fa bene fare movimenti cosi bruschi.." aggiunge con un sorriso. Il suo volto era particolare, lo sapeva, sconvolto da quella cicatrice di traverso, dall'assenza di sopraciglia, ma con la voce calda e avvolgente. Stava appoggiato alla parete, con il mantello scuro che lo ricopriva lungo i fianchi, e le mani appoggiate al muro dietro di se, con le natiche appoggiate su di esse.

L'umano lo stavo osservando stupito, ma il suo sguardo correva anche alla spada poco più in la, proprio oltre a quell'elfo.

"Chi sei?". Ariaston fu diretto. Inutile girarci attorno.

"Chi sei, e perchè sei ancora vivo su quest'isola?"

Qualche momento di silenzio ancora, mentre anche gli altri si avvicinavano, incuriositi dalle voci che avevano sentito, e poi l'umano si rilassò un attimo...

(a te serghuio ;))

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Paltron non si trovava a proprio agio con quell'uomo sulla propria nave.

Non aveva dato problemi, anzi.

Si era dimostrato disponibile al lavoro, dimostrandosi anche infaticabile e preciso, e aveva fatto tutto quello che gli era stato detto per ripagare il viaggio.

Ma era comunque strano.

Molto silenzioso, e meditabondo, sembrava in attesa di qualcosa. Sembrava conoscere gli altri strani viaggiatori che il capitano si apprestava a imbarcare, il giorno dopo, ma non ne aveva mai parlato veramente.

Chissà se li aveva mai incontrati.

Non si fidava di lui, e aveva incaricato un paio di uomini di tenerlo d'occhio, con discrezione, e di prestare ancora più attenzione nel momento che gli altri si fossero imbarcati.

Si ritrovò a interrogarsi sugli altri viaggiatori.

Erano tipi strani, li ricordava, ed erano approdati su un isola altrettanto strana. Chissà se erano ancora tutti vivi?

Ben in pochi erano tornati da quella terra maledetta, ma quando erano scesi loro il panorama era completamente diverso. Quindi poteva anche essere che fossero li sulla riva ad aspettarlo..

Non contava di ritrovare la scialuppa che aveva dato loro, e avrebbero pagato qualcosa in più per questo, ma era curioso di sentire che avevano da dire.

Si accostò al monaco, a Columbus, che era fermo sul ponte, con le braccia incrociate sul petto, a osservare l'orizzonte, o forse l'isola già in vista.

"Bello il mare eh?" . Era al suo fianco, e osservava anche lui l'orizzonte ora.

"So che sta aspettando quell'isola. O meglio, sta aspettando i miei nuovi ospiti, previsti per domani."

Fece una pausa, lasciando decantare le parole.

Poi si voltò di lato, ad osservarlo, ed incroci lo sguardo di quell'uomo, sostenendolo.

Era un uomo maturo ormai, e da tempo non aveva paura di dire come la pensava e di sostenere lo sguardo di un uomo. Anzi, il più delle volte erano gli altri uomini ad avere difficoltà a sostenere il suo.

Non questa volta.

Si guardarono lungamente e in profondità negli occhi, e nessuno dei due esitò un istante, ma senza aggredirsi. Si consideravano allo stesso livello, inconsciamente, uno padrone della propria nave, l'altro, probabilmente, padrone della propria vita.

"Non voglio creare dissapori, o risultare scortese, nella mia stessa dimora, ma vorrei assicurarmi che non sorgano problemi domani, quando arriveranno gli altri. Sa, io non la conosco, e sebbene non mi abbia dato alcun tipo di problema o di preoccupazione finora io debbo preoccuparmi anche della comodità dei miei ospiti futuri.

Lei dimostra un particolare interesse nei loro confronti, e vorrei semplicemente assicurarmi che sia un interesse sano.

Sono il capitano della nave, e il padrone di casa, e le eventuali liti si risolvono altrove, non nella mia dimora.

Mi auguro di sbagliarmi con queste miei preoccupazioni, e che lei saprà sorprendermi piacevolmente."

Sorrise, riflettendo sui denti il sole al tramonto, alcuni dorati, altri bianchi candidi.

"La aspetto per cena, al mio tavolo, dove sarà ospite mio personale anche questa sera."

Sorrise nuovamente, e si allontanò tranquillo, dando un occhiata alle vele, e un ordine ad un suo uomo che stava perdendo tempo..

