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Racconto comico di D&D


Messaggio consigliato

Certo certo mi farebbe molto piacere!

Mi piacerebbe anche qualche commento sulla comicità del racconto, che è una questione alquanto centrale.

(Per inciso, lo so benissimo che il livello delle battute è veramente basso, ma essendo alle prime armi a me va bene così. Poi mi fa ridere, dunque siamo tutti contenti.)

Vedrò se mi viene qualche idea migliore per quanto riguarda i pezzi da te commentati... Grazie in ogni caso.

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Ho corretto le prime castronerie. Ora almeno le prime venti righe dovrebbero essere immacolate

Le ho rilette: sintatticamente sono meglio, ma restano molto macchinose da leggere...

Tu hai detto che talvolta scrivi apposta in modo confusionario ( si veda il caso dei pensieri dell'elfo) per rendere l'idea al lettore: secondo il mio parere questo obiettivo può essere tranquillamente raggiunto senza sbagliare la punteggiatura...

Arbred ignora purtroppo che gli ogre e gli elfi si tenevano

ehm...hai lasciato l'imperfetto....Nella stessa frase hai scritto "appunto": toglilo, è inutile.

mostra alcune profonde crepe in ricordo di quando Hammie, qualche mese prima, ci si era specchiato

Errore: non puoi utilizzare "prima". Dato che stai parlando al presente devi utilizzare "fa", al cui seguito non puoi mettere un trapassato prossimo, ma un passato prossimo (ad esempio: ci si è specchiato).

Personalmente toglierei in, sostituendolo con una virgola.

Prima di "mostra" non mettere la virgola, ma i due punti.

Sogghignando, tira fuori di tasca una scatola di ferro grossa un pugno, slega la cintura che lo teneva chiuso e quindi svita il

E' proprio sbagliato utilizzare "teneva". Devi trovare un altro modo per dire che lo slega dalla cintura a cui è legato..

Estrae dunque un ammasso di peli con due teneri occhietti

personalmente toglierei il dunque che appesantisce inutilmente la frase.

In risposta, l'elfo inferocito lo ricaccia nella scatoletta che lo contiene a malapena, e la richiude avendo cura di pinzare buona parte della coda spelacchiata di Hammie

Ricorda: la "e" è buona regola non metterla mai dopo la virgola. Nel caso specifico la virgola dovrebbe essere messa prima di che e dopo a malapena: è questo l'unico caso in cui la virgola può precedere la "e", quando cioè la e è preceduta da una incidentale ( ad esempio, "in grado a malapena di contenerlo".

Scusami se oggi non continuo, ma non ne ho proprio tempo...

A presto ;-)

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veramente bello, puntualizzazzioni della grammatica a parte.

quell'elfo mi piace, ma a me mi piace di più il criceto

Noto del sarcasmo nelle tue parole: sbaglio?...

@Starfire: nel momento in cui non vuoi più che ti dia consigli, avvisami.

Se preferisci che te li invii via mp...dimmelo...

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Le ho rilette: sintatticamente sono meglio, ma restano molto macchinose da leggere...

Tu hai detto che talvolta scrivi apposta in modo confusionario ( si veda il caso dei pensieri dell'elfo) per rendere l'idea al lettore: secondo il mio parere questo obiettivo può essere tranquillamente raggiunto senza sbagliare la punteggiatura...

Proverò alla prossima versione.

ehm...hai lasciato l'imperfetto....Nella stessa frase hai scritto "appunto": toglilo, è inutile.

Ho lasciato l'imperfetto perché l'avvenimento di cui si parla è antecedente rispetto alla narrazione: ormai l'elfo non ha più una casa e quindi nessuno che ci si tenga lontano.

Si l'"appunto" è un fronzolo superfluo che forse appesantisce... Riguarderò.

Errore: non puoi utilizzare "prima". Dato che stai parlando al presente devi utilizzare "fa", al cui seguito non puoi mettere un trapassato prossimo, ma un passato prossimo (ad esempio: ci si è specchiato).

Personalmente toglierei in, sostituendolo con una virgola.

Prima di "mostra" non mettere la virgola, ma i due punti.

Grazie mille eseguirò.

E' proprio sbagliato utilizzare "teneva". Devi trovare un altro modo per dire che lo slega dalla cintura a cui è legato..

"snoda la cintura che ne impediva l'apertura"

Anche qui c'è il passato perché lo stato delle cose ormai non è più quello...

personalmente toglierei il dunque che appesantisce inutilmente la frase.

Ricontrollerò.

