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Le leggende di Mandal


Anatra di Gomma

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Azriim quella notte non riusciva a dormire. Il vento muoveva le foglie dell’albero centenario all’esterno della casa, le stelle ricoprivano interamente la volta del cielo e la luna si stava alzando da dietro le colline.

Sembrava una notte tranquilla, una notte calma, una notte dolce, la notte.

Il mezzo Drow fissava il soffitto sopra di se, nel vano tentativo di prendere sonno, ma i pensieri e i ricordi lo tormentavano.

Ad un certo punto, il silenzio venne disturbato: un movimento leggero, impercettibile ad un orecchio non allenato, ridestò l’Irinal dal suo dormiveglia, e lo mise all’erta. Il rumore proveniva dalla stanza accanto, era il suono tipico di uno stivale che non voleva essere notato. Nella mente del mezz’elfo si stagliò improvvisamente una figura, un’immagine che conosceva fin troppo bene. Il tempo si fermò e gli diede la possibilità di ricordare l’attacco ai Bastardi della settimana prima; la possibilità di analizzare l’intero assalto, ed arrivare ad una sola conclusione: il contrattacco era arrivato, e molto prima del previsto! Azriim e la sua Squadra, avevano il compito di aprire teste di ponte in territorio nemico, e frequenti erano contrattacchi e ritorsioni. Era perfettamente preparato a qualsiasi evenienza, a qualsiasi minaccia, ma quella volta, qualcosa era andato storto. Ma non era il tempo di ammettere gli eventuali errori, era il tempo di reagire.

Ma no, è impossibile che abbiano passato la guardia. Pensò Azriim, I miei sono uomini preparati, difficilmente si farebbero sorprendere, e non è possibile che tutte le sentinelle siano state messe fuori gioco.

Stava quasi per riaddormentarsi, credendo di aver solo immaginato, quando lo risentì: uno stivale strisciato sul legno del pavimento. Con un movimento veloce, ma allo stesso tempo silenzioso, prese la spada dalla sponda del letto, e si alzò di scatto. Cercando di far meno rumore possibile, si avvicinò alla porta, e attese. I minuti passavano, ma non successe più nulla, fino a quando la maniglia si mosse.

La porta si spalancò, silenziosa come la notte, e ciò che Azriim vide, lo lasciò per un attimo sconcertato: il vuoto.

Una forza invisibile aveva aperto la porta, sembrava il vento, eppure quello stesso vento aveva camminato sul pavimento.

Gli bastò pensare alla parola magica per attivare la capacità straordinaria della sua spada. Subito un alone azzurrino si formò vicino alla porta, e in un batter d’occhio una figura ammantata di nero si materializzò sullo stipite.

Implacabile come il giudizio di un Dio, la lama del Drow cadde sullo sventurato, che finì a terra privo di sensi.

L’allarme venne subito dato, e la casa si risvegliò in pochi minuti. Soldati in armatura percorrevano l’edifico in tutti i suoi piani, nel giardino e in un raggio di trecento piedi dal confine, ma non trovarono nulla.

Azriim si assicurò che venne setacciato l’intero perimetro; chiamò i chierici della sua compagnia, e gli ordinò di utilizzare la magia per scandagliare il terreno e i soldati, ma niente fu scovato.

Non rimaneva che interrogare l’intruso e scoprire chi fosse, ma soprattutto chi lo avesse mandato.

Un dubbio si insinuò tra i suoi pensieri: erano stati i suoi lontani e infami cugini dalla pelle color ebano, oppure gli Illithid si erano fatti così sfrontati da spingersi in superficie? La risposta era la, dietro la spessa porta di legno.

Il cavaliere era calmo, in fin dei conti lui era un Paladino, un figlio della luce, niente lo poteva turbare; con passo e movimento deciso prese la maniglia e spalancò la porta.

Davanti lui, legato con delle pesanti catene alla parete in pietra, c’era un Elfo; non un vile Drow, non un infido Illithid, ma un Elfo della Luna. Il volto pesto, nascondeva una lunga cicatrice sulla guancia, e i capelli dell’assassino erano bianchi come la neve. Lentamente alzò il capo, e guardò il mezzo Drow negli occhi.

La sala era piccola, forse poco più grande di uno sgabuzzino. Il prigioniero era guardato a vista da quattro soldati armati di alabarda, e da un giovane uomo senza armatura, ma con una lunga veste rossa e con il simbolo di Auron sul petto.

