Vai al contenuto

Messaggio consigliato

Inviata

Come ho detto nel titolo è solo il primo capitolo(più l'introduzione)di un racconto che è tutt'ora under costruction..volevo solo chiedervi un parere..l'ho scritto un po di tempo fa ed,essendo io lento,sto completando solo ora il secondo capitolo..vorrei sapere se vi piace..

Prefazione-“all’alba di una mattina primaverile”

I fili d’erba si muovevano indistintamente sotto l’effetto del vento.

Ed i fiori che coloravano quella distesa danzante venivano assaliti dalle api,volenterose di sussistere alla propria esistenza.

Non sapevo da dove venissi né come fui in grado di arrivare,disteso,in quella primavera che si muoveva sotto i miei occhi.

Poche cose ricordavo del mio passato(a dir la verità quasi nulla);

sapevo solo di essere innocentemente meravigliato di quello spettacolo naturale,ed un'altra cosa soltanto;il mio nome:Cecil Von Valentine.

Poche cose ancora.

Era primavera.

“che magnifica giornata”

Queste le uniche parole che rivolsi in tutta la mattinata.Di solito mi capitava di gironzolare,(vagabondare sarebbe il termine più adatto),al seguito di Paladino,un cane di piccola taglia che mi era molto affezionato(nonostante me ne fosse ignoto il motivo)ed a cui io ero molto affezionato(più di quanto lasciassi intendere).Ma il mio compagno di viaggio non era esattamente una “compagnia facile”(non so se mi lascio intendere)ed aveva bisogno dei suoi spazi,ed io lo rispettavo cercando di passare il tempo in sua assenza nella miglior maniera mi fosse possibile.

Mi alzai,dunque,per avvicinarmi ad una staccionata malmessa,(in effetti più che una staccionata era una frammento di quella che doveva essere una volta),al di là della quale mi si presentò,a sorpresa,e con mio enorme sgomento(tanto che assistetti alla scena a bocca spalancata,almeno mi pare di ricordare),uno spettacolo che,sino a quel momento,mi aveva soltanto incuriosito.

Ed avvicinatomi in tutta fretta,impaziente di accertarmi di ciò che mi era,da lontano,parso di vedere,mi sedetti sull’ultimo asse che quell’appoggio mi permetteva di raggiungere.

In effetti non fu un miraggio,tanto meno un sogno,(pensieri ai quali tutti ci avvicineremmo al cospetto di eventi come quello che mi si parava davanti),ma una realtà vera quanto l’aria e la pioggia.

Dunque ciò che vidi furono due semplici figure,che,con il vento,si muovevano eleganti e sontuose.

Tanto fragili sembravano,quasi appese ad un filo,che mi sembrava un pericolo anche solo guardarle,il mio respiro sembrava addirittura di troppo,e non pronunciai parola perché la paura di spezzare quel momento era soffocante.

Un uomo alto,vestito interamente di nero con una cotta di maglia e l’aspetto misterioso che gli veniva conferito anche dal colletto del mantello che arrivava quasi fino agli occhi ed una copertura sul collo che copriva addirittura quello che doveva essere un fiero mento da combattente,da guerriero,o meglio,da cavaliere.

Questo brandiva con gentilezza stupefacente una spada a lama larga,con rifiniture molto elaborate soprattutto sull’elsa,che mi sembrava tanto strana quanto magnifica alla vista,quasi nera.

La vidi calare molte volte in quel pomeriggio su quello che doveva essere un antagonista moto valido,la cui figura era quella di un lupo dal candido manto,occhi purpurei ed un ché di magico,oltre alle dimensioni si intende.

Capitolo1-“in quell’oscuro manto”

Passarono dei mesi e le stagioni sembravano ripetersi senza troppa fatica ne troppa fretta.

Nulla a quel tempo mi sembrava più bello di una giornata di sole trascorsa a vagabondare per i prati e per i boschi,ma certo avrei capito più in là quanto davvero fossero belle quelle giornate.

Tutti,per i paesi,per le cittadelle e per i borghi parlavano di una guerra,(di cui il nome,e non solo,mi sarebbe stato noto e familiare solo più in là).Ed in verità ero poco avido,al tempo,di informazioni che non mi riguardavano nell’immediatezza,quindi non seppi molto,e ciò che seppi lo conobbi in maniera,se non del tutto sbagliata ,inesatta e senza troppe informazioni di tipo cronologico.

Io e Paladino vivevamo di lavoretti nelle case(quasi sempre baracche di giovani donne o di vedove che avevano bisogno di riparazioni per l’ambiente domestico)e spesso ci procuravamo la simpatia delle padrone di casa che,intenerite dal mio aspetto da bambino responsabilizzato dal lavoro e dai tempi,con il cane appresso,ci invitavano a pernottare se non per giorni per intere settimane.

Certo è che eravamo,salvo,come detto prima,alcune pause,in movimento continuo da paese in paese;avendo la possibilità,quindi,di conoscere sempre molta gente nuova imparando a vivere nel mondo che vedevo,comunque,con occhi estranei,senza quasi comprendere il vero andamento di quella vita,che,fino a quel momento,era passata solamente attraverso un paio di pavimenti da riassettare e di mobili da rimettere in funzione.

Ma non ci pensavo troppo,oltre che per il fatto che la mia mente fosse occupata già dallo stomaco(non so se mi intendete),anche perché mi ponevo poche domande passando i giorni in cui questa domanda si ripresentava in lontananza a dirmi che prima o poi la risposta mi sarebbe arrivata come l’acqua arriva al mare dal cielo.

Ebbene,un giorno come gli altri,quasi senza importanza,si mise a piovigginare,lentamente,con un suono lieve e sommesso che colpiva le latte con tintinnii che adoravo e che avrei ascoltato per ore.

