Mr Atomic Bomb Inviata 27 Agosto 2007 Segnala Inviata 27 Agosto 2007 breve racconto. uno di quelli a cui sono più legato. 1. “ Il suo amico non riuscirà a vedere l’alba. Mi dispiace.” Questo mi disse l’infermiera all’ospedale. Quella bianca figura mi annunciò con una meccanica e pacata voce che il ragazzo che stava al mio fianco, steso in un lettino di ospedale, non avrebbe rivisto la luce del giorno. Guardai un attimo fuori dalla finestra, il vetro rifletteva le luci del viale che portava all’edificio, un grasso sentiero che conduceva al luogo dove le anime si giocavano ai dadi la permanenza sul mondo fisico. Questo mi fece venire una punta di malinconia. Volevo vedere fuori, volevo capire dove la luce e i rumori si perdono per lasciare spazio al vuoto e afono buio, dove tutto si attenua, persino i colori e le voci, e ogni cosa diviene solo l’ombra di se stessa. Volevo quello, perché i miei occhi si perdessero in quell’orizzonte invece di guardare lui. Tubi gli entravano in gola, tubi gli uscivano dalle narici, tubi si infilavano nelle sue vene, come caparbi parassiti in cerca di sangue. Era lì, steso sul verde telo monouso solito degli ospedali, vivo. “Ancora per poco” pensai. Non riuscivo a capacitarmi che la tragedia appena accaduta fosse stata, in parte, anche colpa mia. “Signore, dovrebbe lasciare la stanza. Non mi è permesso lasciarla qui ancora. Mi scusi, ma son le regole.” Mi alzai, presi la giacca e mi avvicinai a lui, afferrandogli la mano violentata dall’ago della flebo. Era rigida, ma calda. Dentro pulsava ancora il sangue, ancora questi si faceva strada nel cuore, nel cervello, nelle zone più periferiche e lontane. Gliela strinsi. Volevo fargli male, volevo che si svegliasse, che non mi lasciasse solo proprio in quel momento. Volevo che non mi morisse lì, come un perdente. “Vaffanculo amico. Sei stato il primo. Hai lasciato la partita.” Così mi allontanai. Non avrebbe visto l’alba, eppure mancavano solamente tre ore. E lei, nel suo sorgere, avrebbe gioito. Era la vincitrice. 2. Qualcuno una volta mi chiese perché amavo così tanto stare sveglio la notte, esitare per strade deserte e andare a dormire solo quando fuori la città riprendeva il suo vorace ritmo, crepitante di motori e vociare, fumi e lavoro. Non ho mai risposto alla domanda, mi limitavo a sorridere semplicemente, magari borbottando un “Mi piacciono le stelle, tutto qua..” con fare innocente e sincero, e deviando rapidamente il discorso su qualcosa di più interessante per gli altri, e meno personale per me. Il nostro era un gioco, e la prima regola era che tutto sarebbe dovuto rimanere segreto fino a quando uno dei due non avesse perso. Credo che ora sia il tempo di raccontarlo. 3. “Hai mai capito perché l’alba è così bella per l’uomo?” “Ma che càzzo centra ora?” – dissi ridendo. “No, sono serio. Hai mai fatto caso che l’uomo associa all’alba tutte le cose belle che gli capitano? L’alba è l’inizio del giorno nuovo, l’alba è l’inizio della vita, l’alba è aria di cambiamenti. A me l’alba fa schifo.” Questa volta rimasi un po’ più perplesso. Ci capitava spesso di iniziare discorsi più o meno seri nel mezzo di lunghe serate al bar. Avevamo entrambi il bicchiere di birra in una mano e una sigaretta iniziata nell’altra. Mi ricorderò sempre che lui fumava molto più velocemente di me, e quando io ero appena a metà, lui stava quasi già al filtro. Appoggiai entrambi i gomiti sul tavolo, e tenendo la sigaretta tra le labbra gli feci cenno di continuare. Nulla era inutile, idiota o senza senso tra noi, avevamo un grande rispetto per il nostro personale approccio al mondo, qualunque, mi dico adesso, esso fosse. “Non ti seguo, che stai dicendo?” “L’alba è sopravvalutata amico. L’alba è sottovalutata. L’alba è un gran casino, eppure l’uomo le va dietro da secoli, erigendola a maggior esponente di tutte le cose buone” – lo disse con un tono fortemente sarcastico – “della storia. Ma non ha capito che l’alba ci sta ammazzando tutti, ce lo sta mettendo nel cùlo da quando abbiamo messo piede su questa càzzo di terra.” 