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Vieni ammanettata, caricata su una groundcar delle forze dell'ordine e portata in una stazione di polizia. Qui vieni accuratamente perquisita da una donna completamente velata che scopre la divisa da combattimento della ginarchia sotto il caffettano.

Ti chiede se sei una militare di Zadracarta.

Modificato da Mezzanotte

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"Lo sono."

Le rispondo in modo secco, il mio umore ed i miei pensieri stanno viaggiando alla velocità della luce da quando quel bifolco mi ha dovuto mettere in questo casino.

Quindi alterno rassegnazione a momenti di rabbia in cui non riesco ad accettare questa situazione nel modo in cui potrei fare meno danni.

Le parlo apertamente.

"E lei invece, prima di essere donna è un ufficiale?"

Sono satura del mio stesso veleno.

Guardo quel velo che indossa e ci vedo una prigione per la mente ed il corpo.

Fremo dalla rabbia, perché è un chiaro esempio di di come il maschio abbia sottomesso la donna da queste parti.

E niente, proprio non mi va giù.

 

 

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Se non viene dispiegata in missioni extra-mondo una latariana può passare l'intera vita senza mai vedere un maschio in carne ed ossa. Poche, come te, hanno avuto un vero padre e possono farsi un'idea personale di come sia veramente un uomo.

Su Zadracarta in pubblico coprite i maschi. Li costringete ad indossare un caratteristico copricapo rotondo a falde moldo larghe con un drappo nero fissato lungo tutto il bordo che li nasconde da capo a piedi. Il kolah li fa sembrare dei tendoni ambulanti ed è severamente vietato aprire o infilarci una mano attraverso. Si tratta di una copertura così ampia ed impenetrabile che alcune latariane insinuano che gli uomini non indossino altro lì sotto e vi nascondano un'amante persino.

Il che, ovviamente, è disgustoso.

Ma per alcune anche vagamente eccitante.

La donna che ti sta interrogando spiega che non è un ufficiale. Lei perquisce solo altre donne e serve da bere ai suoi colleghi maschi.

La sua famiglia la prende per pazza, perché fra gli altujjar le femmine rispettabili in genere non lavorano. Vengono scambiate, indossano bei vestiti e fanno figli. Cos'altro potrebbero desiderare? Ma lei non è interessata a farsi dar via come una vacca al mercato. Se guadagnerà abbastanza soldi forse convincerà suo padre a venderla ad un marito di suo gradimento. Ha dovuto lottare duramente per ottenere questo impiego. Il velo protegge la sua virtù rendendo evidente che è una donna rispettabile. Altrimenti come potrebbero gli sconosciuti che incontra distinguerla da una prostituta?

Il riferimento a te è evidente.

Ti chiede il motivo della tua visita su Suvali.

 

Modificato da Mezzanotte
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Le spiego che in altri mondi la virtù non si cela dietro delle vesti e che esse non esprimono significati così profondi. Sono semplicemente vestiti, modi per esprimere la propria indipendenza e libertà.

Senza accuse, almeno in teoria. Non è che altrove sia tutto rose e fiori.

 

"Mi trovo in città per avere il modo di conoscere Suvali, per eventuali commerci futuri che potrei decidere di mettere in pratica. La città a quanto ho capito offre molto per il commercio."

 

Altrove, aggiungo, che non ci si deve vendere per appartenere ad un'altra persona di nostro interesse. Se lo si ama e si è ricambiati, questo è tutto il necessario affinché i due possano sentirsi uniti. Una cosa tanto cara come la virtù non dovrebbe essere una cosa che viene scambiata per denaro. Ci vuole altro, che non ha prezzo. A Zadracarta le cose sono diverse, come su Suvali. Le spiego un po' la situazione.

Questo discorso, se l'universo fosse un posto giusto, non ci sarebbe bisogno di farglielo. Da una parte la capisco perfettamente. Dall'altra la sto detestando perché non riesce a guardare oltre la siepe. Crede di saperlo e le va bene così a quanto pare.

