raemar Inviata 12 Settembre 2007 Segnala Inviata 12 Settembre 2007 inizio con qualcosa scritto qualche anno fa e rivisto pesantemente, da un punto di vista stilistico, qualche giorno fa.. se qualcuno di voi frequentava it.arti.fantasy, potrebbe anche averlo già letto (e potrebbe anche avermi già insultato in proposito).. scannatemi... ----- Sangue La prima percezione che ebbi quando riuscii ad aprire gli occhi fu il verde scuro dell'erba. Il viso era premuto contro il terreno, posizione insolita per riposare. L'odore forte della terra umida mi scosse, e poco alla volta riacquistai la padronanza dei muscoli. Mi alzai lentamente, sistemandomi sulle ginocchia e spostando tutto il peso sulla parte posteriore delle cosce; iniziai a guardarmi intorno. Un dolore, una fitta lancinante poco sopra l'orecchio destro mi colpì nel momento stesso in cui volsi lo sguardo a sinistra. Le dita si mossero a indagare quell’area che pulsava così selvaggiamente e costringeva il mio collo a una inclinazione innaturale. Il rosso calore che incontrai mi aiutò a diradare la nebbia che ancora mi avvolgeva la mente: immagini sconnesse di uno scontro all'interno della foresta, di figure che mi circondavano, di un'elsa di spada che riluceva nella notte. Una brezza gentile andò ad accarezzare la lesione provocandomi tremendi spasmi. Piccole gocce rosso vermiglio, impastate della mia essenza, iniziarono la loro discesa verso il centro della terra: correvano dietro l'orecchio, seguivano per inerzia la linea della mandibola e concludevano il loro percorso in un fulmineo e cadenzato tuffo verso il suolo. Assunsero vita propria, come schiave di un potere sconosciuto: ribollirono e, quindi, iniziarono a distinguersi nella minuscola pozza che avevano formato, procedendo nel loro frenetico movimento verso un punto a un paio di metri da me. Zigzagavano tra i fili verdi che sorgevano sul loro percorso. Ero sbalordito, poiché mai mi ero trovato di fronte un incantesimo del sangue. Del mio sangue. Gli occhi andarono alla ricerca di spiegazioni in ogni direzione, ma la richiesta fu immediatamente rigettata dall'impenetrabilità degli alberi. Quella macchia, raccolta ora poco più in là rispetto alla mia posizione, ricominciò il suo movimento, stavolta a spirale, vortice in cui nasceva, cresceva e si perdeva il mio terrore. Fu giusto un attimo, e tante piccole traiettorie rosse schizzarono verso il cielo, come impazzite, eppure terribilmente logiche nel loro moto. Prima due gambe, poi un tronco da cui spuntarono due braccia; ancora, un collo, ed infine la testa, con lunghi fili che germogliarono da essa come capelli umani, andandosi a raccogliere in un'unica treccia. Era il mio sangue. Era un altro essere. Nemmeno il tempo di ringraziare per il fatto che chiunque mi avesse ferito non aveva prestato molta cura nel disarmarmi, e mi fu addosso. Non era armato, ma un riflesso incondizionato mi convinse a scansarmi il più velocemente possibile. Scelta corretta, poiché laddove la mano aperta di quella creatura andò a scontrarsi col terreno, fu questo a dover cedere. Il movimento quasi meccanico del suo collo fece fluttuare la treccia nell'aria, finché essa nuovamente trovò riposo su quelle scapole inumane. I suoi occhi erano scolpiti nei miei. In pochi istanti riuscii a sguainare la spada. L'elsa era ghiacciata, ma strinsi a essa le mani più che potei, assumendo la posizione di difesa. Il mio avversario ora si muoveva a quattro zampe. Pochi passi di lato, sempre lo sguardo fisso nel mio, quindi un movimento rapido che solo all'ultimo riuscii a schivare. L’albero alle mie spalle cedette, ma quello spostamento aveva lasciato l'essere senza difese. Alzai l’arma, e con la massima potenza menai un fendente che andò ad aprire un varco nel suo corpo laddove avrei dovuto incontrare la resistenza della clavicola. La lama attraversò quella sagoma come fosse pura acqua. Il suo viso contrasse finti muscoli in un'espressione di dolore, e migliaia di gocce implosero come il vetro spezzato si infrange, senza lasciare alcuna traccia di ciò che poco prima era stato. Abbassai la punta della spada fino a congiungerla col terreno: ero stremato e spaventato. In quel momento di quiete, migliaia di gocce compirono il percorso inverso, come se qualcuno stesse richiamando il tempo appena trascorso. L'essere si ricompose, esattamente come si era sfatto. Ero pietrificato. Di certo nelle mie vene il sangue doveva essersi gelato; i muscoli dovevano aver perduto per sempre la possibilità di agire e la mente doveva essere imprigionata in quelle rosse gocce di morte. La creatura sinistramente sorrise. Le bastò uno spostamento della mano per schiantare letteralmente le ossa del mio avambraccio. Non riuscii nemmeno a gemere per il dolore. "Dei del cielo e della terra". Un liquido caldo percorse velocemente l'interno delle mie gambe. "Padre, Madre". La spada mi sfuggì, ma non toccò terra perché fu nelle sue mani prima che potessi realmente rendermene conto. "Lothar, Rien, Lisa". Affondò con tutta la forza dritto nella mia pancia, e penetrò fino all'elsa con un unico, fluido movimento. "Jon, Dorean". La lama fu estratta di nuovo. Grondava sangue. "Nadine". Il mio sangue. "Eleanor, Ljhin". Stavolta fu lui a preparare il fendente. "Ethan". Ero immobile, ma cosciente, e potei sentire il taglio della mia lama iniziare a scavare i muscoli del collo. "Kirstin".
