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Inviata

Ci sono tanti modi diversi di ruolare un PG, e la cosa peggiore è convincersi che il proprio sia l’unico giusto. Prima di iniziare a parlare, con obiettività, di come si ruola, sfatiamo alcuni fastidiosi pregiudizi.

Articolo di Bille Boo del 15 gennaio 2021

Uno spettro si aggira per D&D. Indossa una gorgiera e tiene in mano un teschio, ama i paroloni difficili e tende l’orecchio per gli applausi, mentre scruta il prossimo dall’alto del suo piedistallo.

Non è frequente vedermi scrivere un rant, vale a dire un’invettiva, sul mio blog. Ma quando ci vuole, ci vuole. Questo articolo aprirà una nuova serie che spazierà su vari argomenti collegati a un pilastro principale: cosa vuol dire, veramente, interpretare un personaggio?

Antefatto

Tempo fa, su Telegram, ho partecipato a una discussione a proposito dell’interpretazione del personaggio e a come ricompensare chi “ruola bene”. Come sapete se seguite questo blog, sono convinto che i giocatori non siano attori e sono un sostenitore del background “light”.

Non tutti sono d’accordo con me, è ovvio, e ci mancherebbe. Con un utente in particolare, fiero delle sue radici nell’improvvisazione teatrale, c’è stata una discussione (poi proseguita lungamente in privato) accesa ma civile. Un altro invece insisteva a darmi del power player; “a te il ruolo nei giochi di ruolo non interessa” mi ha detto. Un altro mi accusava di giocare a un videogame e non a un GdR (un grande classico), solo perché in molte mie campagne ho concordato con i giocatori di mettere al bando il PvP (player versus player).

Chiariamo: il problema non sono i gusti individuali, il nostro modo di declinare l’interpretazione, che può essere diverso da quello di altri; il problema è considerare qualunque altro modo come sbagliato (non che non ci piace: proprio sbagliato).

Power player e drama queen

Abbiamo parlato già in un altro articolo del concetto di power player nelle sue varie accezioni. In sintesi, brutalmente, è uno stereotipo di giocatore che si concentra solo sul potenziare il proprio personaggio, vincere gli scontri, ottenere bottino e successi, senza preoccuparsi troppo di cose come interiorità, estetica e così via.

All’estremo opposto c’è un altro stereotipo, di cui si (s)parla molto meno, e che viene talvolta chiamato drama queen (in riferimento a una “primadonna” del mondo dello spettacolo): un giocatore che si concentra solo sulla recitazione, l’interiorità (spesso travagliata) del proprio personaggio, i dialoghi, e spesso anche la mimica e le voci; e trascurando invece gli aspetti più prosaici come… ehm… completare la quest.

Qualcuno chiama questi due estremi, rispettivamente, roll play (to roll in inglese sta per tirare i dadi) e role play, cosa che a me non piace.

(Secondo me il role play non è contrapposto all’uso dei dadi. Inoltre tanta gente italiana, nei forum e nelle chat, si confonde per l’assonanza tra i due termini e scrive roll o rollare quando in realtà intende role e ruolare. Insomma, una gran confusione.)

Sia chiaro, entrambi sono stereotipi estremizzati: in realtà le zone grigie abbondano e non bisogna essere frettolosi nell’affibbiare a qualcuno una di queste etichette; i giocatori reali sono più complessi di così.

E comunque entrambi questi approcci (più tutte le sfumature intermedie) sono, in teoria, del tutto validi per giocare a D&D (perlomeno al mio D&D). Un buon tavolo potrebbe comprendere anche persone con approcci molto diversi, senza impedire a tutti di godersi appieno il gioco. Poi è lecito avere i propri gusti, ci mancherebbe.

Il problema

Il problema è quando qualcuno è affetto da quel pregiudizio che lo rende convinto:

  • che l’unico vero modo di giocare di ruolo (ruolare o altri sinonimi) sia definire a priori un personaggio dettagliato, con la sua storia passata, la sua personalità, il suo carattere eccetera, e poi interpretarlo calandosi nella parte e rimanendo fedeli a quel copione;
  • che chi non fa questo sia necessariamente un power player, uno interessato solo ai combattimenti, o comunque uno che non ruola / non sa ruolare e magari dovrebbe darsi ai videogame (vedasi anche la famosa Stormwind Fallacy).

Spesso (non sempre), sotto sotto, è anche convinto che il vero giocatore di ruolo debba pensare, in primo luogo, a creare una bella storia, per sé e per le altre persone al tavolo: in pratica, che la “narrazione collettiva”, l’intrattenere sé stessi e gli altri, sia il vero scopo del “ruolatore” e chi non lo ha capito non stia ruolando davvero.

Ribadisco che il problema non è il fatto che alla persona piaccia giocare in quel modo (cioè recitando una parte, e badando in primo luogo all’aspetto “narrativo”): quelli sono affari suoi, e del suo gruppo. Quello che sto criticando è la convinzione che si debba fare così, che sia il solo e unico significato di “ruolare”, che chi fa in altro modo stia sbagliando.

