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La nostra storia...


Kordian

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"Yaawn! Blorf... ugh! Hei... che c'è oggi per colazione?" la vocetta di Grafuss trafisse la calma mattutina.

Strumir era al limite della sopportazione. Vero, il kender era sempre meglio da addormentato che da sveglio, ma al mattino era quasi insopportabile. Li avevano messi nella stessa alcova della nave, ed il nano stava ricorrendo a tutto il suo autocontrollo e senso dell'onore per non frullare il fastidioso piccoletto fuori bordo.

"Che diavolo vuoi chie ci sia? Quello che c'era ieri, e l'altroieri, e da quando siamo partiti 5 giorni fa!"

"Ma che pizza! Non si puo' avere un caffellatte?"

"Ma dove ti credi di essere? Questa è una dannata nave mercantile, e ringrazia Moradin, perchè questo scassone ci ha salvato da una morte quasi certa su quell'isola. Ora, so che è impossibile, ma tenta di restare in silenzio, che devo studiare."

I nani peggiorano ulteriormente il loro caratteraccio di prima mattina, pensò Garfuss. Ma decise comunque, un po' ingenuamente, che una conversazione non avrebbe fatto male a nesssuno.

"Insomma ce l'abbiamo fatta per un capello eh? Ci stavamo per rimanere secchi, zac! E questi due che abbiamo incontrato poi, come nelle antiche leggende! La compagnia parte alla ricerca del tesoro! Non ho mica capito pero' che ci faceva quel tizio in mutande su quest'isola. Era per un concorso di bellezza forse, ma insomma non mi pare non e' che sia proprio un figurino, è piu' stiracchiato di uno scacciare non morti quando uno dice "sono MORTO dal sonno" haha me la raccontava sempre mio zio Tas questa barzelletta, o era zio Plink? Beh insomma me la raccontavano prima di andare a dormire e io mi addormentavo subito dopo che l'avevo sentita solo che mi risvegliavo ridendo e cascavo giu' dal letto dentro al fiume perchè avevo messo il materassosulfiumediconocheimaterassiadacquafannobenealsonnoeallapelle

esiccomeiocitengoallamiapellenonvogliostirarelezampenonsosemispiego...."

Sturmir stava stringendo con forza il suo libro di incantesimi, tremando per contenere la rabbia. Un rivoletto di bava gli colava dalla bocca. Gli occhi erano spiritati. Lo avrebbe ammazzato quel Kender un giorno, oooh si.

Alathariel si era alzata presto quel giorno: aveva un'orribile sensazione, come di un temporale incombente. Ma il cielo era terso e il vento soffiava fresco,e le onde turchine riflettavano gaiamente i raggi del sole. Strano, tutti i suoi sensi fisici le dicevano che era immersa nella tranquillità, eppure si sentiva in crescente apprensione.

Dopo poco senti' dei rumori, e un trambusto provenire da sottocoperta: in un attimo vide Garfuss schizzare fuori dalla porta che dava agli alloggi, e Sturmir inseguirlo da dietro, leggermente ostacolato da tre robusti marinai che tentavano di fermarlo. Sopprimendo una risatina, l'elfetta si diresse verso il nano, che ora si era fermato sotto l'albero maestro a imprecare verso il Kender, che si era arrampicato fino alla vedetta molti metri piu' sopra.

"Dai zio Sturm. Lo sai com'e' Garfuss. Ci parlo io per te, va bene?" fece appoggiando una mano sulla spalla di Sturmir. Appena il nano si giro' verso di lei, ancora con il viso contratto in una smorfia, si rese conto dello spettacolo che stavano dando lui e il Kender. Un diffoso rossore gli allagò il viso tozzo e, farfugliando alcune frasi intelligibili, decise di tornarsene sottocoperta. Calmato il nano, Alath decise di occuparsi di Garfuss, che ora, dall' alto della vedetta, scrutava l'orizzonte con una mano sulla fronte proprio come un vecchio lupo di mare.

Dopo un'agile scalata, la piccola elfa entro' nella vedetta, che era stretta e conteneva a malapena i due piccoletti.

"Zio Garfuss, ma perche' tu e zio Sturmir state sempre a litigare? Non potreste semplicemente scambiarvi le vostre storie senza distruggere sempre tutto?"