raemar Inviato 26 Agosto 2008 Autore Segnala Inviato 26 Agosto 2008 no, scherzi a parte, un qualche mod o admin può modificare il terribile titolo che diedi a questo thread a suo tempo? un "i miei racconti" sarebbe più gratificante, o anche "i miei (mezzi) racconti", "i miei scritti", "i miei poemi", "i miei patemi", insomma, qualunque cosa va bene.. detto questo, riesumo questo spazio perché mi è tornata voglia.. e lo faccio riprendendo una favola che avevo scritto su espressa richiesta di una mia ex che mi chiese, in un momento molto tenerorso, di raccontarle la storia della befana.. sul momento feci il burbero, poi il mio essere romanticone ebbe il sopravvento e scrissi questo (poi riveduto e corretto).. se ve lo state chiedendo, no, non sono un pedofilo e non stavo con una bambina (almeno non anagraficamente) e no, non mi ha lasciato dopo aver letto questa favola.. ----- la leggenda di bheor e phània Spoiler: Viveva un tempo, in una terra lontana, un re potente e ammirato, temuto dai nemici e benvoluto dai sudditi. Il suo regno era in guerra ormai da moltissimi anni, da quando ancora egli era niente più che un audace giovinetto intento a giocare con spade di legno contro mostri e draghi partoriti dalla sua fantasia. Il re aveva una figlia, di nome Phània, tra le fanciulle la più bella, tanto che in tutto il mondo conosciuto veniva chiamata “Phània la lucente”: i suoi capelli, lunghi fino alla vita, erano del colore dell’oro, e nulla sembrava poter competere con essi in quanto a splendore; il suo viso pareva essere stato plasmato dal più abile degli scultori direttamente sul più prezioso dei materiali che la natura avesse donato all’uomo; il suo corpo riconosceva e ampliava in ogni forma l’armonia di ciò che le stava intorno. Si sussurrava che a volte, quando usciva dall’acqua, o si alzava da terra, o raccoglieva frutti dai rami, le sue ancelle faticassero a distinguerla dal mondo che la circondava, tanto il suo essere era in equilibrio con esso. Phània era l’unica figlia che la regina fosse riuscita a partorire. Il re amava troppo la moglie per ripudiarla e cercare un’altra donna che fosse in grado di dargli un erede. In più, riusciva a scorgere nella sua bambina una tale sintesi di bellezza, amore e saggezza che era certo gli Dèi non gli avrebbero concesso una così grande gioia del cuore una seconda volta. Nell’arco di una vita il sovrano era riuscito a estendere il suo regno quasi fino al limite del mondo conosciuto. Tuttavia, un’ampia fascia di terra restava ancora nelle mani del suo più acerrimo nemico. Un po’ per l’età, un po’ per il desiderio prioritario di trovare un buon marito per la figlia (e quindi, un buon futuro re), egli esitava a lungo prima di sferrare l’attacco finale. Giunse un giorno al castello un’ambasciata guidata dal principe figlio del suo rivale. Il re ne fu estremamente sorpreso, ma la sua meraviglia giunse al culmine quando sentì parlare il suo interlocutore in questo modo: “Sire, il vostro regno e quello di mio padre sono in guerra da molto, troppo tempo. Non intendo mancarvi di rispetto, ma fra pochi anni la vostra forza cesserà di pulsare e lo stesso varrà per il mio amato genitore. Ora, voi non avete discendenza maschile e io non desidero far crescere i miei figli nello stesso scenario di morte e distruzione che ha accompagnato la mia infanzia e la mia adolescenza. Datemi in sposa vostra figlia e vi prometto che la pace regnerà sulle nostre terre unite fino a che ciò dipenderà dalla mia volontà.” Lo smarrimento del re di fronte a questa proposta era tale che solo le parole della regina riuscirono a farlo tornare in sé. “Nonostante l’importanza della questione, sia nostra figlia a decidere. È giovane, certo, ma intelligente abbastanza, e pura di cuore, per compiere una scelta assennata.” Quando Phània entrò nella stanza del trono le fu spiegata la situazione e subito lei andò intimorita alla ricerca degli occhi dei genitori per riceverne un seppure accennato consiglio. Il principe le si avvicinò e le prese una mano. Fu solo un istante. Phània incrociò il suo sguardo e comprese che il suo sposo non avrebbe potuto essere lui. Ella ritrasse la mano tra i mormorii di disapprovazione di tutti i presenti. Di certo dovettero pensare alla leggerezza tipica della giovane età della ragazza, la quale non avrebbe altrimenti potuto non provare nobili sentimenti per quel principe così bello e dai modi gentili. Presto, tuttavia, dovettero ricredersi. Non appena intuita la sentenza, il giovane che stava di fronte alla principessa mutò le sue sembianze e si trasformò in una vecchia strega anziana e decrepita. “Tu hai osato sfidarmi!”, stridette la sua voce. “Che tu sia maledetta! E con te il tuo nome e la tua discendenza”. Svanì quindi nel nulla, non senza aver sussurrato tra i denti: “Avrò la mia vendetta!”