Azriim era scuro in volto, ma la sua armatura nera mascherava bene quella specie di stato di preoccupazione.

«Ha detto qualcosa?» Il pesante silenzio venne interrotto dalla frase del mezz’elfo. L’uomo con la veste rossa, molto probabilmente un suo sottoufficiale, risposte prontamente, con una sicurezza che non era tradita dalla sua giovane età: «Non ancora signore. Il generale Grieg sarà compiaciuto della cattura!»

«Certo Sirawyr, certo. La cosa che non mi torna è che sia entrato così facilmente e, cosa ancora più strana, non è ne un Drow ne un Mind Flayer, ne una qualsiasi altra creatura del sottosuolo. Avvisate il comandante Rirk di raddoppiare i turni di guardia, e di fermare qualsiasi creatura che non abbia il simbolo della Mano della Luce sul petto.»

Uno dei quattro alabardieri uscì, ed eseguì l’ordine che gli aveva dato il suo generale.

Azriim riprese a parlare verso il ladro: «Chi sei?, Chi ti ha mandato?» Gli lasciò del tempo per rispondere. «Allora, ti hanno tagliato la lingua, traditore?»

Il prigioniero allargò la bocca in una smorfia, quasi un sorriso: «Traditore io? Proprio tu parli, che hai voltato le spalle ai tuoi fratelli e sorelle. Tu sei il traditore.»

Azriim trattenne a stento la reazione di schiaffeggiarlo, e disse: «Rispondi solo alle domande che ti faccio, chiaro? Il mio passato non ti riguarda. Allora, chi sei, e chi ti manda?»

La preghiera che Sirawyr, il chierico suo secondo, aveva posto sulla stanza, sembrò cominciare a fare effetto, e la spia iniziò a parlare, o forse…

Azriim non ebbe il tempo di pensare, perché ciò che sentì lo lasciò senza fiato: «Salve Azriim Shrevrar, figlio della notte.»

Ma come fa a conoscere il mio nome? Solo i miei soldati lo conoscono. Tutti gli altri uomini sanno solo il mio cognome. E poi, questa non è la stessa voce di prima, sembra venire da lui, ma qualcosa di minaccioso e oscuro ha preso forma in questa stanza.

Nella mente del generale prese sempre più convinzione il fatto che lo Sfregiato non stesse parlando con la sua voce, anzi…non sembrava più essere lui.

«Non assumere quello sguardo stupito, io so chi sei. Tu, come tutti gli altri oscuri, non avete segreti per me. Siete tutti nella mia ragnatela fin dalla nascita.»

Azriim cercò di controbattere con una domanda, ma dalla sua bocca non scaturì nessun suono. Non riuscì più a parlare, e l’unica cosa che riuscì a fare prima che l’elfo, o qualunque cosa fosse, continuasse a parlare, fu allungare la mano verso la catenina che portava al collo, e prendere il simbolo sacro.

«SI, finalmente vedo il terrore nei tuoi occhi, e questo non fa altro che compiacermi. L’hai capito, vero? Hai capito che non puoi nulla contro la tua Oscura Signora?» La creatura si mise a ridere, una risata oscura, tenebrosa. Con vivo stupore, il paladino si accorse che i suoi compagni erano bloccati, come in una specie di trance; occhi vacui e persi nel vuoto.

«Tu, e la tua stupida fede. E’ grazie alla tua parte sporca che non sei sotto il mio potere. Quella cagna di tua madre ti ha salvato la vita con uno delle sue insignificanti preghiere che parlano di bene e di amore. Ah, tutte stupidaggini!»

Che davvero…ora ricordo, immagini veloci. Una donna bellissima, ancora giovane, ma triste. Poi ricordo un lampo, e la donna stramazzare al suolo. Poi, i soliti incubi di ogni notte. Questo però è nuovo; che sia stata veramente la mamma? Non so se odiare questo essere, o ringraziarlo per avermi mostrato un pezzettino in più della mia oscura storia…

«Già Azriim, io so tutto di te, sono io che ti ho creato, è grazie a me se sei vivo!»

Non è possibile, come fa a sapere di me? Perché mi dice tutto questo?