"Il mare è di un rosso sangue stamattina" rispose Garfuss enigmaticamente. L'elfa da par suo vedeva il mare di un profondo blu turchino. Lo fece presente a Garfuss, che per un attimo parve preso in contropiede.

"Hemm.. i gabbiani volano bassi. Ci sara' tempesta, per la barba del capitano! Passami il rum, e prepariamoci all'arrembaggio, Calico Cat!"

Alathariel era ormai abituata alle "impersonificazioni" di Garfuss, e capi' subito il suo ruolo nel gioco: "Capitano, un drago all'orizzonte capitano!" fece con voce impastata, indicando una piccola nuvola in lontananza

"Per i sette mari, i cinque paradisi di poseidone e i sette inferi dei leviatani! Hai ragione nostroma! Preparate i cannoni e gli arpioni e i ciambelloni! Hei aspetta un attimo" Garfuss stava osservando la nuvola che gli aveva indicato Alath. Che, improvvisamente, non gli sembrava piu' una nuvola. Anche Alathariel, ora che guardava meglio, vedeva che quella nuvola era in realtà qualcosa che si stava avvicinando a gran velocità. Si girò verso Garfuss: "Che cos'è, zio?"

Garfuss fece per rispondere, poi fece cenno di aspettare un attimo, cercò per qualche secondo nelle sue sacche, e dopo poco si stava gia' ricoprendo la faccia di farina. Infine si girò verso Alathariel e disse, con espressione spaventata: "E' un DEMONE! E io lo conosco! E' Kroghusgh Kro'orr! Simpatico in effetti. Abbiamo passato a casa sua un sacco di tempo. E' solo un po' monotematico quando si tratta di svaghi e divertimenti."

"Un demone? Zio ma stai scherzando!" Alathariel sperava che Garfuss stesse scherzando, ma qualcosa gli diceva che in questo momento era, piu' o meno, serio.

"No no, è proprio lui. Forse dovremmo scendere ad avvisare gli altri. Bisognera' preparare da mangiare, non sai quanto mangia un demone."

"Ma allora sbrighiamoci zio!" Alathariel e Garfuss si girarono e cominciarono a ridiscendere le sartie verso il ponte. Verso meta' percorso all'elfa venne in mente una cosa: "Zio, ma che c'entra la farina in faccia?"

Garfuss, con un'espressione di ovvietà, rispose semplicemente: "Ma è ovvio! Sono sbiancato no?"

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Aixela addentò un pezzo di carne secca senza avere realmente fame, ma con la consapevolezza di chi sa che dopotutto deve mangiare se vuole rimanere in forze. Guardava la sua compagna fare la stessa cosa, gli occhi persi a contemplare qualcosa che solo lei poteva vedere. Per un attimo le parve di vedere un brivido, ma non era sicura.

Ashling era consapevole degli occhi su di lei. Ma al momento stava cercando di capire che cosa fosse successo. Aveva avvertito che altri due esseri erano entrati in questo mondo. Il primo la preoccupava relativamente, pur essendo forse uno dei pochi che aveva una minima probabilità di fermarla. Il secondo invece la inquietava. Si concentrò, ma riuscì solo a capire che era stato evocato dal lich, da quel suo servo inconsapevole che stava diventando sempre più troppo zelante nel suo lavoro. Sapeva però che se lo avesse detto ad Aixela avrebbe soltanto ottenuto di vederla sparire per accorrere in difesa dei compagni. Ed ora lei le serviva. E si accorse che non la voleva accanto solo come alleata, ma come confidente.

«Io e mio padre rimanemmo soli per non so quanto tempo.» Cominciò tutto d'un tratto la ragazza dai capelli neri come la notte. «Ed intanto io crescevo con la mancanza di una madre al fianco. Le mie lacrime venivano sempre ricacciate indietro da mio padre, ma quando lui era al lavoro, io non poteva far altro che piangere in silenzio ed aspettare il suo ritorno. Non avevo nessuno. In quel villaggio essere figlia di una persona che aveva lasciato la famiglia comportava l'esclusione dalla comunità... e quindi... la solitudine.» Sospirò, bevendo un sorso d'acqua dalla borraccia. «Avevo soltanto pochissime amiche, ragazze ancora troppo piccole per capire cosa era bene e cosa era male, persone alle quali non importava come eri e da dove venivi, ma che ti accettavano per chi eri. Mi fidavo ciecamente di loro. Crescendo, eravamo costretti a vederci di nascosto per non farci scoprire dai loro genitori, così attenti che le loro figliole non entrassero in contatto con gente "contaminata" da un'assenza come me. I ragazzi neanche mi guardavano, troppo impegnati a farsi belli davanti a chi meritava la loro attenzione... e quindi non ad una brutta semiorfana come me.

