esahettr Inviato 13 Aprile 2007 Autore Segnala Inviato 13 Aprile 2007 Schiantare nel fango l'agonia delle stelle e divorarla farneticando suggere il midollo dolciastro la neve azzurra addentare con fremito d'ossa stridenti al sole il pomo vermato dell'universo e imputridire
esahettr Inviato 15 Aprile 2007 Autore Segnala Inviato 15 Aprile 2007 La vita è un fiume in secca in cui immergersi da morti per soffocare nella polvere le ossa Aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaahhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhh!!!!!!! Trapasso assordante di rami secchi e riarsi dalla dodecafonia del vento Lucono i fantasmi sull'autostrada di campagna e riflettono la tua immagine distorta e ghignante e folle e curva come cucchiai di lacrime traslucide e ricordi incoerenti Mangiare le stelle non è più necessario di cagare mangiare le stelle è molto meno necessario di cagare oh mio Dio! Traimi dalla mer*a mio Dio! Fuori di qui! LO SPIRITO FUORI DI QUI è scritto sulla porta del tempio con l'inchiostro dei grattacieli Non troverai l'urgenza fino alla sera del coro delle falde capovolte E' tardi e la barista è vecchia e stanca così stanca Francesco doveva un centone a troppa gente Era urgente? Poetaaaaaaaaaaa!!! Era urgente? Urgente il suo incisivo sinistro a dissanguare la smalto sul selciato? Sull'asfalto della periferia della città dei cavoli avariati? Erano urgenti le sue costole incrinate? Era uno che doveva troppi soldi in giro e andrà all'inferno con me perchè doveva un centone a quelli sbagliati Feci un sogno e lo dimenticai perso sono rivoltanti gli androni dei sogni e marci nessuno si specchierà mai nel loro muco nessuno tranne noi che amiamo noi che cuciniamo i pipistrelli del Messico noi che amiamo te come io credo che sia sano amarti Ricordo il lamento degli spiriti a cui rubai la radura era lo strepito fantasma di tutte le tombe inedificate (e struggente) Biascicavano incanti dimenticati nella musica approfittando del nostro stordimento erano gelosi della radura gli spiriti amici miei della radura e degli alberi e dell'erba e della linfa della linfa più di ogni altra cosa erano gelose le dita delle ombre ma noi lasciammo un sacchetto di plastica e una bottiglia di plastica la bandiera universale del progresso (quando non ribolle di sangue giallo rappreso) è di plastica Curiosi i colori e singolare la loro danza lieve d'acquerelli trafugati da case morte frammisti a sapore di tempera cibernetica Si chiude la tela fagocitante non più sogni invocati da un battito di ciglia come roghi o perle di vomito si chiude su sè stessa estinguendosi al contrario con l'ansito goloso dell'orgasmo incompiuto e lascia schiudersi il sogno intrappolato nel mezzo si schiude il sogno con i suoi petali e tentacoli e con le sue braccia impersonali intrappolato nel mezzo della tela e si dibatte danzando la danza d'agonia della mosca sanguinando sulle nostre teste Sognai un sogno convesso o forse lo sogno ancora il sogno convesso che sognai sto ancora sognando un sogno quel sogno è quel sogno o il successivo o un altro ancora un sogno Un sogno? Le loro ali multiformi? Lo svolazzo carezzevole dei tuoi capelli onirici e fintamente a caschetto perchè lo hai baciato? Il bacio è l'anagramma tarlato del sogno e la sua chiave e il suo riposo
esahettr Inviato 25 Aprile 2007 Autore Segnala Inviato 25 Aprile 2007 Andremo nelle notti candide sotto il sorriso materno della luna andremo sul greto del fiume il fiume inquieto e scintillante e smeraldino sotto i ponti di legno andremo sul greto del fiume a raccogliere sassi colorati a fingere che siano ancora incandescenti sul fiume di smeraldo che sogna senza dormire andremo insieme con i capelli spenti con i capelli spenti che fingeranno di ardere ancora e squarciare il manto della notte andremo al fiume la sera tardi sul greto a guardare la processione delle lucciole o l'agonia a vederle sguazzare nelle piazze vuote a vederle ansimare sorridendo sorridendo di un falso sorriso ansimando fra gli annegati e cavalcandoli (le lucciole hanno dimenticato hanno dimenticato la loro luce e la loro regina le lucciole si credono falene e si dipingono il viso di luce finta per coprire il loro scintillio) andremo insieme insieme insieme come siamo andati per migliaia d'anni per miliardi di costellazioni di volte fianco a fianco spezzando il pane e mangiando la carta vetrata andremo ancora una volta nel respiro quieto dell'estate sul fiume sul fiume dove tu una volta vedesti una lucciola antica tu la vedesti e io mentii e dissi di vederla andremo insieme impalpabili ed effimeri ed eterni sotto lo splendore delle stelle artificiali fra le vere stelle invisibili andremo invulnerabili alle calcificazioni del tempo sanguinante al suo cristallo imperdonabile andremo come siamo andati per anni nei campi di calcio dell'ultimo guizzo dell'innocenza andremo nel buio sorridendo sorridendo un po' e i portali della notte si apriranno per noi faranno un'eccezione andremo cantando una vecchia canzone e io non cercherò nel cielo il fantasma dell'arcobaleno andremo ignari della nostra piccolezza taceremo delle occasioni perdute alle spalle ormai sommerse ed espiate come gli schizzi di un bambino sulla spiaggia andremo assieme negli spazii infiniti della memoria
esahettr Inviato 25 Aprile 2007 Autore Segnala Inviato 25 Aprile 2007 L'ultima volta che hanno sco*ato è stato quattordici anni fa quando hanno concepito la figlia poi era solo dormire separati (a casa della famiglia di lei) e poi lanciarsi le stoviglie e una volta un tostapane farle volare da una parte all'altra della cucina ampia e sporca e disordinata ma c'erano sempre le cene e il Rotari e gli amici di famiglia (anche se lui si era sempre sentito inferiore) e andavano tutti in chiesa alla domenica quasi sempre tutti tranne il figlio che dormiva (poverino era stanco e la scuola era difficile) e poi non c'erano più i soldi per compararne altre per comprare altre stoviglie lui non pagava le tasse ma finchè andava a lavorare era riuscito a stare fuori dai casini poi l'incidente e i Valium e i Prozac e tre pacchetti di Marlboro rosse al giorno tre pacchetti di cicche al giorno tutti i giorni mentre tornava bambino davanti al computer e giocava e giocava e giocava e non pensava all'incidente e non pensava che avrebbe potuto studiare di più quando era giovane e non pensava che abitava da diciotto anni a casa di sua moglie sua moglie che non riusciva neanche più a sco*are e giocava ed era qualcun altro era un elfo un mago un orco e lo rispettavano tutti e non pensava e fumava e si faceva di Valium e il Valium gli lobotomizzava l'uccello e la vita e l'anima mentre lui era un elfo il vuoto lo inghiottiva e lui sorrideva e faceva sì con la testa per la riuscita dell'incantesimo lei faceva finta di fare il giudice ma era ricca di famiglia e aveva la casa e suo marito aveva fiuto per i soldi aveva la casa di suo padre e prendeva anche qualche affitto certo la casa era un po' in disordine ma era grande era grande e la rumena veniva a pulire solo quattro ore alla settimana e poi lei doveva occuparsi di sua madre della nonna che erano quindici anni che aveva il tumore ma non si decideva a espletare l'ultima formalità a firmare l'ultimo pezzo di carta della sua vita di firme di pezzi di carta non era proprio la buona vecchia borghesia (quella che stuprava sorridendo e NON DICEVA PAROLACCE) proprio no però non stavano male in fondo (ah, se solo fossero riusciti a farlo di nuovo come una volta! a farlo di nuovo!) e anche se in casa non avevano tanti libri come in casa dell'amico di suo figlio (quegli intellettuali un po' la inquietavano a dire il vero ma suo figlio era un tipo responsabile e c'erano già abbastanza casini) e anche se quei comunisti avevano