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Inviata

“In principio era il Verbo...”

A metà di un mattino di un giorno di giugno era la fine del Principio... di giugno e si festeggiava il Corpus Domini in quella luminosa mattina di giugno E tutte le campane della torre campanaria sfilavano il Gloria alle ore dodici del mattino mentre io me ne uscivo in gloria Per tutti sotto i migliori auspici, Sì! Ero “unto” del Signore!

Avrei potuto?... avrei dovuto?... Sì, avrei dovuto approfittarne della privilegiata condizione d’essere giunto in giugno nel giorno del Signore Ma nascevo scettico Scettico dall’inizio. E poi per noia e tante altre cose... cosa mi sarebbe costato dichiarare nelle difficoltà “Io sono nato nel giorno del Corpo del Signore e sono unto del Signore!”?

Niente... mi sarebbe costato niente!... E magari forse mi sarebbe stata evitata un po’ della mala sorte.

Ora non vale più! Oggi non aspiro che di ritornare al principio Oggi! e non impreco più alle difficoltà e nemmeno indulgo a portarmi la mano alla fronte per battervela leggermente e ripetutamente.

È che la fola della nascita propizia mi fu raccontata più volte dalla mia genitrice che, forse, desiderava solo convincersi di aver fatto cosa buona generandomi... A suo conforto la fola, insomma!

Quel giorno era luminoso, sì!... luminoso ed allietato dal suono in Gloria da tutte le campane, e felici i presenti all’evento, loro, mentre io lo subivo in sofferenza il funerale della fine del Principio. Un funerale in festa nella vecchia casa col fiocco azzurro sul portone.

A me la stavano facendo... “la festa!”... e che festa!

Ve lo racconto per filo e per segno come realmente si svolgevano i fatti quel giorno... dal mio punto di vista.

Il Principio?... in principio?

Faccio confusione tra “Principio” maiuscolo senza tempo, e “principio” minuscolo del tempo.

Del Principio, del resto, cosa potevo allora sapere?... che anche ora cosa ne so?

Mi voglio contraddire, e allora dico: “Dapprincipio!” Che è cosa diversa dal “Principio”, ma in certo senso ha anche un po’ a che fare col tempo che c’era e non c’era... nasceva il tempo... insomma, non chiedetemi più spiegazioni ché mi ingarbuglio Però in qualche modo, e senza commenti, continuerò a far riferimenti al tempo... questo sconosciuto ancora ora.

Dapprincipio, dunque!

Dapprincipio galleggiavo in una soffusa luminescenza amaranto... una fosforescenza! e soffusa di amaranto: “Amarántos!” che è ciò che non appassisce.

Poi... Poi?...

Ma sì! Poi!... oramai mi sono contraddetto!

Poi... un abbozzo di pinne Sono spuntate e non sapevo cos’erano Ma mi permettevano di nuotare. O piuttosto sguazzare senza peso né pena di pensiero nel tepore liquido di un silenzio denso e fatato nel mentre mi faceva compagnia un rassicurante lontano tonfo ritmico… Cuore di imprecisate certezze.

E sono ignoto!

Non ancora iniziato!

Fuori del tempo... eternamente. Fuori del prima e del poi, in ogni istante smarrito e recuperato nella sequela degli istanti.

Gli abbozzi si sviluppano e sono incontestabilmente delle pinne E spunta anche una coda bifida Quattro moncherini che si allungano perfezionandomi nello sguazzo, e ora spingo e faccio capriole senza peso.

Oltre il tonfo e il lento sciabordio delle capriole, di quando in quando anche percepisco vaghi sfiniti rumori, ma vi presto solo una vaga attenzione. Rumori misteriosi da un mondo misterioso a me ignoto e<parallelo Forse solo oscuramente supposto, ma inquietante. Comunque prevale l’abbandono alla pace di questo inizio mai iniziato, poiché l’eterno non inizia!... Né finisce.

E sono materia eterna in movimento eterno, ecco! Sono il moto eterno Caos e Cosmo di imprecisata armonia.

Ma poi è successo!

È successo che all’improvviso il mio lago si prosciuga... D’improvviso! E una stretta mi preme tutto intorno Irrevocabile Mi prosciugo.