Ricorda: la "e" è buona regola non metterla mai dopo la virgola. Nel caso specifico la virgola dovrebbe essere messa prima di che e dopo a malapena: è questo l'unico caso in cui la virgola può precedere la "e", quando cioè la e è preceduta da una incidentale ( ad esempio, "in grado a malapena di contenerlo".

Riguarderò. Grazie mille per tutti i consigli.

@Starfire: nel momento in cui non vuoi più che ti dia consigli, avvisami.

Se preferisci che te li invii via mp...dimmelo...

No no va benissimo così, grazie mille per il tempo che mi/ci dedichi, perché anche se finora sono l'autore del testo, anche i co-autori potranno aver bisogno dei tuoi consigli :)

Grazie ancora e ciao!

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Ho lasciato l'imperfetto perché l'avvenimento di cui si parla è antecedente rispetto alla narrazione: ormai l'elfo non ha più una casa e quindi nessuno che ci si tenga lontano

Eh..ma seguendo la consecutio non si rende con l'imperfetto l'anteriorità, quando la principale è al presente...

Dovresti utilizzare il passato prossimo. Ad esempio: Arbred ignora purtroppo che gli ogre e gli elfi si sono da sempre tenuti lontano...

Ok?...;-)

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inquina

Criticorrettore no, trova qualcosa di meglio ;-)...

Spero che inquina tu lo abbia messo apposta :D..

Comunque stasera, dopo essere tornato dalla corsa al Parco Castello, vado un po' avanti...

Mi raccomando: se riesci fammi trovare la parte che abbiamo ri-guardato già corretta...

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Capitolo Primo - Arbred, Arganaeccetera, Gnocco e Hammie.

Spoiler:  
Il sole ormai cala nelle vaste terre di Elvar, un elfo pensieroso cammina spedito attraverso una foresta.

- Diavolo! Lasciare questa terra è difficile, ma questi dannati ogre e ancora peggio questi dannati elfi mi danno veramente fastidio, disturbano i miei gorgheggi. -

Arbred ignora purtroppo che gli ogre e gli elfi si sono tenuti lontani dalla sua casetta per evitare i suoi gorgheggi, poiché producevano suoni comparabili a quelli emessi da un verme purpureo mentre si fa i gargarismi con aceto e limone.

- Che noia davvero questo sentiero, i sassolini mi rovinano i piedini. Non avrei dovuto lasciare sulla mia sequoia le scarpe. Dannazione a questi sassi. Sono così appuntiti... Ahia! Ma, ora che ci penso, perché non cammino sull'erbetta? Certo che il mio cervellino elfico funziona veramente male ultimamente! Vediamo se le treccine sono a posto... -

Pensando queste cose, l'elfo prende in mano lo specchietto che si porta legato con un cordino elfico alla cintura, entrambi dei teneri regali elfici della altrettanto elfica nonnina. Lo specchio è di pregevole fattura, con la cornice intagliata nell'avorio azzurro, mostra alcune profonde crepe in ricordo di quando Hammie, qualche mese fa, ci si è specchiato. Hammie è un criceto, per la precisione una sorta di incrocio tra una pantegana radioattiva e un topino bianco da alchimista, come quelli usati per testare le pozioni. L'ibrido fu affidato con solenne giuramento ad Arbred qualche anno fa in occasione della morte della sua amata nonnina. Questa cariatide era a tal punto amata che alla sua morte il nipote, con gran disappunto del criceto, cantò e danzò per tre giorni, fino ad ottenere una condanna per avere bloccato l'elfico sviluppo di numerosi elfici bambini.

Arbred ora si guarda con finto disinteresse allo specchio, si aggiusta le bionde trecce rasta e si schiaccia un paio di secolari brufoli elfici.

- Questo dannato specchio è sempre più rovinato per colpa del mio dannatissimo criceto. Vediamo l'incrocio come se la cava... -

Sogghignando, tira fuori di tasca una scatola di ferro grossa un pugno, slega la cintura che lo teneva chiuso e quindi svita il coperchio a tenuta ermetica. Estrae dunque un ammasso di peli con due teneri occhietti rossi che lo guarda in adorazione. La mano elfica stringe il topino Hammie fino a fare sporgere i suoi occhioni di qualche centimetro dalle orbite e l'elfo lo fissa con aria assatanata dritto nelle pupille.

«Sei ancova vivo eh?»

