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Draghi d'inchiostro – Marzo: Il Sogno


Samirah

Messaggio consigliato

Immagini tremolanti cariche di aspettativa, suoni inquietanti dall'origine ignota, movimenti lenti e faticosi, voli fantastici al di sopra di paesaggi da favola: ecco alcuni degli ingredienti dei sogni, piacevoli compagni durante la notte o agitati sprazzi di follia nei brevi momenti di riposo dell'insonne.

I sogni racchiudono e svelano ciò che il nostro inconscio desidera e teme, trasformando ricordi, sensazioni e pensieri in entità dalle forme a volte sconosciute, che ci stupiscono o ci spaventano.

Non solo: i sogni accompagnano anche la nostra vita, giorno per giorno, lievitando lentamente nei nostri pensieri, assumendo l'identità di idee e progetti, arrivando a volte a sbocciare, oppure sgonfiandosi lentamente nell'inedia.

Il sogno, una delle sorgenti di ispirazione per eccellenza, è il nostro tema di Marzo.

Buona scrittura a tutti. ;-)

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  • 2 settimane dopo...

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Principali partecipanti

Piove, fitto.

Una luce bigia filtra tra gli alberi alti e spruzza lividi bagliori sulle rocce nere e bagnate al lato destro della strada stretta in ripida salita. Il lato sinistro è nebbia grigia… è abisso… palude di corrotti vapori.

Tornanti in successione.

Ho la nausea mentre l’auto eccessivamente molleggiata si inerpica sul costone dalla valle che avevo risalito bambino felice tanti anni prima… Ma strani odori penetrano ora l’abitacolo dell’auto Turbano le mie narici e accentuano la nausea fin quasi al desiderio di vomitare mentre la nebbia, una nebbia fitta, risale dalla palude e invade, venefica, la strada.

Accendo i fari.

Il paesino è quasi disabitato…questo lo sapevo…Adesso sembra un cimitero con le tombe raggruppare strette in un abbraccio mortale.

C’è da percorrere ancora un piccolo tratto, che è sterrato e pianeggiante…Ed ecco! la casa silenziosa dei ricordi infantili e tanto desiderata… Lontana dal chiasso, dalla folla… compare e scompare... ondeggia nella nebbia che fluttua umida e bassa sulla strada.

Inquadrato dai fari un uomo... in camicia bianca... con questo tempaccio!

Si presenta in visione improvvisa come si fosse materializzato lì per lì…mi inquieta... cammina a braccia levate...

Non mi vede, lui. Ma che va facendo?… Prega?... forse.

No, impreca!… Maledice!... Ne ho certezza.

Sorto nella nebbia dal fondo in decomposizione sputa al cielo senza stelle e io non riesco a decifrare. Poi...

Come s’era concretizzato d’un tratto scompare alla vista e lo cerco inutilmente nello specchietto retrovisore sulla strada... La strada! degli sprovveduti imbecilli…La strada dei pazzi…La sola mia strada che non so più cosa ci faccio qui.

Ma sì!… sono qui per fare ordine… in tutto.

Sulla soglia, sotto la pioggia cerco la chiave…Due lampi in rapida successione illuminano tutto di una luce livida…il rombo potente del tuono…Ma dai! Non esageriamo... sì, l’umore sarà cupo, ma tra questo e l’ingresso nel castello di Dracula!…

La casa è disabitata dall’estate… E’ gelida… brrrrr!

Nello scantinato traffico a lungo con i meccanismi della caldaia del riscaldamento… ci sono i fiammiferi e tutto…anche cotone e alcool per darle l’avvio a ‘sta fiammella che non vuole saperne di durare…ma c’è anche il camino…

Nessuna difficoltà questa volta ad attizzare un gran fuoco, e mi lascio cadere sul divano senza pensieri... con meraviglia.

Tutto a domani!

Ma i fantasmi… non mi lasciano.

Mi sono addormentato comunque... senza accorgermene... e dormo sul divano tutta la notte senza sogni.