Io stessa ho vissuto l'inganno così a lungo.

Quanto possono esser forti le catene quando sei tu stesso a stringerle il più possibile?

Modificato da Maiden
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A casa quando eri piccola, su Zadracarta, avevi un uccellino che tenevi sul davanzale della finestra. Tikki si chiamava. Gli volevi bene e per questo viveva in una gabbia. Una mattina mentre la pulivi Tikki scappò, sotto la grande cupola della città. Tu piansi per tutto il giorno, consolata solo da tuo padre. "Lascia aperto lo sportello", ti disse gentilmente in quell'occasione, "non temere anima mia, tornerà, non può vivere lì fuori ormai". E infatti quella sera stessa l'uccellino, come aveva predetto, rientrò da solo. Eri stata così felice. Tu e tua madre amavate molto papà: per questo non avrebbe più rivisto il suo mondo e la sua gente.

Pensi tuo padre conoscesse bene Tikki.

E ancora meglio la gabbia.

"è una mercante?" ti chiede la donna velata mentre maneggia un dataslab dall'altra parte del tavolo. La sua voce è priva di inflessioni. Non è quella di una che si limita a perquisire persone e a servire drink.

Ti muovi a disagio sulla sedia imbullonata al pavimento a cui sei ammanettata.

Hanno intensificato le luci e fa troppo caldo.

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"E' una parola grossa per me, mercante. Potrei pensare a qualche affare, sempre che non sia illecito farlo, ovviamente. Sto imparando a mie spese il vostro codice penale, non vorrei altri problemi."

 

Mi sento veramente uno schifo in questo momento. Ammanettata ad un pavimento di una centrale di polizia perché un uomo pensava di potermi usare a suo piacimento in un parco. Beffardo, il destino mi sta riservando un sacco di smacchi. Passare da un estremo all'altro in qualche giorno. Aver perso tutto su Alabaster... Non saprei neanche da dove cominciare se dovessi dire con precisione quando ho pensato di aver commesso degli sbagli. Dei grossi sbagli.

Ma adesso, incatenata come un animale, mi viene quasi da rimpiangere Zadracarta.

Mi sento umana, dopotutto, a fare certi pensieri... A nessuno piace essere trattato come una bestia.

Quanta introspezione negli ultimi giorni. Non che prima non ne facessi ma ultimamente ho rincarato la dose. E più mi trovo nella merda e più tutto quello che ho fatto pesa sempre di più.

Modificato da Maiden
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"L'unica cosa che non sarà mai illecita qui è fare profitti", dice la donna ammantata scorrendo informazioni con il dito, sul suo terminale trasparente. Se vuole essere una battuta il tono con cui la dice non la fa sembrare granché.

"Qui vedo", riprende fissando la tavoletta, "che è arrivata sulla nave del capitano Kurt Vonnegut. Un noto contrabbandiere.

"Mi permetta di osservare che è uno strano modo di viaggiare per una ginocratica. Cosa mi risponderebbe se le dicessi che ho intenzione di controllare le sue credenziali presso il consolato latariano di Suvali?"

Inviato

"Che controllare non le costerebbe niente, a questo punto."

La fisso, seria.

"Le chiederanno il perché di questo trattamento e mi faranno uscire di qui, mettendo in moto la classica situazione dove qualcuno sarà scontento di quello che è successo e avremo ripercussioni per tutti per una cosa che poteva finire tranquillamente sul marciapiede dove i vostri uomini hanno deciso di ammanettarmi per farmi vestire di vergogna fino alle mura sicure di questa centrale di polizia. Voglio essere più sincera con lei: cosa facessi sulla nave del capitano Kurt Vonnegut non riguarda Suvali ma Zadracarta. E parlarne potrebbe far precipitare questa situazione in un incidente diplomatico, dove saremo tutti investiti alla stessa maniera."

Abbasso la voce, in modo da farmi sentire solo da lei.