«Ma col passare degli anni aumentò anche la mia bellezza. Ed aumentò in maniera spropositata. Il brutto anatroccolo divenne il più bel cigno del villaggio. E si prese le sue rivincite. Non so quanti cuori abbia infranto, quanti ragazzi abbia fatto cadere ai miei piedi, illudendoli, solo per poi gettarli alle ortiche come spazzatura. Mi divertivo a vederli sbavare dietro di me, esaudendo ogni mia richiesta, dando importanza a chi solo pochi anni prima vedevano come un rifiuto. Avevo la sensazione di essere onnipotente e di poter avere tutto nelle mie mani senza sforzo. E forse era davvero così.

«Finché un giorno tornò mia madre.» Lo sguardo si fissò verso un punto imprecisato davanti a lei. Aixela ebbe la sensazione che, se si fosse girata in quel punto, avrebbe potuto vedere le scene di cui stava parlando, data l'intensità di quello sguardo. Poi Ashling scosse leggermente la testa, mandò giù l'ultimo boccone di carne secca e continuò. «Stavo tornando a casa, carezzando uno splendido medaglione che mi aveva regalato il mio attuale ragazzo, uno dei tanti illusi che avrei scaricato il giorno dopo. E anche il medaglione sarebbe finito presto nella mia collezione.

«Entrai in casa e la vidi sulla porta intenta a parlare con mio padre. Stavo per correrle incontro e riabbracciarla, quando vidi che lui si inginocchiava in segno di adorazione... come se fosse una dea. Poi lei lo alzò gentilmente con un sorriso e si girò verso di me e sentii qualcosa... non so cosa... come una forza fisica che mi colpisse in pieno viso, ma che non mi fece del male. Capii molte cose. Senza dirmi niente, ma con la sola forza del pensiero, mi aveva detto tutto: era una dea, la più potente di tutte, e aveva scelto mio padre come depositario del seme che avrebbe generato sua figlia, colei che avrebbe ricevuto tutto il suo potere divino per vegliare sulle sorti del mondo insieme agli altri dei.

«Non ci volevo credere, ma tale era la forza del suo pensiero che capii che tutto quanto era vero. Mi sentivo confusa ed allo stesso tempo si apriva in me una sorta di orgoglio per essere una prescelta. Avrei avuto dei poteri divini, sarei stata accanto agli altri dei ed avrei fatto in modo che il mondo fosse un posto migliore. Oltre a questo, mi immaginavo la faccia di tutti quelli che avevo scaricato, ma ricacciai subito il pensiero con la paura che mia madre avesse potuto leggerlo.

«Poi lei si avvicinò a me, lo sguardo triste: "Ashling," mi disse, "vorrei davvero poterti dare tutto il mio potere, vorrei davvero che tu fossi la dea tra gli dèi... ma non posso. Per tutto questo tempo sono stata via perché avevo ricevuto una tremenda premonizione. E riguardava proprio te, mia cara." Fece una pausa, come per darmi il tempo di assorbire l'impatto della notizia. Poi riprese: "Mi hanno avvisata che la prima figlia che avrei con quest'uomo sarebbe stata la rovina del mondo e lo avrebbe distrutto e ridotto in sofferenza e morte. E questa figlia sei tu." Rimasi pietrificata nel sentire questa rivelazione. Pensai subito a come avevo maltrattato quei ragazzi, illudendoli e spezzando più volte i loro cuori. Stavo per dire che sarei cambiata quando lei mi interruppe: "Non c'entra nulla quello che hai fatto, piccola mia. Non sei tu ad essere sbagliata. Sarebbe sbagliato darti i miei poteri, la mia divinità. Sei una splendida ragazza, magari con qualche difetto, ma stupenda. Eppure non posso." Mi abbracciò, poi si allontanò con mio padre, lasciandomi sola.

«E nove mesi dopo nacque mia sorella.»

