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La Nostra Storia 3020 - ->CyberPunk<- -


Gigared

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Paul fissa la finestra con gli occhi di chi sa che tra poco porterà la morte lì dentro. Ma stavolta non saranno i soliti killer a morire, ma sarà la causa della morte di migliaia di innocenti a farlo: la sua Venus.

Ricorda quando le diede quel nome, vedendola uscire dall'acqua di una piscina come la famosa Venere di quel pittore tanto famoso, in quel quadro che Remy custodiva tanto gelosamente nel suo salotto, vantandosi di come l'avesse rubato sotto gli occhi dei guardiani di un museo in Italia. Il suo corpo così perfetto le ricordò subito quel dipinto, anche se ammetteva che nessuna venere aveva mai avuto quello sguardo così dolce e sensuale allo stesso tempo come lei. Non seppe mai come si chiamava, ma imparò il suo congome come una triste profezia: Wintertear, lacrima d'inverno. Gliel'avevano dato i suoi genitori adottivi dopo averla trovata che piangeva, abbandonata in un cassonetto come tanti della sua età. La chiamavano solo così, senza mai darle un nome.

Ed il primo a darglielo fu proprio lui, come lui fu il primo a cui lei si donò completamente, dandogli involontariamente una sorta di senso di colpa per non essere stata lei la prima per lui. Ma non ricorda di aver mai fatto l'amore altrettanto dolcemente e selvaggiamente come lo ha fatto con lei.

Ed ora la immagina invece sdraiata su un lettino con decine di tubicini che le percorrono il corpo, dei tubicini che sono la vita per lei, quella lama del rasoio che scinde la vita dalla morte.

Paul si scopre a toccare la sua Sword of Avalon nella fondina ascellare. Immagina la canna fredda che si scalderà, un tubo nero che sputerà un fuoco che sarà la morte di lei. E forse anche dell'ultimo pezzo della sua anima tormentata.

Sente una mano sulla sua spalla e si gira vedendo Mike, che indica Veela e Eliah: «Ho già parlato con loro. Direi che è meglio che tu non entri dall'ingresso principale, essendo tu il bersaglio. Loro due invece possono entrare e vagare per l'ospedale per fare fuori tutte le possibili sentinelle di guardia. Veela è molto abile, lo sai... e l'hai vista.»

Paul annuisce e la guarda, notando che lei distoglie lo sguardo non appena si accorge dei suoi occhi che la squadrano. «Mi sta bene. Ma io entrerò nella camera. Solo io...»

«Ed io.» Dice Sheila, uscendo dall'ombra dell'AV del Trauma Team. «Non importa quello che pensi e quello che vuoi, ma non ti lascerò da solo mentre... mentre la... mentre farai quello che devi fare.»

Mike sembra non essere d'accordo, ma un'occhiata di Sheila gli fa abbassare la testa, acconsentendo.

«Entreremo dall'ascensore che dà alle celle frigorifere sotterranee.» Dice Paul, guardando Sheila e sapendo che un suo rifiuto non avrebbe fatto altro che rinnovare la convinzione di lei «Lei è al primo piano, stanza 179. Conto che Veela e Eliah abbiano sistemato le cose per quando noi saremo su.»

«Ma un ascensore è troppo visibile e facile come bersaglio.» Mike scuote la testa.

«Noi non saremo nell'ascensore. Ci arrampicheremo lungo i cavi... come sempre.» Un rapido sorriso a Sheila, un sorriso che significa ricordi «Ci metteremo un po', quindi loro due avranno tutto il tempo per fare fuori chi potrebbe ostacolarci... o per dare l'allarme.»

Tutti annuiscono. Il piano è pazzo, ma lo sapevano fin dall'inizio, quindi qualsiasi azione ora appare sensata.

Paul scende dall'AV e Sheila gli è subito dietro, mentre si portano all'entrata dei sotterranei, armi alla mano. Veela ed Eliah, dopo essersi dati una sistemata per apparire dei semplici nomadi, si avviano con calma verso l'entrata principale.

La porta del magazzino cede con facilità estrema. La canna della pistola precede di pochi secondi il viso di Sheila che entra silenziosa, spianando l'arma davanti a sé, il dito sul grilletto pronto a far fuoco.