. Nei giorni successivi, mentre gli uomini che avevano accompagnato il principe all’interno del castello venivano interrogati per capire chi fosse il mandante di un tale affronto, il re aveva già puntato tutti i suoi sospetti sul sovrano nemico, il cui intento era evidentemente quello di rapire la figlia così da poterla poi scambiare con una resa incondizionata. Quando giunse la conferma dalle guardie, il re aveva già delineato un piano di azione, forse maggiormente guidato dal furore che non dalla ragione. Tutto venne preparato per un lungo assedio. Furono scelti gli uomini più valorosi, i destrieri più adatti al combattimento e allo stesso tempo più veloci nel coprire lunghe distanze, le armature più resistenti, le spade e gli archi più letali. Furono messi all’opera i migliori ingegneri per la costruzione delle catapulte, delle torri d’assedio e degli arieti. Un’intera città era ormai pronta al di fuori delle mura in attesa di mettersi in moto. Durante i preparativi per la spedizione, un giovane guerriero di nome Bheor ebbe più volte modo di consigliare per il meglio il sovrano nell’allestire quell’immensa macchina distruttrice. Nonostante la giovane età, egli si era già distinto nelle precedenti battaglie e nei tornei come uomo valoroso e impavido, incredibilmente intelligente anche nelle situazioni più difficili. Poco prima di partire, il re lo chiamò a servire nella sua guardia personale. Bheor passò molto tempo al castello in quei mesi e non poté rimanere indifferente di fronte alla bellezza della giovane Phània, la quale a sua volta dimostrò di gradire le attenzioni del ragazzo, essendo lui l’unico uomo, a parte suo padre, con cui si fermasse a conversare. Giunse il giorno della partenza. Mentre tutti si allineavano secondo gli ordini ricevuti, Bheor spezzò per un momento quella perfetta sincronia di movimenti per avvicinarsi a Phània, così da passarle un piccolo oggetto. Si trattava di un pezzo di legno lavorato a mano, su cui erano stati incisi i nomi dei due giovani. La principessa non riuscì a trattenere il rossore sul viso e il re suo padre, accortosi dell’episodio, si avvicinò deciso ai due. Nel cuore di Bheor per un istante comparve un sentimento simile al pentimento per quel gesto avventato, che si doveva senz’altro a quella forma particolare di coraggio concessaci nei momenti in cui sappiamo di dover partire. “Ascoltatemi bene tutti!”, richiamo a sé l’attenzione il re. “Ci apprestiamo a partire per una battaglia, dalla quale non torneremo se non vincitori.” Qualche grido si alzò, ma un gesto del sovrano non faticò a spegnere l’entusiasmo. “Non sono un veggente, ma se gli Dèi ci concederanno la vittoria, stabilisco ora che al nostro ritorno mia figlia andrà in sposa a Bheor, mio fedele compagno d’armi, mio consigliere, mio figlio.” La folla questa volta non ebbe freni, né qualcuno li impose, ed espresse il suo consenso come meglio poté. Bheor sorrise a Phània, e questa ricambiò. Una lacrima, senz’altro di gioia, solcò il suo viso, e quella fu l’unica vittoria che ella concesse all’amore, poiché ben sapeva quanto delicata fosse la situazione. Passarono le settimane, quindi i mesi, e non vi furono notizie, fino a quando un gruppo di cavalieri con il vessillo del re si avvicinò al castello. La regina, che ormai aveva trasferito le sue stanze nella torre più alta per scrutare l’orizzonte, corse loro incontro. “Quali notizie?” “Il nemico è sconfitto, mia regina. Il re in persona lo ha ucciso.” “Dove si trova ora? Al castello?” “Mia signora e regina, ciò che vedete di fronte ai vostri occhi sono i resti della nostra vittoria.” La regina allora diede forma al sentimento che già albergava nel suo cuore da giorni. Il marito era morto, con lui il promesso sposo di sua figlia. Stando a quanto raccontarono i superstiti, quando ormai l’esercito nemico, compreso il rivale del re, giaceva morto sul campo di battaglia, un enorme drago era spuntato dalle montagne dietro al castello e si era lanciato con imprevisto impeto proprio contro il sovrano e il giovane guerriero, facendoli svanire tra le fiamme che la sua bocca sputava. Appresa la notizia, Phània pianse a lungo, con la madre che cercava di consolarla pur avendo in petto un dolore forse più grande di quello della figlia. Passarono alcuni mesi. La pace regnava, ma la tristezza era ancora compagna della corte. Un giorno, mentre faceva il bagno nel lago, Phània fu richiamata da una voce nella foresta. Era certa che non potesse essere, eppure le pareva che fosse Bheor a guidarla tra gli alberi e gli arbusti pronunciando più volte il suo nome. Giunta in una radura, la voce cessò. Phània stava per voltarsi e tornare indietro quando un’altra voce, stavolta stridula e maliziosa, prese il posto della prima: “Ti ho ingannata. E ho avuto la mia vendetta. Su tuo padre e sul tuo promesso sposo.” La strega era comparsa a fianco del tronco di un albero, la stessa strega che si era presentata sotto le false sembianze del principe nemico e che l’aveva maledetta. “Il mio potere è quello di assumere varie forme. Sono riuscita a confondere quegli allocchi semplicemente con qualche minuscola fiamma. Alla vista del drago, avrebbero certo voluto fuggire per lo spavento, ma le gambe hanno fallito e il loro cuore ha ceduto mentre credevano di essere avvolti nelle spire del fuoco.” Una risata sinistra si levò da quell’essere, andando ad attutire i rumori della foresta. Phània non comprese subito cosa stesse succedendo. In pochi secondi la sua mano strinse un sasso a terra e lo scagliò con brutale forza contro la vecchia che, certamente sorpresa da quella reazione, crollò a terra inerme. Quando tornò in sé, la giovane principessa comprese che il dolore, la disperazione e la derisione l’avevano portata ad agire contro ragione con quella parte di noi che, per timore, teniamo sempre nascosta. Non poté fare a meno di ricordare le leggende che le venivano raccontate quando era una bambina: chi toglie la vita a una strega, ne assume i poteri. Aveva già chiaro in testa cosa doveva fare. Tornò al castello, prese poche cose, salutò la madre con un bacio, dicendole che sarebbe partita per un viaggio. La