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Ashling bevve un sorso d'acqua e si alzò in piedi. Chiuse la borraccia e la legò alla sella del cavallo insieme allo zaino, che richiuse metodicamente. Si girò verso la sua compagna e la vide fare le stesse cose, pur se era solo il corpo ad eseguire quei movimenti, la mente troppo impegnata a pensare a quello che aveva appreso. Pur senza leggerle la mente, Ashling capiva che Aixela stava pensando a quello che aveva percepito e visto in qeul villaggio, cercando di collegarlo con tutto quello che le era stato raccontato finora. E forse stava anche cominciando a capire qualche cosa. Le bastava ancora poco per apprendere tutta la verità e le motivazioni più recondite.

Ashling salì in sella e aspetto che Aixela facesse altrettanto. Solo dopo che ebbero spronato i cavalli continuò la sua storia.

«Mia sorella fu chiamata Alissa, in onore di mia madre. Ed era bellissima. Un fiore di bambina. Solo i suoi occhi sarebbero bastati per calmare anche gli animi più irruenti. L'intero villaggio sembrava ora attirato dalla nostra famiglia. Tutti entravano in casa solo per vedere la bimba, congratularsi con i genitori e farle qualche regalino. Ci adoravano. Ma era tutta invidia. I miei genitori avevano generato due creature bellissime, due esseri come nessuno ne aveva mai visti. Mia madre stessa era di una bellezza disarmante, come mio padre. E a nessuno andava giù che questi... questi... "isolani" avessero più successo di loro.

«E ben presto la loro invidia si scatenò con tutta la loro forza. Cominciarono a non venire più al negozio di mio padre. Anzi ne aprirono uno uguale a pochi metri. In questo modo speravano che ce ne saremmo andati dal villaggio.

«E così fu. Ce ne andammo pochi mesi dopo, diretti verso una meta che neanche noi conoscevamo. Mia madre non osava intervenire per una sorta di correttezza interna. La ammiravo per questo, ma avevo sempre in mente le sue parole, la sua scelta del non donarmi i poteri per qualche assurda profezia. Saremmo dovuti vivere ancora insieme per altri dieci anni, poi lei avrebbe eseguito il rito per donare i suoi poteri a mia sorella.» Ashling sospirò. Poi si guardò intorno, come per vedere se stavano facendo la strada giusta. Infine abbassò il capo e continuò. «Per cinque anni girammo di villaggio in villaggio, vivendo solo di quello che la natura offriva. Imparai a cacciare e a combattere contro le insidie delle strade, proteggendo tutti da qualsiasi attacco, dal momento che mia madre rifiutava di usare il suo potere.

«Passati i cinque anni però, lei se ne andò con mia sorella. Doveva prepararsi e prepararla al rito.

«E da quel momento fu un incubo.»

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a occhio e croce ho un po' di febbre, quindi se tengo botta a lavoro posto qualcosa stasera, altrimenti se fuggo posso postare anche qualcosa prima di cena..per la lotta con il demone: ci mettiamo un po' d'accordo nel topic la nostra storia - commenti dei lettori?

Cosi capiamo bene che c'è da fare e chi fa la descrizione dell'intero combattimento o come fare. ;)

Intanto direi che vi anticipo ciò che mi ha detto Strike: è un Balor.

Non ho il manuale dei mostri io, quindi mi servirebbero i dati per capire bene (oltre a 20 di GS e l'intuizione che sarà come il Balrog di Moria..)

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Kroghusgh Kro'orr.

Il vento filava leggero sotto le sue ali membranose da pipistrello; con alcune brevi falcate si fermò a mezz'aria, tuffandosi letteralmente nella nuvola più vicina. L'avevano forse visto? Non poteva saperlo da così lontano, ma aveva imparato a non sottovalutare mai i propri potenziali avversari.. e nemmeno le future vittime. Nonostante il suo sangue di demone ribollisse nella gioia di poter straziare finalmente qualche essere umano, doveva aver pazienza ed intelligenza.

Nessuna delle due gli mancava. Era determinato a portare a termine quella missione, laddove quel miserabile kyton aveva fallito. Aveva sorriso compiaciuto nel vedere l'odio e l'invidia, nonchè lo stupore negli occhi vili di quel miserabile demone delle catene. Il lich aveva scelto lui perchè conosceva il suo enorme potere. Aveva scelto lui soprattutto perchè lui stesso, per quanto fosse potente, aveva paura dinanzi a lui.

