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Veck esitò solo un istante sulla porta, prima che l'urgenza della chiamata lo riscuotesse. Senza aggiungere altro, corse fuori dalla stanza, lasciandosi alle spalle le due elfe perplesse. Avrebbe trovato il tempo di raccontare le sue scoperte... ma ora c'era un'emergenza da affrontare.

Sui gradini dell'Accademia si stavano radunando decine e decine di studenti, tutti con le vesti blu e rosse degli elementalisti. Veck riconobbe molti studenti del suo anno, e qualcuno più vecchio di lui. Davanti a loro il professor Lajos, titolare di magia del fuoco, stava urlando istruzioni al di sopra del tumulto della folla, aiutato dai suoi assistenti. Veck si stupì nel constatare che il professore, un uomo di mezz'età dal fisico asciutto e con diverse cicatrici sul viso, non indossava la tunica dell'Accademia, ma una sorta di armatura leggera con dei particolari simboli arcani, l'uniforme dei Maghi da Battaglia di Aalborg.

Qualche minuto dopo la comitiva di tre o quattrocento studenti si stava schierando sulle mura cittadine, al cospetto di uno spettacolo terribile quanto affascinante.

La foresta di Aalweld stava bruciando, consumata da fiamme di un intenso blu elettrico. Gli alberi sembravano sciogliersi e consumarsi lentamente, come se fossero fatti di cera. Un penetrante odore di fumo, resina bruciata e altro si levava dall'antica foresta, e ondate di piccoli animali ne saettavano fuori in un disperato tentativo di sopravvivere. Ma non c'era tempo per pensare a cosa stava succedendo; era il momento di agire.

Il professore e i suoi assistenti, sparpagliati tra gli apprendisti maghi, intonarono una cantilena, una serie di arcane parole di potere ripetute all'infinito; ben presto, anche gli studenti si unirono a questa specie di mantra, formando un unico legame di magia.

...ild megismer ild weten spun ild geben dul chuig...

Le parole della Lingua Arcana risuonarono nell'aria, espandendosi come dita che cercano nel buio verso lo strano incendio. Il contatto fra i due poteri fu percepito in maniera quasi fisica da chi stava partecipando al rituale; il fuoco blu ardeva di un'energia molto più profonda e inarrestabile di quella a cui erano abituati i giovani manipolatori di fuoco magico. "Allontanate le vostre menti dal fuoco! Non lasciatevi coinvolgere!" urlò il professor Lajos, consapevole dei rischi di un tale potere allo stato grezzo. Il suo avvertimento, però, era inutile; alcuni dei ragazzi più giovani, meno esperti o forse più ambiziosi, lasciarono che la propria volontà fosse attirata verso quel calore così intenso. I loro corpi si illuminarono come fiammiferi, consumati in un secondo dalle fiamme azzurre, e caddero senza vita.

Nonostante le perdite, il rituale continuava. Dopo il primo contatto con la misteriosa catastrofe che ruggiva al di là delle mura, Lajos cambiò le parole del rituale, cercando di formare una barriera che la contenesse.

...ild haltigi ild ndaloj spun ild teruggaan malantaue...

Dalla finestra della sua stanza, Lariel osservava quello che succedeva qualche miglio più in là, con i suoi sensi magicamente potenziati al massimo. Poteva vedere le sottili linee di forza che si intrecciavano, una ad una, a formare una rete, e circondavano l'estensione dell'incendio. E vedeva anche la barriera cedere, il fuoco blu che consumava la magia come consumava il legno della foresta. Sembrava che non ci fosse modo di fermare quello che stava succedendo. "Oh, Kirne... cerca di tornare indietro intero" pensò.

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  • 4 settimane dopo...

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Olbeon sputò a terra, mentre si metteva in ginocchio.

"Che ca*zo hai da guardare tu?", sfuriò contro il gatto, mentre quest'ultimo sembrava deriderlo.

"Bah, sono preso proprio male, se impreco contro un gatto...". Si rimise in piedi, rapidamente raccolse le sue cose e si sistemò.

Appena fù pronto a incamminarsi guardò di nuovo la finestra, in direzione del gatto, per l'ultimo saluto.

Non era più la.

Allora si guardò attorno, alla ricerca del felino dal colore vivace.

Lo scorse dopo pochi secondi, all'angolo dell'edificio.

Lo strano animale lo osservava, e faceva degli strani movimenti con la testa.

Dopo un minuto di osservazione il nano capì: gli stava dicendo di seguirlo.

Rimase fermo ancora un po', sotto la pioggia, con l'acqua che gli disegnava lacrime di fango lungo le guance, tendando di capire se si stava sbagliando.

No, probabilmente era vero: un gatto, sotto la pioggia scrosciante, che osservava un nano facendo movimenti strani, poteva essere la solo per un motivo.

Il guerriero scosse la testa, grugnì, poi si incamminò dietro al gatto.

Beh, dopo tutto è il gatto di un mago..

...devo essere pazzo..

Seguì l'animale sotto alla pioggia, sferragliando con ascia e pentole da viaggio, imprecando ad ogni passo sull'acqua fangosa.

Il gatto si muoveva agile, saltando le pozzanghere e passando sotto a tutti i ripari possibili, ma era zuppo lo stesso.

Fecero il giro dell'edificio e una volta davanti Olbeon usò tutta la prudenza che conosceva, per paura di finire coinvolto nella rissa della locanda.

Pian piano si accorse che era terminata e si sentivano solamente i lamenti dei feriti.

Il gatto sembrò spiazzato, e rimase fermo qualche secondo ad osservare la strada, cercando qualcosa.

..che fa?..forse sta cercando quel Xarioki..

Poi con un balzo si portò a centro strada, e iniziò ad annusare per terra. Il nano lo aspettò al riparo dalla pioggia, curioso di vedere che sarebbe capitato.

Dopo qualche istante il gatto partì spedito in direzione del centro della città, naso piantato a terra, nonostante la pioggia.

Il guerriero si affrettò a seguirlo rumorosamente e scompostamente, sotto la pioggia e il fumo..

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Quando anche l’ultimo bagliore arancione della coda del gatto scomparve, Xarioki gli si rivolse di nuovo –Nhemesis se la caverà- disse. –E’ un essere dotato di grande intelligenza, estremamente scaltro, non preoccupiamoci per lui.

Il ragazzo senza nome allora rispose –Cosa possiamo fare allora per tentare di salvare questa città?- E indicò le fiamme azzurrine, ormai in prossimità delle mura esterne.

-Non lo so- rispose Xarioki. –Ero un mago, anche se ho dimenticato la maggior parte delle cose che sapevo. Ma, dannazione, ero un mago! Spetta a me risolvere situazioni come queste-. Prese a calci un frammento di lamiera per la frustrazione.

-Sei sicuro di non riuscire più a compiere incantesimi potenti?- chiese il ragazzo senza nome.

-Non si può mai essere sicuri finchè non si prova. Ma il prezzo di un uso inadatto dell’Arte è, come tutti sanno, la morte- rispose il Xarioki.

-Quindi, nel caso in cui dovessi fallire, moriresti?

-Sì. Morirei.

-Ma come fate voi maghi a sapere se un incantesimo richiede troppa energia?- chiese il giovane.

-Non lo sappiamo. Ci basiamo sugli antichi testi di magia, scritti da altri stregoni o incantatori arcani, che ci suggeriscono come agire e fino a che punto osare. Ma la certezza assoluta non esiste. Non è mai esistita. Questo è il motivo per il quale l’Arte è così rischiosa e complicata.

-E cosa ti fa pensare di non essere in grado di fermare le fiamme?- disse il ragazzo.

-Non sento l’energia fluire nel mio corpo a sufficienza. Percepisco le fiamme come superiori alla mia energia vitale. Non è una certezza, è più una sorta di sensazione, di presentimento.

-Quando eri in pieno possesso dei tuoi poteri, saresti riuscito a fermarle?- chiese avido di sapere il giovane.

-Non lo so. Ho perso la memoria di quello che ero. Ho solo vaghissimi ricordi, una sorta di reminescenza di una vita lontana- rispose il mago.

Troppo stupito da ciò che aveva appena udito, il ragazzo preferì tacere. Un orribile sospetto si faceva largo nella sua mente. Un’ipotesi che non voleva nemmeno incominciare a considerare, ma che insisteva nella sua mente, come una flebile voce malefica, che non si mette in pace finchè non ti ha reso folle.

Cercando di non rendere palese il proprio stato d’animo, il ragazzo disse –Mentre parliamo, Aalborg sta bruciando. Dobbiamo fare qualcosa.

-Hai ragione, dobbiamo agire prima che sia troppo tardi, in qualche modo- disse Xarioki. Poi il mago ebbe un’illuminazione. –La biblioteca!- gridò nella notte rischiarata dalle fiamme. –La biblioteca!-

Senza aver capito il motivo dell’agitazione e dell’euforia del suo compagno, il ragazzo senza nome seguì Xarioki che camminava con passo svelto e deciso per le strade della città in tumulto.

Arrivati davanti al portone della biblioteca, si accorsero di non essere soli. Per un momento i due ebbero paura, poi videro un lampo arancione uscire da dietro un angolo, mentre un nano lo seguiva lentamente. Tirarono un sospiro di sollievo.

  • 2 settimane dopo...
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Perchè proprio la biblioteca?

Vi era un presentimento in quel pensiero, anzi la certezza che qualcosa gli fosse sfuggito. Non sapeva nulla di questo mondo, era quasi del tutto estraneo ad esso o forse vi era appartenuto un tempo. Ma ora non se lo ricordava più.

Il che, in fin dei conti, non faceva alcuna differenza.

Eppure era sicuro che nella biblioteca avrebbero trovato le risposte che cercavano. Prima che la barriera cedesse, perchè i maghi, per quanto forti ed abili, non sarebbero potutti resistere molto a lungo. Nella mente di Xarioki pulsava una strana sensazione di eccitazione e di potere. Come se potesse comunicare con il fuoco che dilaniava ed inceneriva al di là delle mura..