più libri loro avevano la TV più grande (i Totem sono importanti) il vuoto la inghiottiva e lei avrebbe tanto voluto sco*are (o che sua madre morrisse o entrambe le cose) c'era un figlio di sedici anni che si sfondava il cervello tutti i sabati sera (a volte anche il mercoledì pomeriggio) si sfondava il cervello di qualsiasi me*** riuscisse a trovare in giro (c'entrava qualcosa anche l'amico con i genitori tanto colti forse) un figlio di sedici anni che una volta era tornato a casa con due pupille così due occhi neri grandi come meloni due abissi in cui annegare era tornato a casa con la mascella da raccogliere con il cucchiaino muovendo la testa a scatti e visto che non se n'era accorto nessuno aveva deciso di andare avanti così visto che suo padre non alzava neanche la testa dal computer quando tornava a casa il sabato sera (verso le tre mezzo di mattina) e non riusciva ad addormentarsi fino alle dieci e poi dormiva fino a ora di cena (surgelata) il vuoto lo inghiottiva e lui pensava che tre cartoni il prossimo sabato non glieli avrebbe tolti nessuno tre bei cartoni di quelli buoni (anche perchè questi non li aveva ancora provati) c'era una figlia un po' più piccola era bionda e carina e aveva un sorriso malizioso e già a dodici anni le erano venute le tette era carina e in città quelli più grandi quelli più grandi se la sco*avano un po' tutti in città mentre i suoi gentori dormivano in stanze diverse tanto la casa era grande ("pechè papà russa") si faceva tutti quelli decenti del liceo e quando quelli decenti finirono incominciò con gli altri suo padre non entrò mai in camera sua quando scappava (aveva la finestra comoda) e sua madre nemmeno e così non videro il diario strappato non videro le pagine stampate da Intenet così non videro sotto il letto il test di gravidanza (positivo) il vuoto la inghiottiva e lei pensava a dove ca*** andare ad abortire e così un giorno un giorno che arriva sempre per tutti per tutti i maledetti figli di putta*a del buon Dio ma che per qualcuno è peggio un giorno la Guardia di Finanza parcheggiò la macchina nel giardino mal curato incolto e pieno d'erbacce di casa (di casa di lei) il vuoto li inghiottì gli pignorarono la Jaguar con i sedili di pelle bianca ormai marroni e gli pignorarono i tappetti persiani (di sua moglie) gli pignorarono la TV da cinquanta pollici (ne avevano altre due ma più piccole) e i videogiochi del figlio (che quella mattina non era a scuola ma al parco perchè era arrivata l'erba e che appena tornò a casa andò a controllare il bong da mezza milionata) e gli pignorarono il computer (quello no quello lo distrusse era la goccia che fece esplodere il vaso togliergli il computer quella fu la dannatissima fine il suo computer la fine) il vuoto li masticò e non li trovò di suo gradimento un giorno lui se ne stava sul divano a guardare la TV (era più piccola e non prendeva neanche tutti canali e non si vedeva neanche bene) mentre suo figlio in camera arrotolava una banconota mentre sua figlia si guardava la pancia allo specchio mentre sua moglie in cucina piangeva in silenzio e prese venti o trenta o quaranta pasticche di sonnifero e le buttò giù con tutto l'alcol che il figlio aveva risparmiato il vuoto li risputò (a pezzetti) non proprio la buona vecchia borghesia quella che strangolava cantando le canzoni dello Zecchino D'Oro lo trovarono morto nel cesso un paio d'ore dopo aveva vomitato la pizza surgelata del pranzo (probabilmente era scaduta) suo figlio (ancora abbastanza incastrato dalla keta e presangendo la propria dipartita di lì a due anni al parco della stazione con una siringa nel braccio) pensò che lui se ne sarebbe andato sorridendo sua figlia (che di lì a sei mesi avrebbe scodellato una rosea e piangente sopresa a mamma) pensò che avrebbero dovuto sco*are di più i suoi (e lei di meno ca*** il pancione cosa faccio) sua moglie (con gli occhi rossi di pianto) pensò che le lasciava solo debiti e scoprì di averlo sempre odiato e lo odiò per sempre
esahettr Inviato 1 Maggio 2007 Autore Segnala Inviato 1 Maggio 2007 Canzone per il Futuro Questa è per quello che sarò stato per il ragazzo che sarò stato per la mia rabbia trasparente per quando levigo con l'alcol la mia solitudine perchè non si trova altro per il ragazzo incerto e dubbioso così maledettamente incerto e così pieno di rabbia di risentimento così pieno d'amore per quell'amore struggente e inespresso per la necessità e la mortificazione poetica per il ragazzo incapace di esprimersi e incapace d'amare per l'amore che non riesco ad amare questa poesia è per tutte le sbronze tristi e per le canne inutili per le illuminazioni di mezzanotte o delle tre e tre quarti del pomeriggio per il bisogno di avere bisogno di avere bisogno per tutta la vodka da poco che sa di medicina da ciarlatano per tutta la vodka trangugiata a forza per non pensare per quella volta che comprammo tre bottiglie e il vecchio commesso ci guardava come fossimo pazzi (e forse lo eravamo) per le seg*e a denti stretti per lo zaino che porto sempre sulle spalle pieno di mologhi e deliri e poesie e racconti e romanzi mai scritti per le pomposità e per l'esibizionismo infantile e per l'autocelebrazione vuota per le battute razziste e per le barzellette sporche che mi hanno sempre fatto venire voglia di piangere per la lunga fila di bottiglie rotte e mozziconi e rimpianti e rimorsi e paure e occasioni andate sul mio davanzale questa è per l'illusione di potersi accendere a comando per le notti in cui non riesco a dormire e di colpo incomincio a brillare ma sono troppo stanco per dare ascolto per tutti i pomeriggi di sole sprecati davanti a uno schermo a tentare di ingabbiare il fuoco fatuo la maledetta scintilla intermittente il lampione lunatico il fuoco d'artificio svogliato la stella pigra che mi ossessiona e mi comanda e mi fa sognare sogni di claustrofobia infinita il tarlo che mi divora tutto da quando ha raggiunto la cosiddetta ragione la necessità assoluta di dovermi accendere di dover brillare per l'interruttore nello stomaco che non troverò mai per la chiave spezzata nel fegato che ho frantuamato a forza di porcate e che forse non ho mai avuto per la porta introvata che separa la mia mente dalle luci fantastiche per quella porta che qualche volta la musica fa socchiudere per la fucina spenta il vulcano ipotetico per il profeta delle ventitrè e trenta per la pupilla dilatata e per la pupilla a spillo per la pupilla dilatata del sabato sera che mi dà tanti probelmi con le vecchie benpensanti e i genitori degli amici per il ragazzo scontroso seduto in fondo alla camera mentre gli altri si abbracciano sul letto e contano le stelle finte per lo sguardo vuoto fisso sull'immensità candida del muro che ho guardato per tanto tempo senza capirla mai fino in fondo questa poesia è per quando vado a droga per quando piango e prometto e giuro e spergiuro e piango e giuro per tutte le volte buone mai concretizzate per quell'unica volta buona che non verrà ma se verrà la sentirò rintoccare per il ragazzo che da sobrio non riesce a spiccicare parola e fugge da solo nel parco a biascicare incantesimi o nel retro di qualche cortile a pisciare in un parcheggio vuoto e silenzioso e buio per fissare di nuovo il muro per quando gli altri parlano e io non riesco a dire nulla per quelle manciate di conversazioni degne di questo nome quando davanti agli occhi aggrottati dei secchioni della città sviscero con nonchalance tre quarti della filosofia mai scritta e la getta nel fiume ancora incandescente della mia condiscendenza per tutti i deliri sul nuovo misticismo sincretista che salverà la Terra dal materialismo occidentale e dalla pigrizia buddista questa poesia è per gli amici che mi avranno lasciato troppo presto lo so per tutti i profeti del tramonto che se ne saranno andati sorridendo a sorgere per sempre fra le stelle per i loro ricordi trasformati in fantasmi della notte dall'ineffabile incanto della morte per le loro ombre struggenti che non mi lasceranno dormire non mi lasceranno in pace e al mattino si disintegreranno nel sole come polvere per i loro poveri spiriti martoriati dalla morsa del gelo della tenebra per tutti i profeti che cercavano l'arcobaleno che volavano troppo alto Dio gli ha bruciato le ali hanno sbattuto la testa contro il tetto dell'etere per tutta l'ansia per le botte per la Paranoia la Paranoia la Paranoia la Paranoia