Sono sveglio che albeggia e sono stranamente tranquillo.

In casa c’è tutto per sopravvivere per l’intero periodo di permanenza prevista… hanno pensato a tutto i miei ospiti.

Ma bisogna che mi rechi lo stesso al bar…La signora del bar è stata preavvertita del mio arrivo… Bisogna andarci… più per cortesia che per bisogno.

Sulla soglia le nuvole basse, gravide di pioggia mi comunicano un improvviso senso di ignavia carica di ansia…non avrei proprio voglia di uscire…ma neanche di concentrarmi sui soliti pensieri.

Il tempo sembra sospeso…anche quello atmosferico in attesa di una ulteriore pioggia che rischiari quest’aria livida…I pensieri si abbozzano e scivolano via pigri, incompiuti, inconcludenti.

Ecco! Mi lascerei volentieri cadere su una poltrona a fissare un muro bianco.

Esco dall’uscio su una specie di palchetto che dà sul prato…respiro profondamente l’aria fresca e leggera.

Giro lo sguardo in direzione del paese e la vedo…Si avvicina…nel suo saio nero senza forma e lungo fino alle caviglie, come un sacco, i capelli unti e rigidi in ciocche brizzolate e disordinate. E’ la sorella dei due mandriani della stalla lì, più in basso.

Cammina leggermente piegata in avanti, zampetta scoordinata, le braccia rigide lungo il corpo…Passa oltre il “palchetto” senza girare lo sguardo che mantiene rigidamente diritto innanzi a sé.

Ancora adolescente era stata stuprata dai fratelli, mi avevano raccontato, e successivamente era finita anche in manicomio…ora vive in quel posto con i fratelli ed è ufficialmente la matta del villaggio.

Spinto da curiosità o forse per improvviso ed assurdo desiderio di comunicare, quasi grido:

“BUONGIORNO!”.

Si ferma di botto, la matta, e gira lo sguardo sospettoso verso di me…proprio come certi gatti in fuga se improvvisamente gli si fa un verso di amichevole richiamo… mi guarda con gli occhi chiari, scintillanti:

“Le mucche fanno poco latte… I miei fratelli sono molto nervosi”, esclama… quasi in tono di rimprovero.

Le mucche fanno poco latte!… E’ colpa mia!… Sì, sono arrivato con i fantasmi! E le bestie sanno percepire cose che non immaginiamo.

Riprende il suo cammino verso la stalla…si precipita, zampettante, nel suo inferno e mi lascia pericolosamente incrinato.

Era stata vicina, ora lontana... è un trattino nero che improvvisamente scompare in un avvallamento del terreno…riappare, il puntino.

Ha lasciato come un’eco…un refolo delicato di vento sul velo steso a coprire un angolo oscuro di memoria…ha smosso della polvere…Si lascia dietro una scia di dolore…una bava dolente al suo passaggio…e io scricchiolo sul pensiero folle: “E’ colpa mia!”.

Rischio di andare in pezzi ogni tanto su questi tenebrosi scricchioli…piccole lacerazioni dolorose nel cervello ad ogni minima sollecitazione.

Entro nel bar.

Una sala ampia, squallida e poco illuminata: alcuni tavoli e sedie in plastica… un banco piccolo e tarlato sul fondo, spostato sulla sinistra…

La macchina per il caffè!

Un scaffale dietro che gira lungo tutta la parete di destra carico di ogni sorta di mercanzia ché il bar è anche l’unico spaccio in paese.

E c’è anche un polveroso telefono a muro.

Un solo avventore… un anziano dalla barba incolta, lo sguardo assente e fisso, seduto ad un tavolo sul quale è un bicchiere mezzo pieno di vino rosso…e al tavolo è appoggiato un fucile a doppietta.

Pantaloni frusti e larghi di fustagno, camicia a scacchi e una giacca foggia cacciatore con tante tasche.

