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Inviato

Mi trovo concorde con gli ultimi 4 interventi. Aggiungerei una valutazione: in D&D e altri giochi di ruolo che ne condividono o hanno meccaniche simili l’approccio non può che essere a posta. Dichiarando il risultato si toglierebbe gran parte del divertimento. Voglio buttare l’anello a monte fato... 20. Fine campagna.

inoltre lo stesso approccio perché viene applicato solo ai tiri per abilitá? tiri per colpire e ts a questo punto possono essere manipolati allo stesso modo (perché di manipolazione si tratta) e ecco che avremmo una storia raccontata da una persona e altre che ascoltano tirando dei dadi. 

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Inviato

Non mi è chiaro questo passaggio:

12 ore fa, Lord Danarc ha scritto:

in D&D e altri giochi di ruolo che ne condividono o hanno meccaniche simili l’approccio non può che essere a posta. Dichiarando il risultato si toglierebbe gran parte del divertimento. Voglio buttare l’anello a monte fato... 20. Fine campagna.

Cosa intendi per dichiarando il risultato?

Ti faccio 2 esempi:

1. Qual è la tua azione? Attacco il goblin con l'ascia.

2. Qual è il tuo obiettivo? Uccidere il goblin.

Per dichiarando il risultato, intendi l'esempio numero 2?

Inviato

Si. Ad esempio si puó dichiarare di voler scalare il castello o anche di liberare direttamente la principessa.

nel primo caso l’azione è simile a una prova di atletica (scalare) nel secondo raggruppa N possibilitá diverse e lascia al DM decidere cosa avviene. Passano dalle fogne? Trovano un buco nel muro? Scalano la torre? 

Inviato

Beh, anche con l'esempio 2 non puoi ignorare le restrizioni narrative della scena che stai giocando o il tuo attuale posizionamento narrativo nella stessa.

Vuoi buttare l'anello nel Monte Fato? È ovvio che devi prima arrivarci vivo e con l'anello in tuo possesso.

Sei invece già lì? Magari hai speso diverse sessioni per arrivarci, e se poi hai l'anello con te e non ci sono ostacoli tra te e il tuo intento, non c'è neanche un conflitto da risolvere: getti l'anello e stop. È conflict resolution, con questioni da risolvere "qui e ora" (e, per la cronaca, non è assolutamente detto che sia per forza il GM a decidere cosa avviene: dipende dai giochi).
Poi, ovvio, D&D è un gioco che rema in una direzione diversa (se poi questa direzione sia bella o brutta dipende da diversi fattori, che credo peraltro esulino dal discorso).

Inviato (modificato)

La questione sollevata a margine della richiesta iniziale, è quella di applicare a dnd filosofie tipiche dei narrativi.

Leggendo i commenti, molti sono fermamente contrari ma a volte l'ho fatto senza problemi (ovvio ho cambiato la tipologia di sfida)

Esempio attraversare un fiume burrascoso con una barchetta a remi.

Il forzuto del gruppo fallisce la prova di atletica: non gli ho detto che non riusciva a remare verso l'altra sponda, ma l'ho fatto arrivare al prezzo di danneggiare la barca su uno scoglio.

Di fatto gli ho spostato il problema dell'attraversamento del fiume al viaggio di ritorno.

In pratica mi capita che le prove non siano del tipo ci riesci/non ci riesci, ma piuttosto ci riesci/ci riesci al prezzo di...  che appunto è tipico di certi giochi narrativi

Questo mi capita soprattutto se la storia deve andare avanti:

Il pg fallisce tutte le prove di carisma, cosa fai non gli dai le informazioni per proseguire? Io le do lo stesso, però aggiungo qualche complicazione (il png vuole qualcosa in cambio, i pg vengono visti parlare col tipo, ecc)

Modificato da Casa
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Inviato (modificato)

@Casa, quello che dici è collegato a quello di cui parlavo prima ma non è esattamente lo stesso.

Mi spiego meglio: sostituire "non ci riesci" con "ci riesci ma..." ("yes but") è una filosofia tipica dei narrativi ma che è stata proposta anche per D&D da molte parti in passato. Si può applicare sia al caso "il giocatore definisce l'azione" che al caso "il giocatore definisce il fine" (o "la posta", come l'ha chiamata qualcuno), anzi, forse si applica meglio al primo caso che al secondo.

La differenza che volevo sottolineare è che nell'approccio "il giocatore definisce l'azione" il giocatore dice che il PG fa una certa cosa, ed è un dato di fatto che la fa. Poi può farla bene o farla male (questo lo stabilisce il dado) e si può decidere che "male" voglia dire insuccesso completo oppure successo con problemi (questo lo stabilisce il DM).

Mentre nell'approccio "il giocatore definisce il fine" si può modificare l'azione stessa del PG, e/o le premesse associate, a posteriori dopo aver visto il risultato del dado.

 

Nel tuo esempio, Il giocatore ha detto che il PG forzuto remava, e questo non è stato cambiato. Poi tu da DM hai deciso che arrivare dall'altra parte fosse scontato (CD 0, diciamo) ma evitare di danneggiare la barca fosse difficile (ad esempio, CD 15 mentre lui ha fatto 12), quindi è arrivato ma ha danneggiato la barca. Siamo sempre nell'approccio pienamente D&D-esco "il giocatore definisce l'azione".