Era una magia ma anche qualcosa in più...

Era qualcosa dotato di una vita propria.

E man mano che il tempo passava acquisiva più forza e sicurezza.

Il giovane lo interruppe nel suo ragionamento:

-E' questa la biblioteca?-

Si erano fermati davanti all'edificio.

E chissà perchè Xarioki era sicuro che fosse l'edificio giusto. Lo riconobbe dalle guardiole vuote. Oramai con l'allarme la biblioteca non era più sorvegliata e chiunque avrebbe potuto passare le porte. Una formula rieccheggiava sul portale, i caratteri scritti a fuoco ed anneriti:

"Varcate le soglie della conoscenza ma siate attenti al suo uso"

Xarioki non vi badò più di tanto ed oltrepassò le pesanti porte.

Non si chiese per quale motivo aveva compreso senza neppure pensarci un attimo una lingua antica....

Ma d'altronde qui c'era già stato.

  • 4 settimane dopo...
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Il rinfrescante gocciolio ripetuto che pioveva sulle foglie dei fitti alberi che si intrecciavano alla vista non lo infastidiva minimamente.

Qualcos’altro aveva attratto l’attenzione della sua possente figura.

Come un odore familiare.

Un odore che già una volta aveva sentito.

Il nero destriero,che da giorni marciava quasi senza sosta,quella notte procedeva sotto l’umida cappa della foresta.Ed anche lui scorgeva e sentiva qualcosa,si capiva dalla sua andatura e dai suoi occhi purpurei che scrutavano con massima attenzione lo spazio al di là della sua robusta bardatura.

Aveva sopportato di peggio,certo,ma questa volta gli pareva di andare incontro a qualcosa,che aveva già provato,e che non gli era piaciuta del tutto.

Cecil,dunque,con gesto elegante portò la sua mano sinistra all’elsa della sua spada,che,con rumore metallico e fluido,sembrò baluginare tanto da stupire le inanimate spoglie della radura che,nel frattempo,si apriva agli occhi dei due viaggiatori.

Sembrava essere tutto immobile,rapito da quell’istante,in cui il cavaliere si accorse e riconobbe con una certa facilità l’odore che gli era arrivato alle narici poco tempo prima.

Odore di morte.

“una radura sconsacrata”

Pensò senza fatica Cecil che in una mano teneva le redini e nell’altra la spada che rifletteva il firmamento turbato dall’atmosfera cupa di quella notte.

Il cavaliere rivolse uno sguardo al cielo e,vedendolo privo di luce,chinò repentinamente il fiero capo che tornava in quel momento ad osservare il terreno davanti a lui ed al suo destriero.

-Probabilmente- disse Cecil al suo compagno-troveremo delle seccature maggiori di qualche umano ed una manciata di stregoni-

Quasi con un cenno di Assenso Blackmoon si diresse,con un andatura più fiera di quanto non lo fosse già,verso il bagliore blu che veniva da dietro una piccola collinetta.

Certo la pioggia non aveva smesso di cadere su quella terra morente,ma,osservò il cavaliere,non sarebbe servita che a incupire gli animi di chi,nella cittadella che gli si parava poco distante,sapeva già di dover morire.

Vide con curiosità solo accennata anche gli sforzi di chi,sulle mura,cercava di sostenere una lotta impari sulla morte.

-i soliti elementalisti,stupidi maghi da quattro soldi,attaccati alla vita come ad uno specchio scivoloso;guarda Black,ora tentano pure di salvare un intera città,quando non riuscirebbero a salvare loro stessi soltanto-

Ed una risata profuse dalle labbra di colui che un tempo faceva parte dell’umanità nondimeno della gente che si impauriva nella speranza di non morire dentro le mura che separavano la città dal mondo esterno.

-stupidi esseri attaccati alla loro vita senza valore,gli stessi che mi hanno tolto ciò che era mio,se ciò che cerco è qui mi sarà sufficiente aspettare che tutto finisca e recuperare ciò che mi è utile tra le macerie-

Detto questo spronò il nero cavallo che si mise a correre per quella che una volta era la stessa foresta che prima attraversavano con una certa noia,verso la città attaccata dalle fiamme.

Non sapeva neppure lui perché stesse andando così vicino alla città di cui aveva parlato male sin dai primi attimi in cui la vide,ma non si preoccupò molto della cosa,non gli importava della gente,voleva solo recuperare ciò che gli sarebbe servito,magari dalle ceneri dell’accademia di magia che sapeva esserci in quella città,magari qualcosa dalla biblioteca che gli spiegasse qualcosa del libro di incantesimi che si portava appresso da molto tempo.

Arrivò in poco tempo sotto le mura e sentì chiaramente il flusso magico della barriera che gli elementalisti tentavano di mantenere contro le fiamme,vide i maghi che si stagliavano a protezione della loro comunità,e constatò che molti erano giovani,troppo giovani,sia per poter fare qualcosa contro quelle fiamme,e sia per morire.

Un anziano che portava un diverso modo di vestire degli altri componenti del gruppo sembrava capeggiare con la cantilena che da tempo proseguiva.

In molti lo videro sul suo destriero e cercarono di farlo allontanare,con lo sguardo e poche altre cose ovviamente,per non interrompere il canto,mantenendo così ancora viva la barriera insieme alla speranza.

Sarebbero,in poco tempo,cadute entrambe;pensò Cecil.

Non fece un solo movimento,e,quasi,si divertì nel vedere come,chi sulle mura era prossimo alla morte,si preoccupasse tanto per lui che,con indifferenza,guardava alcuni di loro accendersi come fiammiferi e consumersi nel giro di pochi secondi.

“però,resistenti questi maghi,avrei giurato perissero uno dopo l’altro in meno tempo di quello che avrei impiegato per arrivare alle mura”

Un altro odore lo prese,con un certo disgusto,alle narici.In realtà erano due,ma il primo era quello che più lo impressionò.

“scavafosse”pensò.

E rivolse uno sguardo alla porta della città,uno sguardo assente ma pieno di Odio verso una razza che considerava stupida ed inutile nella sua bassezza.

“l’altro,cos’è?

Un gatto?Forse qualcosa di più di un gatto”

-Forse- disse a voce bassa –questa inutile città non cadrà così in fretta come avevo pensato-.

“forse questa Città non cadrà affatto”

Pensò avvertendo altri odori.

Guardò ancora sopra di lui,sulle mura,e vide un ragazzo che lo osservava mentre cantilenava la nenia comune.

Capì allora che sarebbe stato meglio entrare.

Forse.

  • Amministratore
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Sempre più preoccupata, Lariel continuava a seguire l’improba battaglia contro il fuoco magico con i suoi poteri di divinazione. Lentamente, la sua percezione cosciente scivolò sempre più lontano, nella sfera della trance divinatoria. Una serie di immagini si susseguirono, come lampi nel buio, rivelandole ombre oscure che si allungavano sull’Accademia, e improbabili eroi sorgere per fronteggiarle... e la biblioteca... la biblioteca... KIRNE!

Si ritrovò seduta sul letto, madida di sudore freddo e senza fiato. Impiegò qualche minuto a riprendersi, ma la forza della sua visione le impediva di indugiare oltre. Guidata più dal suo istinto che dalla sua coscienza, si diresse decisa alla biblioteca, e non fu del tutto sorpresa di trovare un cane di sua conoscenza all’ingresso. Cercò con lo sguardo il padrone del cane, l’investigatore; lo vide seduto a un tavolo all’interno e lo raggiunse.

Rudin aspettò l’ultimo istante per sollevare lo sguardo da quello che stava studiando, ma non si era certo fatto sorprendere dall’elfa. “B-b-buongiorno, signorina... L-l-lariel, esatto?”

La giovane maga annuì. “La stavo cercando... anche se non so perché. Sta per succedere qualcosa... qualcosa di terribile.”

Sulle mura, gli elementalisti concentrati continuavano a combattere le fiamme. L’intensità dell’incendio azzurro sembrò gradualmente scemare, fino a spegnersi del tutto tranne che in qualche piccolo focolaio. Un grido di esultanza si levò dagli apprendisti, stremati e quasi privi di energie, tuttavia soddisfatti della loro vittoria.

Ma la gioia si tramutò ben presto in orrore.

Una terribile esplosione estese di nuovo le fiamme, che in un istante giunsero a lambire le mura, che si scioglievano al tocco del fuoco come se fossero fatte di burro. Le fiamme si ritrassero quasi subito, ma lo spostamento d’aria era stato sufficiente a far volare alcuni difensori verso una morte dolorosa.

I maestri elementalisti gridarono alcuni ordini, e i loro giovani apprendisti ripresero stancamente posizione, feriti nello spirito se non nel corpo. Improvvisamente, Veck sentì un grido risuonargli nella testa... “KIRNE!” Convinto che fosse la voce di Lariel, si guardò intorno, ma non la vide. Incrociò tuttavia lo sguardo del professor Lajos, che gli rivolse un cenno d’assenso... come se avesse sentito anche lui la chiamata... Veck si precipitò giù dalle mura, e per quanto stanco fosse iniziò a correre verso l’Accademia. Anche gli studenti di Abiurazione, specializzati nella creazione di barriere magiche, si stavano spostando verso le mura. Poteva stare tranquillo, la sua assenza non avrebbe fatto la differenza...

Il professor Lajos iniziò un nuovo incantesimo. Non gli rimanevano molte idee, e le forze del suo gruppo di incantatori si stavano lentamente affievolendo. Non sapeva come fermare l’incendio... perché non c’erano mai divinatori, quando c’era bisogno di loro? Lanciò un nuovo assalto di energia magica, ignorando la figura nera che si stava facendo strada tra le fiamme.