La signora dietro il banco è cordiale, ciarliera…mi riconosce subito come “l’ospite” e mi accoglie quasi festosa, mi sommerge in una cascata di vocalizzi acuti di cui capisco una parola sì e una no…Eccessiva!

Chiedo di telefonare.

Il telefono a muro è a tariffa e la signora lo attiva manovrando un interruttore dietro il banco. Voglio avvertire i miei ospiti del mio arrivo, ma risponde la cameriera…Non c’è nessun altro in casa e riattacco immediatamente.

Chiedo quanto debbo…ed è una cifra che mi sembra esagerata per pochi secondi di conversazione…Sono infastidito!…Nonostante l’umore pago in silenzio poggiando con energia la banconota sul piano della cassa... e forse, chissà, forse traspare dalla mia espressione l’istintivo disappunto…un atteggiamento istintivo…come dovuto a chi tenta di fregarti. Ma subito dopo, riflettendoci, lo giudico quest’atteggiamento per quello che in realtà è…stupido e imperdonabile…E la signora, l’ha ben notato…mica stupida!…e l’ha correttamente interpretato…E’ stato il gesto di uno stro*zo!

Intanto mi aveva preparato un caffè, la signora…lo posa sul banco, si scusa e si allontana dal bar lasciando la porta aperta.

Sorseggiando il caffè fisso con sguardo distratto il vecchio avventore…e mi sento attratto dal misterioso uomo immobile dietro il suo bicchiere mezzo pieno.

Pallido…una statua di gesso.

Senza il minimo rumore una capra, enorme, lentamente occupa lo specchio della porta.

Ci fo appena caso io alla capra, ma l’uomo del tavolo... così di botto si scuote…emette un urlo lacerante e agitato e tremante si alza, afferra il fucile…

Gemente indietreggia verso il banco.

La capra è sempre lì, imperterrita…sembra lo sfidi.

Imbraccia il fucile, il vecchio, e spara un colpo verso il soffitto.

Un Boooom! tremendo…polvere e calcinacci, e attraverso la barriera di polvere vedo la capra allontanarsi…tranquilla lentamente…la testa maestosamente alta.

Lo sparo ha richiamato la signora…Rientra rapida e silenziosa…si avvicina al vecchio senza aprire bocca e lo accarezza…Gli toglie dalle mani la doppietta, lo riporta il veccnio al suo bicchiere e poggia il fucile al tavolo nello stesso punto dov’era posato prima.

Tutto con calma e lentezza di movimenti…come non fosse successo niente… c’erano solo i calcinacci che si appresta a spazzare.

E’…stupefacente! Il vecchio ritorna immobile, statua di gesso nel suo pallore e la signora dietro il banco si scusa per l’ennesima volta e porta il dito indice alla tempia…lo rigira sulla tempia:

“Qualcosa lo ha spaventato!…”.

Continua a scusarsi e a rendersi disponibile a risolvermi ogni eventuale problema durante il mio soggiorno in questo posto di pace…Di pace!…‘sto posto!

Mi parla un gran bene dei proprietari della casa:

“… quelli sì, che sono dei gran signori!”…E a me sembra che ponga esageratamente l’accento su quel “…quelli, sì…”.

E’ colpa della telefonata pagata malvolentieri!

Ho solo voglia di ritornare a casa ora…Estraggo il portafogli per pagare il caffè, ma mi viene impedito dalla signora con gesto energico della mano:

“Sarà per la prossima volta…”.

Mi sento verme umiliato… non voglio più tornarci in questo strano posto.

La scena del vecchio avrebbe potuto perfino risultare comica… Ma ne sono rimasto scosso… più turbato di quello che si possa supporre. Non voglio definirla… non voglio collocarla, ‘sta scenetta… Ho l’impressione che in qualche modo mi riguardi.