esahettr Inviato 3 Maggio 2007 Autore Segnala Inviato 3 Maggio 2007 Ma chi ca*** te la scrive una poesia, eh? Eccheccazz!!! Ti strappa il cuore e lo fa a fette con un coltello da cucina ma tu non te ne accorgi perchè quando lei è in una stanza la stanza svapora come cenere la stanza scompare come fumo soffiato dal vento impetuoso il tempo si ferma e il mondo comincia a vorticare rombando di desiderio tu sei incantato cotto stordito e l'unica cosa che puoi fare è adorarla amare ogni atomo della sua pelle vellutata e non vedi niente tranne la luce puoi soltanto rimirare l'ossessione martellante il delirio del suo corpo che sfiora il tuo di un'onda sinuosa come l'oceano le sue mani fredde sul tuo petto che respira il suo fiato caldo il tuo petto che ondeggia stremato dal sortilegio ancestrale delle tue labbra incandescenti come neve fiammeggiante puoi soltanto fissare i suoi capelli incandescenti sviscerare l'alfabeto delle tue infime carezze sapendo di non poterla toccare mai dilaniare il regno dei tuoi baci di strada alla ricerca di quello che vada bene per lei E mentre ti inebri del suo profumo della canzone conturbante dei suoi occhi come lampioni di sole sotto un crepuscolo perlaceo ti strappa il cuore e lo fa a fette con un coltello da cucina e tu sei contento come non sei mai stato e mentre vomiti un fiotto di sangue e ti premuri con tutto te stesso con tutte le slegate vestigia del tuo corpo morente e la tua mente agonizzante di non sporcarle i vestiti arriva la morte e muori contento di morire al suo cospetto e muori contento del tuo amore sofferente e sprecato il tuo amore di polvere
esahettr Inviato 4 Maggio 2007 Autore Segnala Inviato 4 Maggio 2007 La città sotto il mare Ci siamo attardati troppo nelle camere del mare Con le figlie del mare incoronate d'alghe rosse e brune finchè le voci umane ci svegliano, e anneghiamo. T.S. ELIOT Il mare prende e il mare dà e divora il mare e dimentica. (Che cos’è la sabbia se non tempo perduto?) Il mare distrugge e dall'oblio risorge. Chiedi agli annegati se è profondo l’oceano. (Laghi come pozze di tramonto liquefatto d’occhi fuochi sull’acqua) Fratelli andati nel vento con la schiuma delle onde, maledetti, perdonatemi. Ti mostrerò la terra dove le ombre sfumano Ti mostrerò la città degli spiriti dolenti. Sotto il mare sotto l’oceano sotto le onde, fratello, sotto il ponte coriaceo delle onde negli anditi subacquei dove non fiammeggia lo spazio, dove la marea accoltella d’immagini il fondale sabbioso (non c’è luce là sotto, soltanto fuochi di buio nell’ombra e non c’è pace, soltanto il silenzio inquieto del sonno agitato) e i teschi affranti delle rocce si frantumano nel frinire senza fine delle vongole, vedrai cadere le stelle marine e sanguinare vedrai nuotare i velieri fantasma, rovesciati e con le vele fradice maciullate. E il vento è incessante laggiù, e soffia la sua anemone di fiato musicale solleticando il ghigno delle zucche azzurre (e marce e dimenticate). Guardale rotolare e rotolare e rotolare senza peso, le bocche e i nasi che vomitano le carni bluastre e pestate e sofferenti. Rotolare rotolare rotolare nei canali delle correnti gelide, rotolare, sempre più veloci, sempre più vicine al vorticante grembo di tamburo dell’abisso perlaceo. Rotolare rotolare rotolare vomitando la polpa iridescente, guardale. (Avanti, sorelle, andiamo a respirare le tossine dell’estremo frutto della mente!) Gli echi smorzati degli oblii dell’amore si rincorrono come scariche elettriche nelle gallerie del respiro del mare, nelle grotte. Si baciano sfiorandosi con gli artigli di aragosta, perchè non possono toccarsi senza morire. Viene lo scorfano sornione a deriderli, viene la triglia sanguinante a divorarli. I cadaveri dei marinai fioriscono nell’acqua come fiocchi di neve che galleggiano, si imbibiscono d’acqua i vestiti e le membra irrigidite dall’addio e affondano a nutrire le chele villose dei granchi senz’occhi e rosso sangue. E si strusciano i serpenti dal verde collare sciaguattanti nella vitrea pioggia dorata della polvere liquefatta del sole sott’acqua. Si aggrovigliano viscidi in gomitoli rettili, i serpenti marini si aggrovigliano danzando nell’alfabeto degli oceani. I volti degli annegati lampeggiano come vetro incrinato alberi salati di ghiaccio e d’alghe tremando gli rispondono, colore schizzato nella tromba impazzita dei ruggiti delle balene nei gorghi perduti delle profondità. Guarda il sentiero di fango rosso brulicante di lumache di mare (all’ombra di tombe di denti di squalo nei cimiteri delle inondazioni all’ombra degli altari di tendini di balena). Segui l’ossessione senza patria della marcia bisbigliante. Tutti i naufraghi, tutti gli annegati, i pirati e i marinai, tutti gli amici perduti, qui, che camminano le strade del mare con le alghe verdi fra i verdi capelli marini con viscidi molluschi che nuotano negli occhi. Verso la città tre volte promessa verso l’azzurro monte di fumo verso le torri dell’abisso. Ecco il triste sobborgo dei relitti arrugginiti e ricoperti d’erba di mare, carcasse di navi che non navigheranno mai più, colate a picco, in cui nuotano magri squali affamati dai denti crudeli con gli occhi bianchi e più ciechi dell’abisso, più bianchi delle cataste madreperlacee delle ossa dei padri pronte per il rogo dei delfini. Ecco le capanne d’alghe e fango dei tritoni minacciosi, e le sirene loro sangue. Guarda il giardino in eterno fiorito dove le figlie del mare danzano la perduta danza ammaliatrice degli annegati. Guarda la pelle liscia e i capelli lucenti bruciare e avvizzire guarda i loro biondi visi maliziosi splendere e marcire guarda la loro danza diventare un vortice di polvere. Il delirio della carne appassisce come una candela nel vento. La loro danza arde del fuoco nelle vene degli uomini, ma non c’è sangue nelle vene d’aria degli spettri insensibili alla carne. I morti danzano soltanto la morte. Ecco la città, fratello, con le sue cupole di ragnatela e le sue porte di pioggia. Sul fondo dell’oceano, nell’intestino dell’abisso, la città annega, annega. Affonda con i suoi specchi di sogno e i suoi altari di alghe marce con le sue case vuote e lucenti, distorte al bagliore delle ombre nel rintocco freddo dei cocci di vetro della clessidra del tempo contro il pavimento di roccia dei saloni del mare. Affonda la città nella piaga aperta sul suolo del mare, nella voragine cauterizzata da fiamme antiche, con le sue bianche scalinate di marmo dell’abisso, con i suoi templi di ossa di balena, sul cui pulpito a volte il fantasma di un falso profeta vomita il suo muto sermone di bolle. E’ un puntino, è microscopico nell’accecante vastità azzurra dell’oceano infinito e sacrifica un ricordo a dei dimenticati, e piange vento nel vento dell’abisso. Su, monte, torri, Torre! Tanti, tantissimi, tutti gli spiriti azzurri accalcati uno sull’altro, all’infinito! Ecco il monte, gli spiriti! Ecco le torri e la loro bianca regina capovolta! La porta! I marinai cavalcheranno di nuovo! Di nuovo! La torre svanisce! Guarda! Gli annegati risorgono e la città affonda! Sacrifica un fiore alla Madre degli Abissi per l’amore sfiorito.