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  • Amministratore

Il monaco entrò nella saletta degli ufficiali. Anche questa sera, Paltron aveva preferito cenare con lui da solo. Si sedette al tavolo, di fronte al capitano, mentre un anziano inserviente serviva la cena: una portata di pesce per Paltron, e una semplice ciotola di riso per lui.

Subumloc giunse le mani e mormorò la sua preghiera di ringraziamento. Come ogni sera, Paltron lo fissava incuriosito, chiedendosi a quali forze quello strano uomo rendesse grazie, in un linguaggio che non conosceva, ma che esprimeva serenità.

Cominciarono a mangiare. Paltron, come ogni sera, intavolò una conversazione piuttosto formale, su luoghi visitati e gente conosciuta. Ma questa sera il monaco non aveva voglia di conversare.

"Paltron, mi ascolti" lo interruppe. "E' arrivato per me il momento di ripagare, per quanto mi è concesso, la fiducia che ha riposto in me. Lei ha molte domande da fare, anzi me ne ha già poste alcune, e ora tocca a me rispondere.

Lei stesso ha ammesso di non conoscere i viaggiatori che stiamo andando a incontrare. Ma sono sicuro che qualcosa di loro è riuscito a intuire, come ha fatto con me. Sono un gruppo eterogeneo, e ognuno di loro porta con se un passato difficile e un futuro pericoloso."

Paltron annuì. Sembrava che il suo interlocutore riuscisse a dare forma ai dubbi che si agitavano da tempo nel suo animo.

"Le confesserò, Paltron, che neppure io li ho mai incontrati" continuò il monaco. "Nè loro hanno mai sentito parlare di me. Eppure, le loro azioni non sono sfuggite a coloro che mi hanno mandato qui. Io devo, in qualche modo, assicurarmi che il loro futuro sia meno pericoloso."

"Mi sta dicendo che è qui per essere l'angelo custode di una manica di sconosciuti?" chiese Paltron incredulo.

Sul volto di Subumloc apparve un accenno di sorriso. "Non sono sicuro che sia l'espressione giusta... comunque, se le mie parole non bastano a convincerla, devo chiederle di seguirmi."

I due uomini lasciarono quel che rimaneva della loro cena e salirono sul ponte. Paltron seguì il suo ospite fino a prua, e lì i due rimasero a guardare l'isola che si avvicinava sempre di più. La luna, che si rifletteva sul mare, conferiva alla scena una luce irreale.

Il monaco spezzò il silenzio. "Guardi quell'isola, capitano. Quante volte l'ha vista, in vita sua? Eppure, sono sicuro che oggi le sembra diversa."

"Hai ragione" rispose Paltron, passando senza rendersene conto al "tu". "Sembra quasi più... tranquilla, come se fosse libera..."

"Esatto. Libera da una presenza malefica che vi risiedeva. Il problema è che se ora quella presenza non è sull'isola, deve essere fuggita da qualche altra parte... e io ho bisogno dei tuoi viaggiatori per fermarla di nuovo."

Paltron si voltò verso di lui, gli occhi spalancati. Normalmente non si sarebbe scomposto davanti ad un'affermazione del genere, ma il tono di quell'uomo e quello che lui stesso riusciva a percepire non gli lasciavano dubbi. Pareva che una calamità si stesse per abbattere su tutti loro, e che questa fosse la calma prima di una tempesta.

"Le cose stanno cambiando" continuò Subumloc. "Su quell'isola non ritroverai lo stesso gruppo che vi hai lasciato. Alcuni se ne sono andati, e altri si sono uniti al cammino. Fidati di loro, anche se non li conosci; io stesso garantisco per loro. E soprattutto non temere, in questa battaglia nessuno di noi è solo."

Paltron lo guardò negli occhi, poi si volse di nuovo al mare. Se quell'uomo aveva ragione, le prospettive non erano per niente buone. Eppure, lo sguardo di quell'uomo era saldo, come se non ci fosse un'altra via più giusta da seguire...

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Volti. Sensazioni. Risate. Dolore.

Tutto questo entrò nella mente di Aixela nel momento in cui posò lo sguardo a terra, osservando l'erba che cresceva sotto quell'abero dove l'aveva condotta la sua compagna.

Non capiva eppure sapeva tutto. Non ricordava eppure aveva vissuto tutto.