Paul la segue, dirigendosi velocemente verso l'ascensore. Spinge il pulsante, chiamandolo. Un cigolio di cardini ed il rumore di corde che vengono tirate accompagnano la discesa della cabina. Se ricorda bene deve essere un vecchio modello, simile a quelli del ventesimo secolo, quindi privo di sistemi di allarme e di rilevatori volumetrici.

La porta si apre, scorrendo pigra sulla propria guida.

Due Sword of Avalon vengono riflesse da uno specchio, così come i due volti decisi di Sheila e Paul. Senza aspettare un attimo, lui allunga un braccio e spinge il pulsante numero 19. Le porte iniziazo a scorrere per chiudersi, ma lei è pronta a bloccare quelle esterne lasciando salire la cabina e lasciando davanti a loro un buco nero vuoto, riempito solo dai soliti rumori di cardini e corde tirate che portano l'ascensore fino al piano indicato.

Controllando i guanti, Paul si aggrappa ad una corda e comincia ad essere trascinato in alto, seguito da Sheila. Guarda sopra di lui e vede la cabina che continua a salire, mentre i suoi occhi contano le porte che devono passare.

Ne passa una. Il piano terra.

Ed ecco avvicinarsi al seconda. Il primo piano. La meta.

Paul allunga un piede, spingendo il congegno interno per aprire la porta in caso di emergenza. In quel momento la corda si blocca e davanti a lui si apre il primo piano.

Con un balzo si getta sul pavimento e rotola rialzandosi con la pistola spianata, mentre Sheila dietro di lui fa la stessa cosa, mettendosi alle sue spalle.

Nessuno, neanche un medico, un infermiere... qualcuno.

Guarda il numero su una porta: 144. Guarda quella alla sua destra: 143.

Si alza in piedi e corre verso sinistra, cercando di fare il meno rumore possibile, il cuore che accellera ad ogni passo e quella pistola che diventa sempre più pesante, alimentata dalla sua coscienza... e forse anche dal suo amore. Tra poco quella pistola farà fuoco per uccidere chi è già morta ma non lo sa, dandole una pace che lui non potrà mai avere. Dopotutto le aveva promesso che non avrebbe mai sofferto, quindi sta per mantenere la sua promessa.

Svolta per un corridoio e vede due figure davanti ad una porta. Si appiattisce subito dietro l'angolo. Sheila si affaccia cauta e nota che una delle due figure indica verso di loro.

Li hanno visti.

Si mettono dietro l'angolo, le pistole pronte a far fuoco, il respiro affannato da quella scarica di adrenalina che precede l'azione. I passi si avvicinano. I cuori accelerano ancora.

Poi... due tonfi e due gemiti. Ed ancora due tonfi più sordi e pesanti.

Paul si affaccia a vede Veela ritta in piedi sui due corpi che fa un segno con il pollice verso l'alto, sforzandosi di fare anche un'occhiolino. Lui sorride e, rispondendo al segno, ricomincia a correre verso la stanza.

Finalmente... 179.

Sheila si mette a fianco della porta. Veela sull'altro lato, con Eliah che spiana la pistola verso l'entrata. Paul tende una mano verso la maniglia, notando che ha il palmo sudato. Buffo! Ha affrontato centinaia di avversari e non ha mai avuto il palmo sudato. Scuote la testa e gira la manopola.

La porta è chiusa.

Con movimenti meccanici, prende il silenziatore dalla tasca e lo mette sulla pistola. Poi fa un profondo sospiro e spara un colpo sulla serratura vecchio stile, ringraziando i tagli alla sanità che hanno impedito agli ospedali di modernizzare le proprie strutture.

La porta si apre lentamente.

Lui entra, affrontando il buio della stanza, guidato solo dalla luce e da quel ricordo di quella sala, un ricordo vecchio, figlio di una visita fuggiasca e silenziosa.

Un rumore all'angolo estremo!

Immediatamente spiana l'arma davanti a sé, intuendo alle sue spalle lo stesso movimento da parte di Sheila. Il suono continua, incessante. Non capisce cosa sia. O forse non vuol credere che sia quello che sente.

Sono singhiozzi. Qualcuno sta piangendo.

Con un gesto indica di accendere la luce e Veela esegue.

Il lampadario al neon lampeggia per un po', finché decide di rivelare la stanza... ed una figura accucciata in un angolo, rannicchiata su se stessa, in lacrime.