E provo una strana solidarietà per quel vecchio e mi irrita la sicurezza della signora che sembra sapere tutto…che tutto etichetta con la stessa semplicità con la quale etichetta i barattoli…Un’etichetta su tutto, mette…La spiegazione più semplice…come sui barattoli esposti…Io………!!!

La mia ansia è sul punto di precipitare in imbarazzante inquietudine.

Debbo andare…scappare finché sono in tempo…e non ci torno più!

Non ho bisogno di nessuno…voglio solamente star solo…Per questo sono qui!

Solitudine e silenzio…solitudine e silenzio…solitudine e silenzio.

La solitudine mi aiuterà a sistemare…le colpe?

La voce della signora blocca momentaneamente la mia ritirata che rischia di assumere l’aspetto di una fuga:

“Domani sera c’è festa qui… la festa della polenta taragna”.

E perentoria!

“LEI DOVRÀ ESSERCI!”

Non potrò mancarci alla festa e mi preparo con molto anticipo. Nell’attesa dell’ora mi sdraio sul letto... ma... Ma poi ho dormito?…o qualcosa mi ha obnubilato quasi all’istante?

Per quanto tempo?

Mi sono svegliato o mi è sembrato di svegliarmi.

Sono ad un attimo dall’estremo limite del buio e dal mio letto vedo le stelle che brillano a scatti... sembrano un fuoco d’artificio…Un big bang del quale queste stelle sono gli ultimi incerti tizzoni nella coppa immensa di inchiostro che si va oscurando.

Non riesco a stabilire l’ora…non ho orologio…Le ombre sono salite rapide dal prato verso le cime del bosco mentre percepisco un inconsueto trambusto animare il viottolo... un via vai verso il paese… Ah! La festa!… e l’invito perentorio.

Così come mi trovo, in camicia bianca e cravatta mi affretto…non ci resterò a lungo... presenzierò alla festa solo per breve tempo…Arriverò in ritardo quando la maggior parte dei partecipanti sarà già in preda ai fumi dell’alcool e verrò via in buon anticipo dalla fine senza essere notato.

La sala del bar è illuminata e si percepiscono da lontano note musicali disordinate, imprecisabili…senza ordine armonico.

Seduto su uno sgabello altissimo, del tipo di quelli per arbitri da tennis… sembra un avvoltoio... è un giovane dalla barba nera, e dirige una disordinata quadriglia in uno strano francese e sul ritmo degli strani suoni. Una ragazza con copricapo peruviano fa girare uno spiedo sulla brace del gran camino… Strano!… non lo avevo notato un camino così grande alla mia prima visita al bar. La signora del bar è intenta a ungere la carne... mi volge le spalle e copre la luce del camino così che non riesco a vedere cosa stanno arrostendo con tanta cura. Quando infine si sposta, sulla brace vedo la capra infilzata su un enorme spiedo…intera... compresa la testa. E ha occhi sbarrati del colore della brace e la bocca semiaperta mostra denti aguzzi ancora minacciosi.

Al mio arrivo la musica cessa di botto, quest’accozzaglia di suoni che sembrano accordi di strumenti in attesa di un concerto.

Mi stavano aspettando!

Si sospendono le danze ed un applauso frenetico scoppia…grandi sorrisi che sono in verità più simili a ghigni su raccapriccianti fisionomie…E sguaiati sghignazzi.

La signora del bar si gira, mi vede, non fa alcun cenno e ritorna alla sua occupazione di cuoca…come non m’avesse riconosciuto…Un atteggiarsi veramente incomprensibile.

“BASTA!”

Lo ha urlato il giovane dalla barba nera.

Tutti si dispongono a semicerchio lungo le pareti della sala, le bocche serrate e gli sguardi fissi su di me.

Il giovane scende dallo sgabello e partendo esattamente dal centro di quel semicerchio che poco ha di umano…piuttosto un ammasso viscido di pelli cascanti…Si dirige verso di me e, quando mi è a distanza da potermi toccare, tende a scatto il braccio destro e mi pianta violentemente l’indice irrigidito sul petto costringendomi ad indietreggiare finché le cosce avvertono il bordo di una sedia sulla quale cado pesantemente.