Il tenero esserino lo guarda e ammicca felice. In risposta, l'elfo inferocito lo ricaccia nella scatoletta che lo contiene a malapena e la richiude avendo cura di pinzare buona parte della coda spelacchiata di Hammie. Dunque scaglia con vigore la scatoletta contro un albero, ma si china subito a raccoglierla, sapendo bene che si sarebbe ritrovato il criceto davanti il giorno dopo. Ci aveva già provato molte volte. Una volta addirittura lo aveva gettato in mare in una bottiglia sigillata, per ritrovarselo il giorno dopo bagnato e soddisfatto sul suo cuscino, accompagnato da una sirena sorridente.

- Speriamo che soffochi, la carogna. Ora... Dove si va? Avevo sentito parlare di Alglafia, un paesino di montagna vicino a queste parti, ma non ho idea di come ci si arrivi... Magari il ratto lo sa, ma non ho voglia di tirarlo fuori. Mah, incominciamo ad uscire da questo bosco. -

Uscito dalla foresta, Arbred segue il sentiero, mentre incomincia a calare la notte.

Canticchiando una canzoncina demenziale prosegue, affidandosi ai suoi sensi acuti per procedere sicuro nell'oscurità.

La mattina seguente giunge in vista di Alglafia, un villaggio di pastori, e fa il suo ingresso trionfale calpestando coi piedi nudi un enorme pizza bovina che sembra sorridere dalla gioia. Dopo avere infierito brutalmente sui poveri prodotti corporei, prosegue imprecando verso l'unica osteria del paese, chiamata "La Boassa".

Una decina di pastori ride al suo passaggio, dopo avere seguito con sguardi curiosi le sue vicende e liti coi prodotti del bovino intestino. Ride perfino una mucca, che lo guarda divertita e con aria vagamente colpevole.

- Ste dannate mucche con questa schifosissima abitudine di concimare in giro per la città... -

«Oh ma che cosa disdicevole, tutti questi escvementi in givo pev le vie, oh ma che puzza insoppovtabile...»

- Cornute le mucche e ancora più cornuti i pastori, che possano annegare insieme a Hammie... -

«E voi potveste puve smetteve di videve, non si gioisce delle altvui sventuve!»

Uno sguardo inorridito si dipinge sulla faccia dei pastori alle frasi dell'elfo, che ha una voce roca e stonatissima, a volte stridula come quella di Hammie e a volte simile al rutto di un balor con la tracheite.

I pastori dunque iniziano a ridere rotolandosi per terra, ridono come pazzi senza più riuscire a fermarsi.

Arbred, imbufalito e umiliato, entra nell'osteria sporcando non poco il pavimento e si appoggia stanco al bancone, ordinando una birra.

In quel mentre un corpulento mezzorco dall'aria rozza, ma con lo sguardo stranamente fiero e altezzoso per la sua razza, fa il suo ingresso nella locanda. Con passi pesanti ma ben misurati, si appropinqua al bancone piazzandosi nell'unico posto disponibile, cioè di fianco ad Arbred. Infatti misteriosamente nessuno sembra volersi avvicinare all'elfo.

«Signor locandiere, potrebbe, cortesissimevolmente, consegnarmi quella pregiata bevanda alcolica che proviene dal frutto della vite autunnale?»

«Eh?!?»

Esclama il locandiere lievemente disorientato.

«Del vino, villano!»

Nel villaggio di orchi dal quale proviene, il mezzorco Argaragnasd è molto conosciuto. Il suo fare maleducato rende orgogliosi gli orchi, ma il suo "piccolo" difetto li fa anche vergognare. Perciò alcuni orchi, combattuti tra questi due sentimenti, si suicidano perché non capiscono cosa stanno provando.

Oggi Argaragnasd è nella versione sapientona perché si è dimenticato che stava dormendo nella parte sotto di un letto a castello e, tirando una poderosa testata alle assi del letto sovrastante, ha azionato il meccanismo psichico che lo ha messo in modalità pigna.

Infatti il mezzorco è dotato di una duplice personalità, che si scambia ad ogni colpo ricevuto sulla testa.

Quando è in modalità sapientona, o meglio Modalità Pigna, come la descrive il suo psicologo, il mezzorco ottiene una squisita capacità di fare innervosire i suoi camerati.

Ora Argaragnasd sorseggia il suo vino tranquillamente, mentre il suo naso orchesco incomincia ad avvertire un aroma poco piacevole di probabile natura bovina.

- E chi è adesso questo specie di orcoide puzzettone? Ma chi si crede di essere? Beve tenendo il boccale come una primadonna... - Pensa Arbred, guardando con la coda dell'occhio il nuovo arrivato e bevendo sorsate smodate di scadente e scaduta birra gnomica fino a farsi andare tutto di traverso.

