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Inviata

Si tratta di un "qualcosa" in prosa che ho scritto alcune notti fa, mentre già ero a letto e quando stavo ormai per addormentarmi.

La malinconia è sempre la stessa, poiché sempre gli stessi sono i venti che soffiano e sbraitano dando vita alla tempesta in balia della quale mi contorco.

Ho perduto le vele, il sartiame mi si avvolge come le spire del flagello divino attorno a un novello Laocoonte, i remi sono stati spezzati da onde troppo impetuose perché la mia esile barchetta potesse non ribaltarsi. Ed eccomi qui, aggrappato coi polmoni all'ultima bolla d'aria sempre più asfissiante che si consuma sotto lo scafo del cielo capovolto, lottando con tutto me stesso per non cedere e non lasciarmi andare all'obliato abbraccio delle profondità abissali spalancate sotto di me.

La salsedine brucia le ferite, e le cicatrici dell'animo mi sfigurano fin dentro ai ricordi. Che cosa vedo nello specchio d'acqua infida, cosa che valga la pena salvare? Mi trascinano al fondo le pietre tombali al collo dei miei sogni.

Sull'articolo del blog dove l'ho pubblicato cerco anche di fare una parziale analisi (e discolpa) del suo stile molto alquanto particolare, per non dire "da addormentato".


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