Il suo viso è coperto dalle mani. Ma Paul la riconosce lo stesso. E' Venus.

E' viva!

Lei alza lo sguardo verso i nuovi entrati e le sue lacrime diventano improvvisamente dolci, accompagnandola mentre si alza in piedi per abbracciare Paul, solo per poi ricadere a terra, indebolita.

Lui la prende al volo, tenendola tra le sue braccia, mentre l'arma gli cade in terra. Non sa cosa dire, non sa cosa fare, ma gli escono solo queste parole: «Ti hanno fatto del male?»

Lei scuote la testa: «Non... non mi hanno fatto niente... ma... ma dicevano che eri morto, che eri un assassino... che non mi saresti più venuto a prendere. Mi hanno tratta bene... troppo bene... come se volessero che non morissi.»

La sua voce... la sua splendida voce! Paul vorrebbe dirle mille altre cose, ma sa che c'è poco tempo. Deve pensare ad un modo per uscire con lei.

Veela gli si avvicina con uno sguardo strano: «Possiamo uscire dall'entrata principale. Non c'è nessuno qui dentro. Sembra che se ne siano andati tutti.»

Sheila la guarda stupita. Non capiva come mai non ci fosse stato nessuno ad impedire una simile intrusione, essendo proprio Venus l'esca per prenderli. Ma, se ci pensa un attimo, ricorda di non aver subito neanche un attacco dal loro ritorno.

Tutto stava filando troppo liscio.

Paul comprende tutto con un'occhiata. Aiuta Venus ad alzarsi e si avviano verso l'uscita.

Mike li vede uscire tutti dall'ingresso principale, camminando tranquillamente, pur se con gli sguardi attenti. Appena salgono sull'AV, nota con piacere che vi è anche la ragazza di Paul e lo aiuta a stenderla sul lettino del mezzo.

«E' stanca.» Dice Paul, carezzandole la fronte, mentre la vede dormire serena. «Non so cosa sia successo, ma non le hanno fatto nulla e l'hanno curata alla perfezione.» Poi fa una pausa guardando nel vuoto «Ma sono spariti tutti. Per me sta succedendo qualcosa di grosso. Di troppo grosso. Dobbiamo capire cosa contiene quel chip... a tutti i costi!»

Mike annuisce e si riporta alla guida dell'AV, dirigendosi fuori città, mentre Sheila gli si siede accanto. Veela si siede in un angolo, pensosa, mentre Eliah la osserva preoccupato.

Nora si avvicina a Venus, poi guarda Paul sorridendogli: «E' proprio bella. E' tua moglie?»

«Be'... no...» Poi sorride anche lui e, carezzando i capelli della bimba, le risponde «Sì... lo è... nel mio cuore lo è.»

Nora sorride e lo abbraccia alla vita.

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E andato tutto bene!

Sono riusciti a portare via la ragazza, Venus, senza difficoltà. Anche troppo poche, come tutti hanno compreso.

E come ha giustamente intuito Paul qualcosa di grosso sta succedendo. Anche Eliah lo comprende.

Alcuni interrogativi gli percorrono i pensieri.

Chi erano quelli che hanno abbatutto l'elicottero che ci voleva far fuori?

Perchè nessuno ha provato a fermarci ora? O qualcuno ci ha provato?

"Paul, ma non avete trovato proprio nessuno dentro a quell'ospedale?" Chiede all'improvviso il ragazzo, curioso di sapere com'era andata la dentro.

Paul lo osserva qualche attimo, poi annuisce e dice:" no, in effetti Sheila ha tramortito, o forse ammazzato, non sono stato li a controllare, due uomini. Però non ho controllato chi fossero, non c'era tempo. Dopo chiederemo a lei, quando scenderemo da questo AV."

Eliah annuisce, e ritorna ai propri pensieri.

E ora c'è da capire cosa c'è in quel chip. E come si fa?

Dove troviamo il contatto, Nicholas, senza informazioni su di lui?

Ah si, ora che ci penso, c'è sempre quella Cyberslave, che potrebbe sapere qualcosa. Dove stava?

Ah si, ora ricordo. In quello stupido edificio, cosi simile a un castello.