Proprio a causa di questa mia curiosa simpatia per questo suono assistetti ad una scena che mi impressionò,e che mi fece conoscere gente “interessante”come non ne avevo mai conosciuta.

Nel buio del mio angolo in cui mi facevo assorbire dall’incanto dei tintinnii,mi feci distrarre dall’apertura di un pertugio nell’uscio di quella che doveva essere una locanda.Dalla luce che scaturiva dalla feritoia appena aperta ne vennero fuori due figure alquanto scure(anche se capii che ciò era dovuto al tempo cupo di quando piove),una alta ed imponente,ammantata di nero con il cappuccio calato sul volto,aria nobile

“di un uomo che ne ha viste proprio molte”pensai.

L’altra era più bassa(ma considerata l’altezza dell’uomo a cui stava di fronte si può dire che fosse di altezza media),ammantata di un manto scuro,nero anch’esso,ma,a differenza dell’altro,non aveva il cappuccio calato sul volto ed aveva scoperto il volto giovane da cui spiccavano due occhi chiari come il sole e dei lunghi capelli bianchi,albini,che gli conferivano un aspetto nobile e di importanza(e,visto chi gli stava dinnanzi,era davvero sorprendente ed interessante come risultato).

I due uomini si allontanarono l’uno dall’altro,mantenendo però la posizione diretta tra di loro,faccia a faccia.

“Dov’è”

Disse in tono tra l’interrogativo e l’imperativo l’uomo incappucciato.

L’altro sussurrò,un lieve sospiro,coperto in parte dal continuo ed ininterrotto scrosciar dell’acqua,e disse qualcosa come

“come l’acqua dal cielo viene dalle nuvole”

Ma non ne fui sicuro,e non ne sono sicuro nemmeno ora a dir la verità.

Detto questo l’uomo che stava alla mia destra(quello imponente per intenderci)tolse un oggetto dal manto porgendolo al contendente con la mano destra.

Un pezzetto di carta stropicciato.

Tutto ciò che vidi e a cui non detti importanza,ma a cui l’uomo che occupava la sinistra del mio limitato campo visivo sembrava importare molto.

Tant’è che disse con un tono udibile e chiaro(sfoggiando una voce profonda e giovanile allo stesso tempo)

“Non è di tua proprietà. restituiscimela!o la lama della mia vendetta entrerà fredda tra le costole senza cuore della tua persona”

Molto turbato,con una velocità che invidia fece ai lampi che si presentavano,timidi,sulle nostre teste fradice,si mise la mano sinistra sotto il mantello,all’altezza della cintola,e con un suono limpido e metallico ne estrasse una lama lucente,di un colore purpureo,molto particolare nell’aspetto,che non riuscii a capire bene a causa del tempo uggioso.

L’altro,con mio stupore,non sembrò fare una piega.

Non si mosse.Se non per rimetter a posto ciò che l’altro sembrava voler riscattare con la violenza.

Compostamente si ritrasse,di un passo soltanto,e sfoderò un arma molto più terribile di ciò che il suo antagonista gli puntava,assetato di riconquista,alla gola.

Una risata fredda.

Di un essere senza sentimenti,una risata che mette i brividi,come se non bastasse il tempo.

Dopodiché scomparì,in un lampo,lasciando dietro di se lo stesso foglietto spiegazzato che porgeva un attimo prima al contendente.

Ormai fradicio,in una pozzanghera tra le mattonelle della pavimentazione cittadina,il foglietto galleggiava mestamente,grigio e triste,malinconico come l’essere che,ritirata la spada,stava col capo piegato ad osservare ciò che gli somigliava tanto.

Passarono alcuni minuti prima che rialzasse la testa,e che,raccolti i resti di ciò che prima era un biglietto,parlasse,dicendo

“Ora puoi venire fuori dal tuo nascondiglio,non c’è più nulla da vedere se non la malinconia di un uomo sotto la pioggia. Seguimi,penso tu sia affamato,ci rifaremo delle scorte mancate.”

Si rivolse a me per la prima volta,senza che mi avesse visto,senza che ci conoscessimo.

Eppure fu amichevole e paziente con me,e ovviamente Paladino,anche se sempre malinconico nello sguardo come nell’aspetto.

Non essendo abituato alla compagnia umana mi misi a parlare(anche troppo a dirla tutta)e tra i discorsi,a cui il mio interlocutore sembrava interessato come ci si interessa delle storie dei ragazzini(ai quali appartenevo all’epoca),mi vantai di essere stato in molto posti e di essermi smarrito in una valle sotto la luna,queste le parole che usai

“La luna piena mi osservava dall’alto del suo trono,ed i fiori sbocciavano al veder quella luce,una cosa era insolita,solo una”

Ed il suo sguardo mi interrogò,senza fiatare;ed io,capendo,continuai

“il cielo era rosso come il tramonto al limitar dell’erba,e gradualmente diventava azzurro e,ad un tratto,nero come la notte più buia,tutto questo concentricamente alla luna piena,che fiera,continuava ad osservarmi”

Non pensai di attrarre molta attenzione da questo racconto spiattellato per mancanza di argomenti,come non aveva mai attirato l’attenzione di nessuno,visto che nessuno aveva mai creduto ad una mia parola a causa della mia età e della mia provenienza sconosciuta.

Eppure,ancora una volta,il mio interlocutore mi sorprese,con un attenzione particolare,ponendo domande strane come

“Ci sapresti arrivare di nuovo?”

“che giorno era,riesci a ricordarlo?”

“Facevi parte di qualche famiglia o stirpe particolare?”