esahettr Inviato 7 Maggio 2007 Autore Segnala Inviato 7 Maggio 2007 Sperando di non essere caduto nell'abisso del buonismo, tomba dell'arte. E poi menate a parte essere buonista mi starebbe proprio sulle palle. Ballata Sono caduto fra le rose per commuoverle (fammi piangere) fammipiangerefammipiangerefammipiangere sono apparso al confine fra gli alberi e l'abisso dove il vento abbraccia con le sue dita gelide le liane del tempo ho dato le spalle agli alberi e ho cominciato a costruire un ponte che non finirò mai un ponte oltre l'abisso un ponte dìinquietudine e di squarci di ombra e di luci aliene quando ero piccolo mi piaceva dondolare quando ero piccolo mi piaceva dondolare quando ero piccolo mi piaceva dondolare eiaculazione di lacrime a comando i miei avi hanno tagliato la foresta tutte le mie immagini infrante così potenti così infrante sono per voi martiri insonni navigatori dello spazio avventurieri pazzi ho masticato l'amore della gomma di tutti i vostri occhi abbiamo mangiato il sacramento dell'amore fianco a fianco di notte verrà il giorno in cui gli dei verrà il giorno in cui gli dei si riprenderanno la mia creta il mio pugno di terra verrà il giorno in cui la mia sabbia si asciugherà verrà il giorno in cui gli dei concimeranno delle mie ossa l'immensità verrà il giorno del sacrificio verrà il giorno dei vermi le luci rotanti hanno uno sguardo strano cammina cammina cammina nei profondissimi fiumi di nebbia d'autunno e ama il vento e sii il vento quante volte dovrò buttarmi giù? mi fa male qui mi fa male qui tutti i miei errori e i miei rimpianti i miei occhi rivoltati un altro giro sprecato e il mulino va ad incupire altre notti avvitando il pozzo delle mie tristezze e il mulino va a insudiciare altri santi davanti al tuo viso a zigzag una notte d'euforia volevo cantare le onde delle strade la resurrezione dello spirito delle maree delle piazze l'amore è la canzone di un giorno l'amore è una canzone spezzata l'amore è l'istante in cui la polvere è eterna per i fratelli rotti per le epifanie della strada per tutta la luce che danza nel buio sono triste ed è per questo che canto per tutti quei ragazzi tristi che non hanno nulla tranne un sogno e una maledetta ostia alla fine, riesco sempre a commuovermi fingendo appartenenza e forse non fingendo del tutto alla molecola dell'amore la comunione sacra dei ragazzi delle strade sorgeremo sorgeremo sorgeremo senti le grida degli anni sprecati il paradiso dei dannati per me per tutti voi per tutti noi le rovine fumanti del cielo ricordo tutte le notti di mura di volti di streghe liquefatte le idee pazze per le idee distorte i lampi di cristallo che per una notte aprivano in due il cielo e ci tenevano al caldo e ci tenevano al caldo tutti insieme abbracciati non perdete la speranza smarriti nel lussuoso labirnto della miseria annegati nelle strade allagate del fango del nostro amore troppo grande per amare quando progettavamo improbabili fughe dal grigiore della provincia mi sentivo vivo perchè non abbiamo mai preso quel treno? abbiamo fatto bene a non farlo così nel giorno cruciale avremo rimpianti a sufficienza per restare un attimo a contemplare tutto questo amore soffocato che fiorisce morendo ogni secondo e non perderà mai e non trionferà mai tutto questo amore ma è bello sperare che trionferà e per una notte se piacerà alle stelle mute trionferà ancora e se alle stelle mute piacerà per una notte questo amore trionferà e per altre notte e ancora altre notti e ancora e ancora e tutte le notti d'amore e i fratelli della notte di tutte le notti si prenderanno per mano e si illuderanno e crederanno che l'amore abbia trionfato per sempre e invece è solo una notte ma non sarò certo io a dirgli che è questione soltanto di una notte perchè saranno al caldo e non vorrò disturbarli sfonderete le vostre tombe d'asfalto e i vostri teschi di cemento le vostre catene di paranoia risorgerete di luce e cavalcherete le cime innevate dei monti e le stelle viola e verdi e gialle come frutti e l'albero del cielo lontano risorgeremo per divorare il sole il profeta con gli occhi di gomma andrà per tutte le strade a dare l'amore ai disperati ai disperati tutto l'amore ai disperati tutto l'oblio ai disperati tutta la sofferenza andata tutto il mio amore sprecato i miei altari di cenere il miei templi di parole inutili forse siamo stati liberi forse saremo liberi forse non potevamo essere più liberi forse non poteva andare meglio di così forse andrà meglio di così certe notti non poteva andare meglio di così
esahettr Inviato 11 Maggio 2007 Autore Segnala Inviato 11 Maggio 2007 Cesseranno un giorno le vibrazioni siderali cesseranno tutte Com'è vuoto questo cielo, notte! Come sono spente le stelle, luna! Il sole è morto mortomortomortomortomortomortomorto e non è nemmeno esploso Ho sognato la slavata perdizione dell'infanzia larve negli occhi di un pupazzo e stridore di foresta ancestrale le creature spezzate escono dagli anfratti Il potere è quietato ora nel grembo delle viscere del mondo fra le radici antiche dei faggi onniscenti Scaveremo nel manto umido dell'orrore e nel fango accecante della morte nello spettrale terrore dei villaggi abbandonati il terrore senz'occhi ma con mille tentacoli dissonanti I cani risorgono due a due nella terra delle sorgenti disseccate e i pipistrelli di polvere con le cieche ali violacee spalancate nella notte eterna riemergono dagli occhi di pietra degli antichi dei Le querce dai rami fitti di visioni echeggiano il respiro lampeggiante del cielo spiritato di candele e poi il deserto rosso dei campi coperti di rocce bluastre rabbrividisce e il vento ne infrange i sospiri La pace verde e assolata del mio capo incoronato dalla luce tremula della vite di maggio Il richiamo dell'ingranaggio triangolare dei fari della macchina argento mi disintegra E' bene o è male sarchiare il fiume? Chiedilo alla tempesta che ritorna chiedi alla muta tempesta chiedilo alla falce Frammenti prismatici di allucinazione materializzata di collina che rotola accecandoci con il fulgore di una visione di scorrere di ruscello d'acciaio i fili del nulla combaceranno ancora e il sole masturberà altre ombre Tutta la nostra vita fluisce in quegli sferraglianti fremiti d'immagini cieche e di siepi di labirinto a nutrire l'adunata-miraggio dei volti nelle bolle iridescenti sulle spalle dei pini E' l'imbrunire e le carovane della notte cominciano a viaggiare fra le luci Nelle case degli idoli di fango i lupi d'acqua s'impiccano alle stelle
esahettr Inviato 15 Maggio 2007 Autore Segnala Inviato 15 Maggio 2007 Con un rogo cominciò la vita. La contemplazione cieca del signhiozzo della notte giunge in silenzio a trarre in salvo la luce in suppurazione. Pazzesco è come infine ogni stella sanguini la sua dose di nubi automatiche senza alcun impegno come una gran cassa sghemba. O mia morte sfrontata ho paura di annoiarti troppo a lungo? Mi nauseranno queste strade serpeggianti fra le siepi un giorno o l'altro? Tocca. Ho paura che la melma contenga solo scarafaggi. La serenità è il cielo riflesso sullo specchio degli orti dei sogni. L'anima è una vecchia palla da biliardo e la puoi imbucare soltanto nella buca del tempo. Spiriti, cosa vi ho fatto? Con un rogo immenso cominciò.