Intuisco anche che l’acqua mi è indispensabile e debbo inseguirla… imboccare il tunnel attraverso il quale defluisce.

Certamente sfocerò in un lago più ampio, più adatto alle mie dimensioni Ma è faticoso il cammino... e doloroso anche.

Doloroso?

Il dolore!

Scopro il dolore!

Il cammino è agevolato da intermittenti spinte e accompagnato da una sensazione nuova e sgradevole intorno al capo.

Il dolore!

Che precocemente, e da subito, è tra le prime cose che devo imparare .

E intravvedevo una luce nuova.

Anche questa insospettata.

Forze sconosciute, mai ingiuriate, mai provocate, traggono e spostano me che fino ad un attimo prima pensavo d’esser mondo intero.

Ed ecco! È così che scopro altro spazio e intuisco il tempo Il tempo che continua ad accadere e mi toglie l’abbandono alla quiete.

Ed è questa la fine: fine del principio e la nascita del tempo.

Chiasso... una baraonda della madonna! E sono fuori dal centro, dal posto che era sembrato senza alternativa.

Baraonda!

Luce bianca!

Abbaglia!

E fanno danno al mio udito... e ai miei occhi che, questi almeno in fretta li chiudo... almeno gli occhi! Serro le palpebre mentre mi invade il terrore della mancanza d’acqua.

Sono nel nulla! Mi appesantisco mentre continua a ferirmi le orecchie uno sbraitare Tintinnii, urla! evviva! risate!... le campane!

Urlano ombre eccitate: “E’ sano! E’ maschio!”E assordanti le campane Alcool Freddo! Anche il freddo! Lo sconosciuto che mi fa tremare.

Mi serrano i piedi... mi percuotono il sedere... riconosco l’alto e il basso Il mio capo è in basso e soffoco!

Agito le pinne... Soffoco!

E allora urlo: “Ahi!... Ahi!...”.

Sto meglio, ma continuo ad urlare... “Ahi! Ahiii!...”.

E piango ora che sono sfociato nel luogo ostile senza comprendere il perché di questo naufragio nell’aria e nel tempo:

“Forse… una colpa?”.

E poi hanno cominciato a toccarmi Mille grosse dita mi si torcono addosso Emi hanno messo in acqua calda La testa fuori dall’acqua.

Non ho avuto più freddo.

Mi hanno asciugato e coperto… Sono sfinito e ho dormito.

Mi desto!... Provo un disagio nuovo... Fame!... La fame, sì!! Finora anch’essa sconosciuta. Le membra deformi e appesantite non mi consentono di girarmi. Muovo e allungo quelle che furono pinne e coda bifida e ora sono membra. Non incontro nulla... brancolo... Sono in un nulla spazio di tenebra, e per la prima volta provo la paura. Una paura che volge al terrore degli urli, dei ghigni, dei ringhi. Vorrei fuggire!... Ansimo, ululo.

Un’ombra s’appressa: le dita, enormi, potrebbero stringere schiacciarmi inerme E mi sollevano, invece, lievi come una carezza Mi posano in un grembo caldo e offrono alle mie labbra il gusto di un tenero nettare.

Fino a sazietà!

Posso tranquillizzarmi, e mi abbandono al sonno mentre mi asciugano e ripongono, così che poi mi desto senza paura Ma urlo lo stesso. Per riprovare il sollievo delle carezze e di una voce calma e sussurrata che nello stesso tempo odio.

E così finisco col perdermi sempre più nel tempo!

Catturato dal tempo: sonno veglia, fame sazietà, luce tenebre, freddo caldo... Sono destinato a divenire!... Ad essere divorato da Cronos.

Ma la nostalgia dell’ amarántos... quella! che non appassisce. E la fosforescenza perenne non ho mai smesso di sognarla.

Di sognare il ritorno dall’immane guasto.

Ma almeno sono re!

Di un regno che non conosco, irritante! Sono il perfido re di un territorio dai vaghi contorni e dimensione Luci ed ombre Sudditi che obbediscono ai miei ordini rancorosi che esprimo in linguaggio urlato di pianto irritato.