Ma Arbred non fa in tempo ad ordinare la quarta birra che ecco comparire sulla porta uno gnomo con uno sguardo completamente perso, le braccia a penzoloni e un'espressione a metà tra l'equino e il caprino. Arbred strabuzza gli occhi e con espressione quasi altrettanto animalesca pensa: - Ammazza te questo qui è perfino più fatto di me... Chissà come ha fatto a ridursi così... -

Vedendo che l'elfo al bancone lo fissa incredulo, lo gnomo cerca invano di prendere un atteggiamento un po' più dignitoso, si tira su le brache che erano all'altezza del tallone e procede barcollando verso l'unico posto rimasto libero al bancone: tra l'elfo e il mezzorco.

«Oh Theresa, c'è un posto libero qui! Ma che... Ma che bello... Hey oste! Una birra! Birra, sì!»

Questa bizzarra creatura è Gnocco, uno gnomo con una gran passione per la magia ma soprattutto per degli strani funghetti verde brillante che ormai è anche capace di evocare. Questi verdi boleti contengono una strana sostanza che induce la creatura che li ingerisce a vedere delle caratteristiche fatine verdi svolazzanti. In seguito a un epico diverbio con una fatina tuttavia Gnocco ha iniziato ad odiarle tutte quante e ora ne vede ovunque, pure quando non è in botta. Soprattutto ha una paura matta di essere catturato, dipinto a strisce blu e legato alla ruota di un carro.

Vedendo che lo gnomo è solo, sia l'elfo che il mezzorco si voltano a guardare la tappa creatura, e il loro sguardo si incrocia quaranta centimetri sopra alla sua unta testa.

L'oste, ormai con un fazzoletto attorno al naso e alla bocca, serve scettico lo gnomo barcollante.

Quest'ultimo, dopo qualche sorsata, esclama «Hola amico orecchieapunta! Come... Come va la vita?» e nel frattempo tira una poderosa manata sull'elfico sederino di Arbred, che sussulta e prende vita, dimostrando forse la sua soddisfazione sfiatando con la potenza di un geyser.

Arbred, spaventato a morte dal colpo e dalla conseguente incontrollabile reazione del suo retto, si gira indignato verso lo gnomo, sbattendo l'imbevibile birra gnomica sul bancone. «Cosa stai facendo, vazza di subdolo esseve infeviove e meschino? Come ti pevmetti?»

Lo gnomo, ingannato dal vocione, si gira verso il mezzorco ma si ritrova a fissare la sua cintura, dato che quello stava pacificamente appoggiato al bancone sorseggiando la sua birra. «E tu cosa c'entri, specie di orso? Stavo parlando con... Con l'amico elfetto! Guarda che Theresa ti fa la bua se provi ad importunarmi! Theresa...»

Il mezzorco crede che sia l'elfo a parlargli, dato che non vede il basso gnomo, incastrato tra i due.

- Signore, io non le ho riferito alcun commento o parola, quindi la prego gentilmente di tenere chiuso il suo apparato di riciclo dell'immondizia -

«Sto pavlando con lui, specie di gvosso plantigvado intvonato... Con questa specie di moscevino schizofvenico!» Sbraitò al contempo l'elfo, perdendo ogni rimasuglio di grazia elfica e di elfico contegno rimasti.

Lo gnomo si gira nuovamente verso l'elfo, lievemente disorientato, mentre il mezzorco Argaragnasd continua tranquillo a bere a piccoli sorsi il suo vino, non ritenendo dignitoso rispondere a una così meschina ingiuria.

Purtroppo in quel momento Hammie, liberatosi finalmente dalla scatolina ermetica, fa il suo ingresso in scena salendo sulla spalla di Arbred. Al che lo gnomo impallidisce violentemente e incomincia a strillare con voce acutissima «La... La fatina malvagia... Aaaaaagh! Le fatine la fatina le fatineee!»

Dunque stride qualche arcana parola e scaglia una palla di fuoco contro la povera bestiolina, che si ritrova all'improvviso incastonata nel soffitto.

Arbred resta impassibile, seppure un po' scornato, ad osservarsi la spalla bruciacchiata, cercando con lo sguardo tracce dell'animaletto mentre un sorriso gli si allunga sul volto. «È movto?» Chiede dunque speranzoso, con le mani giunte in preghiera e quasi le lacrime dalla felicità.