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Vide le fiamme diradarsi e,per un attimo,tutto si fermò

Quasi come la pioggia che sembrò finire di sbatacchiare sulle lamiere della poderosa armatura rumoreggiando sommessamente.

Ma come il tempo che riprende a scorrere,le nuove fiamme sembrarono divampare con più potenza e riverbero delle precedenti.

Il cavaliere,nero nella sua ombra,non sembrò sorprendersi poi molto.

Certo aveva cose più importanti a cui pensare che alla sopravvivenza di quegli stupidi umani aggrappati alla loro vita

“come un gatto si aggrappa ad un drappo che,prima o poi,cede sotto il peso del felino”Pensò Cecil nell’intramezzo dei suoi ragionamenti.

-a proposito di gatti

lo senti anche tu vero Black?-

disse rivolgendosi al destriero che,fiero,si era già inoltrato tra le fiamme.

Si ritrovarono sotto l’anziano che guidava ancora la resistenza contro quella che sembrava una forza troppo potente da sopportare,soprattutto per chi aveva già sopportato molto.

L’anziano sembrava concentrato a tal punto da non curarsi della figura che si stagliava,nera,nel frastagliare delle fiammelle che lambivano il destriero quanto il cavaliere.

“in cerca di qualche altro trucchetto immagino,ma non gli resterà ancora molto tempo,e,forse,farei meglio a sbrigarmi”

Nemmeno lui sapeva per quale motivo era riluttante ad entrare.

All’inizio pensò fosse per lo scalpore che la sua figura unita a quella del cavallo avrebbe creato in quella cittadella,ma era già entrato in altre città,anche di giorno,e non gli era mai importato molto che venisse notato dagli umani.

Non gli aveva mai creato problemi.

Ma gli sguardi lo infastidivano,e non poteva sopportare l’appiccicaticcio senso dell’essere osservati da ottusi esseri come i mezz’orchi o umani ubriachi che si aggiravano fuori dalle locande.

“dannazione,devo decidermi in fretta,non posso indugiare ancora;Blackmoon mi sta portano direttamente al portone principale,e se voglio starne fuori devo allontanarmi ora che le fiamme non mi preoccupano più di tanto”

Non ci fu molto tempo per decidere,e,impugnando la spada

(che in precedenza aveva estratto dal fodero)con fierezza,tra le fiamme falciò il crepitante ostacolo con colpi molto precisi,atti ad alleviare le sofferenze del destriero che dava prova di gran prodezza affrontando fiamme che sembravano scogliere le mura.

La fortuna fu quella del fatto che,ironia della sorte,le fiamme erano molte di meno e più deboli davanti al portone principale rispetto a quelle presenti sul perimetro delle mura circostanti.

Sentì dei commenti che provenivano dalle mura

“di certo provenienti da quei petulanti,giovani,maghi che,esausti dalla troppa fatica,si saranno messi a cercar di salvare le vita altrui,stupidi.

Pensate a tener in piedi la città in cui vivete.

Non sono forse le regole dei buoni umani quelle che indicano di sacrificarsi per la vita altrui,soprattutto quella della propria città?

E questi pensano alla mia sopravvivenza”

E tra questi pensieri si incupì pensando al proprio passato da umano.

Quando anche lui proteggeva quegli ideali che ora sembrava disprezzare con cotanto astio.

Potrebbe essere stato un velo di tristezza e malinconia quello che coprì il fiero viso del non-morto in quell’attimo in cui la pioggia sembrò riprendere a rumoreggiare tintinnando;tanto sull’armatura lucente quanto sulla lama della spada,che continuava a protrarsi con fendenti veloci e sicuri contro il fastidioso quanto tedioso ostacolo.

Il portone principale non sembrava chiuso o barricato in qualche modo

“d’altronde”pensò Cecil ripresosi dai propri turbamenti “quello contro cui si stanno difendendo non è un esercito,per quanto feroce,questo avversario,effettivamente sia”.

Bastò una sfuriante impennata del fiero Blackmoon,seguita da un possente colpo di zoccolo,per spalancare il portone principale di quella che si dimostrò essere una città abbastanza spaziosa.

La figura del nero destriero sormontato dalla nera forma del non-morto si affacciò,tra la fitta pioggia,alla vista di un nano che,guidato da un gatto,sembrava attraversare in tutta fretta la cittadella.

Il boato del portone fragorosamente aperto sembrò spegnersi lasciando il posto all’ormai consueto tintinnio

“uno scavafosse ed un felino” pensò ”un seccatura di cui farei a meno”

Guardò i due che sembravano essersi fermati ad osservarlo quasi attoniti.

In realtà sembrò che il nano vacillasse,rumoreggiando fastidiosamente con le vettovaglie appese al proprio corpo.

Il gatto sembrò osservarlo con un velo di preoccupazione negli occhi.

Blackmoon si limitò ad avanzare di un passo verso le due figure.

Cecil si limitò a rispondere agli sguardi con un espressione quasi assorta.

Il suo pensiero era rivolto altrove.

Ma,ben presto,l’odore che pervadeva le sue narici sensibili si protrasse fino ad invadere i suoi pensieri.

E fu portato ad osservare i due fradici personaggi che si ritrovava sotto i pallidi occhi dorati.

Il suo solito sguardo assente e malinconico.

Ed un unico pensiero sotto la pioggia

“preferirei non avere seccature in certi momenti,e preferirei che il portone non avesse fatto tanto rumore”

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  • 3 settimane dopo...
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É stato un errore ritenersi al sicuro qui dentro.

Questo pensava Rudin, mentre in tutta fretta riponeva nella sua borsa il frammento di stoffa raccolto e le pagine di appunti che aveva preso su di esso. Aveva fatto diverse scoperte che meritavano un approfondimento molto più serio, e si poteva dire che aveva compiuto passi avanti nell'identificazione del misterioso uomo della torre in città. Ma tutto questo al prezzo di estraniarsi per troppo tempo dal mondo esterno.

Adesso, con la giovane elfa che gli teneva una mano tremante sul braccio e con l'altra che torturava nervosamente il labbro inferiore, Rudin diede un'occhiata al di fuori dell'edificio.

«Oh...»

La prima reazione fu una sorpresa tale da lasciarlo senza parole. Poi la mente ragionatrice riprese il controllo.

«D-d'accordo, si-signorina, si-si calmi. C-cosa d-diavolo è successo l-là fuori?»

«Non lo so... non lo sappiamo, quel fuoco è uscito all'improvviso e ha divorato bosco strade e adesso mura dell'Accademia...»

Rudin osservò con un po' di attenzione la battaglia dei maghi contro la conflagrazione all'esterno e vide con sbigottimento che la gran parte erano ragazzi più giovani di lui.

Apprendisti - capì - mancano di metodo oltre che di mezzi. Qualcuno starà cercando di capire cosa è questo fuoco, o la condizione è così disperata da pensare solo a salvare la pelle?

Non poteva fare molto, e la cosa lo frustrava al massimo. Contro quel fuoco non serviva organizzare catene di secchi, fare spazi di terra bruciata, o altro: andava fermato con la magia.

Porto la mano alla tasca e ne estrasse un cilindretto di legno intagliato. Lo portò alle labbra e soffiò forte. Pur a quattro corridoi di distanza, c'erano buone possibilità che Schultz sentisse quel segnale silenzioso.

Ad una certa distanza dalla biblioteca, nell'ingresso dell'Accademia, il cane dal pelo grigio era vigile e in piedi da parecchio. Tutti i suoi sensi di sopravvivenza gli urlavano che c'era qualcosa che non andava, di andarsene. Ma aveva ricevuto un ordine.

Poi un odore insolito guadagnò l'attenzione dell'animale. Era un odore che il cane aveva già sentito, ma solo di recente... nel luogo in cui era stato poco prima... lo stesso odore dell'oggetto nero che Rudin si era messo in tasca.

Affidandosi al suo naso, il cane si spostò rapidamente per tutto l'ingresso, cercando l'orogine di quell'odore.

Non fu una caccia qualsiasi. L'odore si spostava, scompariva nelle pareti, appariva in due punti distanti per poi spostarsi senza lasciare traccia.

Prima di riuscire nel suo intento il cane udì l'ultrasuono di richiamo, e ubbidiente abbandonò la sua ricerca per correre in direzione del padrone.

Nell'ingresso ora del tutto sgombro, un'ombra scura scivolò da un muro all'altro senza fare il minimo rumore.

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Entrare nella biblioteca era come entrare in un tempio, anzi in una bolla separata dal resto della realtà. Xarioki si chiese se fosse possibile respirare e percepire ll'odore di quel luogo, così distante da quanto stava accadendo lì fuori. Le sale erano deserte ed immense. Tutti gli uomini erano stati richiamati a difendere le mura ed il passo lento di Xarioki risuonava sul marmo delle grandi sale.

Ed ora? Dove andare?

Non poteva pensare che trovare i libri sarebbe stato semplice. Potevano essere dei libri di magia, oppure dei pesanti tomi d cronache polverose. Eppure da qualche parte doveva iniziare dal momento che era entrato lì dentro.

Procedette diritto con sicurezza, fino alle pesanti porte bronzee al termine del corridoio. Ed ecco, una sala vetrata nella quale l'oscurità si riversava attraverso le vetrate. I bagliori azzurri del fuoco che minacciavano le mura arrivavano fin lì, ma non gli odori, non le urla strazianti di quelli che cedevano. E per ogni minuto che lasciavano passare altre vite si sarebbero spente.

"Ed ora che facciamo?" Il giovane gli si era affiancato ed ora erano entrambi fermi sulla soglia del saone centrale, pieno zeppo di libri.

"Accendi le luci, ne avremo per lungo tempo... ed a proposito: sai leggere?" rispose Xarioki.

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Schultz entrò di corsa nella biblioteca, quasi urtando i due che stazionavano sulla soglia. Rudin si chinò a carezzarlo brevemente per ricompensarlo della sua obbedienza.