regina capì che non l’avrebbe più rivista, ma non fu capace di fermarla, poiché avrebbe significato andare contro il suo volere. Phània rientrò nel bosco, strinse nel pugno il piccolo oggetto di legno che Bheor le aveva donato prima di partire. Non avrebbe amato un altro uomo. Non avrebbe concesso agli altri uomini di guardarla con desiderio. Pensò alla strega. Sollevò le mani e queste erano divenute grinze, vecchie, con lunghe unghie che parevano artigli. Riflesse il suo viso nell’acqua del lago e nulla era rimasto del suo precedente aspetto: era simile in tutto e per tutto a quella vecchia causa della sua disgrazia. Prese a girovagare per il mondo. Dopo molti anni, il primo essere vivente che le rivolse la parola fu un bambino. Nessuno mai aveva osato anche solo guardarla, proprio come lei aveva desiderato. Il bambino, tuttavia, la fissò negli occhi e sembrò poter mirare la bellezza che un tempo era stata. “Hai un regalo per me?” Phània fu talmente sorpresa che il bambino dovette ripetere la domanda. “Hai un regalo per me?” La principessa frugò nelle tasche e nel fagotto che aveva con sé, ma non riusciva a trovare nulla che potesse avere sufficiente valore da ricambiare l’attenzione di quel bambino. Alla fine, trovò qualcosa. “Tieni.” Sorridendo, gli diede il prezioso dono che Bheor le aveva fatto. “Oh, è bellissimo!”, fece il bambino. “Grazie signora!”. Quindi si voltò e si mosse per ritornare a casa. Prima di scomparire nella foresta, però, chiese: “è questo il tuo nome? Bhephània?”. Il tempo aveva roso le lettere sul legno. Phània sorrise di cuore, come da anni non le capitava più di fare, e rispose: “Sì, tesoro, è proprio quello il mio nome”.
demiurgo Inviato 26 Agosto 2008 Segnala Inviato 26 Agosto 2008 Be' intanto io ho letto "Sangue" e mi è piaciuto. La descrizione del combattimento è efficace e molto chiara. Molto indivinata anche la "litania di nomi" sul finale. Un buon lavoro.
raemar Inviato 27 Agosto 2008 Autore Segnala Inviato 27 Agosto 2008 dio salvi il demiurgo! grazie per il commento, sono lieto che ti sia piaciuto..
demiurgo Inviato 1 Settembre 2008 Segnala Inviato 1 Settembre 2008 Ho letto anche la storia dela befana (bhephània, in lingua originale). Bella! Molto bella! Però è anche triste (idea: si presterebbe anche ad essere più "dark") E' scritta bene, in puro stile fiaba. Ben fatto. Se hai intenzione di rivederla, io ti consiglio di sintetizzare giusto un pochino la parte centrale, e di cambiare qualche termine (solo due ): - ...chi fosse il mandante... io direi "chi avesse ordinato" o "chi avesse architettato". Il termine "mandante" fa pensare troppo alla cronaca contemporanea e spezza un po' l'atmosfera. - ...forma particolare di coraggio concessaci nei momenti... concessaci è un po' brutto (non so perché, forse per il suono), consiglio "che è concessa" o più semplicemente "concessa" (oppure un sinonimo, ma ora come ora non me ne viene in mente nessuno ) Bravo. Se hai scritto altre cose, postale
raemar Inviato 1 Settembre 2008 Autore Segnala Inviato 1 Settembre 2008 Ho letto anche la storia dela befana (bephania, in lingua originale). Bella! Molto bella! Però è anche triste (idea: si presterebbe anche ad essere più "dark". E' scritta bene, in puro stile fiaba. Ben fatto. che dire, grazie, anche solo per aver preso un po' di tempo per leggere le mie cose.. ti dirò che il racconto era nato "più dark", e anche più "pulp", però poi mi sono detto "ehi, è una fiaba, lascia un attimo da parte i tuoi gusti e pensa a come vorresti che tuo figlio la leggesse".. insomma, mi piaceva l'idea di mettermi a confronto con un genere ben definito.. ci ho provato.. Se hai intenzione di rivederla, io ti consiglio di sintetizzare giusto un pochino la parte centrale, e di cambiare qualche termine (solo due ): - ...chi fosse il mandante... io direi "chi avesse ordinato" o "chi avesse architettato". Il termine "mandante" fa pensare troppo alla cronaca contemporanea e spezza un po' l'atmosfera. hai ragione, forse mi ha un po' influenzato la passione per csi.. - ...forma particolare di coraggio concessaci nei momenti... concessaci è un po' brutto (non so perché, forse per il suono), consiglio "che è concessa" o più semplicemente "concessa" (oppure un sinonimo, ma ora come ora non me ne viene in mente nessuno ) ancora una volta, sono d'accordo.. concessaci, concessacivi, concessavicisi.. mi sono lasciato prendere dallo spirito della marchesini (non che sia morta).. Bravo. Se hai scritto altre cose, postale grazie, grazie e ancora grazie.. sì, ho altre cose, per lo più incomplete, che devo recuperare (nel senso che non so realmente dove stiano) e sistemare.. quando riesco le posto.. grazie (l'avevo già detto?)..
demiurgo Inviato 1 Settembre 2008 Segnala Inviato 1 Settembre 2008 che dire, grazie, anche solo per aver preso un po' di tempo per leggere le mie cose.. Prego! Ma piuttosto grazie dovrei dirlo io per il tempo impiegato da te nello scrivere. Adesso però basta coi grazie-prego, è un tunnel, potremmo non venirne più fuori Il fatto è che sui forum e in giro per il web sembra più facile trovare gente che scrive che non gente disposta a leggere e (magari!) commentare. L'hai notato anche tu, no? Parlo in generale, non mi riferisco al forum DL dove la quantità di commenti comunqe è (secondo me) superiore alla media. ancora una volta, sono d'accordo.. concessaci, concessacivi, concessavicisi.. mi sono lasciato prendere dallo spirito della marchesini (non che sia morta)..