esahettr Inviato 18 Maggio 2007 Autore Segnala Inviato 18 Maggio 2007 Verremo nudi alla morte come da bimbi nei campi le gote vitree dimenticate le fantasie ritorte andati gli affanni sull'ala muta degli artigli Cosa sono diventato? Devi suonare la morte quando chiama il cielo e gli angeli vomitano sabbia dai ponti e si accarezzano i capelli di carezze incandescenti e si baciano le ali di gemiti impossibili froci La tenebra ha occhi di diamante socchiusi nel respiro del re della collina incoronato di rupi e nebbia che culla i suoi stracci di vetri rotti e li stringe al petto piangendo un lieve pianto di foglie secche riarse e topi di campagna Il mare feconda la luna di parole grevi e brucianti come stelle cadenti al ritmo d'argento della cavalletta e in calore per il fallo meccanico degli occhi di fuoco e roteanti un cimitero di costole di stella In ginocchio a baciare le orbite vuote del teschio d'edera il fascio di fantasie ritorte che disse alle nubi siate grigie che disse al vento sii una vampa bizzosa disse al sole di bruciare ardendo Ne avrei di urla da sussurrare nell'etere e incendiare danzando fino a incenerire la mia camicia a scacchi e precipitare il mio giardino irrequieto nelle pornografie ghiacciate dei cieli dell'inferno ai cui è impiccato un uomo con un chitarra nello sterno costretto a intirizzire litanie di foreste e ruggiti di dissonanze ormai annegate Nevica la neve fresca delle estati sui fari azzurri delle macchine cieche che cieche nella neve affondano e Satana ammantato d'inverno fa l'amore con i cani rabbiosi sul cornicione Per te si compie l'eclisse lo scialbo miracolo serotino della luce attanagliata dalle serpi il brivido degli alberi elettrici con i volti rugosi e i capelli di foglie ritti sulla testa sapiente e antica Oltre l'erba violacea e i campi spenti il camposanto di croci scintillanti sogna i suoi sogni di vetro in attesa della fine del nostro sentiero fra le ragazze bellissime e terribili inginocchiate sui rami più alti degli alberi un bisbiglio più in alto dello sguardo Le rane cantano e tossiscono rincorrendo il sorriso sghembo del sole dell'abisso proliferante d'ombre più dense del sangue le rane cantano e tossiscono e le cose non cambiano Piovono palle di tennis nella palude mentre il cielo aspira le gocce del proprio manto lucente E ruzzeremo con gli unicorni eterni cuccioli sulle bianche spiagge del sogno e dormiremo sereni con i polsi tagliati Strane creature le creature
esahettr Inviato 20 Maggio 2007 Autore Segnala Inviato 20 Maggio 2007 Questa l'ho scritta ieri notte, completamente di getto, in mezz'ora. Ballata della Terra e del Cielo E' notte e sono qui appostato fra i veli delle tigri plastiche incendio parole incenerite mi ricorda quando credevo di morire Luna Pallida risorgerà sui colli verde brillante e miriadi di cifre che piangono accanto a me il favo si contorce stai attento alla canzone fino al prossimo rintocco le creature sono nebbia nella città dell'esilio fino al giorno in cui evocherai la scritta con il sole accecato di polvere e benzina serpenti che fluiscono schizzi d'idee e ricordi schizzati nuotano nell'elettrismo verde la felicità è un'onda di azzurro benedetto benedetti i ragazzi benedetto il kerosene benedetto Buddha prisma di manto ansioso la nostra prigione di parole e triangolari catene lucenti come i vulcani della morte o gli occhiali andrò nel tunnel andrò nel buio del candore l'amore fa impazzire le stelle schiuma d'albero e d'alga ampolla di pizzo di vita di porci che meditano galleggiando a stento e bucano le tombe di torba li vedi agitarsi gialli e verdi cantano un urlo terribile l'ecatombe dei filosofi come rame sullo schermo evacueremo il limone se le sentenze si attorcigliano caramelle per tenersi svegli con occhi sprangati che lordano chilometri d'immondizia e me*** e cespugli in trapasso con il cuore palpitante dove lo specchio s'incurva là gli universi e gli angeli magnifici ed esausti e banconote di ghiaccio dritto in cima aveva quattordici anni e l'ha bruciato il vento nell'incenso del catrame ha intessuto gli ori di ragno che insieme vedemmo scomporsi in un cielo virtuale la cibernesi mi giace accanto e mi implora la sete dolce e sensuale come una camicia amplesso falbo di sostanza rappresa di colla nell'armadio che cammina sulle acque della città dei morti ho predicato ai teschi e alla carta sbiadita ti ricordo masticare pace per tutti i derelitti per il loro mito maldestro il principe di smeraldo si è connesso stanotte e morirà come le rocce immani nell'abbraccio del mare hanno dovuto setacciare la fabbrica lo stabilimento il virus mentale e incandescente ardente batterio rinoceronte arranca sudando terra dalle radici ricciute il fosforo si azzanna i piedi e sfiora il quiz suicida trasmesso dalla notte nella perla il mistero una voragine stellata d'impotenza scrittori morti e sciamani e morti di fuoco attraversano la selva ridente e mi trarranno in salvo dallo stillicidio coscienziale esteso incosciente mi addentro nei cumuli nudi dei loro cieli d'estasi azzurri folli e affamati dal vento del vecchio bavoso e panzone con un cappuccio senza cappotto sul naso nel quartiere molle le fontane resuscitano zombie l'industria apparecchia la nemesi scolpita del fallo non ho fame e non ho sonno la penna va e coincide il retro del rombo a scacchi è scivolosa la terza gamba del cardine indiscreto nell'iride appassita di una vecchia stanza messicana imbastita di velluto ovunque fuggiamo digrignando i denti il miracolo comune dell'alba la forziamo fino a spezzarla al cospetto della realtà suprema dei topi della sera sull'acciottolato più veri dell'arcobaleno non ce la faccio sto ballando su cubi quadrati di coriandolo d'alga l'annunciazione delle checche motociclisti rampanti ammazzano getti virtuali e gatti nella metropolitana da un dito all'altro andata e ritorno nel rosso teorizzo la ruvidezza stanca dei riquadri in alto sulla sedia sghemba ho il mio cuore da darti masticalo e spranga le porte alla nebbia non faremo ritorno non ci saranno repliche andò a spararsi fra le sirene e forse un giorno la collina avrà un cubo decappottabile e la luce tremante che mi cospargo sul sesso inturgidito dal pianto degli ormoni sanguescenti e disperati nella terra dei lampi numerati fuochi bui di lettere autoriproducenti e freddi siamo gli alieni sono verde e cocente ho una porta di tramonto negli occhi di brace che mi liquefa i nervi e mi irride il sonno siamo gli alieni delle galassie distorte che vendicano le dissociazioni della luna ventosa irreale con cent'occhi di serpe accecanti colpo su colpo su colpo senza mancare un colpo siete autorizzati a incipriare i miei occhi da mosca stagnanti su cieli perpendicolari ho paura delle sfere delle libellule bronzite di chiodi tattili il reliquiario della carne inseguo la rugiada scintillante nell'albume del mattino e cavalco un camion perchè sono stato un uomo un tempo prima che venissero le navicelle di rettangoli di siluri di cobalto argentati petali di tortura e rinascita totale l'assoluto è una palude accesa di spezie e mucche rachitiche ed ebrei musulmani lucidano maniglie e sorridono acciaio la tomba esplose e si capovolse eruttò fluido colorato e intensità stellare nella colata elettrica di una rissa d'immagini secche di grattacieli carceri ho visto le sbarre e le guardie in alto uniforme contrappunzione fantomatica di matematica di nulla computerizzato e ancora più vano nel lucore affoghiamo nella prateria dei cristalli lucenti siatemi angeli nel deserto davanti agli occhi strabici dei bruchi iridescenti e indescrivibili con la faccia una maschera di morte divorano il bosco spettrale che una volta era sacro e immenso di candele preferisco strisciare nell'amianto a un prato di stelle di carta ci daranno un cinema tutto blu e rosso e arancione bordello di visioni casino impressionistico intricato a fondo nel respiro della linea gialla autostradale sii la mente e pedala il morso dei cicli lunari sii il sole viola che come un cancro arde meraviglioso sii la lussuria del suo ventre ricamato sii pioggia strangoleremo la noia in magnetismi lucidi luna imbrattata di fango letto muto cadremo nel rubino delle lacrime del giorno azzurreggia il sangue degli occhi conferenza gutturale di associazioni cieche e ornamenti inesauditi mi concupiscono nel grembo della piazza distante sotto il mare pioggia di luce e d'oro e di coriandoli e gelidi inverni bianchissimi e bluastri nei ghiacci cubitali dei poli proboscidi di larve fumano nell'aria formicolio di bombe di casse di vetro lascia andare i morti appaga i monti sorridano nevose le rose verdi nell'alba di fiume e intermittenti rigurgito di scrigni arrotolati sento un'onda di zucchero filato e bollicine azzurre sono il camaleonte i tessuti convolvolano la trama nella notte druidica incantati fra le pietre bianche e i cerchi tu sei da qualche parte dove crescono i tubi concerto d'assenza d'aria ammucchiate tumide di febbre respirano di cranio pelluto nel falbore degli schermi intrecciati il cielo ruota e mi nausea di zucchero poi il canto si ruppe crollarono le piramidi immense nella foresta secrezioni di singulti fissi meduse di sguardo d'occhi che brillano e ammiccano sacri spirali enormi e pure come lo spazio infinito i tuoi occhi e i tuoi capelli masturbano lacrime ossesse lamentazioni frastagliate vibrazioni di giardino di sogno verdi e rosse e blu e verdi brillanti squarci d'istante accatastati nel cielo in fiamme d'istante rubato e rappreso e cullato amato e vomitato e mangiato violentato nell'essenza e scosso fino a renderlo sveglio e vivo e incosciente non c'è pudore nella morte non c'è asilo e la terra elettrifica le sue frequenze di nubi e il cielo annuisce sconsolato