Ma quel piccolo gruppo sparpagliato poteva nondimeno essere pericoloso. Per questo non doveva ancora farsi vedere, non prima che arrivasse la tempesta invocata dal lich. Allora avrebbe dovuto fare velocemente due cose: recuperare una perla nera dal kender ed affondare quel miserabile guscio di noce.

Sorrise tra sè.

In quale ordine avrebbe preferito farle?

Velocemente si tuffò nella nuvola successiva, più scura e minacciosa della precedente.

La tempesta stava finalmente arrivando.

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Erano su quella nave da qualche giorno.

Ariaston era accucciato a terra, seduto, con le mani nascoste dentro al mantello.

Osservava la vita sulla nave con interesse distratto; aveva notato sorridente la scalata nel minuscolo kender e della piccola elfa sull'albero maestro, in quel gioco di rincorse giocose e battaglie infuriate con il nano.

Si riscorpì a ricordare la sorella, e le corse sfrenate tra gli alberi da piccoli, quando lei per scappare comandava i rovi con la magia, e lui li schivava con agilità e maestria naturale.

Ma ogni tanto la sua attenzione veniva catturata da quello strano monaco.

Un umano, fratello Columbus si faceva chiamare.

Era giunto con la nave, alla loro ricerca, e li conosceva tutti. Aveva anche svelato alla prima occhiata l'identità della drow.

Di Iskra cioè, si corresse mentalemente. A chiamarla drow gli sembrava di chiamarla con un dispreggiativo, visto il valore di quella gente e l'odio che lei riversava nei loro confronti.

L'elfo nei suoi viaggi aveva sempre sentito parlare delle abilità di alcuni monaci, e delle migliaia di cose che apprendono nei loro addestramenti.

Sapeva che molti erano in grado di rimanere giornate intere sotto l'acqua di una cascata, di lanciarsi in burroni senza fondo ed uscirne illesi, di afferrare le frecce con le mani. Altri avevano anche poteri magici.

Quindi non era escluso che sapesse, grazie anche alla magia, molte cose su di loro.

Poteva essere, certo, certo.

Però..

Però l'elfo non ne era convinto!

Percepiva qualcosa al di la della vista, e della magia che aveva provato a usare su di lui. Naturalmente i suoi tentacoli magici non avevano scoperto nulla, ne se lo aspettava, ma forse lo sperava.

Però un presentimento, una sensazione..quella c'era sempre. Dal momento in cui l'aveva incontrato ad ora, appollaiato com'era sulla prua della nave.

E anche Iskra non sembrava tranquilla e osservava spesso e profondamente quel monaco cosi enigmatico.

L'elfo massaggio il proprio bianco pugnale, come a volerne trarre forza, conscio di poterne trarre anche sofferenza se usato.

Poi si alzò e fece un giro per la nave. La piccola elfa e Garfuss stavano sul pennone dell'albero, a giocare e Ariaston sentì che stavano recitando la parte del capitano e del mozzo. Li otrepassò, e andò ad appoggiarsi al parapetto del legno su cui navigavano. Osservò il mare per qualche minuto, cercando di assorbire il potere del mare come in un sogno, ora che finalmente era al riparo e tranquillo per un po'.

Poi all'improvviso fece un salto con un piede sul parapetto, caricò la gamba piegandola e si lanciò verso la cima che pendeva da un albero, usata per andare a sistemare le vele in caso si impigliassero.

La afferrò e ruotò d'inerzia attorno all'albero, formando un cerchio proprio sotto a dove i due piccoli giocherelloni stavano recitando. La lasciò al momento giusto per poter atterrare aldilà del parapetto della parte rialzata su cui stava il timone, e planò leggiadro accanto al marinaio che lo comandava.

Si sorrisero, ormai abituati alle improvvise prove di agilità dell'elfo, che abituato ai grandi spazi mal si abituava alle costrizioni della agile nave.

Alzò gli occhi a osservare le leggere onde della nave, e il pesce che stava pescando il mozzo, e si avvicinò all'umano spadaccino.

"Che ne dici di fare un po' di pratica, e di tenerci in allenamento?" chiese, appoggiando la mano sulla propria leggera daga.

Era la prima volta che gli parlava da quando erano saliti sulla nave...non per diffidenza o odio..ma per rispetto verso quello che poteva essere un gran guerriero.