«Perché tu non sei altro che una mosca nella mia ragnatela, e io mi diverto a giocare con le mie prede.» Che mi abbia letto nel pensiero? «Diciamo che voglio fare un esperimento, voglio vedere se sei all’altezza di perire per mano mia, e poi assaporerò le tue membra. Questo Elfo, con cui mi sono divertita, ha con se una pergamena. Ha commesso l’errore di venire a ficcanasare in una delle mie dimore del sottosuolo, e ha trovato ciò che ora custodisce con invidia. Sai, è una pergamena rara, che solo gli oscuri possono usare. Serve, beh come dire, a far nascere una parte di me che poi…oh, ma perché rovinarti la sorpresa, d’altronde se è un gioco, io voglio divertirmi a vederti soffrire e smarrirti.» Azriim guardò tra gli averi della spia, e la voce proseguì. «Oh no, non è li…Te l’ho detto, la custodisce gelosamente nell’intimo. Non affannarti a capire il significato di quel pezzo di carta, tanto occorrerebbe un sacerdote veramente potente per poterla comprendere, ed evitare di essere ucciso. Questo insignificante manufatto, dona potere, ma anche distruzione e dolore. Sappi che c’e n’è un’altra soltanto al mondo.»

Ma perché la da a me?

«Te l’ho detto misero mortale, perché voglio divertirmi, e perché nella mia infinita magnanimità voglio rispettare il volere di questo grazioso pezzo di carne che ora è incatenato davanti a te. Pensa, lui voleva donartela…Non hai scampo Azriim. Stavolta neanche la tua fede ti può salvare. A mezza notte sarai solamente cibo per ragni!»

Detto questo, venne ridestato dalla voce di Sirawyr. «Generale, generale! Cosa vi prende?»

Non fece in tempo a rispondere, che lo Sfregiato cominciò a tremare. Chinò indietro la testa, rovesciò le pupille, ed emise un grido. Il tremore divenne spasmo, e varie bolle si mossero sotto la pelle dell’Elfo della Luna. Successe tutto in un lampo, le bolle si concentrarono sul torace e si ingrandirono sempre di più. Quello che accadde dopo, fu paralizzante. Un misto di paura e curiosità segnava i volti di tutti i presenti. Il torace del ladro esplose; la pelle venne dilaniata e squarciata, e uno stridio, misto a un veloce zampettio, si fece largo tra i commenti delle guardie. Centinaia, forse migliaia di piccoli ragni bianchi fluivano dal buco nel torace, mangiando e divorando tutto ciò che incontravano.

Sirawyr pronunciò una preghiera al suo Dio, e dalle sue mani scaturirono delle fiamme, che avvolsero l’intero corpo della spia, incenerendo i minuscoli carnivori.

Il silenzio tornò a regnare sovrano. Tutto era finito, e nell’aria rimaneva uno sgradevole odore di carne bruciata. Il cadavere dello Sfregiato era semi carbonizzato, e una vistosa ferita, dalla quale si vedevano le ossa del torace e parte dei polmoni, si apriva sul suo petto. Alcuni ragni erano sopravvissuti alla vampata, ma oramai si stavano dileguando sotto lo stipite della porta.

Buttando un occhio sullo squarcio del poveretto, Azriim notò che tra la carne abbrustolita e le ossa spezzate, c’era qualcosa d’altro. Un leggero luccichio attirò la sua attenzione e, infilando la mano nel ventre del suo nemico, estrasse un cilindro metallico.

La voce ha detto il vero…la custodiva nell’intimo.

Il cilindro era lungo più o meno una spanna, e largo all’incirca come l’elsa di una spada. Era finemente lavorato, con striature bronzee che risaltavano sopra un nero scurissimo. Non era pesante, segno che doveva essere cavo all’interno. Ci sarebbe stata comodamente una pergamena.

«Che cos’è?» chiese Sirawyr.

«E’ un contenitore per pergamene, fatto di uno strano materiale, forse legno scuro. Di sicuro di fattura Elfica o Drow.» Il generale lo esaminò ancora, quando esordì: «Sicuramente Drow, e mandato dalla regina dei ragni.» Infatti, era apparso un grande ragno rosso, che avviluppava con le sue zampe tutto il cilindro. L’animale appariva e scompariva, a seconda di come si guardava l’artefatto, ma era un chiaro simbolo. L’oscura signora dei Drow aveva posto gli occhi sopra di lui. Il reietto per la sua specie, colui che le aveva voltato le spalle...ma non era solo.

Sirawyr ebbe un fremito, le guardie si guardarono terrorizzate, ma il generale era impassibile.