esahettr Inviato 23 Maggio 2007 Autore Segnala Inviato 23 Maggio 2007 Da bambino mi sdraiavo sul prato Dio se era verde quel prato e guardavo il cielo e volevo le stelle volevo essere le stelle bruciare e bruciare in un secondo e c'eravate voi c'eravate voi giuravamo tutti di diventare le stelle ho bruciato sterpi e ho affumicato nebbie ho nuotato nell’incenso e ho vomitato ho vomitato quanto ho vomitato la mia nausea il mio malore di vita e c'eravate voi e c'eravate ancora voi anche se qualche volta tossivo troppo forte e non riuscivo a brillare mi accendevo forse un pochino ma ancora non brillavo e bruciavo intanto bruciavo ma era un dolce bruciare pieno d’amici e non me ne importava ho bevuto fuoco e luce rappresa e lava ardente per scaldarmi per scaldarmi e cantare e il fuoco mi scaldava e stavo bene con voi e cantavo e cantavamo insieme ma non riuscivo a brillare cantavo ma non brillavo affatto e la mia anima continuava a bruciare bruciava con voi c’eravate ancora ma a volte mi dicevate di smetterla di pensare alle stelle e io non dicevo nulla perché vi amavo e avevo paura di perdervi e pensavo ancora alle stelle e a brillare e intanto bruciavo una notte di noia rubai la luna al cielo era pallida come le vele dello spazio e splendente e mi fece brillare davvero brillare brillai davvero per la prima volta le strade le piazze la città erano illuminate era giorno di notte e c’era così tanta luce facevo così tanta luce che la notte aveva paura di me perché era estinta e io volevo che continuassero per sempre quei brividi magici tremavo di chiaro di luna per la prima volta d'amore di stelle e volevo che durasse per sempre ma erano i miei occhi l'unica cosa che brillava davvero e tutto il mio amore era elettricità statica e abbracci negati e baci perduti e falsi sorrisi e amore nel vento e c'eravate voi ancora c'era ancora qualcuno di voi non tutti i migliori non c’erano mai più forse perché brillavo troppo forte forse perché ero cieco perché ero cieco per il troppo brillare e poi il chiaro di luna diventò carta vetrata sulle pareti aride del mio esofago e pianti distratti su libri inutili e spettri spettri ovunque guardassi una miriade e la gente rideva per le strade e abbassava lo sguardo al mio passaggio sbilenco e voi non c'eravate più c’erano tanti spettri decine e decine di ombre di fumo che mi seguivano in silenzio e sorridevano proprio come me e la gente rideva come rideva la gente e io non lo sapevo non sapevo perchè ridevano e ridevo con loro e loro ridevano di me ma brillavo brillavo pulsavo come il chiaro di luna sul prato come una stella e forse così avrebbe potuto ancora andare ma non era abbastanza una stella non è abbastanza per quelli come me la luna non è abbastanza per quelli come me e quelli furono i giorni in cui iniziai a bruciare così forte che sentivo lo scoppiettio del fuoco e poi fui solo e una notte lacerai il cielo con artigli di rabbia fino a farlo sanguinare e ne bevvi il sangue dalle ferite assetate era candido e alieno e mi accesi e mi addormentai sognai la morte e la vita e gli angeli e l’oblio e conobbi la morte e l’oblio e mi risvegliai tremando ma non mi parve abbastanza brillavo brillavo più del sole sfiguravo le stelle ma non era abbastanza e il mio cielo era sempre più vuoto ed era mio dovere illuminarlo anche se sentivo l’odore della mia anima che bruciava e poi salii sul monte e presi tutte le stelle tutte le dannatissime stelle del cielo una a una brano a brano sussulto a sussulto e non m'importava se gridavano presi tutti i soli e i pianeti e tutte le stelle tutti gli arcobaleni e i tramonti e mille volte l’alba e altre mille ancora e tutte le lucciole dell’universo una retata di stelle cadenti e li staccai tutti dalla bocca del cielo le lucenti carie di Dio li sventrai digrignando i denti muto alle loro grida selvagge e disperate li sventrai tutti e presi il loro cuore annerito ancora pulsante di polvere stanca tutti i loro timidi cuori palpitanti e buttai via il resto gettai i loro corpi spenti le loro agonie scheletriche e vuote giù dalla montagna tenni solo i loro cuori accesi e urlanti e disperati li presi tutti fra le mani le mie mani che tremavano e ne feci una grossa sfera ardente e divenni cieco a guardarla ma non mi importava e divenni sordo a guardarla e divenni pietra alla sua presenza ma non mi importava perché avevo la luce pura poi presi il cielo l’unica cosa che fosse rimasta lacerai il suo manto nero e lo stracciai e lo morsi e lo torturai finchè lo uccisi cadde infine come uno straccio sussultando stridori mai più uditi mentre la terra inaridiva in un lampo e lo misi attorno alla sfera l’universo nelle mie mani tintinnante ed esausto e divenni pazzo soltanto a toccarlo ma non mi importava perché avevo tutta la luce e tutto il buio la purezza del giorno e il terrore della notte avevo tutta la magia dell’universo in una sfera e rimasi a guardarla e a guardarla e a guardarla fino a quando persi il senno
esahettr Inviato 24 Maggio 2007 Autore Segnala Inviato 24 Maggio 2007 Ecco la prosodia del nuovo millennio! Canzone delle Stagioni Ci sono notti che non potrai mai dimenticare la luna le stelle gli amici e canzoni la tristezza assordante della felicità inconsapevole ed eterna l’attimo rapito e baciato e baciato e baciato dal tempo che per una volta prende la vita per mano e ammicca sorridendo come se non ci fosse domani come se non ci fosse un domani perché forse un domani non c’è mai non c’è mai domani Ci sono addii squallidi e futili stupidi nel loro cuore terso di desolazione perché le cose non finiscono mai come vuoi tu le cose fanno sempre a modo loro Dio fa sempre come ca*** gli pare e se può te lo mette in cu*o un giorno le cose finiscono e tu rimani là seduto da solo con le lacrime agli occhi a chiederti se quella gemma splendente ora offuscata dal capriccio di qualche dio esangue è mai esistita se forse non hai sognato tutto e allora piangi e maledici le nubi e Dio e il cielo e la vita E’ un pomeriggio di primavera ma c’è un’aria da fine dell’estate e fissi la montagna davanti a te è verde verdissima e sfrontata sono sfrontati e giovani e ardenti di linfa e di donne e di vita i pini e i larici e le querce antiche e rare tutti quegli alberi verdi e vivi e luminosi così maledettamente luminosi le loro foglie lucenti sfavillano ancora estatiche incuranti dell’autunno e della notte incipiente e del vuoto che gli angeli vomitano dalle stelle ogni volta che in cielo non sorge la luna i loro intricai spiriti arborei di nebbia mattutina i loro celati antichi volti d’edera ruggente il rombo delle loro nodose radici immense affogate nella terra Hanno ancora gli occhi estatici gli alberi della montagna sono estatici e ridenti nella loro disfatta imminente perché presto arriverà l’autunno i suoi fremiti di fuoco la purificazione la cenere del cielo sfarfallerà mutilata sopra i colli e grigi e penitenti farà incupire le ombre presto tutti gli alberi tutte le loro foglie tutto giallo livido di morte incancrenita che si rifiuta al trapasso per ossessione pura e fienagioni e roghi fantocci che bruciano sotto le stelle ancestrali con il grano giallo e bruciato negli occhi il grano sarà la loro tomba di corvi poi rosse si faranno rosse le foglie strangoleranno il sangue e ne berranno il sangue ruberanno il colore alle rose ruberanno il colore al maggio e ai poeti morti giovani cadranno tutte nel grembo d’acqua della terra feconderanno il suo ventre umido e sempre