Samirah Inviato 4 Settembre 2008 Segnala Inviato 4 Settembre 2008 Eccomi! Finalmente l'ho letta, così la smetti di scassare su msn! A parte gli scherzi, ti ho già detto più volte che secondo me scrivi molto bene e anche questa favola me lo conferma. E' bella e scorrevole e l'atmosfera della fiaba c'è tutta. Trovo forse poco piacevoli i cambiamenti di ritmo che ho avvertito nella lettura, considerando la brevità del testo, ma immagino che l'improvvisazione abbia portato a ricamare sopra ad alcuni dettagli tralasciando altre situazioni, descritte in poche parole, quasi trascurate. Alcuni passaggi sono molto classici, riscontrabili in ogni fiaba, ma non c'è banalità nell'insieme. Bravo.
raemar Inviato 5 Settembre 2008 Autore Segnala Inviato 5 Settembre 2008 Eccomi! Finalmente l'ho letta, così la smetti di scassare su msn! bè, adesso, riportare tutti i retroscena mi sembra eccessivo.. A parte gli scherzi, ti ho già detto più volte che secondo me scrivi molto bene e anche questa favola me lo conferma. E' bella e scorrevole e l'atmosfera della fiaba c'è tutta. Trovo forse poco piacevoli i cambiamenti di ritmo che ho avvertito nella lettura, considerando la brevità del testo, ma immagino che l'improvvisazione abbia portato a ricamare sopra ad alcuni dettagli tralasciando altre situazioni, descritte in poche parole, quasi trascurate. grazie, anche se non capisco bene cosa intendi per "cambi di ritmo", magari un giorno avrai modo di spiegarmelo.. comunque, hai ragione sul fatto dell'improvvisazione: questa fiaba è nata realmente in un paio d'ore, poi chiaramente è stata rivista, corretta, ampliata in certi punti, eccetera, ma lo scheletro è rimasto lo stesso, può darsi che abbia effettivamente tralasciato alcune cose.. Alcuni passaggi sono molto classici, riscontrabili in ogni fiaba, ma non c'è banalità nell'insieme. Bravo. grazie!
raemar Inviato 19 Settembre 2008 Autore Segnala Inviato 19 Settembre 2008 solo un'immagine che mi è apparsa in mente mentre oggi pomeriggio, di riposo dal lavoro, leggevo il nome del vento.. difficilmente sfocierà in qualcosa di diverso, ma non si sa mai.. --- La pioggia pesante rendeva la strada difficilmente praticabile, come non fosse bastato il peso trasportato ad affaticare la mia andatura. Eppure, non potevo non considerare la pienezza di quella situazione. L'autunno, i suoi venti, i suoi odori, i suoi differenti umori, il sole pallido, la pioggia fine, le diverse gradazioni di bagnato. Mentre mi dirigevo verso la locanda, i capelli appiccicati fastidiosamente alla fronte fino a oscurarmi in parte la visuale, mi era impossibile non percepire l'odore dell'erba fradicia, del fango solcato dalle ruote di un carro, del fumo delle abitazioni che portava in strada diversi sapori. Il rumore dell'acqua contro la pietra e la terra, il pestare di piedi incerti al margine della strada, il vociare confuso oltre le porte chiuse. Perfino la quasi invisibile nuvola di vapore che si formava di fronte alla mia bocca a ogni respiro affannato era motivo di immensa gioia per il cuore. Quando giunsi di fronte all'ingresso della Pietra miliare, trassi un respiro più profondo e lo sputai fuori con tutta la poca forza che mi era rimasta dalla sera precedente. Entrai e per un attimo il mondo si fermò. Mentre chiunque fosse nella sala mi osservava stupito, lasciai scivolare il corpo dalle spalle al tavolo libero più vicino in un unico movimento, una fluidità che faticavo a riconoscere al mio fisico. Stremato, caddi a terra. E la stanza, improvvisamente, si rianimò, divenendo contemporaneamente buia.
demiurgo Inviato 21 Settembre 2008 Segnala Inviato 21 Settembre 2008 Be', che dire, hai scritto una descrizione davvero efficace... leggendo mi sembrava di essere lì! E' molto realistica perché non hai trascurato nessun elemento sensoriale. Oltre a vedere, possiamo ascoltare, odorare/assporare, e soprattutto percepire in modo tattile (il senso di umidità e di freddo, i capelli appiccicati) l'ambiente che ci circonda. A me di solito non piacciono le descrizioni costruite come degli elenchi, ma nel tuo caso questa forma serve a dare movimento, a fornire il senso del trascorrere del tempo durante il passaggio del personaggio per la strada verso la locanda. Non è facile fornire una descrizione sensoriale completa (5 sensi + 1) in sole 5-6 righe. Bravo. Cosa manca: sembra poco reale che questa persona attraversi le strade di un villaggio con un corpo sulle spalle, senza che ci sia una rezione delle persone del posto. Le strade sono completamente deserte per la pioggia? Siamo in un piccolo villaggio o in una cittadina? Chi porta sulle spalle? Morale della favola: hai scritto una descrizione esemplare: ora scrivi tutto il resto
doria Inviato 26 Settembre 2008 Segnala Inviato 26 Settembre 2008 Molto ben scritta la descrizione! Davvero! Aspettando la continuazione e chiedendoti: " terra. E la stanza, improvvisamente perchè hai messo il punto?" Per gli altri racconti meno recenti li leggerò domani, postando dopo un commento...