Il cane non si accucciò sulle zampe posteriori come era solito fare quando il padrone era fermo: restò invece piantato sulle quattro zampe, vigile, annusando l'aria intorno a sé. Rudin non ci fece caso finchè il cane non abbaiò e tirò mordicchiando il bordo del giaccone.

«C-cosa c’è, bello? A c-cuccia, da b-bravo» Ma il comportamento del cane era chiaro. Non era l’incendio a renderlo così nervoso: un atteggiamento simile era tipico, e Rudin lo sapeva, di quando il cane sentiva il pericolo di cui il padrone non era al corrente.

«C’è-c’è qualcosa c-che non va…» sussurrò soprappensiero. Lariel lo guardò come se fosse impazzito «Ma-ma certo che c’è qualcosa che non va! Qui fuori c'è una battaglia per non far bruciare la città contro un fuoco che…»

«N-no, non quello. Q-qualcos’altro. P-più vicino. S-stia di-dietro di me»

Rudin armò la balestra e mirò nella direzione in cui puntava il cane. Con l’altra mano afferrò un intarsiato candeliere e lo sollevò. Le fiammelle verdi sui bracci facevano molta più luce delle normali candele.

Lariel gli afferrò un braccio. «Ma che fa? A cosa spara cosa sta facendo? Non c’è nessuno lì!»

Schultz in quel momento ringhiava, basso sulle zampe, verso il grosso tavolo all’ingresso del locale. Su di esso erano posate diverse pergamene e un candelabro del tutto simile a quello che l’investigatore reggeva in mano.

Un refolo d’aria sollevò per un attimo una pergamena e fece tremolare le fiammelle.

Le finestre erano chiuse ermeticamente. I due tizi entrati avevano chiuso la porta da diversi secondi.

Quindi l’aria?…

Schultz abbaiò un’altra volta, e fu come il segnale di inizio per quello che Rudin aspettava: la balestra scattò, ma il dardo si conficcò nel muro di ingresso. Schultz scattò in avanti abbaiando e spiccò un balzo verso il nulla, ma a mezz’aria cadde all’indietro come se avesse battuto contro una barriera invisibile. Rudin scagliò il candelabro nel punto in cui aveva visto sbattere il suo cane e vide anche quell’oggetto cambiare direzione a metà del suo tragitto, come se avesse sbattuto.

«VIA!!!» gridò e spinse Lariel indietro. Nel legno dello scaffale presso cui i due stavano un secondo prima si aprì come per incanto un grosso squarcio che schizzò schegge in tutte le direzioni.

«Cos’è!? Cos’è stato?» gridò la giovane elfa.

«Non n-ne ho idea, m-ma è p-pericoloso!» rispose Rudin, mentre i due correvano tra gli scaffali verso il fondo della libreria, dimentichi dell'incendio e della battaglia che si svolgeva al di fuori della biblioteca.

L’investigatore tirava per il braccio l’elfa, e quando questa rallentò si girò per spronarla. Le membra di Lariel si fecero inerti, mentre il suo sguardo si perdeva nel vuoto e la sua mascella si contraeva.

«S-si s-sbrighi! Cosa fa! Su, s-si muova!» Rudin la tirava per il braccio, quando all’improvviso Lariel si riscosse ed indicò un punto oltre le spalle dell’uomo.

«Lì!» gridò, e si gettò in una corsia laterale tra gli scaffali tirandosi dietro Rudin; un altro pezzo di scaffale si staccò, a dieci centimetri di distanza dal punto in cui Rudin si trovava un istante prima.

Adesso i due si trovavano a terra. Rudin caricò la balestra e la puntò davanti a lui preparandosi a colpire a caso.

In quel momento con un ringhio feroce Schultz emerse da dietro gli scaffali, e con un balzo addentò qualcosa di invisibile. Il povero cane era sbatacchiato a destra e a sinistra con forza ma non mollava la presa.

Bravo, cucciolo…

Rudin prese la mira e sparò, un colpo preciso vicino alla bocca del suo cane. Si udì un urlo acutissimo e raccapricciante, poi Schultz venne sbalzato contro un muro e del sangue colò a terra, da un’altezza di circa un metro e mezzo.

Davanti agli occhi di Rudin e Lariel, si materializzò un essere umanoide, incredibilmente magro ma all'apparenza non debole, avvolto in vesti grigie e nere, innaturalmente fluide, quasi fossero liquide, che lasciavano liberi giusto gli occhi. In mano reggeva una lama ricurva lunga circa mezzo metro, e perdeva sangue dall’altro braccio.

Quel tessuto era inconfondibile.

«È il t-tipo della t-torre! Q-quello che è s-saltato giù!»

I due erano trafelati, ma adesso fronteggiavano un nemico visibile, e potevano tenergli testa. Rudin inserì rapido un altro dardo nella balestra e tirò: l’avversario non si mosse per scansare, ma il dardo si perse ugualmente dietro di lui.

Strano. Ero sicuro di averlo colpito…

Ancora una volta l’uomo caricò e prese la mira. Ma quando fece per sparare, l’avversario scartò di lato e scomparve all’interno dello scaffale.

«M-ma che diavolo… c’è un p-passaggio in quel p-punto?» chiese stupito a Lariel.

«No» rispose lei «Sono stata un sacco di volte qui in biblioteca, e le assicuro che tutti gli scaffali sono pannelli unici di solido legno di quercia.»

«A-allora le-le conviene r-ricordare qualche t-trucco che ha stu-studiato» sussurrò mentre il suo sguardo dardeggiava verso lo scaffale in cui era sparito l’avversario «perché q-qui avremo dei-dei grossi p-problemi…».

  • Amministratore
Inviato

Man mano che si avvicinava all'Accademia, Veck percepiva con maggior chiarezza il senso di pericolo che gli arrivava da Lariel. I suoi passi affrettati lo stavano inconsciamente portando verso la biblioteca. Entrare nell'edificio fu come una fredda doccia di silenzio, dopo il tumulto delle strade. Veck scorse la giovane elfa. Si avvicinò, superando un uomo e un ragazzo dall'aria interrogativa, e si accorse che Lariel era in compagnia del detective, Rudin. "Che succede?" Non udì la risposta. L'ondata di gelo ultraterreno lo investì in quell'istante stesso e lo lasciò senza fiato. Il suo petto era stato attraversato da una specie di tentacolo, un filamento d'ombra privo di sostanza, che arrivava da uno scaffale alle sue spalle. Veck sentiva che il calore del suo corpo lo stava abbandonando.

Liwat pahLi!

La terribile sensazione cessò, sostituita da un piacevole calore che irradiava dalla mano sollevata di Lariel; una luce dorata che avvolgeva i due maghi, Rudin e il cane. Gli occhi dell'uomo saettavano a destra e a sinistra, in cerca di

bersaglio. "Kirne!" chiamò con urgenza Lariel "E' di nuovo quel tizio dell'appartamento! Fai qualcosa, la Barriera di Luce

durerà solo pochi secondi!" Veck strinse il suo bastone, e iniziò a mormorare una cantilena di parole magiche. "teplo téigh suas huone teplo téigh suas huone..." La sua fronte si imperlò di sudore, mentre la temperatura della stanza si alzava sensibilmente. Lariel chiuse gli occhi, e si concentrò a sua volta. Rudin, dal canto suo, non degnò di più di uno sguardo i due fruitori di magia, cercando dispertamente di scorgere un movimento, un solo semplice indizio che gli indicasse dove colpire.

Il suo cane ringhiò sommessamente.

Come se fosse stato un segnale, l'elfa esclamò "Gwélet!" La cappa di invisibilità che celava il misterioso assalitore si dissolse, rivelando che si trovava ormai a solo pochi passi da loro. Di riflesso, l'assassino allungò una mano verso Rudin. Un secondo filamento di tenebra si proiettò dalla sua mano, ma anche questo si dissipò entrando nel raggio d'azione

dell'incantesimo di calore di Veck. Ora era il turno di Rudin di agire; un dardo saettò nell'aria e colpì di nuovo, conficcandosi in una coscia dell'uomo in nero, che sibilò un'imprecazione. Rudin ricaricò con un gesto quasi automatico la

balestra, dicendo "B-b-bene, chiunque t-tu sia... E' f-f-finita. S-s-sei sotto tiro." L'affermazione fu supportata dai due giovani maghi, che ora si sistemarono accanto a lui pronti a scatenare nuovamente i loro poteri magici. Purtroppo, non ottennero la reazione sperata.

L'uomo si strappò il dardo dalla gamba senza cambiare espressione. Con uno sguardo allucinato, sollevò il suo lungo pugnale, e ne passò la lama sul palmo dell'altra mano. Una linea scarlatta si disegnò nell'aria, una linea carica di magia maligna.

Veck, Lariel e Rudin si ritrovarono contemporaneamente ad annaspare, mentre un dolore isostenibile pervadeva il loro petto. Il cane, Schultz, si lamentava sommessamente. La vista di Veck era offuscata da un velo rosso, ma aveva sentito il tonfo di un corpo che cadeva. Cercò di voltarsi, ma gli spasimi di dolore si fecero più acuti, e cadde in ginocchio. Non aveva neanche la forza di gridare. Ormai era finita.

Un grido di sofferenza e frustrazione si levò da qualche parte. Bene, pensò il giovane mago, due sono andati e il prossimo sono io . Ma quello che lo toccò non fu il freddo bacio di una lama, ma un piacevole tepore che scacciò il dolore e gli diede nuova forza.

Inviato

Erano appena ripartiti nella direzione presa dal gatto, tra sferragliamenti di armi e pentole che il nano aveva appeso a tutto il corpo, quando sentirono il fragore di qualcosa che si sfasciava di botto.

Si girarono entrambi a guardarsi indietro e videro quella che Olbeon valutò essere l'unica cosa mancante in una giornata come questa: un cavaliere Nero.