Scese da cavallo e saggiò l'erba con la mano. Era morbida al tocco. Si portò il palmo agli occhi e lo vide sporco di sangue. Il suo. Poi venne gettata a terra, la testa che colpì ferocemente la corteccia. Sapeva che tutto questo non stava succedendo, ma non riusciva ad uscirne. Era tutto troppo intenso. Sentì delle mani che le prendevano le caviglie, tenendole ferme. Un al'tra stretta ferrea le serrò i polsi, lasciandola inerme, capace solo di divincolarsi... ma da cosa... da chi?

La mente le restituì l'immagine del riflesso di una lama, un pugnale forse. Lo sentì sulla gola, sentì quella punta acuminata pungerle la pelle, seguita dal calore di altro sangue. E quel calore assunse anche la forma di sapore nel momento in cui un pugno le colpì le labbra, ferendole. Un'aroma metallico si sparse per la sua bocca, unito al salato di lacrime... e di gocce di sudore di... di...

Aixela si alzò in piedi di scatto. Girò la testa verso la prima casa visibile del villaggio e cominciò a camminare con passo deciso verso di essa. Arrivata sulla porta sfoderò la spada, illuminando il legno di un minaccioso chiarore violaceo. Trattenne un calcio per sfondarla e bussò.

Le aprì un ragazzo dall'aria beffarda. Appena la vide i suoi occhi si illuminarono di malizia, pur se condita con una leggera paura.

«Desidera?» Le chiese.

Aixela non rispose. Avanzò verso di lui con la spada sguainata, gli occhi luminescenti carichi di odio. Il ragazzo non capiva, finché notò una figura alle spalle di quella strana ragazza, una figura familiare... e proprio nel momento in cui la lama luminosa gli spaccava il cuore capì.

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Il soldato osservava la ragazza con uno sguardo carico di paura. Alla sua destra lingue di fiamma uscivano da una casa, accompagnate da urla di gente disperata che correva per le vie del villaggio con gli abiti ridotti ad una torcia ambulante. Dietro di lui il panico imperversava per le strade: poteva sentire le grida delle donne che scappavano, mettendo in salvo i propri figli, mentre il fuoco mangiava altre case illuminando il crepuiscolo. A sinistra la piccola caserma che aveva appena lasciato offriva un macabro spettacoli di corpi mozzati dalla precisa lama di una spada, la stessa lama che la ragazza davanti a lui sta tenendo in mano.

«Fermati!» Le intimò, sentendo lui stesso il tremolio nelle sue parole.

La ragazza avanzava lentamente verso di lui, l'arma nella sua mano che brillava di un viola intenso, come i suoi occhi. Sembrava scandire il tempo con i suoi passi, un tempo che a lui appriva sempre più stretto.

Poi improvvisamente la ragazza si fermò, guardando un luogo alla sua sinistra. Sembrava provare un dolore intenso che riusciva a mascherare a malapena. Ma durò poco e o suoi occhi dolenti si trasformarono presto in un acceso sguardo di odio. Alzò la spada dritta davanti a lei e una scia di fuoco partì con un sibilo crepitante verso una casa ancora non completamente in fiamme, lacerandola e strappando delle grida dal suo interno. Un sorriso le disegnò il volto, ma era un sorriso distorto.

Poi continuò ad avanzare verso di lui, senza un grido, una parola... niente.

Alla fine per lui fu solo questione di morire.

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Aixela guardò la testa dell'uomo rotolare a terra, notando come la ferita era stata immediatamente cicatrizzata dal calore magico della sua lama. Le diede un calcio e la osservò finire nella porta di una delle tante case in fiamme, toccando una lingua di fuoco e bruciando lentamente sotto quegli occhi viola carichi di odio.

Si girò di nuovo verso la strada e cominciò a camminare per il villaggio ormai ridotto ad un cumulo di legna fiammeggiante. Osservò il luogo con malcelata soddisfazione, cercando un luogo che ancora non fosse stato dato in pasto alle fiamme, una persona che non fosse ancora sfuggita alla sua collera. Vedeva le donne fuggire con i bambini, sentendo si di lei i loro sguardi impauriti. Non le avrebbe mai fatto loro del male, ma immaginava che loro non potevano saperlo.

Invece tutti gli altri dovevano morire. Tutti quelli che avano taciuto, che erano stati in silenzio, che avevano permesso che accadesse una cosa del genere. E sarebbero morte anche quelle ragazze, ormai donne, che avevano riso di soddisfazione nell'apprendere il fatto.