Una sedia era stata sistemata alle mie spalle da un vecchio grasso e dal viso informe senza tratti fisionomici…E in mezzo a tutta quella pelle cascante il vecchio espone spudoratamente un largo, grottesco ghigno.

Sistemata la sedia, il vecchio raggiunge gli altri e diviene anch’egli cera… un informe ammasso di cera tra le statue di cera di fronte a me.

Si sono radunati i fantasmi!…Maschere raccapriccianti: una vecchia sdentata sogghigna da una carrozzella in un alone acre d’urina… un livido feto… un bambino strabico…la ragazza con la cuffia peruviana con viso acceso ed occhi iniettati…il vecchio col fucile dall’espressione ebete…lo sguardo furbo della signora del bar…l’ammasso informe di pelle pallida…l’uomo di gesso…la capra…Una pupilla dilatata come un pozzo e riflette l’immagine d’un volto pallido, terrorizzato…terreo sotto il peso di colpe e sofferenze... uno scheletrico uomo con la barba grigia che sussurra:

“Regalatemi un po’ di eutanasia”…

Qualcuno bisbiglia:

“E’ morto… improvvisamente…” e la notizia del morto non interessa nessuno…turba solo me.

La matta del villaggio, la sempre in corsa nel suo saio senza forma, aveva portato le mani nei capelli unti, gli occhi lucidi…mi guarda e io la guardo come se solo da quella parte potesse arrivare un impossibile, disperato aiuto.

Ho paura!

Improvvisa come un uragano è giunta la notte della resa dei conti!

Il mio futuro ne rimarrà imbrattato... per sempre!

Sapevo di portare dolore…come un alone.

La mano brancola alla ricerca di una consistenza amica e si stringe nell’aria.

Sul pavimento i mille spezzoni di un film chiedono la logica di un montaggio… chiedono si dia loro un senso…Alla rinfusa sul pavimento lo spettacolo confuso, indecifrabile di una vita.

Tutto è compiuto l’idea del peccato non m’abbandona più ormai…Un ragno!…Come un ragno mi porto dietro una sottile bava…una traccia di sofferenza…Sono stanco.

Interpreto in qualche modo:

“E’ giusto… in qualche modo… Eccomi!... Condannatemi!”

Il film continua a proiettarsi.

Dal profondo affiorano ancora immagini…

Non si potrà mai scrivere la parola “THE END”…

“Condannatemi!”.

Nessuno parla, distolgono lo sguardo e incominciano rumorosamente a unire i tavoli per formare una grande tavolata. Ridono, bisbigliano... Ridono e non mi rivolgono mai uno sguardo, come se non ci fossi…io ridicolmente seduto al centro della sala.

Solo “lamariaincorsa” è rimasta al suo posto e continua a fissarmi col suo sguardo scintillante, probabilmente caricato dall’alcool.

Passano alcuni lunghissimi minuti e la paura rabbiosa iniziale si è trasformata in disappunto per essere così trascurato, e non riesco a togliermi da quella posizione di gogna apparentemente ignorata.

Sono come paralizzato quando “lamariaincorsa” mi si avvicina con la sua andatura zampettante, mi prende per mano, mi conduce all’uscita… mi spinge letteralmente fuori.

Esce anche lei e si chiude la porta alle spalle.

La guardo, le sorrido…

“Non capisco nulla”, dico.

Ma lei già corre a perdifiato inseguita da se stessa.

E fuori ora io umiliato... incerto se andar via o rientrare e impormi all’attenzione con un discorso chiarificatore… Ma cosa c’è da chiarire? Tutto è opinabile!

Mi avvio lentamente verso casa a testa bassa, assorto, e d’un tratto mi sembra di udire alle mie spalle un rumore di passi e degli sghignazzi.

Mi stanno seguendo!