"Lei sogna una vita accanto ad un uomo che preferisce, viene screditata dalla famiglia perché a Suvali le vostre usanze vorrebbero relegarla ad una vita che ha già deciso di non voler avere. Ma a Zadracarta, beh... Potrebbe ricostruirsi una vita. Una di quelle vere, dove a scegliere sarebbe sempre e solo lei. Conosce la mia cultura e potrei aiutarla in questo senso, ha già un impiego rispettabile, sarebbe di grande aiuto per noi averla in un organico organizzato e di avanguardia: abbiamo bisogno di donne come lei, che con la sua testimonianza brillerebbe più di una pulsar nello spazio profondo. Questo se smettesse di considerarmi una criminale solo per aver camminato nel quartiere finanziario di Suvali come una persona qualunque, libera. Lei ha capito che tipo di persona sono e probabilmente capisce esattamente cosa intendo quando desidero il libero arbitrio su certe questioni, come la libertà di poter visitare un luogo senza doversi ritrovare in una centrale di polizia ammanettata come una bestia dopo essermi io stessa fatta condurre senza opporre resistenza."

Osservo le sue reazioni con attenzione.

"Ma se dovesse decidere di farla, questa chiamata, per alzare un polverone su una questione così irrisoria da riguardare un contrabbandiere di cui fino ad oggi non vi è importato niente... Mi eviterebbe l'imbarazzo di farla fare a me. Quando l'ho vista pensavo che potessimo risolvere la questione, invece che infittirla, parlando da donna a donna."

 

O la va, o la spacca.

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"Ha perfettamente ragione", dice la donna poggiando sul tavolo la sottile lastra-dati. "L'ultima cosa che vogliamo è inimicarci la ginarchia, uno dei nostri più importanti partner commerciali.

Il capitano è qui per vendere tecnologia militare latariana di contrabbando il che, immagino, spieghi la sua presenza"

Sfiora la tavoletta e le tue manette si aprono. Ti massaggi i polsi, guardinga.

"La Gilda non ha alcun interesse ad ostacolare la transazione del bene da cui invece trarrà un ottimo profitto" prosegue la misteriosa donna

"Vonnegut l'attende qui fuori. Ha già pagato la sanzione e lei è libera da almeno venti minuti, ma spero voglia farlo aspettare ancora un po'.

Mi perdoni se l'ho trattenuta più del dovuto è che volevo... conoscerla meglio. Magari offrirle un the?"

Entra una delle guardie nella cella, ed è un uomo, e poggia con sussiego sul tavolo un vassoio con una caraffa e due piccole tazze di cristallo. La donna velata lo congeda con un lieve cenno della mano.

Suo padre non ha mai cercato di venderla. O forse sì. Ma lei, tramite prestanomi, aveva già infiltrato da tempo il consiglio dell'azienda di famiglia e lo ha esautorato.

Ora ha una carica con un titolo roboante ma assolutamente simbolico, perché rimane pur sempre suo padre. Presenzia ai meeting, firma pro-forma gli ordini che lei emana e... ah, gli ha fatto ripudiare sua prima moglie che era una str*nza. La matrigna picchiava lei e i suoi fratelli.

"Neanche qui si vive male" dice la Mercante, "se si sanno salvare le apparenze". Sembra molto divertita dal suo piccolo scherzo.

Si rimbocca una delle maniche strabordanti del vestito e versa con abilità il liquido, bollente ed ambrato, nei bicchierini.

Almeno sul fatto che a volte serva da bere non ti ha mentito, pensi con ironia.

"Sono diamanti di Thares", ti confida, "sul giusto mondo potrebbe comprarci un regno"

Ti porge una delle tazzine e puoi quasi vederla sorridere, dietro alla grata del burqua.

"Scommetto le piacerebbe sapere quale"

 

 

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"Con chi ho l'onore di parlare?"

Nel frattempo mi massaggio i polsi, per poi afferrare con modo il bicchierino pieno di thè.