Ed infatti erano morti tutti. Il villaggio intero era stato dato alle fiamme con il solo scopo di cancellarlo dalla faccia della terra, come se la sua scomparsa potesse significare la cancellazione dei ricordi. Invece non era così. Essi c'erano e sarebbero rimasti a vita. E la cosa invece di darle del dolore o di farle apaprire inutile la sua vendetta, alimentava il suo odio.

Si fermò sotto una torretta delle guardie, osservando i corpi carbonizzati in cima ad essa, lasciandosi cadere a terra, scivolando con la schiena lungo uno dei pali si sostegno.

Solo allora si accorse di avere una ferita al braccio, poco sopra il gomito. Ne scoprì un'altra sulla coscia e infine una che le disegnava una sottile striscia rossa proprio sull'addome. Non era profonda.

Si toccò il viso e sentì un taglio sulla guancia destra, osservando poi il sangue sulle sue dita. Si sentiva stanca, spossata. Solo in quel momento si accorse di stare sudando e ansimando. Guardò quello che rimaneva del villaggio con gli occhi di chi si è appena svegliato e vede che il suo incubo è reale.

«Soddisfatta?»

Si alzò immediatamente in piedi, la spada pronta a colpire. Davanti a lei si ergeva Ashling, guardandola con un'espressione che lei non aveva mai visto in quel volto così duro. Era un'espressione di complicità, di compassione, ma soprattutto era un volto che dichiarava la sua comprensione.

«Ora capisci tante cose di me, anche se non tutte.»

Aixela annuì, abbassando la spada. «Capisco... è vero... ma non so perché... cioè, so che è stata una cosa orrenda, ma...»

«... ma ancora non hai capito perché mai una cosa del genere, per quanto orrenda, mi abbia portato a prendere la decisione che ho preso.»

«No... non è questo.» Alzò lo sguardo e incontrò quello di Ashling. Vedendo quell'espressione sul suo volto rimase un attimo interdetta, poi riprese. «Non capisco come mai con i tuoi poteri hai permesso una cosa simile.»

La ragazza in nero strinse i pugni. «Chiedilo a mia madre!»

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La sua mano saettava, trafiggendo i cuori dei suoi avversari. Non li vedeva in faccia, la loro figura era sfuocata, una macchia bianco-azzurra nello spazio nero in cui si trovavano. Tutto intorno a loro, infatti, non v’era altro che un’indefinita cappa scura, che gli precludeva la vista. I nemici si formavano dal nulla, erano decine, centinaia, ma nulla lo poteva fermare, era felice, entusiasta, invincibile…LUCE!

Un rumore l’aveva svegliato, roteò gli occhi; al margine del suo campo visivo scorse un volto chiaro, segnato da una profonda cicatrice. Scattò in piedi, accucciandosi, pronto all’azione. Gli occhi dell’elfo lo fissavano con intensità e curiosità. Accanto all’individuo appoggiato alla parete della stanza, avvolto nel suo mantello,(siamo in una stanza?) c’era il suo stocco. L’elfo lo rassicurò con la sua voce avvolgente, chiedendo informazioni su di lui. Si rilassò, non avrebbe avuto niente da perdere, inoltre ora si rammentava di come l’avessero aiutato, salvandolo da morte sicura contro gli orchetti, ed intuiva che qualcuno l’avesse curato, così ristorato come si sentiva. Iniziò la sua strana storia, partendo dal suo nome, dal sapore esotico, Shamaryal. Raccontò della sua posizione di guardia reale, del tradimento, della fuga, del naufragio e della prigionia. Di quella prigionia di cui non aveva ancora compreso né l’utilità né il senso. Chi era lui? Un abile duellante delle isole del sud, di cui dubitava gli orchetti sapessero qualcosa. Era sicuro che ci fosse qualcuno di grosso calibro, alle spalle dei rozzi guerrieri dell’isoletta. Si passò una mano fra gli sporchi capelli, grigi e lunghi, che gli coprivano il volto incrostato dalla sporcizia ed avvolto da una lunga barba di 7 anni, parzialmente pulito dai suoi salvatori. Facendolo vide le ferite ai polsi accuratamente fasciate e pulite, e fu grato allo strano gruppo. Già, chissà da dove erano arrivati, un nano, uno strano elfo, un’elfa nera, e…alcuni altri, che ora si avvicinavano, incuriositi dal risveglio dello spadaccino. Sham si alzò, salutando con la cortesia che contraddistingueva un cavaliere del suo rango, tutti, dalla piccola bambina elfa, al massiccio nano, presso il quale stava un alto uomo, probabilmente un chierico, dati i suoi simboli religiosi. Si sentiva rinfrancato, ora avrebbe avuto solo necessità di riposo e di un po’ di allenamento. Ma intuiva che ciò non sarebbe stato possibile, aveva notato che quella scalcinata compagnia ne aveva passate tante, e così sarebbe stato per un bel po’ si tempo a venire. L’allenamento, immaginava, sarebbe stato sostituito da pratica sul campo… Per ora non avrebbe detto altro, si fidava di quegli individui, ma lui stesso doveva schiarirsi le idee. Avrebbe ascoltato la loro storia, sembrava dovessero raggiungere una nave che li aspettava a largo del tempestoso mare intorno all’isola. Bhè, non rimaneva che unirsi al gruppo ed ascoltare la loro lunga storia…