Accelero il passo ed infine è corsa…Infilo a fatica la chiave nella toppa e corro su per le scale nella stanza e mi ritrovo sdraiato sul letto. Sudato, affannato, nella stanza rischiarata da un candido insolito bagliore che filtra dalla ampia finestra… Guardo attraverso i vetri... Il prato è stranamente imbiancato di neve, intravvedo ombre dal paese.

Sono loro!

Prima che circondino la casa debbo allontanarmi… c’è poco tempo!

Non è possibile raggiungere l’auto parcheggiata sul davanti.

Scendo le scale interne verso lo santinato e il garage, sollevo la serranda… Pesante! All’improvviso tutta quella neve, neve recente, tanta, più di quella che potessi supporre. E’ facile che ci sia neve qui in questa stagione, ma così!…E così stranamente improvvisa… solo pochi minuti prima non c’era…

Esco all’aperto.

La strada è laggiù, non proprio a pochi metri in basso… ma ci arriverò in fretta attraversando il lungo tratto di prato scosceso, in fretta nonostante le scarpe poco adatte e quel terreno scivoloso.

Sono in camicia… bianca.

Scendo veloce il prato digradante nonostante inciampi spesso slittando sul fondo scivoloso con quelle maledette scarpe non adatte, i piedi e i pantaloni nell’acqua.

Raggiungo la strada in equilibrio instabile…braccato da presso…Sopraggiunge una specie di trattore con un solo faro dalla luce fioca…

A quell’ora…?

Faccio solo in tempo a sollevare le braccia.

Prego?… Maledico?

E non può evitarmi…

Un urlo dall’alto del trattore ed un botto sordo, nemmeno tanto forte.

Lungo disteso nel mezzo della strada, illuminato dal faro non sento più il mio corpo e non riesco a muovermi.

Giro lo sguardo verso il rumore di passi scricchiolanti nella neve…e vedo… Prima era solo un ombra, poi un faccione rubizzo vicinissimo al mio viso che apre la bocca affollata di denti gialli e alito mefitico per urlare:

“MA DA DOVE CA**O È SBUCATO?… Ma chi è?”.

Poi si è sollevato e gira intorno.

Vedo sempre più annebbiato… percepisco sul roteare degli occhi solo l’ombra gemente.

Infine come un’eco che continua a girare frenetica battendo contro le pareti della scatola cranica:

“STO’ STR*NZO!... st*onzo... stro...sst...ssssssssssssssssssssssssssstttttttt...”.

C’è un abisso di stanchezza ma riesco a pensare, in qualche modo:

“ E’ giusto!…in qualche modo… Ma… il prezzo…”.

E il respiro, che era stato finora solo un singulto, si ferma su un sussurro:

“Amen”.

Da lontano… distanza abissale, percepisco ancora:

“Oh, ca**o!…CA**O!…E ora io cosa faccio?… Come faccio………?”.

E il silenzio.

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Giro la testa, e guardo i campi coltivati a fuoco e nuvole.

Spirali di fumo si leccano nel cielo.

La città è una splendida pu**ana, e noi le coliamo lungo le labbra in perle scivolose.

Il cielo di Novembre mi affoga di nostalgie e di foglie rosse, le impressioni si rincorrono lungo i venti e mi sfiorano il viso. Sferzano come fruste, ora che me ne accorgo.

Giganti collassati si inginocchiano invisibili ai margini della strada, della vita, della nebbia futura, dell’aria caramellata spostata dall’urlo del venditore. Aria pesante e umida.

Incrocio passando sei rondini e un gabbiano, che scendono in picchiata. Fuori dal personaggio.

Con le dita allungate carezzo per un attimo l’idea di scivolare, poi mi riprendo e riemergo a prendere una boccata, fuori dal cielo bagnato e dal vento tagliente e dalla calma piatta e dal freddo pungente.

L’aria mi rincorre per strangolarmi, lanciandomi gli echi che ho rinchiuso a morirmi tra le labbra, parole accatastate tra il pentimento e l’anticipo.