«Noooo! La fatina è ancora vivaa! È immortale! Aiuto! Aiutoaiutoaiutoaiuto!» E spara ancora una palla di fuoco scoperchiando definitivamente il povero edificio.

Ormai l'osteria è un tumulto, pezzi di soffitto crollano ovunque, le pareti collassano, una massa di persone si rovescia nella piazzetta del paese fuggendo in ogni direzione e urlando, calpestando quanti cadono.

Ci saranno in futuro molte versioni divergenti che cercheranno di spiegare l'accaduto. Nessuno saprà mai come ha fatto la cosiddetta "fatina" a sopravvivere alla seconda fiammata, ma due testimoni affermeranno "La fatina si è infilata su per l'armatura del mezzorco in cerca di salvezza dalla furia distruttiva dello gnomo, ma questi, con lo sguardo invasato ed emettendo fumo dalle orecchie, si è inerpicato sulla testa dell'impassibile bestione continuando ad evocare una dopo l'altra sfere di morte infuocata."

Narreranno che conseguentemente all'ascesa dello gnomo sulla testa, il mezzorco si è misteriosamente infuriato, estraendo una poderosa ascia orchesca e cercando in ogni modo di annientare la creatura gnomesca, accompagnando pure le sue riprovevoli azioni plebee con ruggiti e barriti.

Secondo quanto dirà un vecchietto che stava pacificamente seduto sulla sua sedia a dondolo in piazza, una torma di gente terrorizzata tra cui un elfo barcollante con una scarpa di quello che pareva fango e l'altro piede nudo, si è riversata in piazza e poi dispersa cercando riparo. Subito dopo questa calca di gente è zampettato fuori dalle macerie una specie di pantegana fosforescente, inseguita da una furia impolverata, a sua volta seguita da un elefante alto due metri e mezzo con un'ascia più grande di lui.

Poi il vecchio dirà di essere fuggito zoppicando, mentre i tre pazzoidi radevano al suolo il paesino e perfino la sua amata sedia a dondolo.

Ora invece i paesani, rifugiatisi su degli alberi vicino al paese, assistono inermi alla devastazione delle loro povere case, e quando Arbred, con ancora un piede pieno di quello che pare "fango putrido", tenta di inerpicarsi sulla quercia sovraccarica, viene scortesemente scacciato da una fitta gragnuola di saponette, grida, pigne e scarpe assortite. «Vattene!» «Vai a calmare i tuoi amici, elfo puzzolente!» «Ho sentito parlare di lui! Si chiama Arbremagique!» «E perché mai?» «Perché ha l'alito di un ghoul!» «Vattene via!»

Dunque l'elfo recupera un paio di scarpe, e accompagnato da risa sguaiate e da una grandine di pigne, corre furioso verso il turbine infuocato composto da Argaragnasd, Hammie e Gnocco lo gnomo. Ai suoi occhi si presenta la seguente scena: uno gnomo invasato che strilla «Via via fatine malefichee! Viavia!» e corre in cerchio evocando in continuazione piogge di meteore su qualsiasi persona o edificio in vista, un mezzorco imbizzarrito che cerca di asciare lo gnomo sbraitando «Lasciati colpire, inutile tappetto!» e infine un topino sbruciacchiato, contuso, escoriato e traumatizzato che si regge con tutte le sue forze all'orecchio dello gnomo, squittendo come un matto.

Arbred rimane fermo sul posto, a metà tra il divertito e lo stupito e solo dopo aver schivato un meteorite si dirige verso i tre a passo veloce «Sentite vagazzi, fevmatevi! Calmatevi un pochino e discovviamo insieme da pevsone civili, pvima di favci male sul sevio!»

Al che solo Hammie molla la presa e si siede per terra, finendo calpestato dallo gnomo e subito dopo tritato dal mezzorco.

Accortosi di avere brasato il povero animale, Argaragnasd si ferma all'improvviso, e aspetta fermo l'impatto dello gnomo che infatti dopo due secondi si schianta contro la sua schiena. Dunque il bestione, con gli occhi lucidi, si china a scrostare i rimasugli del povero criceto, che però mostra ancora inconfutabili segni di vita.

«Oh, non ti pveoccupave, si vipvendevà fin tvoppo in fvetta... Ova savà meglio lasciave il paese, pvima che i paesani si decidano ad aggvedivci.» gracchiò Arbred in un impeto di saggezza.

Hammie si trascina lentamente verso l'amato padrone, scricchiolando la sua disapprovazione verso i metodi barbari dello gnomo. Quest'ultimo sembra improvvisamente rinsavito, e strabuzza gli occhi con espressione stupita e stupida. «Dove sono? Chi sei tu? Dov'è Theresa?»