"Da quello che vedo intuisco che siano gli affari ciò che le interessano più di ogni altra cosa. In pieno stile con la città. Solo che lei deve avere un business vincente o ottime capacità. O entrambe le cose. Un motivo in più per volerla dalla mia."

Dico, riferendomi al mio ultimo discorso che la riguardava.

Aspetto che sia lei a muovere il bicchiere per prima, non vorrei fosse un'altra mossa falsa, chissà cosa potrebbe voler dire. Magari una mancanza di rispetto.

"Se si trova qui non è un caso. Vuole qualcosa da me. La domanda è: cosa?"

Tiro i miei capelli all'indietro, cercando di farmi una coda alta. Li sento sporchi. Vorrei solo farmi una doccia e poter rilassarmi. Ma l'adrenalina di questo interrogatorio scorre ancora forte ed è come se fossi seduta sulle spine.

Voglio sapere cosa diavolo vuole da me questa donna che si è prodigata nel raggiungermi da chissà dove per incontrarmi.

Per un attimo penso a Kurt. Quante cose sanno di lui? Lo avevano già chiamato, addirittura.

Spero sia incazzato.

Così potrò mettergli le mani addosso con ancora più violenza.

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Per bere la donna deve sollevare il cappuccio del burqua sulla testa; cosa che la obbliga a mostrare il volto, di carnagione quasi chiara, spruzzata di lentiggini. Dimostra a malapena sedici anni.

"Mi chiamo Eleni al-Shanfara e lavoro per la Gilda ma sopratutto per la mia famiglia, ovviamente"

Con una mano tiene sollevato il velo e con l'altra accosta la tazzina di diamante alla bocca, bagnandosi appena le labbra. Deve cogliere qualche perplessità sul tuo volto, perché non sembra affatto una altujjar. I Mercanti in genere sono scuri di carnagione, con menti affilati, nasi aquilini. E non sei certo la prima a rimanere sorpresa, dall'espressione rassegnata che assume.

"Gli al-Shanfara amano prendere come concubine schiave di altri mondi", si giustifica, "perché dicono siano più brave a letto. E mia madre doveva esserlo molto dato che papà, possa egli vivere a lungo, le ha concesso di darmi un nome straniero"

Una ciocca di capelli rossi sfugge dal velo, scivolandogli sulla fronte.

"Voglio essere sua amica", dice con semplicità, nascondendo nuovamente sotto il burqua il ciuffo ribelle.

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"Esistono modi migliori, non credi?"

Mi dimostro dubbiosa.

"Le amicizie non sono come gli affari. Non si gioca sporco con una amica. Sono fatte di confidenze, sorrisi, vittorie e sconfitte. Gli amici sono i fratelli o le sorelle che hai deciso di avere nella tua vita."

Sorseggio il thè.

"Io non sono un giocattolo. E della mancanza di una amica ci si accorge quando qualcosa nella propria vita non è al posto giusto."

Finisco il thè e trasformo i miei modi fini in quelli di uno scaricatore portuale, battendo appena il bicchierino e asciugandomi la bocca con il dorso della mano.

"Parliamo di quello che vuoi. E vediamo se posso aiutarti. Come farebbe una vera amica."

Le sorrido.

Non ho nessun motivo di mostrarmi contraria a questa relazione. Avrei soltanto problemi ad inimicarmi chi invece mi sta tendendo una mano con una richiesta di aiuto.

Soprattutto quando sulla mano si trovano diamanti di Tharos che basterebbero per potersi comprare un regno.

"Dimmi la tua storia Eleni la Rossa, il capitano Kurt può aspettarmi tutto il tempo necessario. Quello che doveva fare lo ha fatto."

Ammicco, mettendomi comoda.

Le spine su cui sedevo si stanno trasformando in rose col colore del potere, qualsiasi colore abbia qui su Suvali.