Nel caso delle prove di Carisma servirebbero più dettagli ma sono propenso a credere che possa valere lo stesso.

 

Aggiungo che a me, in generale, piace chiarire sin da prima ai giocatori quali sono i rischi in gioco (ovviamente, a meno che non ci sia una valida ragione per fare altrimenti). Per esempio, nel caso della barca:

  • DM: "Arrivare dall'altra parte non sembra difficile, ma ci sono diversi massi affioranti: sarà faticoso combattere contro la corrente che tende a sbattervici contro".
  • Giocatore: "D'accordo. Saliamo sulla barca e io mi metto a remare"
  • DM: "Fammi una prova di Atletica"
  • Giocatore: "12"
  • DM: "Purtroppo non è sufficiente a evitare tutti gli urti. Arrivate dall'altra parte, ma la barca è irrimediabilmente danneggiata"

 

 

Edit: mi spiego ancora meglio.

"Yes, but..." virtuoso (secondo me):

  • Il DM imposta la sfida in modo che il risultato essenziale per proseguire l'avventura (arrivare di là dal fiume, ricevere l'indizio chiave...) sia garantito, e la prova serva invece per evitare determinati effetti indesiderati.
  • Il DM presenta la sfida ai giocatori in un modo tale che queste cose siano chiare (salvo casi eccezionali).
  • Il giocatore descrive l'azione del PG e il DM chiede una prova come di norma.
  • Conseguenze in base a quanto stabilito.

"Yes, but..." negativo (secondo me - almeno in D&D):

  • Il DM imposta e descrive la sfida come se la prova fosse necessaria per raggiungere un determinato risultato.
  • Il giocatore effettua la prova e fallisce.
  • Il DM si accorge solo ora che in questo modo il gioco rischia di rimanere bloccato e decide che il risultato viene raggiunto ugualmente, poi come conseguenza del fallimento tira dentro su due piedi una complicazione non preventivata e magari anche scollegata dall'azione che effettivamente il PG stava compiendo (tipo: "riesci a convincere la guardia a farti passare ma mentre gesticoli accorato nella discussione urti per sbaglio un minaccioso mezzorco che passava di lì e che ora ti guarda in cagnesco").

(Per questo dico sempre che esortare al principio "Yes, but..." applicato a D&D spesso è pubblicità ingannevole 😉)

Modificato da Bille Boo
typo
Inviato

@Bille Boo, infatti spesso sono o miei limiti che mi portano verso scelte "particolari"

Nell'esempio della barca non avevo descritto (ne immaginato) i possibili pericoli: gli scogli sono "magicamente" comparsi dopo il fallimento.

 

Inviato (modificato)
4 ore fa, Bille Boo ha scritto:

La differenza che volevo sottolineare è che nell'approccio "il giocatore definisce l'azione" il giocatore dice che il PG fa una certa cosa, ed è un dato di fatto che la fa. Poi può farla bene o farla male (questo lo stabilisce il dado) e si può decidere che "male" voglia dire insuccesso completo oppure successo con problemi (questo lo stabilisce il DM).

Mentre nell'approccio "il giocatore definisce il fine" si può modificare l'azione stessa del PG, e/o le premesse associate, a posteriori dopo aver visto il risultato del dado.

Praticamente Fortune-at-the-End (FatE) nel primo caso e Fortune-in-the-Middle (FitM) nel secondo (per degli esempi in merito è sufficiente una rapida Gooooooglata).

Modificato da Checco
corretta la terminologia e aggiunti gli acronimi
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Inviato
12 minutes ago, Checco said:

Praticamente fortune in the end nel primo caso e fortune in the middle nel secondo (per degli esempi in merito è sufficiente una rapida Gooooooglata).

Grazie di avermi indicato questa terminologia a me sconosciuta.

Diciamo, dopo essermi un po' documentato, che per la precisione mi riferivo nel primo caso a fortune in the end oppure al sottoinsieme di fortune in the middle with teeth in cui, eventualmente, si ha la possibilità di fare scelte per cambiare il risultato (es. aggiungendo modificatori, o ritirando il dado come per il potere del dominio Fortuna di D&D 3.5) ma non per cambiare l'azione intrapresa né la situazione di contesto.

Nel secondo caso, a tutti gli altri tipi di fortune in the middle.

E inutile dire che in D&D io sono per il primo caso, tutta la vita 😉

Inviato

premesso che è il regolamento che ti dice se stai giocando Fortune in the Middle oppure Fortune in the End, la questione è: inserire o no elementi di FitM in un regolamento basato su FitE (che di solito è più "rigido")?

Nel caso specifico di del post, la domanda è: possiamo considerare il 20 naturale un elemento che possa cambiare le condizioni al contorno/ipotesi iniziali per giustificare una riuscita?

io dico di no in questo caso perchè rimango fedele al regolamento che dice che il 20 non è un successo automatico, però se mi chiedete se un fallimento (magari un fallimento di poco) possa portare in ogni caso al compimento dell'azione al costo di un qualche cosa sono favorevole (valutando ovviamente volta per volta se è il caso di farlo).

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