Correzzione del primo capitolo. Ho qualche dubbio sulla parte in cui narro gli avvenimenti in seguito all'esplosione della taverna...

carico il secondo pezzo in un'altro post dato che il racconto è troppo lungo per starci in uno solo.

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Spoiler:  

Arbred, noncurante delle parole di Gnocco, drizza le appuntite orecchie e si volta di scatto, tendendo il suo miniarco. Il miniarco di Arbred ha una lunga storia, tanto lunga che nemmeno lui se la ricorda, ma è decisamente unico e peculiare, a spese della potenza. Infatti è un arco lungo circa venti centimetri, composto da due spiedini incollati, che tengono teso un unico capello elfico.

Questo arco scaglia stuzzicadenti. Arbred lo usa da anni ed è ormai in grado di centrare un'oliva a sei metri di distanza, cosa che gli è tornata molto utile quando è stato messo a dieta dalla mamma, preoccupata per la sua elfica linea.

Dunque, estratto il miniarco, Arbred prende accuratamente la mira verso il cuore del nuovo arrivato, il quale, per niente impressionato, accenna un «Oh!» e continua a camminare verso il gruppo.

Anche il mezzorco e il compare, ormai conciliati, si voltano a scrutare quello che pare uno halfling. Indossa una larga tunica bianca completamente disadorna che lo avvolge interamente e si ferma mezzo centimetro sopra al terreno. Avanza, il volto celato dall'ombra di un cappuccio, calmo e solenne verso il gruppo.

Giunto a una decina di metri dal gruppo, si ferma e alza la testa, lasciando intravedere ai tre il volto dai fini tratti halfling. Quindi osserva da capo a piedi i tre avventurieri, soffermandosi in particolare sullo gnomo, che ha ancora le occhiaie fino ai calcagni.

«Ahem. Sono Elver, un combattente famoso dalle mie parti, non per vantarmi, ma cioè insomma sono abbastanza rinomato e benvoluto dalla mia gente.» Dicendo questo, lancia una profonda occhiata ad Arbred. «Ho sentito parlare di voi... Ahem... Più o meno bene... E ora questi popolani mi hanno detto che siete delle furie distruttrici, dunque potreste fare al caso mio.» Mentre parla, lo halfling estrae da una tasca nascosta un sacchettino tintinnante presto adocchiato da Gnocco. Poi continua: «Tu sei Arbremagique giusto? E tu Gnocca, e infine tu saresti Arganaeccetera detto "Pigna"? Che bel gruppetto... Ma siete giusto quello di cui ho bisogno.»

I tre arrossiscono violentemente e, colti da un'improvvisa scarica di tosse, rispondono al nuovo arrivato: «Beh si io vevamente savei Avbved, elfo alto dei Boschi Della Cometa.» Dice Arbred raddrizzandosi e pulendosi, tutto tronfio. «Ma in effetti mi chiamano Avbvemagique...» Dice subito dopo ammosciandosi come un verme nell'acido cloridrico.

«E io sono Gnocco, un maschio, capito? Si, un bel maschione supervirile e supervilloso! E se lo vuoi mettere in dubbio c'è qui Theresa che lo può confermare!» Esclama Gnocco convinto. «Beh si in effetti però qualcuno all'epoca mi chiamava Gnocca perché stavo con un gran bel pezzo di fatina che però nessuno aveva mai visto e mi sfottevano e io ero tanto triste e piangevo... Snif...» E incomincia a lacrimare. «Su, su... Coraggio...» Gli sussurra il mezzorco tirandogli una pacca sulla schiena che quasi gli fa vomitare un funghetto.

«E io è Argaragnasd, detto "la trivella", sia perché picchio tutti sia per mie doti... Ehm... Si beh insomma avere capito. E comunque io non ha mai capito come mai mi chiamino "Pigna"... solo io ogni tanto ha dei vuoti di memoria e l'ultima cosa che io mi ricorda è una forte botta in testa. Bum!» Tutti sussultano. «Poi io mi sveglia a volte legato e imbavagliato, altre volte con una gran bua alla crapa e un martellazzo da guerra abbandonato di fianco a io. E in effetti io non è un granché a letto e tutte le mezzorche che io ha conosciuto dopo piangevano... Sniff...»