4. L’alba ci ha sempre illuso tutti, questo ho capito dal nostro unico scambio di idee e teorie sull’argomento. Perché dopo questa, non ce ne furono altre. Era la seconda regola non parlarne più, era la nostra tacita promessa mettere solamente in pratica quello che avevamo partorito quella sera, senza il bisogno di discuterne. Proprio oggi sono sette mesi che la notte non dormo, e solo tre mesi fa lui è morto. Ora riesco a parlarne, posso parlarne con me stesso e con questi fogli. Gli altri potrebbero non sapere mai del nosto gioco, della nostra sfida, che non cambierebbe niente, poiché nel mondo manca la coscienza, manca la comprensione della nostra lotta, una lotta malata, fragile, destinata all’oblio immediato se non capita. Le mie notti le passo a scrivere, camminare, bere o cantare. Le passo per le strade, nei locali, nelle stanze di hotel. Mi piace dormire in camere che non abbiano intriso il mio odore ovunque vada, mi piace sentire il loro profumo di anonimia, quella completa dispersione di effluvio umano che le avvolge. Una notte in una stanza diversa è una notte con un uomo diverso che non sono io, ma che conserva, seppur nascosta, la sua identità. La notte, con la sua omogeneità, la notte, con le sue ore che forse non passano neanche, ma tutte uguali si limitano ad esserci ed esistere, in attesa dell’alba. Questa era la nostra teoria. Nella notte l’uomo non conosce il tempo, non lo comprende, e non sente lo scorrere della vita e del suo vivere verso la morte. Perché è questo che si rivela essere l’alba, un orologio verso la fine dell’essere. Solo all’alba, solo in quel momento, l’uomo prende coscienza del proprio destino: passare la sua vita tra i battiti di altre albe, in attesa dell’ultimo istante. 5. “Capisci quello che ti sto dicendo? Dobbiamo ucciderla.” Mi misi a ridere. Quella era l’idea più folle che mai avesse tirato fuori. “Ahah, ok amico, e come possiamo uccidere l’alba?” “E’ la natura stessa che ci permette di farlo, con le sue leggi. Tutto è regolato da leggi, sai? Questa birra esiste per merito di regole ben precise, questo locale esiste grazie a regole, e persino noi non esisteremmo se le leggi non lo permettessero.” “E quali sarebbero le leggi che ci permetteranno di uccidere l’alba?” “E’ una sola, persino semplice. La natura uccide ciò che si rivela inutile. Pensaci. Tutto quello che vedi adesso, dalle piante agli animali, persino ai vestiti, è figlio della morte del suo predecessore, ormai superfluo. Le giraffe..” “Perché metti in mezzo le giraffe!?” “Lasciami parlare. Le giraffe prima mica avevano il collo così lungo! Era più corto, ma siccome, per qualche motivo che io non so, non arrivavano alle foglie degli alberi, iniziarono a morire di fame. Morirono tutte? No! Ma quali giraffe sopravvissero? Quelle col collo più lungo, perché potevano arrivare alle foglie in alto. E mentre le altre morivano di fame, quelle bastarde scopavano come matte, sfigliando gli animali dal collo lungo che conosciamo adesso. Capisci? La natura ha ucciso le giraffe inutili, prediligendo le altre. E’ la selezione naturale. Solo l’uomo l’ha resa obsoleta con la sua tecnologia. Tu hai mai visto un animale selvatico obeso?” “L’ippopotamo!” – gli dissi. “Ma che centra, gli ippopotami son tutti obesi. Hai mai visto un leone crepare di cuore? Oppure una gazzella sulla sedia a rotelle? Non vedrai mai queste cose se guardi gli animali allo stato brado, perché la natura non lo permette. Noi abbiamo preso la legge più antica del mondo, e l’abbiamo spudoratamente ignorata, divenendo la razza fragile di questa terra, scoperta agli scherni ed ai soprusi.” Era serissimo mentre faceva questo discorso. Guardavo la sua bocca muoversi, gli occhi guizzare da una parte all’altra, passando dal bicchiere alla sigaretta, dalla sigaretta alle persone al bancone, oppure sedute agli altri tavoli. Giocherellò qualche secondo con il mio pacchetto di Camel, lo aprì e ne estrasse una, che accese nervosamente, con lunghe tirate. Buttò fuori il fumo e riprese il discorso. “E’ la selezione naturale la nostra alleata. Basterebbe che noi dimostrassimo che l’alba è inutile per far si che la natura si sbarazzi di lei. Un calcio in cùlo e byebye alba, au-revoir.” 