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"Allora complice, se preferisce"

dice la tajir quando giustamente le fai notare che un'amicizia si costruisce nel tempo e non è certo cosa da offrire o concedere alla leggera.

"Ecco, ora parla come una latariana. Ma ricordi che qui gli uomini stanno sopra. O almeno è bene lo credano. A volte è un grande vantaggio quello di non esser considerati. Nessuno ti vede come una minaccia se appari pecora, anche se per lei deve essere difficile comprenderlo essendo nata su Zadracarta. Mi hanno detto che nella ginarchia siete tutte leonesse. Invece questa è stata fra le prime lezioni della mia vita, forse la più importante"

"Così diverse, ma entrambe ribelli: siamo bestie rare sui nostri rispettivi mondi. Esseri speciali, unici. Straordinari. Per questo ho voluto conoscerla di persona prima dell'asta.

"Se sopravvivrà alle prove che l'attendono mi cerchi pure"

Si rimette il burqua e torna ad essere una presenza trascurabile, quasi un banale suppellettile della cella disadorna. Come il tavolo, o una delle sedie.

"Credo il capitano Vonnegut sia in pena per lei. Dovrebbe raggiungerlo ora. Se continuassi a tenerla sequestrata solo per il mio piacere personale danneggerei il buon nome della Gilda, dato che ha pagato quanto gli abbiamo chiesto. E senza trattare, se vuole saperlo: un uomo interessante direi"

Ti avvii meccanicamente verso l'uscita della stanza quando Eleni ti chiede un'ultima cosa.

"Prima tesseva le lodi del suo mondo. Allora perché la Valchiria di Zadracarta sta cercando di sfuggirgli?"
 

 

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"Ho imparato che per Suvali sarò una donna diversa. E le prove sono fatte per essere superate. Cercarti, complice, non sarà un grosso problema. Abbiamo molto da dirci. Il capitano Vonnegut avrà quello che si merita per il gesto. Non era un dovere pagare quanto chiesto senza trattare. Un vero gentleman, un uomo di altri tempiCon questo, mi ha appena regalato il vestito da pecora.

Mi fermo sulla porta, continuando a darle le spalle, dopo la sua ultima frase. Appoggio la mano destra allo stipite della porta, con un passo fermo a metà, che mette bene in mostra il fisico asciutto e ben impostato.

Ho letto qualcosa nella mia vita, durante le notti senza sonno, a largo dei bastioni di Zadracarta: poemi interi dedicati a degli eroi. Grandi gesta, compiute con cuore candido, senza macchia o paura. Chi viene a conoscenza di questi uomini dovrebbe però ricordarsi di leggere tutti gli scritti ad essi dedicati. Troverebbe le stesse storie, raccontate dai vinti di questi ultimi. E ti assicuro che spesso quando si confrontano tali scritture, si smette di considerarli tali.

C'è sempre un amaro rovescio della medaglia. Bisognerebbe capire se hai veramente intenzione di vederne l'altra faccia o se preferisci farti bastare ciò che ti viene mostrato.

Nel tuo caso hai già scelto.

Mi volto di profilo, lasciando intravedere un mezzo sorriso.

Sono contenta del nostro incontro. Tornerò da te, quando avrò finito con Vonnegut, Eleni la Rossa."

Inviato

La tajir rimane in silenzio e tu lasci la cella. Kurt si aggira nell'atrio della stazione come un'anima in pena e ti assale appena ti scorge.

"Santo Cielo, stai bene? Non dovevi allontanarti senza dirmi nulla, cosa ti salta in mente? Se avessi picchiato quel Mercante o peggio... oddio non ci voglio pensare, saremmo stati rovinati! Per fortuna non sei completamente stupida" 

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Lo guardo con occhi grandi, per poi avvicinarmi a lui fino a tentare di abbracciarlo, con fare vittimistico.

"Oh, Kurt!"

Con voce tremante, quasi un piagnucolio.