È un pregiudizio deleterio per due motivi.

Barriere all’ingresso

Se facciamo passare il concetto che per giocare di ruolo occorrano per forza qualità (e gusti) da attore o improvvisatore teatrale precludiamo, o almeno rendiamo molto più difficile, l’accesso al gioco ad un sacco di giocatori. Non tutti, infatti, sono capaci di giocare “recitando”, neanche volendo; e magari qualcuno ne è pure capace ma non gli piace più di tanto. Se diamo il messaggio che quella cosa sia indispensabile, queste persone si scoraggiano.

Evitiamo di fare confusione su quello che è il vero significato di GdR: se voglio parlare sul serio dell’argomento devo distinguere gli elementi essenziali per giocare di ruolo da quelle che sono semplicemente le mie preferenze individuali.

Delegittimazione

C’è una differenza tra dissentire e delegittimare: il primo termine indica che non si è d’accordo con l’altro, il secondo che l’altro, secondo noi, non ha affatto titolo a partecipare alla discussione, perché non c’entra nulla con quello di cui stiamo parlando o non ne sa nulla.

In ambito di D&D, e di GdR in generale, ognuno ha i propri gusti e questo è sacrosanto. Se ti dico che il tuo modo di giocare non mi piace possiamo comunque dialogare, tanto non dobbiamo mica per forza giocare insieme. Ma se ti dico che tu “non sai davvero giocare di ruolo” ti taglio fuori dalla discussione, ti escludo; non c’è più possibilità di dialogo: perché dovrebbe interessarmi parlare di GdR con qualcuno che si occupa di altro?

E adesso?

Tempo fa ho postato un sondaggio su Instagram con due domande vagamente attinenti all’argomento. Sono andate così:

  • I power player
    • Sono il male assoluto: 0%
    • C’è power player e power player: 90%
    • Sono una cosa bellissima: 10%
  • Recitare e “stare nel personaggio”
    • È indispensabile per giocare davvero di ruolo: 50%
    • Può essere carino, ma non è necessario: 50%
    • Rovina il gioco e basta: 0%

In entrambi i casi la risposta che considero giusta è la seconda. Nel primo caso la stragrande maggioranza dei rispondenti è stato d'accordo con me, ma non nel secondo. Ovviamente uno sciocco sondaggio tra quei quattro gatti dei miei follower su Instagram non ha alcuna valenza statistica, ma l’ho preso come un indizio che fosse utile approfondire il tema.

Quindi, nei prossimi articoli di questa serie toccherò questi argomenti:

  • Cosa significa davvero, in generale, interpretare un personaggio in D&D (e consigli per farlo al meglio).
  • La coerenza dell’interpretazione.
  • Interpretazione e punteggi di caratteristica mentali (Int, Sag, Car): qual è la relazione?
  • Incontri interpersonali: si “ruolano” o si tirano i dadi.


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  • Mi piace 1

Inviato

Credo che il non recitare troppo, o comunque non obbligare nessuno a farlo (anche male), permetta a più persone di giocare (al di là delle capacità).

Nella mia esperienza specialmente i nuovi giocatori fanno fatica. E chiedere loro di recitare spesso significa intimidirli e metterli in imbarazzo.

  • Mi piace 1
Inviato
2 ore fa, Bille Boo ha scritto:

Secondo me il role play non è contrapposto all’uso dei dadi.

+1000

2 ore fa, Bille Boo ha scritto:

Tempo fa ho postato un sondaggio su Instagram con due domande vagamente attinenti all’argomento. Sono andate così:

  • I power player
    • Sono il male assoluto: 0%
    • C’è power player e power player: 90%
    • Sono una cosa bellissima: 10%
  • Recitare e “stare nel personaggio”
    • È indispensabile per giocare davvero di ruolo: 50%
    • Può essere carino, ma non è necessario: 50%
    • Rovina il gioco e basta: 0%

In entrambi i casi la risposta che considero giusta è la seconda.

Come è specificato successivamente, anche io sono d'accordo con la prima risposta mentre nella seconda appartengo al primo gruppo, magari spostato verso il secondo. Nel senso che non lo trovo indispensabile inteso come ogni sessione si deve fare ruolo duro per tre ore, come non in ogni sessione si deve combattere. Ma un po' di immedesimazione è fondamentale a parer mio. Detto ciò se a qualcuno piace giocare diversamente, va riconosciuto che È UN GIOCO E OGNUNO DEVE POTER GIOCARE COME VUOLE, A PATTO CHE TUTTI SI DIVERTANO ALLO STESSO TAVOLO.