C'era tutto quello che serviva per ritenerla pessima: una rissa, un mal di testa da dopo-sbornia, un gatto pazzo, la città in fiamme e un cavaliere Nero.

Olbeon scosse la testa, incredulo, pensando di avere un allucinazione.

Ma la creatura che aveva di fronte rimase lì, ferma sotto alla pioggia, sopra ad un cavallo grande tre volte lui, con gli occhi fermi e decisi che lo guardavano.

Il gatto, di fianco a lui, sembrava altrettanto alibito.

Ma dopo pochi istanti si riprese, miagolò forte e riprese a correre.

Olbeon tentennò pochi istanti, poi si lanciò all'inseguimento, guardandosi alle spalle.

Il cavaliere sembrava seguirlo da distante, al passo.

Olbeon proseguì nella direzione del gatto, mentre la preoccupazione montava dentro lui.

Percorsero altri duecento metri di corsa, poi giunsero ad un grande edificio sul lato della strada; davanti ad esso Olbeon vide Xarioki e l'altro uomo con la grande spada fermi di fronte all'edificio.

Sembravano allarmati da qualcosa che stava avvendendo all'interno, indecisi se entrare o meno.

Il guerriero si rivolse a Xarioki:

"Ho pant pant seguito quel tuo dannato gattaccio pant pant pulcioso fino a qua. anf anf

Mi spiegate cosa state facendo qua di fronte?"

Mentre chiedeva questo si guardò alle spalle e non vide più il cavaliere nero dietro di loro; l'istinto gli suggeriva però che stava arrivando, lentamente, senza fretta.

Iniziò a togliersi di dosso tutte le vettovaglie, per stare più comodo, e mentre posava le prime pentole a terra da dentro la biblioteca senti dei rumori provenire.

Riuscì a distinguere un ringhiare furioso di un cane, un suono come un sibilo inumano, delle voci.

Mentre tentava di decifrare cosa stesse succedendo Xarioki esclamò:

"Ma che succede?

Il ragazzo che è appena entrato!

Sento della magia in azione li dentro!

Magia malvagia!"

In un attimo sia Nhemesis per primo che Xarioki subito dietro, scomparvero nell'entrata dell'edificio.

L'uomo che era con loro tentennò appena un attimo, poi si fiondò dietro a loro estraendo la spada.

Olbeon si concedette solo qualche attimo di imprecazioni mentre posava il resto delle vettovaglie, poi entrò a sua volta con l'ascia in mano, senza sapere se il cavaliere stesse veramente arrivando o meno.

..giuro che appena posso me ne vado da questo villaggio..

Una volta dentro gli occhi da nano ci misero un istante ad abituarsi al cambiamento di luminosità e la scena che gli si parò davanti lo lasciò inebetito.

Nhemesis si era avvicinato ad uno strano ragazzo che sembrava in fin di vita, mentre Xarioki teneva le mani poggiate sulla testa di una ragazza e di un'altro uomo steso a terra, lo stesso con il quale aveva quasi litigato quella mattina il nano.

L'uomo stava di fronte a loro, dimenando la magnifica spada nera come uno scudo per tenere distante una strana creatura armata di un lungo pugnale nero.

Ad Olbeon fu subito chiaro che quella creatura non era un semplice avversario, qualcosa di strano lo teneva in vita.

E intuiva facilmente anche che probabilmente la sua ascia non avrebbe potuto fargli danni, a giudicare dai dardi conficcati nel suo corpo che lo lasciavano quasi insensibile.

La lama del mostro saettò a mezz'aria per tentare di colpire l'uomo che agilemente schivò il fendente.

A sua volta fece saettare l'arma a mezz'aria, e Olbeon non riuscì a capire se il colpo fosse andato a segno o meno.

Notò che il ragazzo vicino al gatto sembrava lentamente riprendersi, ma non ebbe tempo di osservare cosa stesse fancedo Xarioki: nella foga del combattimento il ragazzo con la spada era riuscito a spingere la creatura nella sua direzione, che gli dava le spalle.

Olbeon non ci pensò due volte: scattò in avanti al passo di carica, l'ascia davanti a se bassa e con la lama rivolta in avanti, urlando.

La creatura si accorse allora di lui, e si voltò di scatto. La lama si abbassò rapidamente, decisa a squartarlo dall'alto, ma si scontrò contro la parata della sua arma.

Un freddo glaciale si insinuò nella carne della sua mano, esplorando velocemente il suo corpo verso il braccio e la spalla, appena le due armi si incontrarono.

Una sensazione di stordimento iniziò a disorientarlo ma Olbeon non si fermò, incapace ormai di farlo, o forse deciso a non farlo. Sbattè violentemente con la spalla contro il basso ventre della creatura, in una carica da toro che la scagliò in volo qualche metro più in la.

Contro la spada nera del ragazzo.

Poi ebbe il tempo di fare due passi, prima di perdere l'equilibrio e cadere a terra, più stordito che in se.

L'ultima cosa che vide, prima di svenire per la seconda volta, furono gli occhi del gatto che lo osservavano.

E, forse, dalla porta, un ombra..

Inviato

Si vide ricoperto di pioggia.

Un attimo dopo sentì lo sferragliar di pentolame del nano e l’odore dei due viandanti scomparire.

“da quella parte,quello scavafosse e quel felino”

pensò il cavaliere che fiutava l’aria in cerca di quel qualcosa che lo aveva spinto ad entrare.

Oltre al suo istinto ovviamente.

-balckmoon,probabilmente sbaglieremo entrambi ad addentrarci in questa cittadella di umani e di nani,felini,maghi,ma c’è qualcosa che è qui e che devo trovare,che entrambi dobbiamo trovare-

Si mise a seguire il nano in distanza calandosi il pesante cappuccio sul volto per seguire meglio gli odori,le sensazioni.

E per pensare.

Lasciò che il destriero guidasse l’inseguimento lento sotto la pioggia.

Lentamente ritrovò gli odori nitidi,nascosti lievemente dalla pioggia,ma per questo disturbati dall’umidità che questa lasciava sul terreno,sugli arbusti,sugli alberi,nell’aria.

“maledetta pioggia,maledetta cittadella di sopravvissuti,maledetto sia anche il destino che mi costringe ad avanzare,nella sofferenza,nella malattia,nella debolezza”

Questi i pensieri del non-morto che,sul suo cavallo,avanzava mestamente sotto l’acqua che scrosciava violentemente,mostrando,forse per la prima volta a se stesso,di aver conservato la rabbia dell'umano che fù,di cui non voleva ricordar nulla,ma di cui era obbligato a ricordare ogni cosa.

Di certo avrebbe incontrato altri problemi,la sua entrata in città non era passata inosservata e questo non lo faceva stare tranquillo.

Dall’altra parte non sapeva dove si stava dirigendo e sapeva che in mezzo a quella cittadella avrebbe incontrato il sole quanto prima.

E la luce non gli piaceva,affatto,non provava piacere in quella che una volta era stata giuda del suo voto,del voto della protezione verso chi si trovasse in difficoltà,del voto di protezione della legge umana.

Distolse i suoi pensieri da quegli argomenti.

Un odore insolito lo mise in guardia.

Non era normale,era odore di morte,ma non di morte vera, quell’odore acre forte,misto a paura risentimento tipico della morte che accompagna i mortali,siano essi uomini che elfi o nani.

Era odore di chi gioca con la morte,di chi sembra dominarla.

Un odore che non piaceva nemmeno a Cecil.

E nemmeno al suo destriero che,a quanto sembrava,aveva rallentato il passo a causa di quel turbamento.

-che ti succede Black,so che lo senti,ma dobbiamo spingerci ancora in avanti.

Non preoccuparti,la tua sorte è legata alla mia,e di certo non intendo farmi sconfiggere dunque nemmeno tu sarai sconfitto,ora calmati e raggiungiamo quello scavafosse ed il felino-

Il cavallo sembrava aver preso forza dalle parole del suo padrone,riprendendo il passo svelto ma non troppo concitato con cui aveva iniziato l’inseguimento.

Sapeva di poter combattere contro i guerrieri della cittadella,non doveva contenerne poi molti,sapeva di potersela vedere anche con il nano o con gli umani che sembravano essersi affollati tutti in un posto oltre che alle mura.

Ma di certo non poteva vedersela con quel terrore che sembrava dilagare nelle vicinanze.

Non adesso,non malato com’era,la debolezza sembrava irretirlo in una morsa gelida e che lo lasciava quasi senza forze,completamente alla mercé del suo destriero e della sua spada.

“Devo tenere duro ancora per qualche ora,ho sopportato di peggio,e la debolezza non mi spaventa,prego solo che al mio arrivo il terrore che dilaga dall’edificio qui davanti se ne sia andato,o almeno sia occupato..”

Pensava nel tintinnare della bardatura del destriero e della sua armatura al contatto con la battente pioggia.

Aveva poche energie,ma due cose lo spingevano ad andare avanti.

La sicurezza che li,in quell’edificio umano,si trovasse ciò che stava cercando.

E la curiosità della fonte di tanto terrore,talmente forte da permettergli di stare in piedi dopotutto,anche con l’armatura,il mantello ed il cappuccio zuppo,con la sua spada.

Scese da cavallo,legandolo ad un paletto nelle vicinanze

-tranquillo amico mio,il mio destino sarà il tuo e questo lo sappiamo,ci ritroveremo ancora qui fuori,non so tra quanto e non so nemmeno in che modo-

rassicurò il destriero che si dimostrava irrequieto a causa della mancata presenza del padrone che si allontanava da lui.

Pensando dietro i suoi occhi vitrei.

“e forse,amico mio,ci rivedremo con quello che,ormai da tempo,cerchiamo”

si avviò pesantemente all’uscio di quella che sembrava la biblioteca della cittadella.