«Questo è un oggetto molto particolare, e ci sono poche persone capaci di realizzarlo con una maestria del genere e lavorando questo materiale.»

Il mezzo Drow alzò gli occhi è guardò il suo sottoufficiale. «Ripulisci tutto Sirawyr. Io parto per la capitale. Tu e Kurt assumerete il comando in mia assenza. Mantenete la posizione, e attendete miei ordini dal comando.»

Sirawyr annuì con un leggero movimento della testa, poi fece schioccare le dita, e subito due guardie portarono via il cadavere.

Se fino ad adesso Azriim aveva faticato a prendere sonno, le cose si fecero ancora più difficili. I ricordi e le immagini del passato lo tormentarono ancora di più, e per tutta la notte non chiuse occhio.

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  • 3 settimane dopo...

Si alzò prima del previsto, per nulla affaticato dalla notte insonne, e preparò personalmente le sue cose, evitando di svegliare gli scudieri.

Quando fu pronto per partire, era ormai l’alba. Il sole si stava già alzando dietro l’orizzonte, e gli sembrò di essere a casa.

Fece per formulare la preghiera che avrebbe richiamato il suo fedele servitore, ma con rammarico ricordò che Santo, lo stallone celestiale mandato dal Dio della Luce, era perito un mese fa, salvandogli la vita. Se infatti il cavallo non si fosse anteposto tra il raggio nerastro scaturito dallo stregone, e lui, ora non sarebbe qui…ma lui sarebbe ancora vivo pensò.

Con un peso sul cuore, si avviò allora verso le scuderie. Non aveva bisogno di un possente cavallo da guerra, ma voleva qualcosa che fosse resistente e veloce. Scelse così un destriero delle steppe dell’est, più basso dei suoi simili, ma molto più robusto, e adatto alle lunghe corse. La targa sopra il suo recinto recitava Ombra. Gli accarezzò dolcemente il muso, in modo che l’animale si abituasse alla sua presenza, e intanto non poté fare a meno di pensare alla notte precedente.

A detta di Lolth quella pergamena fa risorgere qualcuno, o qualcosa…e se è come penso io, non è di sicuro una fandonia, e sarà meglio che mi sbrighi.

Sellò il cavallo e caricò le sue borse da sella. Il cavallo ebbe un leggero sussulto quando Azriim gli salì in groppa, ma poi obbediente, partì a cavalcare di gran carriera.

Il mezzo Drow sapeva che il tempo non era suo alleato, e che qualsiasi cosa fosse quel pezzo di carta, avrebbe di sicuro messo in pericolo gli abitanti del piano materiale, e non solo.

Ci voleva un giorno di viaggio per arrivare nella capitale, più del tempo per localizzare il suo contatto: Serafin, l’unico Drow che Azriim poteva sopportare e di cui si poteva fidare. D’altronde a Serafin doveva tutto... Almeno è confortante sognare ogni notte una persona amica. L’unico ricordo che ho della mia infanzia, la mia fuga da Cheast Naza, capitale sotterranea del regno dei Drow. Già, chi lo avrebbe mai detto, un paladino nato tra gli Oscuri; ma la chiesa accoglie a braccia aperte chiunque si voglia dedicare alla distruzione del male e delle forze oscure.

Come dimenticare la casa in fiamme, le urla tutt’attorno, lo sguardo di mio padre prima che venisse trafitto dalle lame ricurve che tanto rendono famosa la mia razza; quelle stesse lame ritorcersi poi contro di me, ma Serafin balzare attraverso la porta con la sua risata inconfondibile. La luce saettare dalle sue mani e investire in pieno i miei aguzzini. La raccolta precipitosa dell’armatura di mio padre, le guardie che ci scagliavano frecce, e poi la città alle nostre spalle, sempre più piccola, e il sottosuolo che ci inghiottiva.

Ecco cosa si ricordava, ma ora un brandello in più: il viso di quella donna; un'unica domanda era sempre presente: perché?

Appena arrivato alla capitale, si sarebbe dovuto recare al quartier generale della Mano della Luce, e informare il generale Grieg.

Spesso si era rimproverato di non aver accettato il ruolo del semplice ambasciatore, e rimanere alla base, ma poi si era sempre risposto che voleva essere il diretto responsabile delle sue decisioni, e subirne le conseguenze in prima linea. D’altronde lui aveva votato la sua vita alla lotta contro le forze del male, e voleva affrontarlo faccia a faccia.

