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Inviata (modificato)

Cassandra [ Bardo ]

cassandra 
 


Età: 21
 

Aspetto
La statura di lei ridotta combinata con quegli abiti da viaggio dalla vestibilità larga andavano a mascherare un corpo ben allenato, inaspettato per una fanciulla della sua età ed esercitante la professione di Bardo; gli occhi ardenti del colore della tenebra celavano riflessi violacei ogni qualvolta esposti a fonti di luce, il taglio di essi leggermente allungato faceva supporre un albero genealogico di provenienza mista; la chioma raccolta in due spesse trecce non risultava visibile a primo impatto, coperta dal pesante cappuccio della sua morbida, seppur manifestamente consunta, mantella dei toni del mare; ogni dì, al sorger del sole, era consueta praticare lo stesso addestramento da ormai più di un lustro, durante il quale intonava la medesima melodia, ancora ed ancora, fino al quasi completo esaurirsi delle proprie forze; ed era solo nei pochi minuti successivi a ciò, che risultava possibile scorgerne le lunghe onde, del pallore della luna nelle notti più limpide, mentre sorridendo malinconicamente le pettinava con dolcezza, per poi procedere con l’intrecciamento, fissandole infine sul capo, accennanti forme serpentine, sovrapponendosi più volte; talvolta, per la fretta dovuta ai lunghi cammini ad attenderla, dimenticava fini ciocche nella parte frontale, rimanenti ad incorniciarle il viso, spigoloso, vissuto, facilmente riconoscibile a causa di una cicatrice ormai appartenente al passato; probabilmente quella che doveva esser stata una ferita da taglio, partiva da sotto la narice destra, trapassandole entrambe le labbra carnose, superiore e inferiore, terminando qualche cm dopo quest’ultimo; la carnagione olivastra di chi non temeva i caldi abbracci del sole, contornata da diversi segni, simili a pennellate, presenti sugli arti, in particolar modo sulle zone corrispettive ai metacarpi.


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Dolci note di violino provenivano da quella piccola abitazione che dava sul mare, isolata, immersa nella natura; gli strumenti a riprodurle erano due, perfettamente in armonia, madre e figlia unite da quel dono in grado di incantare le menti più ferme.
La fragranza di pane appena sfornato pervase l’aria.
“Che ne dite di una piccola pausa?” esordì il compagno, e padre, facendo la sua entrata nella stanza musicale reggendo un vassoio colmo di soffici pagnotte al miele con un braccio, con l’altro, in un piatto, una montagnola di fragole raccolte quella mattina vicino casa e un panetto di burro morbido. Un sorriso radioso sul volto di lui quando scorse la piccola reagire con entusiasmo, saltellandogli intorno, il minuto violino ancora in una mano, l’archetto nell’ opposta.

Uno scoppio improvviso, proveniente dall’ingresso, tramutò le espressioni gioiose in maschere grottesche pervase dal terrore.
La coppia riuscì a trovare la lucidità e, in quello che fu un battito di ciglia, mentre lei prese la figlia di peso e la nascose in un grosso baule sotto la finestra, lui corse nella stanza accanto, lanciò una spada in direzione della donna, stretta invece nella sua mano sinistra una pesante ascia. La piccola ad osservare il tutto, lo sguardo impaurito da quel cassone socchiuso.

Sembrò durare un’eternità, eppure fu tutto così rapido.
Uomini dalle armature scure come la notte irruppero, una figura avvolta in un mantello color del sangue spiccò fra di essi, pronunciando parole incomprensibili, soffiò uno strano pulviscolo violaceo in direzione di suo padre che, dopo diversi cambi repentini d’espressione, perse i sensi. La madre corse a sorreggerlo in tempo ad evitargli una caduta improvvisa sulla pavimentazione di pietra dura, sussurrò qualcosa all’orecchio di lui, per poi appoggiare il suo corpo dolcemente a terra. Si voltò di scatto in direzione della cassa celante la figlia, un sorriso accompagnato da lacrime incontrollate. Un sorriso di chi sapeva, di chi amava. Neanche un secondo e si rivolse nuovamente verso quegli uomini, la spada cominciò a brillare e caricò. La rabbia divenne forza, la fede divenne scudo.
Non bastò.
Tre vennero trapassati dalla lama di luce, due feriti.
Una risata ruppe il cozzare delle armi, cadde a terra quel rosso drappo e fu visibile.
Una donna, bellissima eppur spaventosa al contempo, accompagnò la risata con un plauso.
“Asteria, inarrestabile come sempre, proprio come ricordavo.” esordì con tono divertito, fece una pausa per poi concludere, con viso di colpo austero “Ti sei però indebolita, a differenza mia, vecchia compagna.”
Asteria non fece in tempo a trafiggersi con la sua stessa arma che la maliarda alzò le mani ossute, stringendole con fermezza, a mezz’aria.
“Oh no, tu verrai con me. Il tuo animo non ti apparterrà più, così come il tuo stesso corpo. Voi, prendetela! Non potrà muoversi per un paio d’ore, legatela stretta nel caso dopo opponesse resistenza o volesse ritentare il suicidio. Sarà un lungo viaggio.”
Fu l’ultima volta che Cassandra la vide.