raemar Inviato 27 Settembre 2008 Autore Segnala Inviato 27 Settembre 2008 @demiurgo e doria: difficilmente ci sarà una continuazione, come detto si trattava di una immagine nata durante la lettura di una scena di un libro, che mi sarebbe piaciuto approfondire, e così ho fatto.. era anche un modo per esercitarmi con questo tipo di descrizioni sinestesiche.. magari inserirò la situazione altrove, chissà.. @demiurgo: le tue domande sono legittime, più che legittime, ma nonostante io ambisca alla completezza delle situazioni descritte (cioè, se c'è una mosca su un tavolo in una locanda con duecento persone, tendo a doverlo dire ), alcune cose vanno lasciate in sospeso.. perché il personaggio attraversa il villaggio con un corpo sulle spalle senza che nessuno dica niente? magari lo ha già fatto prima, magari la gente è abituata a vederlo in queste situazioni, magari il corpo che porta non è quello di un uomo, magari pur essendo quello di un uomo questi non è morto, o magari semplicemente si tratta di un villaggio in cui la gente ama farsi i fatti suoi.. però è bello questo esercizio sui racconti.. interessante, davvero, mi hai dato un bello spunto.. @doria: ci tenevo che il finale fosse spezzettato e ricco di pause, per riportare la stanchezza del personaggio.. non c'è solo quel punto, ci sono anche quattro virgole nel giro di poche parole, sette-otto se prendi le ultime due righe, perché il tutto va letto con fatica.. in più, quella frase doveva essere a se stante.. p.s.: sto riprendendo in mano i racconti che avevo iniziato a scrivere, senza mai finirli, diversi anni fa, sistemandoli e cercando di dare loro una concretezza maggiore di quanta non ne abbiamo.. dal momento che per me è fondamentale il confronto, dal momento che è difficilissimo (almeno per me) farsi leggere su questo forum e dal momento che avete avuto il buon cuore di darmi il vostro giudizio su ciò che avete letto, che ne dite di creare una sorta di piccolo gruppo di lettura, un po' una formalizzazione di ciò che già avviene, chiaramente senza vincoli e senza obblighi? non so, è solo un'idea, se vi interessa approfondire, ci sentiamo via mp..
doria Inviato 28 Settembre 2008 Segnala Inviato 28 Settembre 2008 zampe. Pochi passi di lato, sempre lo sguardo fisso nel mio, quindi un movimento rapido che solo all'ultimo riuscii a schivare. Qui ti chiedo solo di dirmi perchè ha messo il punto dopo zampe: non era meglio utilizzare i due punti?... ma strinsi a essa le mani più che potei Questa frase non mi piace: perchè non sostituisci "essa" con qualcosa d'altro?... Per il resto: mi sembra evidente la tua bravura e la bellezza dello scritto. Ne hai poi fatte continuazioni?...
demiurgo Inviato 29 Settembre 2008 Segnala Inviato 29 Settembre 2008 le tue domande sono legittime [...] alcune cose vanno lasciate in sospeso.. Ok, hai ragione. Però se rispondi alle mie domande con altre domande non vale p.s.: sto riprendendo in mano i racconti che avevo iniziato a scrivere, senza mai finirli, diversi anni fa, sistemandoli e cercando di dare loro una concretezza maggiore di quanta non ne abbiamo.. dal momento che per me è fondamentale il confronto, dal momento che è difficilissimo (almeno per me) farsi leggere su questo forum e dal momento che avete avuto il buon cuore di darmi il vostro giudizio su ciò che avete letto, che ne dite di creare una sorta di piccolo gruppo di lettura, un po' una formalizzazione di ciò che già avviene, chiaramente senza vincoli e senza obblighi? non so, è solo un'idea, se vi interessa approfondire, ci sentiamo via mp.. Approvato al 100%. Come si dice, siamo tutti sulla stessa barca...
raemar Inviato 1 Ottobre 2008 Autore Segnala Inviato 1 Ottobre 2008 Qui ti chiedo solo di dirmi perchè ha messo il punto dopo zampe: non era meglio utilizzare i due punti?... non amo particolarmente i due punti, né il punto e virgola.. solitamente preferisco le pause date dal punto e dalla virgola.. forse a questa scelta è sotteso un certo estremismo.. Questa frase non mi piace: perchè non sostituisci "essa" con qualcosa d'altro?... hai ragione, "essa" è molto brutto.. Per il resto: mi sembra evidente la tua bravura e la bellezza dello scritto. Ne hai poi fatte continuazioni?... ti ringrazio per l'evidenza, ma credimi nulla è evidente.. no, nessuna continuazione, anche in questo caso si trattava più di una immagine non ricordo sinceramente ispirata da cosa.. è passato molto tempo..
doria Inviato 1 Ottobre 2008 Segnala Inviato 1 Ottobre 2008 ti ringrazio per l'evidenza, ma credimi nulla è evidente.. Discutibile...ma non è questa la tesi per parlarne Oggi o domani leggo il racconto successivo... Poi ti dirò.
doria Inviato 19 Ottobre 2008 Segnala Inviato 19 Ottobre 2008 Ho letto la favola di Phania. Molto triste e coinvolgente. La parte centrale, imho, dovrebbe essere un po' sciolta: secondo me il modo con cui hai costruito i periodi è un po' limitante. Ovviamente, come al solito, criticherei l'utilizzo di esso/essa/essi/esse, che non trovo ottime scelte lessicali. Concordo d'altra parte con Demiurgo nell'affermare che sarebbe interessante una versione "dark" del racconto. In sostanza ho ripreso quanto ha detto Dark, anche se, personalmente, avrei descritto direttamente le vicende della battaglia, magari, ad esempio, attraverso un sogno di Phania, confermato poi dall'arrivo dei cavalieri. A presto!...
