Vai al contenuto

Messaggio consigliato

Inviata

(Chiedo cortesemente ai lettori di segnalare errori di grammatica o discontinuità nel testo)

La vecchia casa sulla collina

“Se guardi a lungo nell’abisso, anche l’abisso vorrà guardare te.”

E.A.Poe

Cos’era quel bip-bip?Sempre più insistente , emergeva dall’abisso….era la sveglia elettronica!

Grugnendo, estese il suo braccio destro e lo levò in aria, per poi calare una manata sull’utile, ma antipatico, apparecchio.

Era riuscita a beccare il tasto giusto?Si, essa ora non faceva più rumore.

Si distese comoda sul letto, per tentare di riagganciare nuovamente un minimo di sonno; si sarebbe accontentata di un blando dormiveglia semi-cosciente, in cui tutto pare un teatro fermo senza spettacolo e non ci si rende conto dello scorrere del tempo, anche se al di fuori della tua percezione il mondo esiste e il tempo scorre.

Ma ormai era inutile.

Batté le palpebre un paio di volte, e riuscì a mettere a fuoco il soffitto; grigio, come un muro, ma stava sopra di lei; pensò che le avrebbe fatto molto male se gli fosse crollato addosso.

Divertita da questo pensiero, tirò fuori la lingua dalla bocca e poi la tenne fuori, come in una linguaccia storta; poi pensò a qualcosa di più gradevole per risvegliarsi dal torpore.

Si carezzò il petto con la mano destra, imitando i movimenti che avrebbe voluto fossero compiuti da un ragazzo; ridacchiò un po’, per piacere e imbarazzo.

Si accorse, movendosi, toccandosi addosso, di indossare unicamente un paio di mutande.

Si trascinò fuori dal letto, stancamente, e camminò per la piccola stanza quadrata, occupata al centro dal letto,verso il portone della terrazza.

Trovò la maniglia d’ottone, che luccicava sul legno marrone, e ci armeggiò; poi spalanco completamente le due ante del portale; così facendo, spostò anche le tende interne, che erano completamente tirate.

Il Sole entrò come un ‘onda dentro la sua camera da letto; la investì, proiettando la sua ombra dietro di lei, nell’ambiente grigio e smunto della sua stanza, in cui adesso sembrava entrare un po’ della grazia e della vitalità del mondo esterno.

Lei si inebriò di questo primo dolce calore luminoso, come fosse acqua rinfrescante; sentì qualcosa dentro di lei che si muoveva.

Prima di fare colazione, desiderava esporsi ad una dose maggiore di luce; andò così in terrazza, e si appoggiò alla ringhiera per compiere un’epica stiracchiata, durante la quale mostrò al Sole nuca, schiena, sedere e gambe; poi si rialzò e mostrò il davanti al cielo, solleticata da una dolce brezza; qualcosa dentro di lei si era definitivamente smosso.

Aveva regolato abbastanza bene la sua temperatura corporea; lo dimostrava la sua pelle, ora di una sfumatura più verde.

Tornò dentro, accarezzandosi la coda, e si diresse dritta alla cucina, poco più in là nel minuscolo appartamento; mentre usciva dalla camera e andava per il corridoio centrale, gli venne in mente che qualcuno forse l’aveva vista mentre era uscita sulla terrazza, mentre si abbandonava petto nudo al calore dei fotoni stellari; li per lì gli venne un po’ di imbarazzo, ma poi ci ripensò, e concluse che siccome la pensione si trovava su una strada piuttosto esterna al corpo centrale della città, usata dagli studenti per recarsi alla scuola primaria sulla collina o ai contadini per andare a fare colazione all’osteria del paesino, e poiché la facciata su cui si trovava la sua terrazza dava di lato rispetto alla facciata anteriore aperta sul sentiero, a vederla magari di sfuggita poteva essere stato solo qualche ragazzino o lavoratore di passaggio intenti a prepararsi alle occupazioni quotidiane.

Avrebbe potuto essergli da incentivo.

Mentre ci pensava, sogghignando in silenzio, si sedette al tavolo piuttosto vecchio della cucina dell’appartamento che aveva preso in affitto per un mese, a Ruthville; la signora Harris la conosceva fin dall’infanzia, e gli aveva fatto un prezzo di favore.

Non si era ancora del tutto svegliata, accidenti; si era seduta senza prendere la roba per la colazione.

Con un po’ di fastidio, si rialzò, e andò alla credenza per prendere da mangiare: l’assortimento di cibo, frutto di una spesa frettolosa, era limitato, e alla fine lei scelse dei fiocchi d’avena integrali.

Dopo averli presi, passò dal frigorifero e lo aprì, per tirare fuori il latte, un alimento tipicamente mammifero, che però a lei era sempre piaciuto; infine, raccattò da un armadietto una ciotola e un cucchiaino, tornò a sedere e velocemente, ma con la compiaciuta tranquillità di una cerimonia, si preparò il pasto.

Mentre portava alla bocca cucchiaiate di quei cereali imbevuti di latte, ripensò al suo obiettivo, la cosa che si era prefisso di fare per quel giorno da tanto tempo; questa volta, niente l’avrebbe fermata, pensò risoluta.