Il padre si risvegliò ore dopo.
Scoppiò in un pianto struggente.
La lucidità lo raggiunse nuovamente e corse verso il baule, tirò fuori la bambina, stringendola forte a sé.
“Andrà tutto bene, ritroveremo la mamma.” mentì mentre le rimboccava le coperte.
“Adesso riposa.” disse scoccandole un bacio sulla fronte.
Il giorno dopo, quello che ricordava esser stato il suo dolce padre aveva lasciato il posto a un’ombra cupa, rabbiosa, aggressiva. A tratti Cassandra poteva scorgere quel suo sguardo bonaccione, confuso, guardarla e sorridere ma durava pochi minuti.
L’ombra tornava, più forte di prima.
Passarono gli anni e il padre riaffiorava sempre più di rado, ricordando sempre meno di ciò che accadeva quando non era in sé.
Quando giungeva a casa e la trovava nella stanza musicale a suonare il violino le conseguenze sfociavano in punizioni corporali terribili. Peggioravano gradualmente.
Le prime volte Cassandra pianse. Non capiva. Col passare del tempo imparò a sopportare in silenzio e a farsi scoprire sempre meno. Divenne cauta.
“Ti ho detto di smetterla eppure eccoti di nuovo qua a suonare quel maledetto strumento. E’ TUTTA COLPA TUA. LO CAPISCI? ORA DEVO FARLO.” Lo frantumò a terra. “NON BASTA.” la strattonò per l’esile braccio. Prese delle cinghie, fissò le mani di lei al tavolo. “COLPA TUA. SOLO COLPA TUA. DEVO.”.
Uno ad uno le ruppe i metacarpi. Le grida squarciarono l’aria per i primi tre, dopo solo il silenzio di chi non sentiva più nulla.
Quella sera l’uomo rinsavì.
Non capitava da mesi? Nemmeno rammentava l’ultima volta. Notò il piccolo strumento musicale distrutto, pezzi di legno frantumato sparpagliati per la stanza. Andò da lei, le guardò le mani e in silenzio gliele medicò, confidando in una pronta guarigione vista la giovane età. Le spiegò cosa fare e cosa non, mentre lei lo fissava, le lacrime in quei grossi occhi di fanciulla.
“La mia piccola volpe.” le disse accarezzandole la testa, nomignolo che le aveva affibbiato anni prima a causa dello sguardo dalla forma allungata e intenso, simile a quello dell’omonimo animale.
Lei lo sentiva. Lo sapeva. Sarebbe stata l’ultima volta. Lo abbracciò.
“Ti voglio bene, piccola mia. Perdonami.”
Tornò dal salone adiacente con una custodia in mano, gliela porse delicatamente.
“So che le renderai onore. Custodiscilo. E non dimenticarla, mai. Sarà con te, in ogni nota. Ogni melodia. Sempre.” fece una pausa “Anch’io lo sarò.”
Cassandra lo sentì uscire, i passi allontanarsi.
Aveva 15 anni.
Non sapeva cosa le avrebbe riservato il futuro, però quei volti li ricordava bene.
Li sognava ogni notte.
Sarebbe divenuta forte. L’amore e la sofferenza a carburare quella determinazione.
Il suo viaggio sarebbe cominciato presto, e lei sarebbe stata pronta a narrarne la conclusione.




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Canzone d'accompagnamento al profilo di Cassandra: 
https://www.youtube.com/watch?v=krKhWyyHK5A





 

 

Scheda pg Sele - Cassandra - Bardo.pdf

Modificato da Seleyes
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