Segue un lungo silenzio imbarazzante, e poi i tre scoppiano in lacrime mentre Hammie invece ride divertito. Vedendo che l'incrocio ride, Arbred lo guarda spietato e gli sussurra: «Ti vicovdi il giochino del baseball che facevamo io e te? Ecco... Se non la pianti subito iniziamo a giocave con te io e il mezzovco. Hai affevvato il concetto?».

La bestiolina ammutolisce immediatamente, e anzi inizia a piangere comprensiva sulla testa dell'amato padrone.

Lo halfling avanza ancora di qualche passo verso il quartetto e dice: «Ehm... Davvero commovente. Ahem... Come vi dicevo, io sono Elver, detto "Il Filosofo", anche se qualcuno mi ha soprannominato "Il Pedofilosofo" per ragioni che non sono tenuto a dirvi... Ahem. Comunque, sono qui per proporvi di unirvi a me in una perigliosa missione.»

Sguardi vaghi. «Devo tornare a casa dalla mamma...» «Io ha lasciato il fuoco acceso e io non può lasciare bruciare lo stufato di lich...» «Domani ho lezione di Alchemia...»

«Questo è per cominciare.» Dice allora Elver, tendendo la mano con il sacchettino tintinnante. «Poi ovviamente alla fine dell'avventura ci saranno molti tesori e soprattutto potrete rifarvi un nome. Ne avete bisogno...»

Lo sguardo del gruppo ormai è calamitato dagli occhi dello halfling e nella piazza del paesino fantasma di Alglafia si sigla, con una stretta di mano, la formazione del gruppo di avventurieri.

La luna incomincia a fare il suo ingresso nel cielo, le prime stelle fanno capolino sopra alle montagne. Le nuvole e il vento del Nord annunciano pioggia.

I quattro spavaldi avventurieri alzano la testa, si asciugano le lacrime, illuminati da una nuova speranza. Anche Hammie, dall'alto della testa del padrone, osserva il cielo, pensando che grandi cose stanno per accadere.

Intanto qualche contadino ha finalmente trovato il coraggio di scendere dalla quercia e si è avviato armato di forconi e badili ad esplorare le macerie del villaggio, in cerca di oggetti superstiti e soprattutto di vendetta.

Dunque non appena i quattro decidono di comune accordo di mettersi in marcia, si accorgono improvvisamente di essere circondati da una doppia fila di contadini iracondi. Con espressioni più o meno colorite, Arbred, Gnocco e Arganaeccetera esprimono il loro disappunto.

- Questi maledetti bifolchi mi fanno perdere le staffe, ora ne faccio puntaspilli... -

Arbred estrae nuovamente il miniarco e lo punta spaventato in direzione dell'occhio destro del vecchietto, il quale con sguardo invasato e con un'ascia bipenne usata come stampella non vedeva l'ora di vendicare la sedia a dondolo.

- Conto fino a dieci e sfascio tutto! Uno, venti, trion... Tron... Trebtadue, rertebaquattro... -

Arganaeccetera invece, l'ascia in mano e gli occhi iniettati di sangue, è alle prese con l'algebra. Rimpiange di non aver seguito le lezioni della vecchia Zhurbhrteka, detta "Zitellurbhteka".

Gnocco invece esplorando i recessi della sua gnomica memoria si accorge di avere bruciato la sua riserva di incantesimi per trasformare in un campo da bocce il villaggio.

Hammie senza farsi notare è riuscito ad inerpicarsi su per i pantaloni del capovillaggio, pronto ad azzannare posti tabù ad un cenno del padrone.

Elver è l'unico che non mostra segni di preoccupazione, ed avanza di un paio di passi in direzione dei popolani.

«E tu chi sei?», «Sì, chi è quello?», «Da dove sbuca?», «Boh, prima trucidiamoli, poi chiediamoglielo.», esclamano i popolani rissosi.

Ed Elver, pacifico, risponde con voce rassicurante: «Sono un amico, e voglio solo parlarvi. Non conta chi sono, conta solo quello che faccio.»

«E tu cosa fai?»

«Io parlo.» Risponde lui cauto.

«Ha ragione!» «Sì è vero...» «Ma cosa balor centra questo?» «E che ne saccio io?»

«Non dovete chiedervi cosa c'entra, ma piuttosto cosa non c'entra.»

«E cosa non c'entra?» «Già. Cosa non c'entra?»

«L'ho chiesto prima io.» Risponde furbo lo halfling, che non avrebbe saputo ribattere.

Segue un lungo silenzio, in cui i popolani si guardano tra loro corrucciati, parlottando e chiedendosi cosa non c'entra.