Era ora di verificarlo...

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  • Amministratore

Subumloc aveva ripreso la sua solita posizione, seduto a gambe incrociate a prua della nave di Paltron. Assolutamente immobile, aveva ancora una volta raggiunto quello stato di concentrazione che gli permetteva di comprendere le cose a un livello più profondo di quello dei sensi.

L'incontro con i viaggiatori lo aveva piacevolmente sorpreso. Certo, gli incarichi che gli venivano affidati di solito riguardavano mortali fuori dal comune, ma questa volta sentiva di avere a che fare con persone destinate a grandi cose.

Pur tenendo gli occhi chiusi, riusciva a sentire su di sé lo sguardo occasionale dei suoi nuovi compagni di viaggio. Sia Ariaston, l'elfo segnato da profonde cicatrici nel corpo e nello spirito, che l'elfa oscura, Iskrà, lo osservavano con un sospetto che andava al di là della diffidenza per uno sconosciuto. Anche il nano avrebbe potuto intuire qualcosa, se Subumloc non avesse fatto molta attenzione a nascondere la sua particolarissima aura utilizzando le tecniche apprese nei lunghi anni di studio. Quanto al kender... beh, era sicuro di aver già incontrato Garfuss Pottlepot, in un luogo e in un tempo molto lontani da questo, ma difficilmente quest'ultimo lo poteva riconoscere sotto il suo aspetto attuale.

Questa missione sarebbe stata molto complicata. Il "monaco" non sapeva per quanto ancora sarebbe riuscito a mantenere la sua copertura, ma questo era un problema secondario. Ben più arduo sarebbe stato il suo obiettivo primario, l'incolumità degli avventurieri: quello che aveva sentito da loro, la storia della donna malvagia liberata dalla pietra, gli ricordava una storia sentita secoli prima, e significava che il problema era molto più serio di quanto i suoi superiori pensassero.

Subumloc aprì gli occhi, alzandoli al cielo. Il tempo stava peggiorando a vista d'occhio, e apparentemente stava per scoppiare una tempesta. Ma c'era di più. Una nuova forza, un punto oscuro di caos e malvagità, era apparso al limitare estremo della sua percezione. Se era quello che credeva, presto avrebbe dovuto mettersi alla prova...

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Il cavallo si impennò un poco appena Ashling strinse le sue briglie in un riflesso di rabbia nel riportare alla mente quei ricordi. Le lasciò andare, tentando di controllarsi e calmò l'animale, imponendogli di continuare per la sua strada. Prese un sospiro e ricominciò: «Feci tutti i lavori più umilianti che potessi immaginare, prestando la mia opera a persone che ogni volta tentavano di avere qualcosa da me, qualcosa che non avrei mai donato a nessuno di loro. Mi fu proibito il sogno di un... un... Amore...» La parola le uscì con visibile sforzo. «... di un uomo che potesse prendermi e portarmi via da tutto e da tutti. La mia bellezza me ne faceva avere molti, ma nessuno voleva avere me, bensì solo il mio corpo. E non lo avrei mai dato a gente del genere.

«Vagai di villaggio in villaggio con mio padre che stava malissimo, avendo sempre la schiena a pezzi per i lavori manuali che faceva per avere un tozzo di pane con cui sfamarci. E non vi era giorno in cui non maledivo mia madre per avermi sottratto l'occasione di avere quei poteri, di poter vivere senza problemi. Nella mia testa vagavano solo immagini di vendetta, di agonia. Volevo avere mia madre davanti e succhiarle tutto quello che aveva... tutto! Invece potevo solo vagare per il mondo, portando mio padre come un fardello troppo pesante per una ragazza di appena 18 anni.

«Poi, dopo due anni dalla scomparsa di mia madre, mio padre morì ed io mi ritrovai sola. D'istinto tornai al villaggio in cui ero cresciuta, trovando lavoro presso un locandiere che mi pagava a malapena per potermi permettere di mangiare. Imparai a cacciare per conto mio e mi costruii una casa di rami ai limiti del bosco per avere un minimo di riparo.

«Poi arrivò quel giorno.

«Uscii dalla locanda che ormai era notte, come al solito, e mi avviai verso il mio rifugio. Stavo percorrendo il solito vicolo, quando davanti mi apparvero sei ragazzi. Conoscevo i loro volti: facevano parte di quelli che avevo illuso e poi scaricato per vendicarmi. E loro si stavano per vendicare di me.