Domande a cui io non seppi rispondere,ma a cui replicai:

“potrei dire che in un posto ci sono stato,e dunque essere probabilmente capace di ricordar la strada dal posto in questione,e se posso rivelarle un segreto,signore,è proprio per questo che viaggio!”

Detto questo mi rimisi i vestiti da viaggio,presi la borsa e feci per andarmene con Paladino(che,per dirla tutta,non sembrava dell’idea di andarsene ed allontanarsi da una persona così gentile,fino a quel momento almeno,con noi),ma,stupendomi nuovamente,il cavaliere mi disse

“Bene dirigiti in camera,al riposo,domani sveglia al sorgere del sole,abbiamo molta strada da fare”

Ecco..questo è il primo capitolo..cosa ne pensate?

  • 1 mese dopo...

  • 2 mesi dopo...
Inviato

Bene,dopo un po di tempo ho deciso di continuare questo mio piccolo scritto.

Con un nuovo capitolo,che però cambia di"prospettiva narrativa"(cioè personaggi e luogo) portando la narrazione in un altro luogo apparentemente "fuori contesto" e,soprattutto differenziato dal primo capitolo grazie ad una visione in"terza persona" che sostituisce la "prima persona" adottata per il primo capitolo che tornerà solo per alcuni ben precisi capitoli..per poter dare anche una varietà alla narrazione alla visione degli eventi..ed una particolare visione limitata che permette,almeno a mio avviso,di rendere il tutto più interessante nel momento delle varie "verità"..;-)

Dopo questa piccola introduzione vi lascio alla lettura,di chi vorrà ovviamente,del secondo capitolo.

Spero vi piaccia,e ringrazio chiunque abbia la voglia e la pazienza di leggerlo.

-il comandante,il re,la serpe e l’arazzo-

La violenza del colpo disfece in un sibilante attimo l’apparente sottigliezza dell’armatura avversaria.

Gli mozzò il fiato.

Ma funzionò.

Forse anche troppo.

La lama che aveva usato ora era inutilizzabile ed inevitabilmente incastrata tra le ormai inutili costole dell’avversario che,esanime,cedeva il passo agli scalpitii del terreno,percosso dai pesanti passi della guerra.

Un veloce sguardo da posizione eretta che,per quanto vulnerabile essa fosse,risulta essere comunque la migliore,per una buona visuale.

La massa bellicosa si muoveva in un boato che impallidiva il frastuono del cielo,il quale,cupo,riversava il suo sangue argentato sulle armi levate degli indistinguibili eserciti,coperti ormai di scarlatto e di quel colore fuligginoso che il cielo nero lasciava,o meglio,rifletteva loro addosso.

Pesante.

Il suo respiro era pesante ed affannoso.

Il braccio era ancora indolenzito e come se non bastasse doveva procurarsi un arma,subito.

Tra un baluginante fendente ed un dardo sibilante si fece strada incespicando e ansimando.

Probabilmente non ce l’avrebbe fatta,pensava tra un tonfo ed un sguardo al terreno,ma si costrinse comunque ad avanzare.

Diversi corpi si muovevano quasi danzando,sembrava,ad una musica troppo frenetica e imprevedibile per essere seguita correttamente,una musica che,una volta iniziata,avrebbe smesso solo dopo essersi interrotta varie,strazianti,volte.

Una musica di cui sembrava non poter fare a meno nessuno in quel mondo caotico,una musica tropo terribile per essere semplicemente interrotta,una musica troppo infima e sfuggevole,trascendente,per essere semplicemente ascoltata.

Una musica che doveva essere ballata,vissuta,una musica egoistica suonata dall’orrore e dalla stupidità,dall’avidità e dalla cupidigia dell’uomo.

Probabilmente una musica che nessuno vuole ascoltare e di cui si sente il ritmo in ogni dove,quasi costretti forse,oppure internamente appagati dalla distruzione e dalla terra bagnata dal sangue,e risciacquata dalla pioggia.

Ad un tratto un massa indistinta si piantò non troppo lontano dal suo piede destro,con un rumore sordo,e denotando una certa pesantezza.

Non era esattamente ciò che cercava,ma sarebbe andata bene comunque.

Di certo il caporale orco Kestryx non si aspettava una vittoria facile sull’armata del sole di Marca,la “cittadella sulla collina” come veniva chiamata da molti,ma di certo un assedio sarebbe stato comunque relativamente fattibile,soprattutto pensando che ormai era più di una settimana che l’esercito assediante riportava poche,prevedibili,perdite mentre gli assediati sembravano,comunque tenacemente,resistere anche subendo gravi perdite,sia in senso di importanza logistica che di numero.

Uno sguardo fuori dalla trincea gli riconfermò la sua fresca supposizione positivista.

Certo era che,se avesse curato di più la sua attenzione rivolgendola alle sue spalle,si sarebbe almeno accorto in tempo che,in faccia alle sue presupposizioni e ai suoi lungimiranti pensieri da scacchista(più che da stratega),un uomo la cui arma era dispersa tra le interiora di un suo commilitone lo stava per colpire con un arto mozzato che,comunque,rimaneva ben pesante e contundente.

Tanto da stordirlo.

E non serviva null’altro,al giovane uomo dai lunghi capelli neri,che un occasione per procurarsi un arma migliore.

Lasciando giacere sul corpo riverso del caporale orco il braccio mozzato da quello che sembrava essere stato un violento fendente,riprese la sua confidenza con la spada lunga ancora inutilizzata,almeno così sembrava,lucente,nella poca luce che il cupo cielo permetteva di riflettere.

La battaglia si interruppe nella notte resa ancora più inespressiva e tetra,quasi cadente,dal cielo privo di stelle e luna,quasi fossero fuggite dall’orrore che la straziante battaglia odierna aveva lasciato a giacere sul terreno spoglio.