Arrivò al palazzo di giustizia che era notte fonda. Anche nell’oscurità, era possibile distinguere il simbolo dell’ordine illuminato magicamente, posto sulla facciata centrale.

Era un edifico enorme, alto quattro piani, ed era la sede centrale del gruppo di Azriim. Facevano capo all’imperatore, ma Grieg e Azriim erano i generali massimi. Grieg era il generale dell’esercito ordinario, e Azriim aveva deciso a suo tempo di prendere sotto le sue ali solo i guerrieri migliori, per poter fondare l’ordine di cui tanto andava orgoglioso. Inoltre, lui e Grieg, erano molto amici, ed erano tutti e due ambasciatori in tutti i piani, dell’imperatore Baltazar.

Le guardie al cancello, assonnate per il lungo e faticoso turno di notte, si ridestarono immediatamente e, vedendo l’imponente figura nera a cavallo, intimarono l’alt e sguainarono le armi.

Arrivato a pochi metri dalla prima linea di sentinelle, si tolse l’elmo ed esclamo: «Avvisate il generale Grieg, che il generale Shrevrar desidera incontrarlo urgentemente.»

A sentir solamente nominare il suo nome, le guardie fremettero, ed un giovane capitano ordinò di abbassare le armi, e mandò un soldato all’interno della magione.

L’emozione che Azriim aveva suscitato in loro, non era casuale; infatti era conosciuto in tutto lo stato, per le sue azioni eroiche e per la sua bontà di cuore. Questo gli aveva portato la fama di santo, e le richieste di entrare a far parte della Mano della Luce e sotto il suo comando, aumentavano di anno in anno. Si diceva che pochi uomini avessero perso la vita sotto di lui, che il suo coraggio abbatteva tutti i nemici, e bastava averlo poco distante per poter combattere come dieci uomini e sentir venire meno la paura.

Dopo pochi minuti, il soldato tornò all’esterno, e il giovane capitano chiamò uno scudiero che si prendesse cura del cavallo.

«Il generale Grieg vi aspetta signore.»

Il mezzo Drow entrò nel palazzo, circondato da imponenti mura e a ridosso della chiesa del Dio del sole. Era la più alta costruzione nei paraggi.

Passando sotto il simbolo del suo ordine, una mano aperta posta sopra di un sole, Azriim si sentì a casa e sembrò che la fatica lo avesse abbandonato.

Nel salone all’ingresso, si estendeva una massiccia scalinata in pietra, molto semplice, ma che dava un sensazione di maestosità e potenza.

Al termine della rampa di scale, vi era un uomo di età avanzata; capelli corti brizzolati, e con le rughe che gli solcavano il viso. Era abbastanza robusto, e i suoi occhi, appesantiti dalla stanchezza di chissà quante battaglie e guerre, erano profondi e saggi.

«Joseph» esclamò Azriim vedendo l’individuo.

«Generale Azriim Shrevrar, qual buon vento?»

I due si incontrarono a metà scala, e si scambiarono la stretta di mano dell’ordine, seguita da un abbraccio. Si ritirarono in una stanza appartata, al secondo piano, spoglia, due poltrone e un tavolino, con le pareti in legno a vista, ed una finestra che dava sul cortile interno. Azriim iniziò a descrivere l’intero accaduto al suo amico, e il generale più anziano lo ascoltò senza proferir parola.

Quando ebbe finito, Joseph si alzò e guardò a lungo dalla finestra, contemplando la luna nel cielo.

«Tutto ciò è molto grave Azriim. Se la Regina dovesse portare a termine i suoi scopi, non ci sarà pace per tutti noi. Drow e ragni invaderanno la superficie, e il caos regnerà indisturbato su Mandal.»

«E’ per questo che voglio partire subito. Se quello che ha detto è vero, potrei riuscire a fermare il rituale per evocare “la parte di lei”.»

«E se in tua assenza i Drow attaccassero, sai che senza di te, la squadra perde quasi metà della sua forza!»

«Sirawyr e Kurt sono preparati, mi sostituiranno bene, e poi c’è anche Laucian Rirk…mai visto una persona così preparata, buona e giusta. Se la caveranno.»

«Va bene Azriim, come al solito non posso far altro che darti la mia benedizione. Hai idea di dove incominciare a cercare?»