«Sai benissimo quello che è successo. Lo hai provato sulla tua pelle.» Ashling guardò Aixela con gli occhi leggermente lucidi e la vide annuire, come se non sapesse cosa rispondere, ma caricando il silenzio di significati.

«Mi violentarono e mi picchiarono, lasciandomi sotto quell'albero a piangere. Per tutta la notte restai in quel luogo, imprecando contro mia madre che non mi aveva dato i suoi poteri ed aveva permesso che mi succedesse una cosa del genere.

«La mattina seguente venni svegliata da un uomo... un mago. Mi portò a casa sua ed io ero troppo stanca e disperata per poter opporre resistenza. Mi offrì da mangiare e da bere, ma rifiutai, chiudendomi in un angolo. Passai lì qualche giorno, sentendo lo stomaco che si contorceva per la fame. Una parte di me voleva morire e lasciare per sempre questo mondo, mentre un'altra parte voleva vivere solo per incontrare mia madre... ed ucciderla!

«L'istinto di sopravvivenza si fece sentire ed un giorno mi alzai da quell'angolo, facendo colazione con tutto quello che lui amorevolmente mi lasciava ogni giorno, gettandolo quando ormai diventava chiaro che non avrei mangiato. Lo vidi entrare nella stanza e sorridermi. E da quel momento vissi sotto la sua ala protettiva.

«Ed intanto il giorno in cui sarebbe dovuta tornare mia madre si avvicinava. Volevo incontrarla, urlarle la mia rabbia e poi ucciderla. Ma sapevo anche che non potevo, essendo lei stessa una dea.

«Finché il mago mi diede la soluzione. Sapeva tutto di me... e sapeva anche come avverare il mio desiderio, riuscendo allo stesso tempo a rubare tutto il potere da lei. Sarei dovuta tornare nel mio luogo di nascita, il posto in cui sarebbe avvenuto il rito che avrebbe consegnato mia sorella alle divinità. In cambio lui voleva solo del potere, voleva essere il mago più forte sulla faccia della terra. Glielo promisi.

«Così partimmo verso Merenil.» Ashling si interruppe per ascoltare qualcosa che solo lei poteva sentire. Aveva identificato il demone. E sapeva che stava per attaccare. Ma Aixela non doveva saperlo... non ancora.

«Passammo alcuni giorni nell'anonimato più totale, vivendo di cacciaggione e frutti all'interno del bosco. Finché arrivò il giorno del rito.

«Non so bene quello che successe, Aixela.

«So solo che il mio odio era più potente di quanto potessi mai immaginare e che il mio pugnale spaccò in due il cuore di mia sorella, proprio mentre il potere fluiva in lei.» Ashling sospirò in un misto di rabbia e di tristezza. «E da allora sono diventata io la dea... e la profezia si è avverata: la prima figlia di Alixa avrebbe portato morte e distruzione. Se mia madre mi avesse dato i poteri non sarebbe successo, non mi sarei nutrita di odio e rancore, non avrei odiato il mondo intero che mi ha solo maltrattato.

«Ma, come ho imparato, al destino non si sfugge. Non è servito neanche rinchiudermi. Sono stata liberata... grazie a te. Ed ora la dovranno pagare!» Ashling sospirò ancora. Aveva finito.

Aixela non sapeva che dire. Sapeva di non averla liberata volontariamente e che quindi non poteva sentirsi colpevole di tutto quello che sarebbe successo tra pochi giorni. E soprattutto la capiva. Quante volte aveva desiderato sfruttare la sua spada per vendicarsi? Quante volte avrebbe voluto fare fuori tutti i Cavalieri di Jamalièl che l'avevano scartata perché diversa? Tante... troppe volte. Ma alla fine l'unica cosa che le venne da dire fu questa: «E che fine fecero tua madre e il mago?»

Ashling sorrise, un sorriso malevolo. «Mia madre... la carbonizzai sul posto... come un comune essere umano!» Le scappò una risatina. «E il mago... be'...» Guardò Aixela. «E' il lich che sta cercando di catturare il kender, lo stesso che hai già incontrato in quel semipiano infernale.»