Da quel cielo che rendeva monotona la continuazione della giornata,incupita,e dai contorni sfumati.

Quasi indefiniti.

Sul trono,in quell’immensa sala coperta di colorati e sgargianti arazzi,ricchi di figure simili alla battaglia appena terminata nell’immediatezza del limitar delle mura che cingevano,colossali e sicure,almeno per ora,la cittadella sulla collina,sedeva un uomo anziano ma non per questo da considerarsi privo di facoltà quali la lungimiranza e la giustizia che solo un uomo che aveva vissuto molti cicli lunari e solari.

Questi,fattori che l’ometto basso e rinsecchito,cadaverico avrebbero detto alcuni,non sembrava tenere in considerazione parlando attraverso quella che sembrava una livida ferita che formava la sua bocca.

“eppure,vostra maestà,sapete tanto voi quanto la mia umilissima persona,che cercare di resistere ad una tale massa bellica scagliata,con fin troppa violenza a mio avviso,contro le nostre alquanto fragili porte sarebbe oltremodo rischioso.

Porte di contadini che,di certo,non resisteranno un altro giorno ancora,figuriamoci un'altra settimana!”e con questo gli sembrò giusto interrompere l’alquanto stupido torrente di quelle che sembravano essere malamente mascherate come parole intelligenti e ben soppesate,in quanto nell’ultimo tratto della sua invettiva la paura di essersi spinto nella troppa arroganza lo aveva colpito alquanto.

La maestosità della risposta l’avrebbe indotto a dirigersi in un cantuccio,più in la in quella serata,a rimangiarsi ogni singola,pesante,stupida e poco intelligentemente esposta parola pronunciata da lui in quella discussione che si stava facendo pesante e pericolosa.

“Non pensare,Parchis,che io non tenga conto della sofferenza della mia gente,della gente che ho sotto la mia custodia da abbastanza tempo,credo,per sapere più di una cosa su di loro.

Tra di queste c’è anche il fatto che ci siamo difesi già a lungo,ci siamo difesi con l’ausilio dell’esercito cittadino,dell’esercito della mia corona,non di contadini,non di persone che hanno già da patire senza l’opprimente presenza della guerra che,come le tue parole hanno esposto poco fa in fare mieloso e poco consono alla situazione..”ed il sovrano fece una pausa posando i suoi occhi ferini sulla vacua presenza gracile che ora sentiva il peso della sua,fin troppo spinta,parlantina,”.. con troppa violenza si presenta davanti alle nostre porte,ma ,pensaci Parchis,pensa che il nostro esercito per quanto piccolo e per quanto assediato possa ormai essere resiste,pensa che il nostro onore in battaglia,la nostra capacità di sopravvivenza,rimane attecchita a queste mura,alla nostra casa alle nostre pareti,al focolare.

La cosa più sacra per noi Parchis,ne converrai,il focolare,la casa,la famiglia e la tranquillità.

Pensi dunque che dovremmo arrenderci e subire le barbarie di un esercito che,ora,nonostante la nostra resistenza,si presenta violento come un mare in tempesta alle nostre porte?

Come pensi entrerebbe il vessillo di Lord K’calb nelle nostre terre?

Pensi che la resistenza che stiamo dimostrando sia una sia dunque stoltezza,oppure una naturale difesa alla vita?”

La domanda rivolta all’ormai ripiegante Parchis richiedeva una risposta e,malauguratamente,fu costretto ad assentire

“ovviamente mio signore…ma io non intendevo..”

“cosa non intendevano le tue parole? Forse non intendevano dire che un contadino ha meno diritto di vita di un re?”

“Ma mio..”

“forse quello che intendevi dire parlando in maniera così lusinghiera e apparentemente saggia non era per mascherare la tua paura,se non altro?”

Pensando di leggere abbastanza nella mente del sire che sembrava aver capito ormai la sua congiura Parchis si limitò ad assumere un aria quasi di sdegno,contenuto,ma sempre di sdegno si trattava.

A salvarlo,inaspettatamente,fu Marcus,il giovane generale capo delle difese cittadine.

“Il bene che ogni uomo vuole per sé dovrebbe essere triplicato e donato ad ogni persona che odiamo,solo così avremmo un mondo senza dissensi ed egoismi”

disse rivolto all’arcigno ometto quasi accoccolato ormai sul marmo del terreno,che gli rispose,nonostante la sua presenza l’avesse salvato da una possibile accusa di tradimento,con uno sguardo acido che,riportato sull’espressione di sdegno assunta congenialmente un attimo prima,gli fece assumere un aria alquanto grottesca.

“Non ne conviene mio sire?”

Sul viso del re sembrò ridipingersi la consona aria pacata e incline al dialogo che,da sempre,distingueva i suoi lineamenti.

“ne convengo caro Marcus,a cosa devo una tua visita che,per quanto gradita mi sia,spero sia semplicemente un piacere che fai ad un povero vecchio assillato dai problemi?”

Seguendo la linea del lieve sorriso appena accennato il giovane generale rispose

“Come voi non siete vecchio la mia visita non è di piacere,per quanto mi duole ammetterlo devo informarla di una missiva da parte dell’esercito alleato proveniente dal decumano ad ovest della Norrea orientale”

L’aspetto del re si fece più attento ed allo stesso tempo grave,e,nel contempo,il viso della viscida figura grigia avviluppata nel suo manto logorato dal tempo e consunto quanto la mente di colui che lo indossava si fece più attento,ma non per questo più preoccupato,anzi.

I pensieri nascosti dalla nebbia confusionale costituente la mente di Parchis si interruppero al sentire le poche,gravi,parole del sovrano,che lo riportarono alla realtà.