spero vi piaccia, ditemi.

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ne ha capite di cose, il prode spadaccino :D :D :D

cmq per me va bene... ;)

Vorrei sapere che ha intenzione di fare Strike, con quel Kyton e il Lich, perchè Paltron si avvicina e bisogna gestire la cosa..spero si faccia sentire, altrimenti prendo in mano anche io i cattivi :twisted:

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Ariaston aveva sentito abbastanza. Che Sturmir, che sicuramente amava le storie più di lui, raccontasse al nuovo arrivato tutta la vicenda. Silenzioso come sempre, scivolò via dal gruppetto, controllando che non ci fossero altri orchetti nei paraggi. La zona sembrava pulita, anche secondo i suoi sensi affinati dalla magia. Tanto valeva dirigersi verso la spiaggia.

Muovendosi rapido, in mezz'ora era arrivato alla costa sabbiosa dell'isola. Guardò verso il mare chiedendosi quanto ancora avrebbero dovuto aspettare il capitano Paltron. Poi la vide. All'orizzonte, ma si stava sicuramente avvicinando, c'era un puntino bianco. Utilizzando la sua magia naturale, Ariaston spinse la sua percezione verso i gabbiani che volteggiavano sul mare. Era una nave, e sembrava proprio quella di Paltron!

L'elfo si affrettò a tornare indietro per avvertire i suoi compagni.

"Gettate l'ancora! Paddeen, Quox, preparatevi a scendere con la scialuppa!"

Il capitano Paltron dirigeva le operazioni sulla sua nave con la naturalezza del veterano. Intorno a lui, decine di marinai si muovevano indaffarati.

Il monaco si avvicinò al capitano, che non si rese conto della sua presenza fino a quando quest'ultimo gli appoggiò una mano sulla spalla.

"Capitano" disse Subumloc, "ritengo opportuno che solo noi due scendiamo a terra. Potrebbero esserci delle sorprese, ed è meglio che i tuoi uomini ne restino fuori."

"Io... e va bene. Paddeen, Quox, tornate a bordo! La scialuppa è mia! Negbert, prendi tu il comando fino al mio ritorno!"

Il gruppetto di viaggiatori aspettava, sulla spiaggia, l'arrivo della scialuppa. Ariaston, alcuni passi più avanti, osservava la piccola imbarcazione che lentamente si faceva strada verso riva. Era piuttosto sorpreso che ai remi ci fosse lo stesso Paltron, accompagnato da un tizio vestito in modo strano. La sua mano accarezzò l'elsa del pugnale.

La scialuppa toccò terra, e i due uomini scesero e si avvicinarono all'elfo. Paltron e Ariaston si strinsero la mano, con la stretta decisa dei vecchi compagni d'arme. I tre si avvicinarono al gruppetto, dove Sturmir e Perenor salutarono il capitano.

La scena, però, era piuttosto tesa; ciascuno fissava i volti delle persone che non aveva mai visto. Fu il capitano a spezzare il silenzio: "Credo che ci siano delle presentazioni da fare, o sbaglio?"

"Ha ragione" rispose il monaco. "Il mio nome è Columbus. Appartengo ad un antico ordine monastico, e sto attraversando il mondo per aumentare la mia conoscenza della Verità" continuò, con un inchino.

"Benvenuto" rispose Sturmir, presentando anche gli altri componenti del gruppo. Alla fine, indicò i nuovi arrivati "E loro sono Iskrà e Shamaryal. Li abbiamo incontrati su quest'isola, in circostanze piuttosto... movimentate. Ma lasciamo le storie per quando saremo a bordo."