A. Se dovesse lasciarsi abbracciare.
 

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Se si lascia abbracciare mi appoggio a lui con la spalla sinistra al suo torace, lasciandomi la possibilità di poter scivolare con la mano fino alle sue palle con il braccio nascosto dai corpi uniti. Lo guardo, sorridendogli e stringendolo a me con il braccio destro attorno alla sua vita, in modo da non farlo allontanare.

Strizzo quanto basta per farlo sussultare.

Comunque vada a finire, continuo con fare teatrale.

"Oh, Kurt, grazie! Senza te non so come avrei fatto, sono stata completamente stupida, non mi allontanerò più da te, lo prometto! Ma... Tutto bene!?"

Avvicino poi il mio volto al suo orecchio, con voce seria ma calma.

"Dovrei tagliartele queste palle per non avermi dato neanche un avvertimento di quello che questo mondo capitanato da pervertiti poteva offrirmi."

Torno in posizione, davanti a lui, con un tono normale.

"Ti prego, torniamo alla nostra nave. Mi prenderò cura di te."

Gli do un'occhiata gelida mentre il mio finto sorriso svanisce come d'incanto per poi mettermi in cammino nella direzione del porto.

 

 

B. Se non dovesse lasciarsi abbracciare.

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Se non dovesse lasciarsi abbracciare, appena si scansa chino il capo come sottomessa alla sua volontà e gli sussurro, guardando a terra ai suoi piedi.

"La tua coscienza ti dice di dovermi stare lontano per qualche motivo? Compenso la mia stupidità con un gesto di affetto e mi tratti come se fossi un marcio reietto di Alabaster?"

Mi incammino verso il porto.

"Ne parleremo una volta che saremo sulla nave."

Detto con un certo tono di sfiducia.

Devi sentirti in colpa per quello che mi è successo, brutto str0nzo.

 

 

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Il capitano Vonnegut subisce l'abbraccio, sorpreso ed alquanto imbarazzato dal tuo affettuoso atteggiamento.

"C...che ti prende? Non ora, dai. Non qui!" balbetta mentre arrossisce violentemente.

Ma, a giudicare da quello che senti gonfiarsi di lui, la cosa non gli dispiace affatto.

Poi però lo geli con una sprezzante sferzata sussurrata nell'orecchio e lo lasci confuso e frastornato. Deve sentirsi un po' come un cane a cui si offre una carezza con l'unico scopo di rifilargli immediatamente dopo una bastonata sicura. Certo lo ferisce, questo tuo colpo basso.

"Questo mondo cosa, scusa?" contrattacca furente, "tutto l'universo è così! è... è normale! Semmai è il tuo, di mondo, ad essere sbagliato. Hai la minima idea di quello che la tue care sorelle farebbero a me e al mio equipaggio sul tuo pianeta perfetto? Credi non sappia nulla delle abominevoli pratiche con cui la Ginarchia si assicura la sopravvivenza? Pensi mi offrirebbero dei soldi o la possibilità di tornare libero come hanno fatto qui con te? E tu, tu mi verresti a salvare?"

 

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"Il fatto è che credi di saperne abbastanza. E non è così. È peggio."

Dico voltandomi per un istante.

"E non dovrebbe essere normale neanche quello che dici tu."

Lascio che si affianchi per procedere insieme.

Adesso ho capito di tenere per le palle anche capitan contrabbando.

E va bene così.

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Ti fa male ammetterlo, ma non fosse stato per i tuoi gentori e Marjane probabilmente saresti stata una perfetta latariana, e la conversazione che staresti avendo ora con Kurt sarebbe molto diversa per natura e modi.

Pensi ai tavilè, i brutali postriboli maschili di Zadracarta, e rabbrividisci involontariamente.

Avete colonizzato miriadi di mondi nell'universo e su tutti avete comesso gli stessi errori. Ancora, e ancora, e ancora. Non importa la strada che avete tentato, l'idea che avete seguito.

L'umanità ti appare così rotta che forse bisogna essere dei folli per pensare di poterla aggiustare.