“Parla dunque,ed a voce alta,che le mie orecchie da vecchio possano sentire bene”

Dopo una piccola pausa l’uomo proseguì

“prima di altri dieci giorni non potranno raggiungerci,un contingente nemico ha bloccato i rinforzi che avrebbero dovuto raggiungerci in una settimana”

Un sospiro echeggiò nella vasta area della sala rimbombando su ogni arco e ogni volta,lasciando i due astanti con un espressione indefinita sul volto,l’una un poco spaurita e,dall’altra parte,lievemente sollevata,(almeno così sembrava);l’altra invece più silente e imperscrutabile.

La bocca del re si chiuse lasciando gli ultimi rivoli di fiato all’aria chiusa della stanza,ai personaggi degli arazzi che,gli unici in quella stanza,sembravano non sorbirne l’effetto.

E gli unici a non poter essere biasimati per questo,gli unici ad essere un esercito che,però,non poteva dare una mano nonostante la sua vicinanza,la sua presenza immediata e impalpabilmente irreale.

“resisteremo,se saranno dieci giorni o venti noi..”

La figura rachitica convulsamente mosse la viscida lingua ed esalò un pesante fiato,a formare piccole parole,d’incomprensione

“MA SIRE!.. volevo dire..”con più calma si corresse notando l’espressione dei due che convivevano il suo stesso ambiente,per quanto gli dolesse ammetterlo..

“.. vostra altezza…noi…cioè…il nostro,volevo dire…il vostro esercito non resisterà a lungo,come ho già detto siamo..”

Questa volta fu il generale a prendere parola,dimostrando che l’abilità della parola a volta,(se non sempre),vale di gran lunga di più di quella con la spada

“…una città che deve resistere,SIAMO un esercito di uomini che si aggrappano al loro destino pregando i tessitori dei fili della vita di non tagliare proprio ora la matassa delle nostre esistenze,SIAMO un esercito che DEVE resistere,lo deve fare perché non c’è altra scelta,lo deve fare perché non possiamo tradire noi stessi,il nostro onore,il nostro Re..”

E con queste ultime parole sembrò dare un doppio senso alla frase,uno di riverenza verso il suo regno che sembrava amare tanto e voler proteggere ad ogni costo,superando ogni prova e cercando di varcare quella soglia che lo divide tra essere umano e servo del regno per diventare fautore del suo proprio destino;e dall’altra assumeva un tono accusatorio verso la figura nero-grigia che gli si stagliava imparte,che,nel sentire le sue parole sembrò ritirarsi assumendo il singolare aspetto di una patetica ombra,cenere racimolata in un caminetto troppo grande e,quindi,invisibile.

“Ben detto Marcus,il volere del destino ti accompagni nella ricerca della tua verità.

In queste mura noi resisteremo e vivremo perché dobbiamo,se gli dèi non ci aiuteranno in questo,ci aiuteremo da soli.

Questo è tutto.

Parchis,ora sei libero di andare,e tu,Marcus occupati delle difese per domani e per i prossimi tre giorni,solo altri dieci giorni e,se i tessitori lo vogliono,vedremo l’alba di un altro giorno”

Detto questo le due figure si allontanarono dal trono,seguiti unicamente dai loro pensieri e dall’ombra slanciata che la luce proveniente dalla piccola finestra ogivale alle spalle del maestoso seggio.

Il vento soffiava tra le case,tra le mura,tra le foglie,siano esse salde sui rami oppure inermi sul sentiero del solitario viaggiatore.

Eccolo finito anche il secondo capitolo..ASPETTO NUMEROSI COMMENTI!;-)

e anche critiche ovviamente!..:bye:

Inviato

Azz, me l'ero perso questo! :naughty:

Molto molto bello, soprattutto il secondo capitolo. Certo, l'ispirazione tolkieniana, soprattutto per i personaggi del vecchio re e del "Vermilinguo", è molto forte, ma scrivi davvero bene! :clap:

Un consiglio: intervalla le sequenze di azione o di dialogo con qualcuna descrittiva. Rende la lettura più comprensibile e scorrevole.

Una (piccola) critica :diavolof:: i periodi sono davvero troppo lunghi. Alcuni, addirittura, superano le tre righe e formano da soli un capoverso. Certo, l'uso di tutti questi aggettivi e participi, tutte 'ste relative correlative, sono il tuo stile, però imho dovresti spezzare un po' il ritmo. E' utile per rendere più chiara la narrazione e dare una pausa ai lettori.

A parte questo piccolo vizio, scrivi molto bene, e, soprattutto, riesci a dare un forte connotato simbolico e filosofico alla trama, nonostante tu sia arrivato solo al secondo capitolo.

PS: metti lo spazio dopo la virgola, che è molto più comprensibile ed esteticamente meno pesante! ;-)

Inviato

A parte considerazioni "stilistiche" (vedi sotto) la trama è interessante, i personaggi sono piuttosto ben caratterizzati e i dialoghi sono di buona qualità.

Non è il mio genere, ma complessivamente mi è piaciuto ;-)

Considerazioni "stilistiche":

Sarà che io sono un minimalista di natura, ma non amo molto questo stile di scrittura "pomposo".

Confermo quanto suggeritoti da esahettr sulla lunghezza dei periodi.

Inoltre ti consiglierei di "tagliare" parecchio tra subordinate, incisi e aggettivi ridondanti che rendono la lettura poco scorrevole.

Ma è anche questione di gusti.

P.S.

<<Detto questo le due figure si allontanarono dal trono,seguiti unicamente dai loro pensieri e dall’ombra slanciata che la luce proveniente dalla piccola finestra ogivale alle spalle del maestoso seggio. >>

Mi sa che qua ti sei perso qualcosa ;-)

Inviato

Allora..vi ringrazio dei complimenti e anche delle critiche che mi fanno sempre bene.