"Iskrà?" chiese Subumloc. "Koorne hafeallis gareenad drow?"

Tutti si voltarono verso di lui, con un espressione perplessa, chiedendosi cosa diavolo avesse detto. Solo Iskrà, che aveva capito la domanda, rivoltagli nella variante dell'elfico utilizzata tra gli elfi scuri, lo fissava a bocca aperta. "Come... come fai a saperlo?"

"Te l'ho detto, sono in cerca della Verità... e credo che non ti farà male essere sincera con noi."

Iskrà annuì, poi si sfilò l'anello, rivelando il suo vero aspetto. Mentre sul volto del monaco si allargava un sorriso di comprensione, il capitano deglutì rumorosamente, poi si rivolse al suo compagno di viaggio. "Tu lo sapevi? E' per questo che hai voluto farmi scendere a terra?" Subumloc annuì. "Bene" proseguì il capitano, sforzandosi di ritrovare il suo tipico sangue freddo. "Ora che ci siamo presentati, possiamo tornare a bordo... ma prima, giovane elfa, vorrei chiederti di rimettere l'anello, perché i miei uomini potrebbero reagire decisamente peggio di me. Andiamo!"

Il gruppetto si incamminò verso la scialuppaguidati da Paltron e dal monaco. Ariaston aspettò che tutti fossero passati, per chiudere il gruppo. La sua mano era sempre sul pugnale. C'era qualcosa, una vaga sensazione di inquietudine, che lo sfiorava... e non lo avrebbe abbandonato fino a quando non fossero stati al sicuro sulla nave... non vedeva l'ora di lasciare questa maledetta isola dimenticata dagli dei.

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Ottimo Subumloc!

Ora vediamo se strike si rifà vivo qua dentro, altrimenti proseguo io.

Ho già qualche idea..se mi lasciate un po' di tempo posto quello che ho in mente.

Strike l'ho già avvertito via mp, e se ha tempo posta, altrimenti arrivo io ;)

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La terra si cosparse di vesciche e fumò mentre i minerali fondevano in lava incandescente, gli alberi si piegavano e la magia della convocazione si addensava nell'aria. Il lich non era nè debole, nè inesperto... trattenne il potere per quel tanto che gli fosse sufficiente a non essere distrutto e poi lo scagliò quasi nell'aria davanti a sè.

Chiamò ancora più forte, mentre i divieti si assottigliavano sotto i colpi improvvisi della sua magia.

Nella radura cominciò a materializzarsi qualcosa.

E poi vennero i gemiti, la terra che si squarciava in una fessura d'abisso.

Attraverso di essa una forza spaventosa si lanciò improvvisamente, se avesse fatto breccia nei suoi poteri l'Inferno stesso si sarebbe riversato in quel bosco e neppure il lich avrebbe potuto farci nulla. E poi non era quello che Lei voleva.

Li trattenne e li cacciò indietro, con vigore.

Stavolta non aveva bisogno di tutto l'Inferno, ma soltanto di un piccolo, ma consistente frammento.

L'aria esplose, gettando a terra gli alberi più vicini e cristallizzandoli nelle fiamme, quasi che fossero stati dei fuscelli e l'apparizione divenne realtà. Un incubo vivente che poggiava i suoi arti sulla cenere.

OBBEDISCIMI! Tuonò il lich avvolgendo la creatura nelle spire della magia nera e del proprio pensiero.

Quella avanzò verso di lui, avrebbe potuto frne un sol boccone se avesse voluto. Ma poi all'ultimo istante si fermò.

I suoi obiettivi erano ben altri. Li dilanierai, potrai fare tutto ciò che desideri di essi...

ED ORA VA'!

In risposta al suo pensiero la creatura allargò le ali e si librò con un salto nelle tenebre, quale anatema che copra le stelle in un'orribile maledizione. Sotto di lei gli alberi appassirono ed incenerirono, mentre l'aria veniva come risucchiata in un vuoto.

AFFONDA QUELLA NAVE ED ASSICURATI CHE MUOIANO TUTTI!

Un grido terribile ed angosciante gli rispose, avrebbe obbetdito ai suoi voleri. Il lich finalmente richiamò a sè la sua magia e sopì il terribile potere che aveva utilizzato.