“Una biblioteca,bene,forse ci sarà anche qualcosa che spieghi il mio libro”

Si apprestò ad entrare

“sempre che quelli che stanno all’interno non abbiano l’insulsa idea di seccarmi,quello di cui ho meno bisogno sono le seccature.. e,per adesso,ne ho già avute troppe.”

Spinse dentro il suo volto incappucciato seguito dal resto del corpo,dalla spada sguainata che,bagnata dalla pioggia esterna,riluceva nel chiarore dell’interno della biblioteca.

Inviato

Stavano cercando tra i libri da appena pochi minuti quando il ragazzo sentì qualcosa. Chiamò Xarioki sussurrando quasi… ma il mago aveva già percepito il pericolo. Come se qualcosa e qualcuno fosse all'improvviso entrato nella stanza. Fece segno di fare silenzio e scrutò nell'oscurità quasi che l'atmosfera là dentro fosse cambiata di colpo. Come se si fosse improvvisamente abbassata di alcuni gradi. Il suo stesso respiro si condensò in una nuvola di vapore.

Magia oscura o qualcosa di peggio. Qualcosa che per la sua stessa presenza risucchiava l'energia ed il calore delle cose. Xarioki fece cenno al ragazzo di spostarsi dal lato opposto. Ma non ce n'era alcun bisogno: il ragazzo si era acquattato contro la parete ed aveva sfilato dal suo fodero una spada dalla lama nera, più oscura della pece. L'improvviso gelo scomparve, così com'era arrivato. Ma Xarioki avanzò con circospezione verso la parete.

-Cosa succede?- chiese il ragazzo.

-Porta qui la luce.- gli rispose.

Per un istante fu come se avesse udito dei rumori soffocati. Rumori di lotta e di magia. Per un istante aveva percepito l'aura di due maghi e di un terzo uomo ma come era possibile che l'avesse fatto? Senza nemmeno utilizzare un incantesimo.

Attento è lì vicino a te.

L'avvertimento del gatto risuonò nella sua mente. Xarioki percepì la sua immagine all'esterno, assieme al nano ed ad uno strano cavaliere. Scosse la testa e cercò di concentrarsi su quella parete. Qualcuno o qualcosa era stato capace di passarci attraverso, ma come?

-Tasta i libri, deve esserci un meccanismo da qualche parte…- avvertì sussurrando il ragazzo.

Sembravano degli imbecilli così nella penombra, minuti che scorrevano inesorabilmente mentre si affannavano a cercare l'apertura della porta segreta.

Il ragazzo sfiorò la costola di un libro: "Manuale sui viaggi nello spazio letterario" esordiva il titolo.

*CLICK*

L'intera scaffalatura scivolò silenziosamente verso l'interno, rivelando un'apertura verso un'altra sala. Forse quella in cui si trovava il libro che stavano cercando. Xarioki ci passò attraverso, seguito a ruota dal giovane che non aveva ringuainato la spada. E subito sentirono i rumori della battaglia e percepirono entrambi lo stesso freddo soffocante di prima. Nella stanza due giovani usufruitori di magia ed uno strano uomo vestito da cacciatore stavano affrontando qualcuno o qualcosa di maligno. Anche un cane era con loro. Xarioki preferì non rendere immediatamente noto il suo ingresso nella stanza: fece segno al ragazzo dietro di lui di non chiudere la porta segreta: meglio lasciarsi una via di fuga. Qualsiasi cosa quelli stessero affrontando non sembrava subire dolore. Le frecce la trapassavano come se trapassessero un velo d'ombra. La cosa avanzava inesorabilmente, come se nulla fosse in grado di frenarla. Ed i maghi sembravano essere destinati ad avere la peggio. Il ragazzo fece per schizzare in avanti, roteando la spada sopra la testa.

-Aspetta!- lo trattenne Xarioki.

Il ragazzo indugiò un istante incapace di comprendere: c'erano persone che soffrivano là, che avevano bisogno del loro aiuto. Perchè non intervenire?

-E' qualcosa più grande di te e me. Potremmo non essere comunque in grado di fermarla... e poi stanno arrivando i rinforzi.- gli sussurrò Xarioki. Le parole dell'incantesimo sgorgarono dalla sua bocca come se avessero aspettato tutto il giorno per farlo e dei dardi magici colpirono con ineluttabile precisione la creatura.

Che si ritrasse senza subire alcun danno. Anzi, si raddrizzò su di sé come se avesse assaporato l'energia magica. Xarioki rimase impietrito.

Spinse il ragazzo indietro verso il passaggio segreto, mentre la creatura li fissava, pronta a muoversi con mortale certezza.

Un istante dopo la scaffalatura scivolava di nuovo al suo posto. Xarioki emise un sospiro di sollievo davanti allo sguardo sbigottito del giovane.

-Come hai potuto?- gridò l'altro.

-Via di qua, presto! Prima che cambi idea... altro non potevamo fare. E poi bisogna imparare a ritirarsi per salvare la propria di pelle. Sennò come potremmo salvare la LORO? Almeno abbiamo guadagnato tempo prezioso!- replicò.

Ma il giovane non sembrava troppo convinto. Più che un atto di astuzia gli sembrava un atto di vigliaccheria.

Stiamo arrivando ormai, ma...

Ma cosa?

C'è un problema.

Di che genere?

Un cavaliere nero ci insegue...

Xarioki si riscosse. -Vieni con me- disse e trascinò letteralmente il giovane al di fuori della stanza, nel corridoio. Da qui entrarono nell'altra stanza. Quella dove la creatura stava finendo il suo crudele lavoro con gli usufruitori di magia.

Il ragazzo brandì la lunga lama nera tra le mani e scatenò il suo assalto.

Ebbe successo: la creatura si ritrasse, come perplessa, spaventata da quello che stava avvenendo. E Xarioki ne approfittò.

Si avvicinò al giovane esangue a terra e senza nemmeno sapere come pronunciò le parole giuste per un incantesimo. Un terribile senso di frustrazione gli annodò in gola. Come si può essere maghi senza sapere nulla dell'utilizzo dei propri poteri?

Nello stesso istante entrarono Nhemesis ed Olbeon.

Sono arrivato in ritardo?

Non penso, qui possiamo farci ammazzare tutti quanti, accomodati.

Fai qualcosa no? Sei tu il mago dopotutto. Non vorrai che intervenga il cavaliere nero qua fuori!?

Il ragazzo non sarebbe resistito a lungo. Ora la creatura sembrava essere molto meno perplessa... Dovevano realmente fare qualcosa prima che fosse troppo tardi. Il nano li prese tutti alla sprovvista. Berciò qualcosa e quindi partì direttamente alla carica.

Inviato

Cassiel e Kyra osservavano dalle mura la carneficina. Senza fare nulla, peraltro. Il fuoco azzurro ruggiva attorno alla città, precludendo ogni possibile via di fuga. E loro erano là, inermi ed incapaci di fare nulla per quella gente. Nulla che potesse salvare le loro vite. Kyra batteva impazientemente gli zocoli sul selciato, la parte umana del suo corpo che rifletteva in quello strano bagliore.

Eppure, nonostante fossero là in mezzo, tra le fiamme azzurrognole, sembrava che esse non fossero in grado di lambirli. Cassiel non avrebbe provato in nessun caso a verificare la propria ipotesi... ma...

Le fiamme attaccavano i maghi, non loro. Eppure ne erano circondati.

Un pensiero sempre più folle gli attraversò la mente, la possibilità che avessero sbagliato tutto. Che il problema risiedesse nella magia, nell'utilizzo di essa.

Come se per un qualche inesplicabile motivo il suo utilizzo condannasse immediatamente a perirne.

L'anziano in mezzo al circolo rado dei giovani dell'accademia sembrava essere sempre più spossato.

Stava lanciando il suo attacco finale, ma forse non sarebbe bastato. O peggio li avrebbe condannati tutti.

Guardò Kyra un istante e poi capì che non sarebbe servito nulla parlarne. Non avevano tempo per quello.

E scendendo in velocità dalle mura della città corse incontro alle fiamme.

Inviato

Aveva il fiato corto, ansimava chino sulla spada puntata sul pavimento di legno della biblioteca, tentando di reggersi in piedi da solo. L’attacco lo aveva sfiancato, e non sembra avesse fruttato quasi alcun vantaggio al giovane. Era stato un minuto intero a dimenare la spada contro quel nemico, invisibile, ma quello era sempre riuscito a schivare i suoi colpi. Il ragazzo non riusciva a capire come avesse fatto a evitare la lama affilatissima. All’osteria, qualche ora prima, aveva mulinato la spada per nemmeno venti secondi, senza neanche sapere quello che stava facendo, eppure era stato fortissimo, un avversario terrificante per il mezz’orco. Ma qualcosa gli diceva, un presentimento, forse, gli diceva che l’essere che aveva davanti agli occhi aveva poco o nulla a che fare con gli avventori della locanda. Solo standogli vicino si sentiva come permeato da una forza a lui superiore, malvagia, che lo volesse soffocare.

Finalmente il suo respiro si fece più leggero, e di rimise eretto, in piedi. L’Essere continuava a fluttuare a velocità forsennata nella stanza colma dei libri. Gli sembrò che fosse svanito attraverso una libreria, sospirò di sollievo, ma nemmeno due secondi dopo la vide riemergere come fumo dal pavimento. E nel suo volo di morte incontrava gli altri nella stanza, e solo toccandoli li fece tutti, uno dopo l’altro, cadere a terra tutti. Anche l’elfo e l’uomo che non conosceva, che opposero una strenua resistenza, persino Xarioki, il mago: furono tutti sopraffatti. Giacevano a terra privi di conoscenza. O morti.

l ragazzo si mise in posizione di difesa e aspettò che l’Essere si avventasse su di lui. Era pronto a morire, non aveva mai nutrito grandi aspettative riguardo alla propria vita da quando si era svegliato sull’isola, nemmeno cinque giorni prima. Ma l’Essere si teneva stranamente lontano da lui. Sembrava essere attratto dalla spada, ma che allo stesso tempo ne avesse paura. Non per la prima volta il ragazzo si chiese che cosa avesse di così speciale. Non aveva nulla di straordinario, eccetto l’insolito colore nero. Eppure, ogni volta che la sguainava e la brandiva, un coraggio e una determinazione inaspettati lo riempivano di speranza. E poi, quando combatteva, sembrava che fosse lei a comandare, a decidere che cosa fare. Quasi che nei momenti, come il combattimento, in cui l’istinto prendeva il sopravvento sulla ragione, fosse una volontà propria nella spada a governare il corpo del giovane.