Sono consapevole del mio difetto di "periodo troppo lungo"..e cerco ogni volta di migliorarmi..per il prossimo capitolo vedrò di scrivere in maniera più leggibile(sia riguardo all'aspetto sia riguardo alla forma):-p .

per quanto riguarda il "pomposo"..non ho capito in che senso..:confused:

e per quanto rigurda la frase riportata da Nerevar:

il senso di quella frase stava nel fatto che la luce passava attraverso la finestra ed il seggio,essendo maestoso e alto,lasciava un ombra lunga sul pavimento..che,in maniera strettamente "figurativa" seguiva i due che parlavano con il re pochi attimi prima..

se invece non era questo che intendevo..allora non ho capito un altra cosa:confused:

e siamo già a due..sono scemo io?:confused:

Inviato

mi sa che intende che ti sei dimenticato di scrivere qualche parola,la frase mi pare incompleta..o sono scemo pure io :confused:

si si proprio quello intendevo.. ti sarai dimenticato di scrivere un verbo.

perchè c'è scritto tipo "che la luce proveniente dalla piccola finestre ogivale etc.. ma manca il verbo" credo.. se c'è e non lo vedo lo scemo sono io :lol:

Scusa Black infatti "pomposo" l'ho virgolettato perchè non è del tutto corretto.. intendo, uno stile molto ricco di aggettivi e incisi.

Ma è questione di gusti, come ho gia detto. Io preferisco cose più "minimaliste".

Però rileggiendo il mio post in effetti sembra che non abbia apprezzato, ma non è così. Mi è piaciuto molto nel suo genere, che non è il mio.. ma che ho detto? :rolleyes:

Inviato

ma AHAHAH..è vero!!!!!

ma sapete che l'ho pure riletta e mi sembrava completa..in effetti qualcosa manca..penso sia il verbo"proiettare" o "lasciare"..ahahah

comunque nerevar non l'avevo preso come un offesa,tranquillo;-)

era solo che non capivo cosa intendevi per pomposo..tutto qui:-p

comunque forse andando avanti "ripulirò"la mia scrittura di eccessivi aggettivi a favore magari di più spazi leggeri di descrizione generale o di azione.

Inviato

comunque forse andando avanti "ripulirò"la mia scrittura di eccessivi aggettivi a favore magari di più spazi leggeri di descrizione generale o di azione.

Si, secondo me dovresti provare. Anche perchè le premesse sono molto buone, alleggerendo un pò lo stile, credo ne uscirebbero davvero bellissimi racconti!

:bye:

Inviato

grazie nerevar!

è una spinta per me a continuare anche in questo campo (oltre che in quello del disegno)rendendo più leggibile il mio stile^^

ora sto scrivendo il terzo capitolo..spero di riuscire a portare al meglio le modifiche di "forma" comunque spero possiate leggerlo a breve..anche se con il poco tempo che ho tra la scuola ed il resto chissà quando lo finisco..

spero sia poco tempo..così da poter vedere se son riuscito a carpire al meglio i vostri consigli:-D

:bye:

  • Mi piace 1
Inviato

black,noi siamo agli antipodi:lol: ...io sono TROPPO minimalista :-p

ho buttato nel cestino la prima versione del mio libro perchè in 20 pagine ci stava quello che ora conto di far stare in almeno 200:lol:

tu alleggerisci..io appesantisco..potremmo scambiarci informazioni..

Inviato

black,noi siamo agli antipodi:lol: ...io sono TROPPO minimalista :-p

ho buttato nel cestino la prima versione del mio libro perchè in 20 pagine ci stava quello che ora conto di far stare in almeno 200:lol:

tu alleggerisci..io appesantisco..potremmo scambiarci informazioni..

ahahah ci sto ci sto..:lol: :lol:

potrebbe davvero servire a qualcosa per entrambi chi lo sa??

eheh;-)

  • 1 mese dopo...
Inviato

Ecco il terzo capitolo, sopo un po di tempo..

mi scuso per l'attesa per chi fosse interessato a leggerne il seguito..

vi ringrazio sin da ora per la votra pazienza nel trascorrere un po di tempo leggendo ciò che scrivo..

-Il giorno, La notte ed il destino-

Ormai il quinto giorno si stava pigramente rivelando a ciò che restava dell’accampamento del comandante in capo Karma.

Dannati distaccamenti ritardatari, pensava il comandante accigliato che, seduto a gambe conserte, ripuliva la sua spada dal sangue dell’ultimo avversario che si era trovato davanti nella battaglia appena trascorsa.

“MANDATEMI SUBITO RUPERT!”urlò.

Non aveva certo tempo da perdere ora, con quel ritardo ci sarebbero voluti almeno altri dieci giorni prima di arrivare a Marca, e sapeva che di tempo da perdere non ce n’era più da almeno una settimana.

Imprecò ed urlò per la seconda volta”MANDATEMI SUBITO RUPERT,LO VOGLIO QUI ADESSO!DANNAZIONE, è UN ORDINE!”.

Passarono almeno altri dieci,ansimanti,minuti prima che un giovane,in cotta di maglia ed evidentemente ferito alla fronte, arrivasse al cospetto del comandante, che, ancora, si trovava seduto a pulire la propria arma.

“soldato semplice Rupert , ai suoi ordini comandante Karma.”

Il comandante passò altri dieci secondi a squadrare l’aspetto del malmesso ragazzino biondo, dai capelli corti e dagli occhi azzurri.

Un ragazzino che dovrebbe preoccuparsi unicamente della sua istruzione e di aiutare in casa; pensò Karma in quei secondi di apparente indecisione.