Ma Parisa, tua madre, non era pazza, aveva un ideale. Lottava per cambiare Zadracarta, il suo mondo, dall'interno. Ed ora anche tu hai gli occhi aperti,  ma a te cosa rimane?

L'esilio, e la certezza che verrai braccata come un animale rabbioso fino ai confini della galassia per quello che hai scoperto senza neanche volerlo.

Non fossi stata scelta per la missione su Alabaster, non avessi incontrato quel mandarino e il suo dono avvelenato, avresti ancora Marjane e i tuoi genitori.

Maledetta sia la verità. La verità ha ucciso il tuo amore, distrutto la tua famiglia, ti ha reso una reietta, una traditrice, costretta a conoscere il male.

No. Non la verità.

Taraneh.

"Zadracarta, Suvali, qualsiasi buco da qui fino ai confini dell'universo è la Frontiera ragazza. Noi Rovistatori non cerchiamo di cambiarla, proviamo solo a non farci fare a pezzi da lei: ed è così che sopravviviamo" sta dicendo Kurt.

"Fino al giorno dell'asta te ne starai chiusa nella stiva. E se vorrai uscire dovrai chiedermi il permesso ed essere accompagnata. Non sto rischiando la mia nave, il mio culo e quello di tutto il mio equipaggio perché tu ti diverta a fare la piccola esploratrice dei costumi sessuali locali e dare giudizi morali. Santo cielo, vieni da una società di dannate genocide! Non hai alcun diritto di criticare gli altri direi"

 

 

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"Allora vorrà dire che verrai a trovarmi spesso se hai così tanta paura che possa cercare rogna da qualche parte in mezzo a questi vicoli. Se vieni tu, non ci sarà bisogno di cercarselo, il problema."

Mi fermo e lo squadro. Con un filo di voce velenosa.

"Se pensi veramente che io sia venuta qui per farmi stuprare da un vecchio str0nzo perché cammino per strada, hai sbagliato di grosso. Ascoltami bene raccogli merda, nella tua stiva da stasera ci saranno le due cose più importanti che tu abbia mai sperato di trovare facendo questa vita del c4zzo. Una è la mia Veste da Specialista, l'altra è una genocida latariana di cui pensi di sapere qualcosa mentre invece non sai proprio una sega. Se vuoi dimostrarmi quanto sei uomo dentro e fuori, vendimi in questo sudicio mondo e vattene via gonfio di crediti come speri di fare.

Ho tolto tutto a molti e la vita ha tolto tutto a me.

Non ho più paura di morire.

E sappi che non ho deciso dove nascere ma ho scelto chi essere in vita.

Forse tardi, vero. Ma da uno che ha deciso di essere un raccogli rifiuti e chissà da dove è stato pisciato fuori in questo cielo fatto di stelle senza fine, non accetto la paternale.

La mia parola è che non uscirò dalla nave, fino al giorno dell'asta.

Chiudimi dentro la stiva e tu avrai chiuso con me.

Se non ti va bene, picchiami. Non ti fermerà nessuno al centro di questa piazza. Forse addirittura ti faranno una statua se picchi una latariana davanti a tutta questa gente."

Sono furente, con il cuore che pompa a mille. Duemila pensieri in serie sulla mia famiglia, su Marjane, la solitudine, la paura di essere buttata in gattabuia, il mio onore sporcato, i sensi di colpa per le atrocità commesse, questo c4zzo di Kurt che mi sta facendo venire voglia di saltargli addosso per strappargli la giugulare a morsi.

F4nculo a tutti.

Ho gli occhi lucidi.

Me ne accorgo.

Mi volto e tiro dritto verso la nave.

Marjane, che cosa ne sto facendo di quello che mi hai regalato. Non sono degna. Non posso sopportarlo.

Non dovrei essere il tuo Libro della Gioia. Forse sarebbe più adatto quello della Vergogna.

Modificato da Maiden
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