Selvaggio Saky Inviato 20 Ottobre 2008 Segnala Inviato 20 Ottobre 2008 Interessante Sangue, trovo la scena sia concitata per via dello scontro che triste per la situazione in sè. Nella descrizione dell'uomo con il corpo sulle spalle è efficace lo spezzare il più possibile per la stanchezza, per questo quell'ultimo "E la stanza....." lo vedrei meglio senza "E". Nella favola della befana (molto bella come storia ed interpretazione di "classici" delle favole[è un complimento;-)]), la parte centrale ha bisogno anche a parer mio di una maggiore fluidità narrativa, forse sono questi i tempi di cui parlava la IronLady. Per il resto, continua così
raemar Inviato 10 Febbraio 2009 Autore Segnala Inviato 10 Febbraio 2009 La pioggia pesante rendeva la strada difficilmente praticabile, come non fosse bastato il peso trasportato ad affaticare la mia andatura. Eppure, non potevo non considerare la pienezza di quella situazione. L’autunno, i suoi venti, i suoi odori, i suoi differenti umori, il sole pallido, la pioggia fine, le diverse gradazioni di bagnato. Mentre mi dirigevo verso la locanda, i capelli appiccicati fastidiosamente alla fronte fino a oscurarmi in parte la visuale, mi era impossibile non percepire l'odore dell'erba fradicia, del fango solcato dalle ruote di un carro, del fumo delle abitazioni che portava in strada diversi sapori. Il rumore dell'acqua contro la pietra e la terra, il pestare di piedi incerti al margine della strada, il vociare soffuso oltre le porte chiuse. Perfino la quasi invisibile nuvola di vapore che si formava di fronte alla mia bocca a ogni respiro affannato era motivo di immensa gioia per il cuore. Quando giunsi di fronte all'ingresso della Pietra miliare, trassi un respiro più profondo e lo sputai fuori con tutta la poca forza che mi era rimasta dalla sera precedente. Entrai e per un momento il mondo si fermò. Mentre chiunque fosse nella sala mi osservava incerto, lasciai scivolare il corpo dalle spalle al tavolo libero più vicino in un unico movimento che sapevo il mio corpo non avrebbe sopportato. Stremato, caddi a terra. E la stanza, improvvisamente, si rianimò, divenendo contemporaneamente buia. *** Tossii sforzandomi, il respiro ancora affaticato per la brama con cui avevo ingollato il bicchiere che l’uomo mi aveva portato. Mi guardai intorno, dovevo rappresentare una sorta di attrazione per le persone riunite in locanda. I loro visi, perlopiù una via di mezzo tra l’assonnato e l’incuriosito, rimandavano l’immagine di un individuo che non avrebbe dovuto trovarsi lì. “Come ti senti, ragazzo? Va meglio ora? Vuoi qualcosa da mangiare?” Risposi con un laconico “Sì”, senza associarlo a nessuna delle questioni che mi erano state poste in particolare. Diedi una scrollata ai capelli bagnati e i miei occhi si fermarono sul tavolo dove ancora giaceva Symond. Il peso del suo corpo contro il legno mi diceva che non si era ripreso. “Questo non è certo il posto migliore in cui avreste potuto capitare tu e il tuo amico.” Colui che doveva essere l'oste mi allungò un cucchiaio e una scodella colma di un liquido marrone in cui erano affogati alcuni pezzi di carne bollita. In breve finii ciò che speravo mi fosse stato offerto: non sentivo il borsello alla cintura e di certo non avrei potuto pagare né quello né altri servizi. Non sapevo nemmeno io bene da dove iniziare. A dire il vero, non avevo la minima intenzione di iniziare. Percepivo una pressione simile a quella che deve provare un attore prima di un'esibizione di fronte a un pubblico importante. Avrei dovuto dire qualcosa, eppure ero bloccato, facevo fatica a riordinare i pensieri e a dare alle immagini che tempestavano la mia mente un ordine che potesse essere comprensibile una volta esposto. Dopo alcuni lunghi minuti di silenzio, rotto solamente dal ticchettio della pioggia che continuava a calare sul villaggio, decisi di cominciare nel modo in cui tutti coloro che non hanno nulla da dire si ritrovano sempre a cominciare. Con una domanda. “Cosa..”, la mia voce era quella di un estraneo. Schiarii la gola a fondo, ricercando il tono a me familiare. “Cosa intendi dicendo che questo non è il posto migliore in cui capitare?”. Fu come se il volto dell'oste fosse improvvisamente stato illuminato da una torcia portata troppo vicino. I suoi occhi iniziarono a brillare, le sue guance si fecero paonazze. Credo che si aspettasse di dover ascoltare un lungo racconto, credo che il fatto stesso di essere invece lui chiamato in causa gli desse una sorta di autorità che i quotidiani ospiti della locanda non avevano mai saputo dargli con gli ordini da loro impartiti. Esitò un istante, guardandosi attorno. Trasse un respiro e con coraggio iniziò. “Intendo tutta la storia delle morti e delle sparizioni.” Sputò fuori un po' troppo in fretta i primi concetti che gli vennero alla mente. “Sì, insomma, se non ne hai sentito parlare devi venire da molto lontano o aver vissuto sottoterra per più tempo di quanto non faccia una talpa.” Qualcuno, nella sala, borbottò il suo disappunto. Non doveva essere semplice veder dispersa così malamente parte della storia del proprio villaggio. Una storia, per di più, di cui non andare fieri. “Nessuno qua ama ricordare quando è iniziato. E immagino