“Dunque ragazzo, vedo che sei ferito, pensi di essere in grado di svolgere il tuo compito al meglio?”

Non si dilungò in altro modo sapendo, (confidando sarebbe più giusto in verità), che il ragazzo avrebbe capito.

“A meno che il compito che volete affidarmi non sia uccidere altri venti uomini, oltre ai sei che ho già dovuto spegnere questa notte, signore.. penso di poter rispondere affermativamente alla vostra richiesta. SI, ne sarò in grado signore.”

Un lieve sorriso si disegnò sul fiero volto del comandante che, subito, aggiunse:

“Tranquillo soldato, questa missione non richiederà la morte di nessun altro, sempre che le cose vadano per il verso giusto s’intende. Devi procurarti un cavallo e dirigerti il più velocemente possibile a Marca, la cittadella che stiamo per andare a rinforzare, ed avvertire PERSONALMENTE, e ripeto PERSONALMENTE il generale Marcus, in capo presso le forze difensive della città e consegnargli questa missiva da parte mia. Ora…”Prese un attimo di respiro e continuò ”…pensi di poterlo fare?”.

Il ragazzo non esitò e, con fierezza, stringendo il pezzo di carta sigillato che il comandante gli porgeva, disse:”senza dubbio capo, partirò immediatamente”.

Si scambiarono un ultimo sguardo e si separarono, l’uno per tornare alla pulitura della lucente compagna, e l’altro per cercare, suo malgrado, un cavallo.

Rupert girò per l’accampamento fino al recinto dei cavalli dove ne rimanevano tre: uno stallone bianco con alcune macchie brune, quello che poteva essere uno Shire di colore nero tendente, in alcuni punti,al grigio, ed un possente cavallo da guerra nero, che doveva appartenere a Karma in persona.

Optò per lo Shire,che gli sembrava più affidabile ed affabile, e per lo più, era l’unico di cui non si sarebbe sentita la mancanza, visto che i rimanenti due erano,uno del comandante e, l’altro, uno stallone che avrebbe potuto ancora servire in battaglia.

Cavalcò per un giorno intero senza fermarsi, e si accampò al chiaro di luna sotto la protezione di una sperone di pietra, che sporgeva dal terreno presentando, all’apice, un albero, una piccolo quercia,aveva un ottimo aspetto e ispirava ad una pausa lo stanco soldato.

Posò la spada a terra e si concesse un frugale pasto.

Si addormentò pensando a quanto potesse mancare al compimento della sua missione.

Ripartì al sorgere della prima luce.

Il pesante tonfo degli zoccoli del destriero lo ipnotizzarono a tal punto che, quando si accorse del dolore alle gambe a causa del prolungato sforzo della cavalcata, era già pomeriggio inoltrato,con il sole che si tingeva già di rosso, dietro le nubi color arancio che si stagliavano sulla radura.

Il terzo giorno vide la foresta e, finalmente la città,assediata.

Già.

Assediata; si rese conto ora del fatto che avrebbe dovuto raggiungere l’altra parte di quel fiume di metallo, possibilmente vivo, e possibilmente in grado di intendere.

La notte era appena iniziata, e le stelle sorridevano al piccolo pezzetto di terra, che pareva occupato unicamente da selvaggina e vegetazione.

Ma qualcosa produceva un rumore tintinnante, come di pioggia sulle latte cittadine.

Ed in effetti di ferro si trattava.

Di spesso ferro per corazze, per maglie ad anelli, per armi.

Ed oltre a quello tutto era silente.

Un unico gesto da parte del comandante divise il piccolo gruppetto in tre divisioni da due guerrieri l’una.

Tutte tranne quella del comandante che si fece affiancare da due guerrieri.

Uno mostrava una folta barba ed un aspetto robusto, capelli corvini, mossi e abbastanza lunghi.

Vestito con un armatura di un rosso simile al rosso del sangue rappreso.

L’altro era di aspetto più sinuoso.

Il viso non mostrava alcun segno di barba, ed i capelli erano raccolti in una mezza coda alta, che lasciava liberi i capelli dietro la nuca di cadere sulle sue comunque larghe spalle da combattente.

Occhi azzurri ghiaccio slanciavano il color bruno chiaro dei suoi capelli.

Ed il suo vestito non presentava alcuna copertura metallica oltre al giustacuore.

Si confondeva nell’ombra grazie al variare delle luci che sembravano adattarsi al colore della sua veste, e non il contrario.

Il capitano invece era vestito in modo molto semplice quanto efficace.

Coperture di cuoio e metallo per la parte inferiore del corpo, e una corazza che copriva il torace.

Tutto di un color grigio che si abbinava ai suoi capelli neri brizzolati.

Ma la cosa che colpiva di più in Karma era l’apparente giovinezza, nonostante avesse i capelli con connotazioni di una certa età.

Gli occhi di un verde smeraldo spiccavano sulla pelle abbronzata di chi è abituato a vivere all’aperto.

Un fruscio rivelò la presenza di qualcuno oltre alla divisione comandata da Karma.

La sorpresa ha smesso di essere tale, ebbe appena il tempo di pensare il capitano mentre sia lui che i suoi due caporali si misero in posizione di guardia sguainando la spada.

Pochi attimi a seguire, il già piccolo spazio offerto dalla piantagione forestale, diminuì ulteriormente ospitando tre figure nere incappucciate e coperte, da una sciarpa scura, in volto.

Non ci fu molto tempo per studiare le figure appena comparse.

Movimenti rapidi, scambi di violenti colpi, e capacità di combattimento da parte di tutte e due le parti caratterizzarono lo scontro.