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Ne sarebbe stato felice, almeno l’avrebbe distratto dalla noia. Da quando erano stati recuperati dal capitano patron le giornate si erano allungate, sulla nave c’era poco da fare, poco da vedere. Essendo un goffo mercantile la velocità di crociera non superava 6 nodi. Ora che poi mancava il vento gli sembrava di morire d’inedia. Patron era abile nel suo ruolo di capitano, ma sembrava diffidare di Iskrà, dopo la scioccante rivelazione del monaco sulla spiaggia. Ah sì, il monaco. Quell’enigmatico individuo sembrava avvolto da una profonda pace, era gentile e preciso, e sembrava sapere molto di tutti loro. Aveva viaggiato con patron e la sua ciurma per incontrarli, chissà quali erano i suoi intenti. Ma ora non voleva soffermarvisi, ci sarebbe stato tempo per tutte le spiegazioni. Finalmente era riuscito a rasarsi ed a lavarsi, tanto che ne aveva giovato l’aspetto e l’umore stesso, rendendolo più sereno e felice. La spada gli pendeva al fianco sinistro, riverberando un riflesso chiaro sulle assi del nave. Un solo dubbio lo assillava. Aveva scorto un marinaio il cui aspetto gli ricordava molto Dash, uno dei congiurati nell’assassinio del suo signore, del quale era poi stato accusato. Avrebbe dovuto guardarsi da quell’individuo, anche se dubitava potesse costituire un problema, per ora. Si sentiva invincibile, immortale, era rinato, sapeva di aver iniziato una nuova vita. Dopo aver indugiato qualche attimo con lo sguardo sul mare, si diresse verso Ariaston e senza una parola, si intesero benissimo, scattarono l’uno verso l’altro. Entrambi si destreggiavano magnificamente, le lame saettavano, leggere e letali. O perlomeno lo sarebbero state se i due avversari non fossero stati del calibro di quei due. Il tempo scorreva, e presto l’incantesimo dell’incontro venne interrotto. Un grido li aveva distratti, quello del kender che aveva chiamato giù dalla coffa tutti coloro sul ponte. Si volsero verso il mare, una forma si stava avvicinando alla nave, ci sarebbe stato da divertirsi, pensò. Si rese conto di come pochi anni di prigionia avevano potuto annientare ogni suo buon senso e circospezione…

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L'allegro schiamazzo dei giochi del kender e della piccola elfa, la danza di corpi e lame intrapresa da Ariaston e l'uomo incontrato sull'isola, la proverbiale calma del monaco, tutti sembravano distesi e quasi allegri adesso che si trovavano sulla nave del capitano Paltron.

Solo lei restava in disparte appoggiata al parapetto della nave, a fissare l'acqua di un blu cosi' intenso da sembrare quasi nera.

Mare, grande, sconfinato, ai suoi occhi, una sorda e cupa inquietudine si agitava nel suo animo, ma forse, era solo perche' lontana da caverne scavate nella roccia e forti e maestosi alberi si sentiva vulnerabile.

Si forse, per la prima volta in vita sua era in balia di qualcosa che non poteva controllare.

Si sorprese a pensare, come facesse a galleggiare quell'affare, una nave e' grande e pesante, eppure solcava delicatamente l'acqua.

Acqua, qualcosa che non puoi controllare, che non puoi trattenere, qualcosa che non offre appiglio o riparo.

No, non le piaceva il mare.

Mentre pensava a queste sciocchezze, l'allegria cesso, e un grido ruppe la pace, l'urlo del kender.

Si riscosse velocemente dai suoi pensieri, volgendo lo sguardo, dove gia' tutti intorno a lei guardavano.

Una figura scura e grossa si stava avvicinando.

Cos'era? Troppo lontana per dirlo ancora, ma fin dal momento che era giunta in quel mondo che non era il suo, niente di quello che appariva all'orizzonte era stato rassicurante, beh si eccetto la comparsa di Ariaston quel giorno nel bosco.

Aver trovato quel gruppo le pareva per il momento l'unica cosa positiva.

Torno' a concentrarsi sulla figura grande e scura che fendeva velocemente l'aria nella loro direzione.

Sospiro'.

Qualunque cosa fosse, se non fosse stata amichevole quello le pareva il terreno peggiore dove poter affrontarla.

Porto' leggermente la mano all'elsa della sua spada, inutile pensare troppo a cosa fosse, di li' a non molto sarebbe stata piu' nitida e allora si sarebbe deciso il da farsi.

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