«Non c'entra che io ho una mucca che si chiama Carolina!» Dice ad un certo punto il vecchio saggio del villaggio, ormai dimentico della sua sedia a dondolo.

«Ottima risposta! Hai vinto una mucca, che ti sarà consegnata al villaggio al di là della montagna, ma devi sbrigarti, perché il concorso scade alla mezzanotte!»

Il vecchio, recuperato tutto il giovanile impeto, esclama "Grazie, grazie mille nobile avventuriero!" e incomincia a correre su per la montagna, gettando via l'ascia bipenne.

Il gruppo rimanente di pastori sorride. «Guardalo come corre!» «È un'altra generazione... Mica come i vecchi d'oggi...» «Si ma noi non dovevamo linciare dei distruttori di villaggi?» «Ehi, è vero! Ammazza ammazza!»

«Calma gente» Dice dunque calmo il Filosofo «Parliamone. Parliamo. Voi pastori avete bisogno di parlare con qualcuno di colto ogni tanto, dato che qui non avete che mucche.»

«Beh, si in fondo ha ragione.» «Dai, cosa ci costa tritarli dopo?» «Vediamo cosa si inventa adesso il bonzo...» «Forza o saggio, illuminaci.» Disse per ultimo un ragazzo biondo, con sedici denti di cui diciassette storti.

«Potrei parlarvi della vita e della morte...»

Intanto Hammie si è seduto sulla spalla del capovillaggio, incuriosito dalle parole dello halfling, si sono sdraiati a terra anche Arbred, lo gnomo e Arganaeccetera. Il primo si sta aggiustando i rasta, il secondo si sta pulendo le orecchie gnomiche e il terzo invece si gratta la testa confuso mentre tenta di seguire i discorsi dello halfling.

Quest'ultimo ora parla concitato, accompagnando con gesti il discorso che nemmeno lui riesce a comprendere.

«... la vita è inutile, perché tutti prima o poi siamo destinati a morire, e l'inizio è solo il principio della fine. Dunque quando nasciamo iniziamo a morire.»

Le reazioni del villaggio a queste prime parole sono diverse: «Ma... Ha ragione!» «O caspita!» «Povero me...» «Mi sento già un po' morto»

Ma Elver non si interrompe e incalza: «E dato che il tempo è una cosa relativa, il tempo è sfuggente e inafferrabile, il tempo è aria e dunque non è nulla, il periodo che intercorre tra la nascita e la morte non è nulla. Dunque voi siete di fatto già morti.»

A queste parole i popolani, uno dopo l'altro, si accasciano senza un suono per terra, stesi, le mani sul cuore, morti. Alcuni si sono indotti psichicamente la morte imponendo al cuore di fermarsi, altri si sono suicidati nei modi più svariati e altri ancora hanno chiesto una mano al vicino. Rimangono in piedi solamente quanti sono troppo vecchi, troppo ingenui o troppo stupidi perfino per aver capito il discorso. Tra questi fortunatamente il mezzorco, che guarda interrogativo Elver, indeciso se malmenarlo per la sua troppa saggezza o se adorarlo per la sua superiore stupidità.

Rimane in piedi anche qualche vecchietto, dei quali buona parte cadono colpiti da un infarto per lo choc. Il resto dei vegliardi, già con un piede nella fossa, aspetta il suo turno.

Il povero hammie invece ha seguito il discorso e sta provando a suicidarsi in ogni modo senza riuscirci, purtroppo o per fortuna. Prima ha provato a stendersi sotto al capovillaggio, che aveva in mano una grossa forca, aspettando che cadesse morto, ma quello sfortunatamente morì in piedi e rimase senza vita lì dov'era. Poi ha provato ad ingoiare la spada di un altro popolano, ma questi all'ultimo decide di usarla verso sé stesso.

Depresso e spelacchiato, Hammie ritorna in lacrime in braccio al padrone, che gli dice tranquillo: «Non sai quanto vovvei potevti dave una mano...»

Ormai la luna è alta nel cielo notturno, le nuvole sono sempre più incombenti e al lampeggiare del primo tuono, il filosofo contempla i risultati del suo discorso, sorride e si gira verso gli amici sbigottiti: «Ecco fatto. Ora possiamo andare.»

Fine della prima giornata.

Ho corretto alcuni errori.

Mi è venuta qualche idea per la continuazione: la missione di cui parla il Filosofo è di fingersi attori e comici girovaghi per fare uno spettacolo davanti al malvagio halfling di cui parlavo all'inizio e ucciderlo a tradimento.

Il tutto tra varie peripezie e un finale lolloso.

idee?

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