Il baluginare delle lunghe e sottili lame degli avversari si contrapponeva alle parate delle spade di Karma e dei caporali.

Ben presto il capitano trovò un varco nella difesa avversaria, che, tempestata di pesanti colpi, si trovò debole contro l’ultimo assalto del brizzolato.

Il sangue sembrava più scuro nelle ombre della foresta.

Ben presto lo constatarono anche i due caporali che, con gli avversari esangui sull’erba, rinfoderarono le armi richiamando le altre due divisioni composte da coppie di soldati.

Il rapporto di questi non fu troppo rassicurante.

“Accampamenti di Roden del sud dall’altro lato della foresta, tre piccole capanne ed una più grande al centro”

Esordì il primo.

Ed il secondo riprese dicendo:

“e verso Ovest ci sono due piccole tende appostate proprio all’uscita della foresta.

Pensiamo che un altro distaccamento sia diretto verso l’entrata”

Se sono diretti all’entrata troveranno di certo il resto della nostra divisione, e spero saranno benserviti, pensò Karma.

La tranquillità però non fermò i suoi passi, decisi a tornare all’accampamento situato a metà strada tra l’entrata dal bosco e il punto dove ora si trovavano.

In una mezz’ora di tempo raggiunsero i commilitoni e chiesero informazioni sull’andamento delle cose, e soprattutto sugli eventuali rumori o luci del bosco.

Karma, nonostante si fidasse dei propri uomini quanto di sé stesso, volle inviare i due caporali, accompagnati ognuno da due soldati scelti dagli stessi, a perlustrare le vicinanze.

Uno ad Est e l’altro ad Ovest.

Ovviamente quest’ultimo era incaricato di perlustrare il piccolo accampamento “di confine” e di eliminare, se possibile, i nemici accampativisi.

Ad Est fu inviato il caporale dall’armatura rossa, che rispondeva al nome di Astald.

Ad Ovest invece fu inviato il caporale dagli occhi di ghiaccio, che rispondeva al nome di Soridan.

Astald si ritrovò ben presto nella fitta boscaglia ad approfittare di ogni raggio di luna, a cui le foglie permettevano di proseguire fino al terreno, per scrutare le eventuali tracce lasciate da Roden o dai loro destrieri.

Soridan, nel mentre, si trovò ben presto in vista del suo obiettivo.

Pochi gesti bastarono a dare le necessarie direttive per un eventuale attacco, non c’era bisogno di parole fortunatamente.

Il primo a muoversi fu il caporale, che, sfruttando l’ombra dei fitti alberi, si mimetizzò con l’ambiente fino a portarsi di fronte alla tenda di destra.

Sempre accucciato, richiamò i due soldati semplici al proseguimento del piano stabilito.

Essi, dunque, sempre con il minimo rumore si spinsero di fronte alla capanna di sinistra, e stesero due fili di corda molto resistente,l’uno ad una ventina di centimetri di distanza dall’altro, proprio fuori dall’ingresso alla tenda.

E si avvicinarono in fretta al caporale.

Stupito della facilità e della poca sorveglianza Soridan si fece largo nella tenda e fu sicuro di conficcare la propria lama nella viva giugulare di uno Roden dormiente.

La giugulare la raggiunse in fretta certo, ma non era più parte di un corpo vivente già da qualche ora.

Lo stupore che aleggiava nella piccola tenda si espresse tramite il primo soldato semplice:”Morti..e..erano già morti..”.

Fu solo poco più di un sospiro, ma espresse l’idea di tutti i presenti.

Almeno di quelli ancora vivi.

Nella capanna adiacente lo spettacolo era lo stesso, ed in poco tempo il caporale decise di rientrare al campo per riferire a Karma e mettere in luce i motivi dell’accaduto se fosse stato possibile.

Giunto che fu alla base vi trovò nel mezzo sia Karma che Astald, intenti a parlottare sommessamente.

Congedò frettolosamente, con un gesto della mano, i due soldati e si unì al discorso.

“..senza nessun segno di lotta ti dico, sembravano uccisi dalle stesse ombre che li coprivano da morti..terribile..e poi..”

Non finì la frase perché Karma subentrò con una dmanda al vedere giungere Soridan:

“Caporale, voglio un conciso rapporto..cos’ha trovato nella sua spedizione?”

I freddi occhi lupini si fecero attenti nel ricordo di ciò che vide, ed in poco tempo descrisse i ritrovamenti dei cadaveri Roden e di come la loro morte sembrava essere avvenuta nel sonno e senza dolore.

Karma si accigliò per un secondo e poi espresse il suo pensiero in una singola parola:

“Tradimento”.

I due caporali si guardarono con un tono interrogativo dipinto sui loro volti.

E subito il capitano si spiegò:

“Assassini Roden traditori, non capisco però il perché..”

O meglio, mi piacerebbe non poterlo immaginare, pensò il l’uomo.

“Meglio togliere le tende al più presto, questa notte doppio turno di guardia. Voglio almeno tre uomini per lato, ed i turni devono durare almeno un ora e mezza l’uno”.

Così fu.

Ma la notte, oltre al fruscio degli alberi sembrava ospitare solo le stelle e la luna.

Esatto, sembrava.

Il riverbero della luna risultava ancora più limpido sul bianco pugnale.

Spero di aver alleggerito abbastanza il mio stile..anche se non credo di aver fatto molto meglio con questo capitolo..

Ditemi voi..sono, come sempre, ben accette le critiche..:-p

Crea un account o accedi per commentare

Devi essere un utente registrato per poter lasciare un commento

Crea un account

Crea un nuovo account e registrati nella nostra comunità. È facile!

Registra un nuovo account

Accedi

Hai già un account? Accedi qui.
 

Accedi ora
×
×
  • Crea nuovo...