Nulla più di vivente esisteva lì attorno, mentre la terra fusa si solidificava nuovamente, rosseggiando minacciosa quale soglia fragile che potesse di nuovo aprirsi. Per il resto nulla di più di un paesaggio lunare, un'orrenda ferita insanabile...

Se avesse potuto il lich avrebbe respirato con piacere quell'aria intrisa di cenere e di morte.

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Aixela cavalcava silenziosa al fianco di Ashling, ascoltando i veloci zoccoli dei cavalli che colpivano il terreno del sentiero. Nella sua mente aveva ancora le immagini di quel villaggio, ora cancellato dalla faccia della terra. Vedeva le fiamme che lambivano le case, i corpi carbonizzati di chi era rimasto dentro di esse o aveva tentato un'inutile fuga. Vedeva anche i copri con gli arti mozzati, con le teste tagliate o con orrende ferite sul corpo. E non capiva se rabbrividire o compiacersi del fatto che quel lavoro era stato fatto proprio dalla sua spada.

Ashling rallentò la sua corsa e Aixela fece altrettanto. Si trovavano ora in una radura lontana da quel villaggio fantasma, dirette verso la grande città di Kradir. Da lì si sarebbero poi dovute dirigere verso i monti Kylionberg, dove avrebbero risvegliato i draghi sopiti da un lungo sonno e dall'attesa del ritorno della loro dea. Poi era solo questione di volare verso la distesa sabbiosa di Kraansand e risvegliare i morti dal quel cimitero abbandonato e maledetto, dove facevano la guardia da millenni.

Il momento era quasi giunto. Ancora pochi giorni di viaggio e sarebbero arrivate ai monti. E da quel momento il mondo sarebbe cambiato.

Ma prima Ashling sapeva che doveva fare una cosa, che doveva chiarire alcuni dubbi di Aixela. Si scoprì a pensare che però non lo faceva solo per tirarla ancora di più dalla sua parte, ma perché credeva di doverglielo per una sorta di correttezza nei suoi confronti. Si era gettata al suo seguito, dando ascolto soltanto a sensazioni a malapena percepite. E aveva anche provato sulla sua pelle quello che le era successo, quell'evento che l'aveva cambiata. Glielo doveva.

«Mio padre era un bellissimo uomo, un onesto abitante della città di Merenil.» Cominciò Ashling, sospirando sotto gli occhi attenti e sorpresi di Aixela. «Era un semplice stalliere alle dipendenze del tempio locale. Sua moglie era morta qualche tempo addietro e lui ne soffriva ancora la mancanza. Per questo ogni giorno andava al tempio a pregare, offrendo doni che a malapena poteva permettersi.

«Un giorno, mentre entrò nel tempio, lo trovò stranamente vuoto. C'era solo una donna, una bellissima donna dai lunghi capelli neri e gli occhi profondi come la notte. Gli disse di chiamarsi Alixa e di essersi perduta. Lui la ospitò anche se,per dare da mangiare a lei, non avrebbe potuto mangiare lui stesso.

«La cosa andò avanti per una settimana, finché un giorno, tornando a casa dal lavoro, mio padre trovò la tavola riccamente imbandita di ogni genere di prelibatezza. Su di essa ardevano due candele finemente lavorate che rilfettevano la loro luce su dei piatti di porcellane riccamente intarsiati in oro, poggiati su una tovaglia di seta blu. Le sedie sembravano ricavate da un unico pezzo di legno, così come il tavolo sul quale brillavano dei calici di cristallo e delle posate d'argento.

«Mio padre restò senza parole. Non poteva credere ai suoi occhi. La sua parte razionale gli urlava che quella roba forse era stata rubata e che lui si era messo in casa una ladra.

«Alixa si avvicinò a lui, dicendogli di stare tranquillo, che quelle cose altro non erano che un dono per la sua bontà e dedizione.

«Mangiarono insieme tutta la sera. Bevvero dell'ottimo vino. Mio padre non era abituato all'alcol e quindi divenne subito brillo. Alixa ne approfittò e lo portò su un letto bellissimo nella sua camera. E su di esso fecero l'amore.

«Ed Alixa divenne mia madre.»

Aixela sgranò gli occhi. Volevo dire qualcosa, ma lasciò continuare la sua compagna, i cui occhi ormai erano ancorati ai ricordi.