nessuno sappia il motivo. La gente ha iniziato a morire. Prima i contadini e gli allevatori, durante le loro giornate ai campi o ai pascoli. Poi gli anziani, e i bambini. Li trovavamo nei posti più strani, come addormentati, nessuna traccia di violenze, di aggressioni, di ferite. Semplicemente, morivano.” I borbottii si fecero più elevati nella sala. “Certo, lamentatevi pure”, l'oste si rivolse indistintamente a tutti, poi tornò a concentrare i suoi occhi nei miei. “È tipico, sai, tipico di queste parti. Sembra che siamo obbligati a vivere nel silenzio e nell'eterna paura. Nessuno deve sapere niente, nessuno deve parlare di niente, nessuno deve provare niente. Ormai questo villaggio è morto, quelli che vedi qui dentro non capisco nemmeno io perché continuino a portare il loro **** solitario su queste sedie tutte le sere. La maggior parte delle persone è, chi più chi meno, barricata nelle proprie case. Non escono, se non per le urgenze. Non parlano, se non tra di loro, e sempre a bassa voce. Chi passa da queste parti, viene guardato storto e solitamente non si ferma che per qualche ora. Ti sto raccontando tutto”, il suo tono si alzò come se volesse che chiunque nella sala sentisse chiaramente le sue ragioni, “perché mi pare che se devi fermarti per la notte, non vedo come potresti andartene di qui ora, è giusto che tu sappia dove sei capitato”. Chinò gli occhi, ma non riuscì a celarmi lo sguardo di sfuggita al corpo di Symond. Poi, in un sussurro: “A volte, a disgrazia si aggiunge nuova disgrazia.” Il mio interesse per le parole dell'oste non andava oltre quella particolare forma di cortesia che impone a chi domanda di ascoltare la risposta che gli viene data. “Ci credo che non capisci, bisogna trovarsi dentro alle situazioni per averne un'idea.” Sembrò raccogliere qualche altro pensiero prima di continuare. “Alcuni hanno anche iniziato a portare i corpi lontani. A dire il vero, ora lo fanno tutti. Il primo è stato il vecchio Willy, che ha perso tutta la famiglia, figlio, nuora e due nipotini. Un giorno prende un carretto, ci carica sopra i corpi, esce dal villaggio e nessuno lo vede più per almeno una settimana. Pensavamo fosse morto lui pure. Quando torna, a chi gli chiede dove ha portato i corpi dei suo cari, lui risponde secco che non ha mai avuto cari, che farebbero bene tutti a non averne, che chi ci vuole non ha cari o affetti. Da allora non è più uscito dalla sua casa. Mangerà ratti e berrà la pioggia, se ancora è vivo!” Per quanto la locanda fosse ormai avvolta da un completo silenzio, la mia concentrazione era perduta. La brodaglia aveva ritemprato la mia mente e il mio coraggio. Cercavo di piegare il collo senza farmi notare per controllare il corpo di Symond. Non sapevo cosa gli sarebbe successo ora e quell'oste non mi avrebbe aiutato a scoprirlo con quella storia così banalmente simile a tutte le altre. “Negare è stata l'unica risposta che la maggior parte di noi è riuscita a dare a questa dannata situazione.” Ormai il suo non era più un racconto. Aveva più i toni del sermone o della predica, senza tuttavia possederne la forma. “Come se la gente pensasse che l'unico modo per affrontare la morte fosse evitarla, chiudersi in se stessi per impedirle di farci del male. Il campo santo ai confini del villaggio non è cresciuto dal giorno in cui Willy è tornato. Portare i corpi là fuori è diventata un'abitudine, un vizio, una necessità. Non vedere significa per noi non pensare.” Concluse con maggiore teatralità rispetto a quando aveva cominciato. Forse l'esperienza, forse l'aver zittito il suo pubblico e l'averlo reso partecipe alle sue parole, forse lo sciogliersi dell'ansia assorbita durante l'orazione. Non trascorse molto tempo prima che fossi nuovamente assalito da quella sensazione di attesa, sensazione che cresceva mano a mano che il vuoto lasciato dal mio mancato commento alla storia si ampliava. Scrollai nuovamente la testa. “Potrei avere altra zuppa?” Questa, di certo, non sarebbe stata offerta. L'oste rimase per un momento interdetto, quindi finse un sorriso accondiscendente, come se il suo ruolo gli impedisse di comportarsi diversamente. Mentre lui si allontanava con la mia scodella, fu un altro degli ospiti della Pietra Miliare ad attaccarmi da un lato. Un tizio di mezza età, il ventre prominente e due lunghi baffi calati che gli allungavano il viso in modo innaturale. “Cosa è successo al tuo amico?”, chiese quasi sussurrando, mentre portava il boccale alle labbra con un movimento calibrato sulla lunghezza della sua domanda. Mi guardai intorno, un brivido lungo la schiena, non capii se per i vestiti inzuppati o per una sensazione interiore. Sperai per un istante che l'oste tornasse da me con la scodella, per affondare lì tutta la foga animale di un appetito che i presenti non avrebbero faticato ad accogliere da un disperato quale di certo apparivo ai loro occhi. Purtroppo la domanda aveva sospeso il tempo all'interno di quelle quattro mura e vidi l'oste immobile oltre il bancone, presso la marmitta, con un grosso cucchiaio in mano che stava lentamente perdendo tutto il brodo che aveva in precedenza raccolto. Non sono mai stato un campione di menzogne.
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