«Beh, ho un contatto qui in città che mi potrebbe dare alcune informazioni…»

«Va bene, ho già capito, il tuo amichetto dalla pelle scura, non è vero? Sai che ha fatto perdere più di mezza giornata alla guardia cittadina per rincorrerlo. Per cosa poi?, niente! Si stava solo divertendo a scappare, ma non aveva fatto niente!»

«Tipico si Serafin, non smette mai di giocare. Del resto se le guardie che prendi si fanno giocare così…»

«Ah ah ah ah ah» Azriim non aveva mai visto Joseph ridere così di gusto, questo gli riportava alla mente i momenti in cui anche lui si era potuto concedere la pace.

«Beh, generale, se non ci fosse lui, chi ti tirerebbe su il morale in questa città corrotta e poco socievole?»

«…Mi ha fatto piacere rivederti Azriim, che Auron sia con te. Domattina chiedi pure tutti i rifornimenti che vuoi, per adesso buona fortuna, e buona notte.»

«Buonanotte, e grazie vecchio pazzo.»

I due si abbracciarono di nuovo e Azriim andò a riporre le cose in camera sua, e si preparò all’incontro notturno. Niente armatura, solo un lungo mantello rosso scuro, e la sua spada.

La notte era calma, i borseggiatori erano agli angoli delle vie, come al solito, e tutti dormivano tranquilli.

Azriim non sapeva esattamente dove fosse il suo amico, ma conosceva i rifugi che avevano scelto insieme. Quindi, non avrebbe dovuto far altro che cominciare a cercare.

I rifugi erano solo cinque e, dato che il suo amico Drow non era ben visto dalla città, si trovavano tutti nella zona dei bassifondi.

Era pericoloso girare di notte, e non di rado anche di giorno vi erano omicidi e rapine. Molto spesso si vedevano guardie armate, al soldo di nobili o mercanti, fungere da guardie del corpo.

Azriim era tranquillo, sapeva che era pericoloso, ma sapeva anche che la legge dei bassifondi parla chiaro: la vita è il prezzo per qualsiasi torto subito, e lui ne aveva spezzate molte in quegli anni. La sua fama era giunta anche li, e nessuno sarebbe stato così pazzo da venire a disturbarlo.

Passò dai primi quattro rifugi, ma niente, era tutto buio e sulla porta c’erano ragnatele, segno che non venivano aperti da tempo.

L’alba si stava avvicinando, e ad Azriim mancava ancora un rifugio da controllare.

E’ impossibile che non ci sia, forse gli è capitato qualcosa, o forse…

Il mezzo Drow si stava spazientendo, ma quando arrivò di fronte all’ultima alcova, si accorse subito di aver centrato l’obiettivo.

Le persiane, sono aperte. Lui è in casa.

Dall’edificio non provenivano ne luci, ne suoni. Normale, l’incantesimo deve averlo avvisato, e ora si starà preparando ad eventuali assalitori.

La porta era aperta, entrò tranquillamente e disse: «Fatti avanti Drow!»

Un fendente veloce, che Azriim evitò facilmente, si schiantò sul pavimento, e una frase si stagliò nel silenzio: «Uhm…mezz’anima, sei migliorato! In chiesa devono insegnarti bene, cosa fai, ti fanno fare ancora i ricamini, oppure sei passato ai vestitini per le donnine?»

Un bagliore si levò dal centro della stanza, Serafin aveva acceso la lampada ad olio sul tavolo. Il locale, una baracca con un tavolo e 2 sedie, venne completamente illuminato, e tra le ombre si stagliò una figura non molto alta e snella, completamente vestita di nero, e con la pelle scura come la notte senza luna.

Azriim poté finalmente rivedere il suo amico, che subito lo abbracciò. Era una visione quanto mai singolare, un Drow abbracciato ad un paladino. Serafin aveva tutti i tratti caratteristici della sua razza, ma non aveva lo stesso bagliore malvagio negli occhi rossi. Il sorriso stampato sul volto, quasi un ghigno, faceva risaltare i suoi denti perfettamente bianchi, e la sua pelle nera si confondeva con le ombre. Azriim era certo, che se non fosse venuto apposta per cercarlo, non lo avrebbe mai riconosciuto nascosto nell’oscurità.

«Allora, vecchio briccone, cosa ti porta da me? Cosa sono passati, quattro mesi?»