Ordini perentori di ululati, sibili, ringhi.

Accorrono!

Minutronomisollevanomicullanomilavano.

Il mio linguaggio non sempre è compreso ed allora non risparmio punizioni di tortura fatta di urla e pianto prolungato e senza perché Incomprensibile! che genera l’ansia tra i miei sudditi... ed è quello che voglio! I sudditi colpevoli non debbono riposare, non debbono abbandonarsi al sonno! Me ne accorgo quando prendono a dormire, lo capisco dalla regolarità del loro respiro o dal russare E allora urlo! E li sveglio E pretendo che mi si culli E resisto fino a quando cedo al mio di sonno.

Resisto il più a lungo possibile ad impedire il loro, di sonno.

Quanto durò la vendicativa autorità? E come avvenne poi che questo imperio rancoroso cessò? Mi fu tolto lo scettro con modi bruschi o con garbo?... non ne ho memoria!

O di mia volontà ne decisi la fine? e mi ritirai rassegnato nell’esilio di questa solitaria casa e stravagante.

La mia casa!

Non molto grande, ma labirintica per intrico di locali dall’incerta destinazione E miriade di corridoi e scale, e anche misteriosa di passaggi ove si procede solo a fatica, quasi strisciando. Ma, per quanto la abiti da sempre, mi è ancora sconosciuta questa casa costantemente immersa nella penombra di un perenne lucore malinconico che ne è caratteristica strutturale. Non dipende da cattiva esposizione... non ha relazione con le fasi del giorno, né con la meteorologia... È malinconica nella struttura! Nasce dal suo interno, la luce! Il lucore triste le è proprio!

E anche il tempo le è proprio! Scandito da orologi dai ritmi bizzarri: tempo lineare dalle durate imprevedibili cosi che a volte corro ed ansimo e a volte sono fermo, catatonico; o tempo retrogrado, e finisco con l’annullare il tempo stesso per rifugiarmi idealmente e piacevolmente all’amaranto.

Spesso il tempo è circolare e resto fermo.

Ma il tempo a spirale è quello che più mi sconvolge!

La spirale eccentrica ha dell’ebbrezza, dà le vertigini Fuga nell’irreale ma in fine mi trovo in bilico su un abisso di nulla e mi ritiro spossato e frustrato, proprio come dopo una sbronza.

Più spesso seguo la spirale che volge al cuore, si avvita nel centro e sfocia col classico risucchio nel gorgo buio della depressione.

Ma capita anche che a tratti la luce si spenga, e lascia la casa fuori del tempo e dello spazio Campo libero ad ombre disperanti, a fantasmi deliranti.

E nonostante tutto, in questa casa ci ho vissuto!... in rassegnata sopportazione!

Ed anche ho cercato, ostinatamente inutilmente, di curarla, di renderla confortevole, di illuminarla acquisendo inutili lampade... E i tanti decorativi soprammobili che mi erano sembrati importanti spesso hanno finito solo con l’essere solo un ingombro disordinato e soffocante.

E la soffitta... la soffitta! Un ricettacolo di materiale sconosciuto che io non ricordo di avervi depositato Ingombra e poco visitata, è divenuta anche regno di polvere muschio e muffe e vi si respira aria quasi di putrefazione.

Vi brilla solo uno specchio, qui!

Infranto!

Che rimanda, moltiplicandoli, lampi di follia.

Nonostante le cure è invecchiata male lo stesso, questa mia casa. E va irrigidendosi senza fascino.

Le mura scricchiolano per un nonnulla, tremano E cadono in polvere strati di intonaco.

Stemmi e fregi di facciata sono tutti già crollati.

E infine gradualmente mi sono arreso.

Evito di frequentare le varie stanze, di attraversare corridoi, salire e scendere scale e mi sono ritirato in un’unica stanza, spoglia e con una sola finestra rivolta ad Occidente.

Sono sempre sdraiato in provvisorio giaciglio, la testa girata alla finestra che mi rimanda spettacoli di tristi nebbiosi tramonti .

Solo di quando in quando compare una luminescenza amaranto che mi consola… Oh, Amaràntos!


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