gravido baceranno i suoi seni di monti e colline brulle e deserte baceranno i suoi boschi morenti e splendenti e dorati contadini isterici e mucche filosofe che vanno sorridendo al macello E poi l’inverno ricoprirà il mondo con il ghiaccio della sue primavere fiammeggianti e sacre e aride di neve fino alle luci spiritate dell’orizzonte e oltre ancora nell’imminente notte eterna candida monotonia giornate corte e fredde e cappotti e bimbi che giocano al parco e genitori che lavorano e sanguinano e guadagnano buoni di suicidio e l’anno nuovo che divora la proprio pelle antica l’involucro di cocci dei giorni andati per non fare mai più ritorno sulla scia delle lacrime traslucide del serpente che piange alla fonte dei nostri rimpianti l’intero fiume della vita intirizzito e lento e fradicio di gabbiani affamati a volo rasente sul porto delle speranze dalle navi fumanti e tristi ma non ancora disperate sul mare gelato dell’esistenza pieno di buchi pieno di pece Spunterà la primavera il suo seme piangente di natura in ebollizione gelo increspato di titubante rinascita rondini aliene sorvolano il sabba bianco degli alberi da forca di nuovo ad affumicare lo strato cosmico di gelo del nostro cuore la primavera il maggio fluente rose rosse sulla seta liscia del prato coscia di donna bianca trecce maliziose e subito occultate con pornografica innocenza e terreno fumante e gemme gelate dal freddo morte e risorte e morte ancora l’inverno fatica ad andarsene non vuole andare via ritirarsi sugli erti monti sui picchi scoscesi nebbiosi e dissonanti fra i ciechi camosci e i mattinieri cacciatori dai capelli bianchi e le marmotte sul suo trono gelido di rupi e rami secchi I viaggiatori infine stremati dalla febbre dalla scomodità dell’estasi dall’oblio con i sensi secchi e amari frustrati dal sonno mancato e deragliati completamente le bocche ruminanti gli occhi che brillano e incendiano gli occhi che brillano lo andranno a rincorrere nel vento e nel buio e fra i triangolari lampi roteanti delle legioni del tempo lo scacceranno per sempre per un ciclo d’eternità assente il vecchio inverno nero e incappucciato i suoi vecchi occhi bianchi cinici e divini il suo sorriso storto da barbone con un cappello di renna calcato sulle orecchie si ritirerà sui suoi freddi monti e impenetrabili e sarà infine primavera piena e donne e rimpianti cristallizzati ed erba fresca e primo sole timido luce tiepida magliette e brividi e pioggia e scuola canzone ciclica e amore finto e ostentato e divieto di luce a frammenti e benpensanti alcolizzati e noia e paranoia e paranoia e concerti stralunati e funghi in cantina e ubriachi nella vecchia città a frotte e raffreddore e strade di risse e gioia negata da un decreto e partite di calcio e bambini felici che sembrano felici ero così felice bambini e chitarre e sole che cresce chitarre e calcio e acqua gelida Verrà l’estate il folle sole febbricitante estatico celebrato in trionfo sulle spalle dei suoi miliardi di eserciti di termiti e lucertole e aghi di pino follia pigra della fine della scuola amori negati e suicidi un altro anno più vermi e feste nel parco polizia indulgente sbirri stanchi con le ascelle sudate perquisizioni e pagliacci ubriachi in piscina capelli bagnati e asciutti in un secondo scherzi di cattivo gusto ragazze amicizie ardenti conclusione dell’anno corona dell’attimo crestato d’eterno per un attimo incoronato tempo che passa sorridendo che non passa e si capovolge ed è finita in un secondo canzoni struggenti monotonia meravigliosa veglie felici felci nel bosco dorato e incompiuto splendore degli alberi e dei parchi del cielo di zucchero filato dolce come il nettare e blu eterno e più dolce ancora fra le braccia profumate del sogno i suoi petali di luce dischiusa come labbra dolci di miele docili e baci e capelli rossi come la terra spaccata dal sole piagata e felice mare immondezzaio azzurro azzurro azzurro come tante volte prima salsedine che increspa i capelli abbronzatura ritorno del viaggio eterno nei tunnel di felce della luce a spizzichi verrà l’estate con le ragazze bionde e bellissime i sorrisi e l’estasi il delirio la febbre l’estasi il sole l’amore e il grano giallo come il sole l’amore vero per un attimo e passa un attimo ed è finita è finita in un secondo è finita
esahettr Inviato 25 Maggio 2007 Autore Segnala Inviato 25 Maggio 2007 I falchi nel cielo scrivono poesie elettriche nel grano nell'estate cruciale e scivolosa la morte instancabile leviga la carne la profuma di terra e tombe e giacinti ed infine è tramontato il sole sugli inferni delle mie solitudini addio occhi ciechi addio muri e addio canzoni non risuonerà mai più in questa casa la densità della musica musica non sarai mai più così forte e sotto il soliloquio immenso dei monti azzurri e bagnati di neve come cenere sulla punta del capo dove pipistrelli nervosi volano in cerchio le mie parole sottili sfonderanno i secoli più forti dei cardini del tempo faranno polvere del vento e dell'aurora la tristezza dei corvi in cieco volo peregrino sulla pianura addormentata arida e lucente nella rugiada tiepida del primo fiore di primavera ora i figli della prateria bevono al ciglio delle strade si bucano nei parchi sono servi dei cavalieri sorridenti e piangono perchè ho trasformato la loro terra in un'illusione cubicolare addio all'infanzia ai verdi campi dalle gote azzurre alle fontane e ai rintocchi del campanile della chiesa alla voce burbera dei vecchi così dolce così piena d'amore addio ai campi sterminati alle rotaie abbandonate e ai prati addio ai monti vicini chiazze di verde reticolo d'orizzonte non c'è incubo adesso nè tenebra strisciante solo il poema lieve della luce morbida e recisa e la sera con le sue dita rosate che mi accarezzano il viso attraverso la finestra le case gialle e bianche e azzurre e i loro balconi con i gerani in fiore le donne e i bucati stesi nel vento tiepido la serenità è il sole che bacia la terra e la vita si accende di miracolo nonostante tutto nonostante tutto siamo ancora qui ed è l'estasi quieta del ricordo assordante di dolci rimpianti nitida e sfocata netta sullo sfondo del cielo che spera ci trasciniamo a fatica verso i giorni intonsi e bruciamo il tempo distratti appassiamo come fiori di mandorlo cadiamo nel fango lentamente uno a uno come ghirlande e siamo terra e acqua e linfa di nuovi fiori più perfetti il vecchio muro finalmente ha parlato ci chiama tutti a sè dice tornerò la venuta è vicina il mio flagello è il tempo il nostro dio svanito che la notte ticchetta e trema e disegna trame indecifrabili sulle mura del destino con un cero rosso sangue è il tempo che erige migliaia di roghi d'infanti e vergini e fanciulle in fiore sotto gli occhi di burro della luna nevica le rughe dell'età il tempo ride tutte le nostre lacrime strazia i nostri addii è tutte le notti in cui non riusciamo a dormire sorride e sprezza gli slanci eroici dei nostri anni migliori li insudicia del tarlo della caducità ci odia tutti perchè gli ricordiamo la sua giovinezza ci asciuga l'essenza e i ricordi e la vita con la sua luce di pietra è la calma di febbre prima della nausea ci illude e ammicca alla morte in uno specchio opaco di sangue raggrumato il tempo è la metà impossibile delle onde che si rincorrono è un aureola d'amianto che incorona i sogni schiantati nel mare dalle nostre teste calve e vermate la pupilla bianca dell'universo che scandisce ora lieve ora forte ora struggente il respiro del vento delle stelle che si spengono è la tomba ignota dell'attimo il desiderio putrefatto l'angelo precipitato e il secchio di lago in cui affondiamo con la pelle che formicola è il volto sornione dei cipressi e dei faggi spogli nell'autunno del cielo spiritato il tempo ha lingua di fiume è la vecchia carta andata al macero non fa sconti larva di profeta e d'accattone fine del corpo e dello spirito precipiterà le stelle nel mare non ha volontà è schiacciato dal suo compito di macina la sua volontà è la forza della sua ruota il potere del suo compito è belle labbra e caldi baci svaniti fiori morti i mattini uggiosi quando voglio morire ma preferisco obbedire continuare a sperare continuare a sognare
esahettr Inviato 28 Maggio 2007 Autore Segnala Inviato 28 Maggio 2007 Cosa sono diventato? Pascolando brughiere nelle notti piovose e luce verde a fiocchi lampioni come neve anestetizzami l'anima guarda il volto di cielo oscuro la notte i suoi occhi lucenti che piangono per tutti noi per l'obliata struggente sfavillante sfera dei nostri rimpianti