La via è battuta infinite volte in finiti giorni, la via è applicazione lineare a scanso di equivoci.

La via è nera: perché i lampioni sono fuori uso? Spenti a calci. La via mi rincorre e io la aspetto a bocca aperta.

Cammino a bracciate irregolari, muovo i piedi a fatica nelle scarpe auto-imposte dalle piaghe dei nostri avi, striscio eretto verso l’attimo sfuggente, mi scontro con la manifestazione per tornarmene all’ovile, scivolo sulla sabbia fredda del tramonto e dell’alba e coi piedi bagnati di sale nel ricordo del passato.

L’anno è pseudo-periodico o imprevedibile a seconda del colore della tua penna, i giorni si scavalcano vorticosamente e le notti li afferrano saldi per trattenerli e annullarli nel piacere fasullo e nell’agonia di pochi secondi avvinghiati come queste ore sprecate vissute onorate e rosicate all’ombra dell’ultima ombra che scivola verso di me come un falco che si contorce nel petrolio.

La ragazza dai capelli rossi ha l’orecchino al naso, le tette grandi e gli occhi da sirena.

La voce non l’ho provata mai.

La ragazza dai capelli rossi ha un bicchiere in mano.

La bocca non l’ho provata mai.

Lei mi s’incastra tra la tentazione e i pensieri senza coesione delle prime o ultime ore del giorno, come un sasso sul bordo di un fiume o una scala su un muro o il rumore sordo di un libro che cade.

La ragazza dai capelli rossi tornerà, per ora sto seduto a fissarmi in un orologio che ticchetta.

Le lancette cadono a manciate e si ammucchiano in una spirale, il corpo del serpente prende forma e colore ed è di seta e si avvolge e si svolge senza sosta dietro a un muro di mattoni coperto di scritte senza capo né coda, scritte multicolore e ibride per significato, aborti defunti gravidi.

In alto, il sole è una moneta falsa e la luna è uno specchio e le nuvole sono passanti eterne morenti e di latte o di fumo o di pioggia battente e dorata.

Gli umori dell’aria impregnano senza sosta i respiri, profumi di terra bagnata e il suono di un pulsare ritmico.

P-QRS-T

Una rosa di vetro è poggiata a terra, tra gli amici e la strada vuota. Li vedo distanti e non li sento parlare, non hanno più bocca o è troppo occupata, gli occhi sono quelli di un vecchio triste, la strada è ampia e vaporosa.

In piedi, al centro, la ragazza dai capelli rossi torna a battere cassa. Con le sue gambe sempre aperte sul mondo.

Stavo per baciarle il respiro, un fulmine ci ha divisi e mi aspetta a labbra socchiuse.

Attorno, rumori cristallizzati a mezz’aria come fiocchi di neve eterni.

E’ troppo presto per tornare a casa.

E’ troppo tardi per tornare a casa.

Aveva un altro piano. Il corso gira e gira e vomita sentenze sul prossimo momento.

Un fremito mi scorre lungo la schiena giù giù giù e su lungo la pelle e la pelle grida per il vento freddo che mi taglia in due come se un vetro mi piombasse addosso e di fronte e di lato e tutto si sfoca e rinasce diverso e si sfoca e rinasce diverso e si sfoca e si sfoca e s’infuoca il mare sotto il volo dei gabbiani e sopra la corsa folle dei delfini lontani lontani lontani vicini allo scafo di una barca che rincorrono al tramonto ed è l’alba per il drago che non si fa vedere perché nessuno ha occhi tanto dolci da accarezzarlo e gli occhi verdi mi sfumano davanti agli occhi e il mare è scuro e il cielo è nero e le stelle me n’ero dimenticato delle stelle è come se la notte avesse paura del buio.

Ora basta.

La ragazza dai capelli rossi mi si stringe al fianco e con le mani mi stringe slacciandomi i pantaloni.