Ashling prese un sospiro profondo e ricominciò: «Restarono insieme in quella città per tutti i nove mesi che precedettero la mia nascita. Appena ebbi compiuto un anno, si trasferirono in altro villaggio, fuori dall'isola. Mio padre aprì un negozio di sartoria e ristruttutturò una vecchia casa quasi al centro del paese.» Guardò Aixela per un attimo. «L'unica che hai lasciato in piedi.» Osservò lo sguardo colpevole della ragazza con una certa soddisfazione, poi riprese. «Vivemmo bene per qualche anno. Poi mia madre se ne andò, dicendo che doveva fare un lungo viaggio. Furono inutili le resistenze di mio padre ed i miei pianti.» Sospirò, gli occhi che vagavano tra le immagini ed i suoni del passato.

Si fermò accanto ad un boschetto. «Accampiamoci qui per far riposare i cavalli. Mangiamo qualcosa e poi ripartiamo.»

Aixela annuì, smontò da cavallo e cominciò a rovistare nello zaino per prendere qualcosa da mangiare, la mente impegnata a immaginare quello che la sua compagna le avrebbe dovuto raccontare ancora.

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Il mare turchese contrastava con una tonalità a dir poco incredibile le coste verdi dell'isola. Ma pian piano si stavano allontanando. Rimase ore a fissare quella maledetta isola finchè il verde non divenne che un orlo fragile sulle acque, fino a scomparire in lontananza nella foschia. C'era un vento teso e sostenuto e la barca filava a meraviglia.

Finalmente tornavano sul continente.

Dopo tutto quello che era loro capitato, ritornare indietro e per giunta con alcuni nuovi compagni, era un po' come ritornare a casa. Perenor sospirò: ma cosa avrebbero trovato al loro ritorno? Aixela era ormai scomparsa con quella maledetta donna ed era sicuramente passata dalla parte del male. Aveva già visto di che cosa era capace con quella spada. Se avesse avrebbe potuto radere al suolo interi villaggi. Per un istante il giovane chierico immaginò la morte, la distruzione, il sangue che avrebbe comportato... e pregò.

In silenzio, cullato dal movimento della nave sulle onde e dai rumori dei marinai che dispiegavano le vele, pregò Paladine.

Quando ebbe finito si sentì come ritemprato. Quasi che una nuova sicurezza e fiducia lo avessero riempito. Sorrise alla vista dei gabbiani che planavano dolcemente sul filo dell'acqua e pensò che forse non era tutto perduto. Forse potevano ancora fare qualcosa. Guardò il cielo, meno luminoso ora...e notò le stelle. Rimase a bocca aperta, riconoscendole. Era la costellazione di Paladine ovviamente e continuava a brillare, sempre di più... finchè a Perenor non sembrò che quelle stelle fossero addirittura più luminose del sole al tramonto. Finchè non si sorprese a chiedersi perchè continuavano a brillare.

Si riscosse dai suoi pensieri e seppe cosa doveva fare ora.

Doveva avvertire gli altri.

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Negli ultimi tempi erano successe tante cose, dall'arrivo di quell'umano, al tizio, vestito in maniera strana, che le aveva parlato nella sua lingua, un suono che pensava di aver ormai dimenticato, e poi ora la nave.

Era la prima volta che solcava il mare a bordo di una nave.

Appoggiata al parapetto con i gomiti, le mani incrociate sotto il mento, gli occhi persi all'orizzonte, a fissare un lembo sottile di terra che ad ogni alito di vento si faceva piu' piccolo e lontano, non poteva fare a meno di pensare a quello strano individuo, giunto sulla spiaggia assieme al capitano, come faceva a sapere? Possibile che lui vedesse? Quella barriera magica che fino a quel momento le era parsa una gran cosa, adesso le sembrava una cosa piccola e inutile, non che tutti vedessero cio' che realmente celava con l'ausilio della magia, ma se poteva farlo lui, chissa' quanti altri avrebbero potuto farlo. E questi altri, come avrebbero reagito?

E poi cos'e' che le aveva detto sulla spiaggia? Ah si qualcosa che riguardava.... la ricerca della verita', una cosa simile.

Ma cosa voleva dire in fondo? Era una spiegazione che di per se' non spiegava, ingarbugliava ancora di piu' i suoi gia' contorti pensieri.

Il sole stava annegando nel mare, tingendo di rosso il cielo, e l'acqua.

Che strano, il rosso di quel tramonto....sapeva di sangue.

Scaccio' quel brutto pensiero dalla testa, stiracchio pigramente le braccia, volse le spalle al parapetto e al mare, era ora di raggiungere gli altri.

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