Distolse lo sguardo dalla lama nera e si concentrò sul suo avversario. Era un’ombra. Un’ombra sulle pareti e sugli scaffali stipati di libri, un’increspatura nella tenue luce delle torce che piroettava velocissima nella sala.

In quel momento le narici del giovane si impregnarono di un odore simile a quello del suo nemico, ma in qualche modo diverso. Gli ricordava il fetore della putrefazione, di una carogna vecchia di qualche giorno. Ma in qualche modo era più vitale del puzzo di morte emanato dall’ombra.

Il ragazzo non capì da dove venisse. Poi si accorse di un rumore di stivali con il tacco che risuonava nei corridoi della biblioteca. Si faceva sempre più chiaro e distinto. Era ormai vicinissimo, si sentiva che di lì a poco sarebbe apparso qualcuno.

Le torce illuminavano un uomo molto alto e magro, completamente ammantato di nero. Non se ne intravedeva la pelle, tanto era avvolto nel mantello di pelle nera, ma dava l’idea di essere pallido e debole.

L’Ombra sembrò provare uno certo interesse per l’inatteso visitatore. Allungò i suoi tentacoli di Oscurità, ma non accadde nulla. La figura non tentò di scostarsi dal contatto, non cadde a terra come avevano fatto gli altri, non sembrava nemmeno turbata dall’apparizione dell’Essere.

L’Ombra continuava a girargli attorno. Lentamente, l’uomo ammantato di nero si tolse il mantello, rivelando una corporatura scheletrica e malsana. Al ragazzo che stringeva la spada, incredulo di fronte all’ennesimo avvenimento insolito, degli ultimi giorni rimase a fissare la figura, ora che avevo reso visibile la carne. Era un giovane più o meno della sua età, ma era scheletrico e malsano, e mezza spanna più alto. Il suo viso aveva l’aspetto di qualcosa che una volta era stato immensamente bello, ma in quel momento era ormai quasi del tutto sciupato.

Gettato il mantello da una parte, il giovane alto e scheletrico sussurrò qualcosa all’Ombra. Erano parole di potere, ma dette con tono pacato e distaccato, quasi di comprensione per la creatura. Mentre stringeva la spada, paralizzato dallo stupore, l’altro ragazzo rimaneva a guardare l’Ombra che si fermava lentamente ad ascoltare. Poi si dissolse in una nube nera che per un istante oscurò tutto alla sua vista. Non la rividero per molto tempo.

Prima ancora di avere il tempo di riprendersi dallo sbigottimento, l’ultimo entrato gli disse –Gli altri si sveglieranno, percepisco le loro anime ancora richiuse nella loro prigionia terrena.- E poi aggiunse, il tono di voce, che si abbassava fino a farlo bisbigliare –Ma noi dovremmo farci proprio una bella chiacchierata. Me lo devi, probabilmente a quest’ora i tuoi amichetti non si sarebbero mai più rialzati. Voglio chiederti qualcosa riguardo a quella spada, sai, una mia curiosità…-

Al giovane, incredulo, sembrò di aver già sentito quella voce.

Inviato

Cassiel aveva avuto un'idea. Un'idea folle, stupida forse. Ma nello stesso attimo in cui gli aveva attraversato la testa era come se avesse potuto SENTIRE i lucchetti che si chiudevano tutti allo stesso identico istante. Come se un gigantesco puzzle disordinato, di quelli di legno che si danno ai bambini o si trovano come enigmi nei sotterranei, fosse tornato a posto.

Se fosse stato vero li avrebbe salvati tutti.

Altrimenti...

Sarebbe morto lui solo.

Non una grande perdita, pensò, percependo l'intenso calore delle fiamme verso le quali correva. E Kyra era dietro di lui, un'espressione inorridita ed angosciata sul volto.

Dovunque lui fosse andato, anche lei; perchè lei era responsabile della sua vita.

E forse anche qualcosa di più...

Sentì le fiamme azzurre lambire la pelle delle sue mani. Il calore innalzarsi quasi a screpolargli la pelle. Assaggiava i suoi vestiti pronti a corroderli e ridurli in cenere.

Paura.

Ecco di che cosa si nutriva quel fuoco. Quanto più paura avesse avuto di quelle fiamme tanto più esse si sarebbero nutrite di quell'emozione e sarebbero state reali, capaci di bruciarlo fino al midollo. Ma Cassiel non aveva paura, quella era soltanto un'illusione. E le fiamme che avevano avviluppato le mura insistevano ancora sui simboli di difesa intagliati nella pietra.

Era stata solo un'idea, una sciocchezza. D'altronde Cassiel non conosceva la magia, non poteva saperlo per certo. Però tutto tornava. Quanto più la magia fosse stata presente, tanto più il fuoco avrebbe arso, avviluppato, distrutto.

Quel fuoco si nutriva della magia.

Quel fuoco si stava per nutrire dell'anziano dell'Accademia.

Cassiel lo vide, attraverso la cortina azzurra che lo avviluppava. E vide dall'altra parte la faccia stupefatta di Kyra.

Anche lei avvolta tra le fiamme.

Anche lei completamente illesa.

Aspirò una boccata d'aria: non sentì il calore delle fiamme.

Perchè queste si stavano spegnendo attorno a lui.

Logico. Quanto più avessero utilizzato la magia per spegnere quelle fiamme tanto più avrebbero fallito.

Guardò Kyra, in piedi davanti a lui sui suoi quattro zoccoli, le braccia tese ad avvolgerlo. A proteggerlo.

-La soluzione. L'ho trovata. Si possono salvare tutti...-

A condizione che annullino la propria magia.

  • 3 settimane dopo...
Inviato

Uscirono dalla stanza e arrivarono in un corridoio. Il cavaliere gli fece cenno di sedersi senza parlare, gli occhi che continuavano a fissare la spada in modo maniacale. Si appoggiarono con la schiena al muro e il ragazzo senza nome, un po’ impaurito, attese pazientemente che il suo interlocutore prendesse la parola. Questi rimase quasi un minuto in silenzio. I secondi parvero protrarsi all’infinito, sembrava che quell’attesa fosse interminabile, poi, d’improvviso, disse con tono certo e sicuro:

-Tu sei mio fratello.

Al ragazzo senza nome ci volle qualche secondo per realizzare la piena portata di quanto aveva detto il suo compagno. Rimase qualche istante come frastornato, incapace di riflettere seriamente su quanto avesse sentito.

-Cosa?- Ecco tutto ciò che riuscì a dire.

-Siamo fratelli, o meglio, lo eravamo, quando ero ancora vivo- rispose l’altro. –Prima che mi ammazzassi.

Dieci secondi primi, il ragazzo senza nome avrebbe giurato che non avrebbe mai potuto essere così confuso nella propria vita. Ciò che diceva quel cavaliere non aveva alcun senso. Questo qui, tutto vestito di nero e con quell’aria misteriosa, spuntava fuori dal nulla e nel bel mezzo di un incendio che in poche ore avrebbe raso al suolo l’intera città, dopo che una presenza invisibile aveva quasi ucciso un bel gruppo di persona, e gli veniva a dire che era suo fratello, e che lui l’aveva ucciso. Eppure qualcosa dentro di lui gli suggeriva che c’era stato qualcosa, prima, qualcosa che c’entrava con quello che aveva detto il cavaliere.

-Ma tu non sei morto, no? Cioè, non puoi essere morto! Sei qui seduto con me e parli…

-La risposta richiederebbe molto tempo, e ora non ne abbiamo. Ti basti sapere che sono tuo fratello. Eravamo i figli del re del Nord. Il tuo nome è Ramuthra, e il mio Cecil. Nostra madre ci ha dati alla luce nello stesso preciso istante, e nessuno ha mai saputo decidere chi fosse il legittimo erede al trono. Così morì nostro padre e quando compimmo sedici anni, l’età alla quale si diventa uomini, Vlazr, il consigliere del regno, ci propose di fare un duello per stabilire chi dei due avesse dovuto ereditare la spada nera del Nord, quella che tu porti al fianco in questo momento. Vedi, questa spada simboleggia il diritto al trono, e solo il legittimo erede può impugnarla senza venirne distrutto. In principio il duello non avrebbe dovuto essere mortale, ma per una disgrazia un tuo colpo mi causò una perdita interna di sangue. I medici non se ne accorsero, e il giorno dopo, al mattino, fui trovato morto nel mio letto. Ignoro cosa tu abbia fatto dopo il mio decesso. Per quanto mi riguarda, il mio spirito vagò peregrino per mille lande desolate e spoglie, finchè non riuscì a riacquistare il mio corpo, grazie a un antico rituale magico, aiutato da uno straordinario incantatore arcano che capì il mio dolore. Da allora ti ho cercato ovunque per vendicarmi e avere quella spada che bramo più di ogni altra cosa. Oggi, dopo mille peripezie, ti ho trovato. E’ giunto il momento di dimostrarti chi era il migliore. Vediamo chi è veramente degno di portare la Spada del Potere.

Il cavaliere si alzò in piedi e sguainò la sua spada lunga. Il ragazzo senza nome era troppo occupato a capire quello che accadeva all’interno della sua testa per reagire. Era come se un ingranaggio smussato dall’uso e dalla sporcizia, un meccanismo che non funzionava da tempo, si fosse messo in moto. Lentamente, scricchiolando, ma si era mosso.