Di colpo mi sono stancato, però.

Torna domani.

Piange come tutte le pu**ane. Anche la città a modo suo piange. Gocce di fanghiglia.

Non posso guardarla piangere.

Giro la testa, e guardo i campi coltivati a fuoco e nuvole.

“...e questo?”

“Guarda com’è ridotto... Ca**o, ha sfondato con la testa un parabrezza. L’abbiamo trovato così.”

“Ha gli occhi fissi... Chissà che gli passa per la mente?”

“A che ca**o vuoi che stia pensando? Buio... Che altro?”

“Fosse per me, gli staccherei la spina...”

Seppellito sotto la sua maschera di porcellana, Luca sogna.

Per tutti, in fondo alla strada, una ragazza dai capelli rossi.

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  • 2 settimane dopo...

Le SS ci guardano ancora. è strano. Avere il loro sguardo addosso, ma allo stesso tempo capire che non ti stanno neanche percependo. Capire che te a loro non freghi niente. Che te puoi morire davanti a loro, e loro urlare "Im Krematorium!".

è notte. Il giorno sembrava non passare più. Sento il respiro degli altri, ma non riesco a dormire. è la fame? No, quella non la sento neanche più. è il freddo? Ma anche lui mi è sempre accanto. No, è il semplice motivo che sono in un campo di sterminio. Ormai non sono più un uomo. Perché penso? Perché devo pensare? Sono le SS che mi dicono cosa devo pensare. Cosa devo fare?

Eppure pochi mesi fa ero un uomo. Vantavo una prestigiosa catena di librerie in tutta Germania. Perché sono diventato così? Che ho fatto ai tedeschi? La mia famiglia viveva in Germania da più tempo di loro. Che ho fatto di male?

Di nuovo. A trasportare rotaie arrugginite. Mi spintonano, frustano ,picchiano. Ma ormai sono una bestia. Trasporto il ferro come se fossi una macchina. Non sono degno neanche dei cani delle SS. Le SS usano qualsiasi tipo di cura sui loro cani. Perché non guariscono anche me? Perché non mi nutrono e mi accarezzano dolcemente come fanno coi loro cani? Perché?

Mi sveglio di soprassalto. Un sogno, tutto solo un sogno. Mi alzo tutto sudato. è già mattina. Vado in bagno e mi sciacquo la faccia. Mi pettino i capelli e i baffi. Ho una riunione importante oggi.

Un soldato entra e mi chiama. Io vado con lui. Oggi è un grande giorno. Farò un grande discorso.

Sceso dall'auto, tutti mi applaudono. Salgo sul palco, e con orgoglio sento:- Heil Hitler, mein Führer!-

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  • 4 settimane dopo...

Beh, che dire, purtroppo questo mese è stato veramente poco combattuto, spero che gli ultimi due abbiano un po' di ripresa. ;-)

Considerando che è giunto un unico voto, questa volta Aerys ed io ci siamo presi il diritto di dire la nostra e il racconto vincitore è risultato

Incubi

di

ectobius

:-D

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Beh, che dire, purtroppo questo mese è stato veramente poco combattuto, spero che gli ultimi due abbiano un po' di ripresa. ;-)

Considerando che è giunto un unico voto, questa volta Aerys ed io ci siamo presi il diritto di dire la nostra e il racconto vincitore è risultato

Incubi

di

ectobius

:-D

Posso solo immaginare di chi sia l'unico voto... :rolleyes::-p

Complimenti ad Ectobius ;-)

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Vi sono stati solo tre partecipanti (dei quali uno fuori concorso) e un solo voto... beh, non posso esaltarmi per la vittoria. Per risollevarmi un po’ il morale?... o almeno per sapere se qualcuno mi ha letto?... allora qualche commento! Ma, ahimè!... temo che non potranno esserci commenti favorevoli dal momento che c’è stato un solo voto... che vi assicuro non è stato il mio. Anche un motivato commento negativo... Orsù!

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