"Ascoltatemi. Se dobbiamo analizzare quel chip, e quindi ritrovare Nicholas, io forse so come fare. Però dobbiamo abbandonare questo mezzo, e dirigerci verso casa di una netrunner che conosco..forse saprà dirci dove trovarlo.."

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Tutto liscio come l’olio. Troppo liscio.

Veela se ne stava seduta in silenzio in un angolo dell’ambulanza e meditava su quanto era appena accaduto. Si erano aspettati una trappola ed invece non c’era nulla, almeno apparentemente.

Due uomini soltanto ed una porta chiusa a chiave, equivalgono quasi ad un invito di partecipazione ad una festa chic. Veela ripercorse mentalmente la strada che avevano fatto lei ed Eliah fino ad arrivare alla stanza... i corridoi deserti e trascurati delll’ospedale. Le vecchie luci al neon in qualche punto più pallide. Ma niente medici, solo qualche inserviente e pochissime altre persone. Forse qualche parente dei pazienti in visita. Dietro l’ultima curva secca a gomito i due uomini in piedi, rigidi, quasi ingessati nei loro vestiti.

Solo che, se avessero dovuto tendere loro un agguato, avrebbero fatto sicuramente meglio ad aspettarli dentro la stanza, non fuori. Veela aveva sorriso a quegli uomini e loro avevano risposto al suo sorriso. Come sempre.

Tanto lei appariva come una nomade e loro, più ci pensava e più se ne convinceva ora, si erano comportati come dei novellini. Anche quando aveva rapidamente estratto la pistola ed aveva sparato con il silenziatore la reazione era stata lenta, troppo lenta...

Qualcosa non quadrava.

Ma quel Paul non aveva detto nulla. Aveva riconosciuto la donna dentro la stanza e l’aveva portata via. Veela aveva fretta di uscire da quel posto... temeva che la trappola potesse scattare da un momento all’altro. Ed invece non era successo nulla.

Paul adesso stava guardando con aria quasi sognante la donna addormentata.

Veela registrò nel sottofondo il fruscio aerodinamico dell’AV lanciato a folle velocità. Forse ce l’avevano fatta dopotutto. Ma forse no.

Chiunque fossero quelli che volevano ucciderli desideravano che quel Paul avesse la ragazza. Sennò per quale motivo rendere loro tutto così semplice? Veela cambiò posizione, cercando di cancellare dalla propria mente l’espressione delle guardie, quando aveva sparato.

Quegli occhi.

Non erano le prime persone che aveva ucciso in vita sua, ma ciò nonostante il ricordo di quegli sguardi la turbava ancora pesantemente. Qualcosa li aveva sorpresi, prima di trovarsi a faccia a faccia con la loro morte, ma non era stato il fatto che lei non fosse in realtà una Nomade. Sembrava che nessuno prima di allora avesse mai puntato contro di loro la canna di una pistola.

Represse la propria rabbia: avevano commesso un errore. Erano usciti dall’ospedale troppo in fretta, dimenticando di controllare. Quelle due sentinelle erano troppo sprovvedute e poco preparate, tutto il contrario di quelli che volevano ucciderli. Erano veramente sentinelle che li aspettavano? Oppure qualcuno li aveva messi lì per non destare sospetti? Ma se fosse stato cos’ allora per quale motivo quella messinscena?

Veela guardò insospettita la donna accanto a Paul, sdraiata sul lettino, le forme perfette sotto il camice dell’ospedale, il colorito della pelle leggermente pallido... era forse gelosa della sua bellezza?

Distolse lo sguardo imbarazzata dai propri pensieri, prima che qualcuno degli altri dentro l’AV potesse accorgersene.

A meno che quella donna non fosse la trappola, pensò.

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ecco appunto..come immaginavo..hai pensato ad un motivo preciso per il quale le guardie non c'erano..però nn so se voglio saperle..perchè in realtà il mio Eliah non lo sa, quindi per meglio interpretarlo non dovrei saperle...uhm..ci penso..

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D'OH!! ](*,) #-o

va be..basta tornare indietro nel tempo... :lol::lol: ah no quello è il fantasy...ma prima di far danni seri casomai facci sapere via mp cosa stai per combinare, cosi adatto anche la mia idea..coinvolge cose grosse ;)

e visto che ci sono ti chiedo anche di mandarmi via mp il motivo delle poche guardie all'ospedale..

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