«Già, ma purtroppo non sono qui per invitarti a bere alla Volpe e il Segugio. Ci sono problemi, e molto seri.» Detto ciò, tirò fuori di tasca il cilindro. Serafin, per nulla preoccupato, disse: «Ah, non sapevo che ti piacesse l’arte del mondo sotterraneo. Cos’è, una ricerca di scuola, Paladino della Luce?»

«Spiritoso, lo conosci?»

«E come non potrei, è un contenitore per pergamene, praticamente è indistruttibile. Scommetto che neanche il tuo Dio ci riuscirebbe!»

«Eddai, non scherzare…è importante.»

«Comunque si, lo conosco, e anche molto bene. O meglio, ne riconosco la fattura. Neebo fabbrica degli oggettini davvero interessanti, o dovrei dire che fabbricava.»

«Neebo? Non l’ho mai sentito, eppure sono anni che vado e torno dal sottosuolo.»

«Perché non viene da li! E’ un elfo, un Elfo della Luna!»

Ancora gli Elfi della Luna, come la spia di ieri!

«E come mai gli Elfi della Luna dovrebbero fabbricare oggettini per i loro odiati cugini dell’ombra?»

«Si, lo so anche io che Elfi e Drow si odiano fin dai tempi antichi, ma ti sei mai chiesto cosa abbia spinto i primi Elfi, a recarsi nel sottosuolo e a diventare Drow? Ti sei mai chiesto come mai il popolo solare, non è mai riuscito a prevalere sul popolo della notte?»

«Il potere Azriim, il potere. E’ un gradevole circolo vizioso, chi ha poco potere, ne vuole di più, ma quello che acquisisce non gli basta, e ne vuole ancora, e ancora, e ancora, fino a quando ha tutto il potere immaginabile. E allora, crolla, sconfitto da qualcun altro che vuole il suo potere.»

«La conoscenza degli elfi, li ha portati a desiderare di più, e alcuni di loro, pochi per fortuna, si son fatti convincere da qualcuno, o meglio qualcuna, a tradire i loro simili per la sapienza. Neebo è uno di questi, o meglio era.»

«Perché, cos’è successo?»

«Non si sa. Circa un anno fa, ha chiuso bottega e si è ritirato a nord, sulle montagne. Devo dire che a causa di ciò gli affari per me hanno cominciato ad andare male, anzi malissimo. Io ero uno dei contatti di Neebo, e gli procuravo i clienti. Ricevevo poi una percentuale sul venduto. Sinceramente non mi dispiace che se ne sia andato, almeno così non dovrò più sopportare quell’arrogante spocchioso!»

«Hei, ok che sono tuo amico, ma evita di ricordarmi che hai fatto qualche azione fuorilegge qualche tempo fa. Sono sempre un soldato!»

«Uuu, come vuole lei, generale. Ma cosa vuoi da lui?»

Azriim gli spiegò tutta la faccenda, dall’intrusione in casa sua, al ritrovamento del cilindro.

Serafin rimase in silenzio, poi con quel suo ghigno terrificante disse: «Bene stupido mezz’uomo che non sei altro, ti accompagnerò, anche perché senza di me, saresti morto entro domani notte. Dopotutto, mi ero stancato di rimanere qui a scappare dalle guardie!»

Serafin estrasse due scimitarre dalla cintola, e le fece roteare sul capo. Le lame splendevano di rosso, simile a sangue, e l’impugnatura era argentea. Azriim le ricordava bene, erano quelle lame che avevano attentato alla sua vita, e stroncato quella di suo padre. Fece una faccia addolorata, ma prima che il Drow riuscisse a dirgli qualcosa, si ricompose e con sguardo severo fulminò Serafin, che si mise a ridere.

«Ah ah ah ah, te l’hanno raccontato allora eh? Di al tuo amico Grieg, di allenare un po’ di più i suoi uomini!»

Azriim tirò uno scappellotto amichevole al Drow, e disse: «Ti aspetto domani mattina, davanti al tempio di Auron. Ci muoveremo in fretta e leggeri. Evita di arrivare in ritardo, e soprattutto niente corsa campestre prima di incontrarci, chiaro?!»

Serafin, con un tono esageratamente militare, per sbeffeggiarlo, disse: «Signorsì, signore! Domani mattina all’ottava ora signore!»

Azriim lo ignorò, e con passo deciso tornò al palazzo della gilda, per dormire ancora qualche ora.

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