Oltretutto per me interpretare non significa recitare. Si interpreta anche parlando in terza persona ma specificando cosa il PG sente e fa e come si comporta ad esempio. Il passaggio a prima persona avviene in genere dopo un po'

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Inviato
20 minuti fa, Lord Danarc ha scritto:

Oltretutto per me interpretare non significa recitare. Si interpreta anche parlando in terza persona ma specificando cosa il PG sente e fa e come si comporta ad esempio. Il passaggio a prima persona avviene in genere dopo un po'

Sono pienamente d'accordo, la penso esattamente nello stesso modo, esistono molti modi per interpretare il proprio personaggio, ruolare in terza persona, descrivere la scena, ecc.

Per me ruolare e recitare sono due cose ben distinte.

Ovviamente se una persona mi "ruola" per tre ore parlando con voce monotona, braccia conserte tutto il tempo e che quando carica il drago mette la stessa voce di quando gli chiedi quale pizza vuole più tardi allora per me lì non si sta ruolando.

  • Mi piace 1
Inviato

Per me giocare di ruolo significa semplicemente interagire col mondo a partire dal punto di vista del personaggio.

Poi puoi aggiungere tutto quello che vuoi (capacità differenti, grandi monologhi in prima persona ecc)

  • Mi piace 1
Inviato

Sono d'accordo anch'io che (come in molte cose) la virtù sta nel mezzo.

Il problema delle drama queen è che giocano a D&D perché conoscono quello, ma dovrebbero cercarsi un altro gioco.

L'origine di D&D penso sia nota a tutti qui, le sue radici non affondano nel "ruolare", questo aspetto è arrivato dopo. Personalmente lo apprezzo, mi piace che i giocatori facciano un sforzo interpretativo, io per primo come master lo faccio (e altrettanto come giocatore). Ma D&D è un gioco di esplorazione e combattimento, dove la tattica e le meccaniche hanno un peso enorme, e se pretendi di spogliarlo di questo significa che non è il tuo gioco.

L'origine del "problema" (se così vogliamo definirlo) penso sia tutta nel fatto che D&D è il più famoso ed è giocato e discusso anche da persone che si troverebbero meglio con altri sistemi (e probabilmente neppure lo sanno). 

  • Mi piace 1
Inviato (modificato)

Per quanto mi riguarda credo che la contrapposizione tra roleplay e roll play sia un' artefatto della storia di D&D nello specifico. Un gioco come D&D, estremamente focalizzato sul combattimento (alla faccia dei tre pilastri) può essere effettivamente giocato anche ignorando completamente la parte interpretativa. Lo stile di gioco EUMATE è ufficialmente scoraggiato, ma in realtà le regole lo favoriscono.  Solo che poichè D&D vuole vendersi come IL gioco di ruolo, quello universale, allora tutta l' audience che preferisce il roleplay si ritrova a combattere contro il sistema e contro quella fetta di giocatori che usano il sistema così com'è.

Purtroppo molti giocatori hanno esperienza solo con D&D e derivati, come Pathfinder, e non hanno idea di cosa sia un sistema narrativo. Questa discussione ad esempio non potrebbe proprio avvenire se stessimo parlando di Monsterhearts, per fare un esempio. Lì le meccaniche e l' interpretazione sono così strettamente intrecciate che letteralmente se non si interpreta il gioco non funziona, le mosse non si triggerano. Oppure, se vogliamo prendere un gioco più meccanicamente complesso, Legend Of the Five Rings, dove interpretazione è meccaniche sono così strettamente correlate che anche una semplice conversazione ha lo stesso "peso regolistico" di un combattimento in determinate circostanze. Lì le regole ti forzano a interpretare. 

Quindi si, questo articolo lo trovo ottimo nel contesto di D&D ma credo beneficerebbe di uno sguardo più ampio al contesto degli RPG in generale.

Modificato da Theraimbownerd
Inviato
37 minuti fa, Theraimbownerd ha scritto:

Oppure, se vogliamo prendere un gioco più meccanicamente complesso, Legend Of the Five Rings, dove interpretazione è meccaniche sono così strettamente correlate che anche una semplice conversazione ha lo stesso "peso regolistico" di un combattimento in determinate circostanze. Lì le regole ti forzano a interpretare. 

Verissimo. Purtroppo però spesso la resa meccanica lascia un po' a desiderare. Le regole sugli intrighi di 5e (di L5R) in realtà non riescono a mettere sullo stesso piano le scene discorsive e quelle di combattimento e spesso la meccanizzazione di alcuni aspetti fa venire meno l'interpretazione. Ad esempio utilizzare alcuni shuji ti rivela cose che non dovresti poter sapere e che non ha senso che il tuo PG sappia... QUindi meno roleplay per ottenere tali informazioni, basta un tiro meccanico. A parte ciò il sistema è molto bello e interessante per quanto l'ho trovato lontano da quello originale (gloria e onore sono "merce di scambio" ad esempio).

Un altro esempio è dato da the One ring (l'unico anello) che ha regole per gestire i "consigli" (inteso come riunioni/incontri verbali e simili). Purtroppo non le ho mai provate e non posso dare un feedback su questi.

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