esahettr Inviato 2 Giugno 2007 Autore Segnala Inviato 2 Giugno 2007 Non ho più nulla ormai ho visto troppe città bruciare fantastiche e sfavillanti ed eterne nel loro pianto stellato più nulla da dire il fuoco è spento e il cielo muto la fiamma è falsa sa d'incenso e sangue la fiamma è fresca e marcia e non ha volto le trasparenze si sono fatte lievi e ripetive i rimpianti hanno finito di cantare la mia carne è diventata asfissia è annegamento il mio povero spirito martoriato dalle vampe elettriche del freddo è annegamento al tramonto delle nubi ci sediamo in cerchio e vomitiamo anestesie di sorrisi in grembo alla morte con le sue mani lucenti fra i capelli la morte è pallida come la genesi dei gigli ha i capelli biondi di miele ghiacciato ci nutre tutti con il sangue dei suoi occhi il figlio del ragno è trasmutato rospo e spiriti storpi di vetro di vento danzano sui rami del fiume del suo sguardo spento il tramonto è il fantoccio esangue dell'alba che brucia se stessa non c'è nessuna stella degna della morte nessun fucile nessuna bandiera nessun amore che possa usurpare il suo scanno eterno di margherite marce troppo a lungo ho represso il mio calvario di baci sospesi mi tremano le mani per tutti gli abbracci tutte le carezze sadiche che non ho mai sanguinato per paura di sporcare il pavimento
esahettr Inviato 6 Giugno 2007 Autore Segnala Inviato 6 Giugno 2007 Ed è estate ancora lussuria d'infioriscenze febbricitanti proliferazioni malevole e verdastre fango e sangue ciechi campi di grano la musica diventa intercessione l'innocenza divora se stessa un'altra volta catatonia catatonia l'uccello pallido della luna si è immolato nel tramonto la paluda annega nei ricordi non essere triste non chinarti alla luce non sprecare la tua vita come ho fatto io non sprecare nemmeno un istante brucia in un secondo anche se è impossibile perchè è solo provandoci che sarai in pace te lo dice uno che non c'ha mai provato che non è mai stato in pace sono un'ombra vuota che la notte riempie di fiumi che di giorno impallidisce mi puoi vedere sui prati fioriti ramingo e solitario con la brace negli occhi ovunque vado fiammeggiano le nubi la loro lingua di lampi non sono mai riuscito a guardarle in faccia andrò all'inferno perchè sulla terra non ho il coraggio di meritarmi il cielo l'inferno è una torre d'avorio solinga e silenziosa la nemesi delle stelle e dello spazio è una visione silente e ovattata lo stillicidio inutile dei raggi del tempo dal primo fuoco fatuo dell'alba all'ultimo grigiore della notte all'inferno i pomeriggi sono marci e addormentati è cecità accecante l'inferno allucinazione assoluta embrione di foglie e gemme sterili file di sacchetti plastica impiccati come cigni all'inferno non si riesce a dormire perchè c'è troppo silenzio le tele dei ragni crollano su se stesse miseramente come i sogni dei bambini come i semi della quercia è pieno di polvere e non c'è lussuria nei corpi nudi dei martiri torturati dalle scimmie non c'è nessuna lussuria nelle ragazze gettate esauste nei campi come fiori fradici e appassiti per la troppa ottusità del dolore agonia d'ovatta c'è solo violenza uniforme e noia più terribile di tutto il dolore all'inferno c'è lo stesso odore di disinfettante che soffoca i manicomi l'inferno è un manicomio infinto è il tempo dell'attesa eterna un tempio alla speranza vana la mediocrità la menzogna che mio padre ha tramandato a me che suo padre ha tramandato a lui che il padre del padre di mio padre ha tramandato al padre di mio padre mio padre mio padre! tutte le loro teste immaginate nel fumo impalate allo steccato l'inferno è masturbazione meccanica coito insonne amore frustrato e frustrato e frustrato amore spalancato nello stupro è la gabbia degli inncocenti e dei cani dei papi e degli stupidi e dei ladri una distesa gigantesca di specchi vuoti all'inferno è la terra a piovere piovono ombrelli colorati sul mio capo languido il vento ha le labbra umide e piagate e i denti marci non trova mai riposo attraverso l'iride di uno stelo d'erba le legioni degli spiriti brulicano di mostri e storpi e gocce di pioggia ghiacci in putrefazione i fantasmi della tundra si bendano le braccia marce sono gli spiriti di mezzo costretti a vagare nella neve e nel vento del crepuscolo nelle viscere del fato fra gli uomini di paglia sotto la cupola scheletrica dei rami uccisi dal freddo alla ricerca di uno scintillante frammento della loro anima dormono nei boschi nei tronchi cavi degli alberi si stringono l'un l'altro per tenersi al caldo si soffiano baci sul viso perduto sorridono il nulla si addormentano sognando occhi che brillano come lampi sognano di camminare chini nella neve affilata dal vento la brace degli alberi che balugina sul capo di danzare e vorticare come cenere disperati e insonni silenziosi nell'inverno eterno della loro oscurità sognano di urlare contro le rupi immobili spazzate dal vento di urlare contro le rupi silenziose di implorare urlando una risposta fino a perdere la voce e cadere infine carponi nella neve come foglie d'acero senza fare nessun rumore non mi è rimasto il tempo di parlare del cielo di quel castello fantastico più alto del sole di quella matassa di sogni leggeri il cielo è un giardino azzurro pieno di fontane e perdono e pietà è la carezza della risaca alle onde il suo sussurro quando le implora di provarci ancora è la danza impronunciabile di tutte le cose l'estasi eterna degli angeli che si danno la mano il cielo è il sospiro della morte quando miete il grano con la falce è la sua falce di stelle sorridenti è il delirio immoto e roteante di migliaia d'immagini è il mio corpo eterno per un attimo è il mio corpo infinito in cielo gli spiriti dei disperati pascolano sbuffi di luce sulle nubi immacolate scolpite dall'amore prima dell'inizio del mondo il cielo è la danza la danza la danza l'esodo degli dei dalla foresta al deserto il mattino azzurro e dolce come la neve ci siamo rinchiusi in un'interminabile sequenza di gabbie virtuali abbiamo accecato di luci false il cielo e nessuno ha più la forza di guardare le stelle mentiamo l'un l'altro la nostra apoteosi mentiamo la nostra vita mentiamo il tempo il nostro corpo mentiamo il nostro corpo il mio corpo mentiamo la nostra sofferenza e mentiamo la morte mentiamo il nostro eterno dolore rimango a guardare con gli occhi spalancati il bosco di mio padre che brucia le sue ossa fumanti tutte le cose che non ho fatto tutte le cose che avrei dovuto fare sono nulla il tempo le ha inghiottite e più passa il tempo più mi accorgo di quanto il tempo passa e più passa il tempo più la morte si avvicina più si avvicina la fine di questo sogno pazzesco scintillante e oscuro e un giorno verrà ad abbracciarmi la morte nel sonno o nella furia o nello stordimento gli steli d'erba baceranno la casa dei miei occhi vitrei le mie labbra concimeranno la terra con il loro sangue e nessuno toccherà mai più le mie mani fredde
esahettr Inviato 8 Giugno 2007 Autore Segnala Inviato 8 Giugno 2007 Espiazione Ed è espiazione infine l'espiazione nulla di assoluto ma è arrivata e stiamo tutti in piedi ora qui qui ed ora e qualche istante fa a brindare a nuovi rimpianti con i bicchieri vuoti un po' tristi e un po' felici un po' bambini e un po' cresciuti a brindare con i bicchieri vuoti a nuove solitudini a nuovi fuochi e a nuove malinconie una folata di luce improvvisa e silenziosa portata dal vento nella monotonia triste del crepuscolo un lumicino una speranza vana è terribile ma ci sarà un domani forse ci sarà un domani mi sveglierò anche domattina senza nessuna ragione tranne trovare una ragione l'ho cercata nella neve e nel vento nelle giungle impervie del futuro fra i pesci e sugli alberi in mare e in cielo ovunque l'orizzonte continuasse a pulsare ovunque lo sguardo riuscisse a sanguinare ovunque il mio corpo potesse essere martire ho trovato tutte quelle mattine una ragione per soffrire per svegliarmi e continuare a provare a non morire ma forse non era la ragione giusta forse il dolore non porta visioni forse le visioni sono cieli marci e prati e grigi manicomi infernali in cui bisogna vagare mi sono svegliato troppe volte con la paura di esserci ancora è il momento di trovare una ragione una vera ragione forte come le foglie e il tramonto e l'estate forse sto imparando a cercarla forse sto tentando per la prima volta di trovare me stesso l'ennesima illusione meravigliosa questa sera con un bicchiere in mano se dovessi vedere una scheggia di luce svegliarmi felice ricordami com'era buio il buio com'era triste svegliarsi dimmi com'era buio il buio e piangerò come piangevo allora
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