Prima ancora che il ragazzo senza nome, anzi, il ragazzo che aveva appena scoperto di chiamarsi Ramuthra, un tempo, si potesse rendere conto di ciò che stava accadendo, un centauro fece il suo ingresso nel corridoio. Il rumore dei suoi zoccoli sul pavimento si fece sempre più vicino, arrivato a portata di voce, urlò:

-Non c’è tempo da perdere, seguitemi! Seguitemi, qualsiasi cosa steste facendo può aspettare! Se non agiamo in fretta morirete entrambi e la città verrà completamente bruciata! Seguitemi, e con il vostro aiuto fermeremo le fiamme!

Inviato

Il freddo abbandonò lentamente il corpo di Lariel. I rumori attorno a lei tentavano di strapparla dal torpore, ma la debolezza le impediva di mettere a fuoco ciò che stava accadendo. Si sentiva come in quello stato fastidioso di dormiveglia, quando non si è certi di essere svegli o di vivere l'ennesimo sogno movimentato della notte. Finalmente riuscì a riacquistare la sensibilità del proprio corpo e si mise faticosamente a sedere sul pavimento. Aprì gli occhi e per un momento provò lo sconforto di essere ancora addormentata. Non riusciva a capacitarsi della situazione. Soltanto la vista degli altri ancora stesi a terrà la riscosse definitivamente. Si avvicinò a Veck e glì appoggiò una mano sul braccio, scuotendolo lievemente.

"Veck" disse prima quasi impercettibilmente, "Veck" ripeté a voce più alta.

Il ragazzo cominciò a svegliarsi lentamente, provando la stessa identica sensazione di un lento e difficoltoso risveglio di Lariel.

Veck fece forza sui palmi e si mise a sedere di fianco all'elfa, massaggiandosi la fronte e cercando di recuperare lucidità nel più breve tempo possibile.

Rudin nel frattempo si stava alzando in piedi, accarezzando nervosamente il suo cane.

"S-Schultz, s-sei t-tutto intero?". Il cane scondinzolò mestamente, per rassicurare, senza troppa convinzione, il suo padrone.

Lariel si alzò in piedi a sua volta, osservando la stanza attorno a sé. C'erano altre persone stese sul pavimento e la giovane maga si chiese per quale strano motivo degli sconosciuti si trovassero svenuti sul pavimento della loro biblioteca. Poi si rese conto che, con gli ultimi fatti assurdi che stavano accadendo, era abbastanza sciocco porsi certe domande. Fece per avvicinarsi ad uno di essi, un umano vestito con abiti particolari. Ma qualcosa attrasse la sua attenzione dal corridoio.

Si avvicinò con passo incerto, indecisa se rimanere lì ad attendere che si svegliassero tutti o se dare un'occhiata fuori. Veck la chiamò allarmato: "Lariel, dove credi di andare? Ti sembra il caso di andare in giro da sola dopo che si siamo trovati di fronte quel... quel... quella cosa!"

Lariel, stupita della sua stessa indifferenza, scosse leggermente la testa, facendo tornare al proprio posto una ciocca di capelli che le era scivolata davanti agli occhi.

Non degnò di una risposta Veck ed uscì nel corridoio, dove trovò altri sconosciuti. La loro vicinanza la scosse come una scarica elettrica e dovette appoggiarsi al muro per non perdere l'equilibrio. Ancora potere oscuro, ancora creature dell'ombra. Lariel comincò a sentirsi sopraffatta, incapace di reagire ad un mutamento così repentino dell'ordine delle cose. Fino al giorno precedente viveva preoccupandosi solo di quanti incantesimi avrebbe potuto scrivere ancora nel suo libro entro la fine dell'anno, ora sembrava che la morte fosse riuscita a rompere i sigilli che la tenevano segregata in un altro spazio e in un altro tempo. La gente moriva attorno a lei e le creature delle tenebre camminavano nel mondo come se fosse diventato il loro nuovo dominio.

Sentì i nervi cederle all'improvviso e cominciò a tremare per la rabbia e per la frustrazione. Nulla le era più insopportabile di non riuscire a capire tutto ciò con cui interagiva. Grazie allo studio della magia aveva potuto toccare con mano i fenomeni più oscuri e misteriosi, ma ora si trovava di fronte a qualcosa di assolutamente al di sopra delle proprie capacità di comprensione.

Con un respiro singhiozzante, carico delle lacrime che sarebbero volute uscire prorompenti, si impose di riacquistare una certa dose di autocontrollo. Doveva almeno riuscire a definire la situazione di fronte a lei.

Le due persone erano talmente coinvolte dalla loro conversazione, che non si accorsero della sua presenza. Stava per avvicinarsi a loro quando l'ennesima intrusione inaspettata la bloccò di nuovo.

Una centaura proruppe nel corridoio, gridando loro di seguirla, che sapeva come fermare le fiamme. Le fiamme. Lariel si sentì minuscola di fronte a quell'evento tragico. Di nuovo sentì cedere le fondamenta delle proprie convinzioni, diventate ormai poco più di fragili sostegni incrinati, pronti a crollare.

Si passò velocemente la mano sul viso, sbuffando irritata e finalmente la sua mente cominciò a seguire di nuovo una logica.

Veck la raggiunse proprio in quell'istante e anche lui dovette fermarsi ad osservare la singolare scena che si trovavano davanti.

"Lariel?" chiese, come attendendo una spiegazione.

"Kirne, non so proprio cosa stia accadendo, ma visto che noi non abbiamo idea di come affrontare la situazione, penso che non ci sia nulla da perdere ad ascoltare chi sembra saperne più di noi".

Afferrò Veck per il polso ed insieme andarono verso quella che sembrava, al momento, l'unica via per una soluzione.

Inviato

I pensieri che lo attraversarono dal momento in cui sfoderò la lama fino allo scalpitio di zoccoli furono concentrati sulla spada e sul suo avversario.

Certo,le sue condizioni stavano peggiorando,doveva raggiungere il suo destriero e trangugiare per l’ennesima volta quel dannatissimo intruglio preparatogli da uno sciamano del nord per non cadere privo di sensi e di energie,però poteva contare sulla confusione dell’avversario e sulla sua incoscienza momentanea.

Sapeva di potercela fare.

O,almeno,ci sperava.

Pesante.

L’arma come il respiro che si era fatto affannoso.

“non può andare avanti così,devo sbarazzarmi il prima possibile di questa seccatura.. anche se non sarà facile.. dannazione!proprio ora che ho davanti tutto ciò che desidero.. tutto ciò che mi permetterebbe di piantarla con quegli intrugli dolciastri..”.

Impazienza..ecco cos’era che attanagliava il cavaliere. Forse anche più della debolezza che lo opprimeva.

-non ho intenzione di rispettare il codice cavalleresco,ormai da me abbandonato da tempo,e non aspetterò che tu impugni la tua arma dopo esserti alzato,quindi sbrigati se non vuoi perdere la vita prima ancora di esserti accorto di possederne una!-

Queste le parole che rivolse all’essere che,davanti a lui,restava immobile,seduto,quasi indifeso,confuso..

Vitreo negli occhi.

Spazientito ormai non aveva voglia di perdere altro tempo,prima quella storia sarebbe finita meglio sarebbe stato per lui.

Mosse in fretta,e con molta imprecisione quindi,la pesante spada.

Alzò il braccio,e,repentinamente, lo abbassò.

Il fischio silente però dovette fermarsi a mezz’aria.

Non per una forma di ripensamento o di pietà verso l’anima immobile che,seduta,sembrava innocua,non per una sorta di magia o di barriera informe e difficilmente visibile.

Ma per un imprevisto.

Le parole della centaura colpirono con violenza il cavaliere non-morto che,già debole sia nell’animo che nel corpo,si dovette fermare per non causare danni con la sua goffaggine a se stesso,oltre che al suo avversario.

I passi del centauro scalpitavano sul pavimento della saletta,ed una figura sembrava far capolino da dietro la mole equina dell’essere.

Ora una figura,ora due.

Il posto si stava facendo dannatamente affollato.

E fuori ancora pioveva.

E fuori ancora il fuoco imperversava.

“dannazione..altre seccature..non ci voleva..assolutamente..non è il momento di stupide interruzioni..non è il momento di stupidi discorsi sulla salvezza e sulla possibilità di estinguere le fiamme..dannazione!”

Non ci fu molto da pensare,nemmeno molto da fare.

Le parole del mezzo-destriero lo sfiorarono solo leggermente,non interessava minimamente della salvezza di quella stupida città,nulla provava per le vite che si spegnevano.

D’altronde perché soffrire tanto per chi si spegneva.

“almeno loro,che si spengono tra le fiamme,non dovranno riaccendersi per riprovare il dolore della fiamma della vita..ancora una volta..”

Questi erano tra i pensieri più in superficie del non-morto.

Parlò chiaro e conciso.

-Non ho intenzione di ascoltarvi,non ho nemmeno intenzione di soffermarmi qui.La morte vi attende,se non qui,se non oggi,comunque attende.

Sempre.

Chiunque.

Piantatela di scappare,moprirete,di certo non pretendo che lo facciate per mano mia..ma non è mai stata una mia pretesa.-

“il discorso si sta dilungando troppo,è ora di andarsene,dannazione..la pagheranno..la pagheranno cara”

-ora,lasciatemi libero il passaggio-

Si girò per un ultima volta verso quello che una volta era considerabile suo fratello e,glaciale,seccamente disse

-tu,non dimenticare che hai qualcosa che mi appartiene,ed è mio di diritto,mi vedrai spesso,e spera sempre che siano solo sogni-

Passò davanti alla figura della centaura,e scorse le due figure giovanili che seguitavano al possente corpo.

E si diresse,pesantemente,verso il salone principale.

Per uscire.

Pioveva e l’odore di umidità raggiungeva l’interno.

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