6. Non ho mai creduto potesse essere lui il primo a perdere, anzi, passai questi mesi con la convinzione che nessuno di noi sarebbe stato sconfitto. Eppure ogni giorno, in tutto il mondo, persone come noi si devono ritenere battute davanti alla grande nemica: chi perde contro l’alba perde contro la morte, che essa lo prenda subito o dopo anni. Solo dopo aver iniziato il nostro gioco compresi perché l’uomo è sempre stato attratto dall’alba. Non per la sua bellezza o i suoi colori, perché natura ci insegna che i colori vivi e belli segnalano bestie pericolose, ma poiché, consci o inconsci, ci si rende conto di aver vinto una battaglia presentandosi alla quotidiana sfida, pronti a riprenderla l’attimo dopo. Mi è stato detto “Non rivedrà l’alba”, ed è stato vero. Non si presentò all’appello quel mattino, mancò di fedeltà verso il suo scopo, uscì dal mondo come un perdente, mentre io ero seduto in uno scalino. Piangevo per la perdita di un amico, piangevo per la perdita di un alleato. Piangevo perché ormai rimasto solo. Ora non ricordo neppure più cosa voglia dire la solitudine. Sono pieno, sono occupato, sono distratto da mille e mille cose. Nella notte vivo, esco, giro, conosco persone e animali, riempio gli spazi che intercorrono tra questo corpo e quello che si chiama anima. Mi capita spesso di svegliarmi il pomeriggio, dopo una notte passata insonne, e sentire la testa scoppiare, dopo aver sognato lui nella sua sfida finale contro l’alba. E’ in piedi, ma non è da solo. Intorno a lui ci sono miliardi di genti, e io posso vedere i loro occhi aperti. Cantano, ballano, alcuni pregano, avvolti ancora dalla notte. E lui sorride, sorride perché la gente del mondo è lì, ad aspettare l’alba, a dimostrare che ormai è obsoleta, che il suo decorso è finito. Nessuno più morirà per mano sua. Poi chiude gli occhi. Sta dormendo. Mi metto a ridere, perché non può dormire. Non ora. Ecco lei, che esce dalla sua tana, gonfia e spavalda. Mi fiondo verso di lui, e lo scuoto. Mi metto a piangere, gli urlo di svegliarsi, ma continua a dormire con un sorriso sul volto. Ormai è luce. Sento che non si sveglierà mai più. 7. Gli dissi sorridente, ancora incredulo: “Cosa succederà quando l’uomo, vedendo ogni mattina l’alba sorgere, si accorgerà che il suo nemico, nonostante esso abbia vinto ogni battaglia, è imbattibile? Di certo non basterà dormire dopo l’alba perché essa smetta di esistere. Cosa farà allora quell’uomo, cosa ne sarà di lui?” Ci pensò qualche secondo, poi sorridente mi disse questo. - “Diventerebbe il frutto della sua stessa lotta, un essere cosciente ma caparbio nella sfida, un uomo deviato nelle sue scelte e destinato ad una sola vita di notte. Dimenticherebbe amici e parenti, caduti e vivi, pronto a perseguire solamente uno scopo, e a divenire parte di esso. Diventerebbe bandiera della violenza per antonomasia, quella della morte contro la vita, del giorno verso la notte. Diventerebbe la notte. Diventerebbe l’uomo della notte.”
111DarkLight000 Inviato 28 Agosto 2007 Segnala Inviato 28 Agosto 2007 ... atomic, sono sbalordito! complimentoni mi è piaciuto tantissimo!
Selvaggio Saky Inviato 30 Agosto 2007 Segnala Inviato 30 Agosto 2007 Bè, scrivi bene....decisamente, ti faccio i complimenti
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