Aveva intravisto la scritta a cristalli gassosi sulla sveglia, mentre si era sporta per spegnerla: 6:45.

Si, era in orario; poteva permettersi il lusso di una doccetta.

“Così, quanto sono queste in tutto?”

“Sono due crediti l’una, quante ne vuole prendere, giovanotto?”

“Ne bastano due…prego; ecco i soldi.”

“E prendetevi pure questi dolcetti….non per impicciarmi, giovanotto, ma non sono un po’ troppo da bambini, per voi?Mi sembrate avere più di vent’anni…..”

“è vero, lo so, si tratta di piccoli concentrati di carboidrati e coloranti prodotti con grezzi metodi industriali, indirizzati ad una fascia d’acquirenti di età compresa tra i quattro e i dodici anni.

Ma vedete, signore, io conosco questa marca fin da bambino, e durante la mia infanzia era uno dei miei dolcetti preferiti; al giorno d’oggi, nei momenti in cui sento il bisogno di scacciare la tensione o il nervosismo, trovò benefico per la mia situazione mentale consumarli; in parole povere, mi rilassano…”

“Ah…”

”Volete una possibile spiegazione di questo fenomeno?Ve la posso dare, sono laureato fresco in psicologia umanoide..”

”Non importa giovanotto; un vecchio di provincia come me non ha tanto bisogno di spiegarsi le cose….gli basta capirle.”

“Se lo dice lei…”

“Come mai siete nervoso, giovanotto?”

“Non so se avete notato, ma sono nel vostro emporio da più di mezz’ora ormai; sono arrivato due ore fa con il corriere regionale in questo paese, e ho impiegato diverso tempo per trovare il vostro negozio, che è stato scelto come luogo per un appuntamento….”

“Chi state aspettando, ragazzo?”

“Una mia amica, Zealia Alhazread; ha vissuto qui a Ruthville per i primi anni della sua vita, e ha deciso di tornarci in questo periodo dell’estate terrestre, corrispondente al mese umano di agosto, poco dopo il conseguimento della laurea; ha deciso di andarci da sola, ma poi una settimana fa mi ha chiesto di raggiungerla per una questione che non mi ha specificato…

La conoscete?”

“Eccome, io la ho vista da bambina: una delle bimbe più dolci e gentili che avessi mai visto; veniva in questo negozio per spendere la sua paghetta in giornalini e fumetti che le piacevano tanto …. Davvero si è laureata?Ed è tornata qui a Ruthville?”

“Si è laureata in lettere; ed è tornata qui.”

“Vi ha dato appuntamento qui?Così potrò rivederla…ditemi, figliolo, come la avete conosciuta?”

“Alle scuole superiori; i suoi genitori si sono trasferiti ad Arkham per lavoro, continuando a tornare saltuariamente a Ruthville, e così lei ha frequentato il locale liceo del Miskatonic, affiliato alla ben più celebre Miskatonic University, dove abbiamo entrambe studiato, sebbene in facoltà diverse.

Durante questo lasso di tempo sono diventato suo amico; è sicuro di non avermi mai notato insieme a lei?Certe volte mi ha invitato a venire con lei e la sua famiglia nei brevissimi periodi di ritorno in questo paesino…”

“Infatti mi sembravi avere una faccia familiare, ti avrò scorto in passato…come ti chiami?”

“Dwe’Kwango; ho ventiquattro anni e sono un grigio; la mia famiglia è sulla Terra da due generazioni, compresa la mia.”

“Dici di essere un amico di Zealia, eh?Perché cosa vi ha dato appuntamento qui?”

“Me lo deve ancora dire.”

“Ha invitato altre persone?”

“Durante la sua comunicazione di una settimana fa, mi ha detto di aver chiesto solo a me di raggiungerla qui a Ruthville.”

“Sai se è già fidanzata?”

“Per quanto l’ho conosciuta e mi ha raccontato della sua vita precedente, affermo che lei non ha mai avuto una relazione ufficiale con qualsiasi altro individuo, neanche futili comportamenti preparatori dell’infanzia o dell’adolescenza…”

“Capisco…ih. Ih..”

“Ride?”

“No, pensavo…sapevo che non aveva mai avuto un fidanzato; però qualcuno l’avrà desiderata, no?è pur sempre una bella figliola; mi ricordo l’ultima volta l’ho vista un anno fa, era florida….

Che mi dite voi, giovanotto?”

“Non la seguo, signore.”

“Non so se anche voi avete l’occhio interrazziale….insomma, è bellina, no?”

“Mi rifiuto di fare commenti in materia, ma vi posso assicurare di avere preoccupazioni molto più importanti delle ragazze ultimamente..”

“Ne ho conosciuti , di dottori che dicevano cose del genere, e poi giocavano alla mitragliatrice..”

“E comunque, Zealia è solo un’amica.”

“Salve signor Nest.

Oh, Kwango, sei venuto!”

L’anziano commesso e il giovane studente si voltarono verso l’entrata dell’emporio, sulla cui soglia si stagliava in contrasto con la tenue luce di un mattino ora nuvoloso una figura alta intorno ai due metri, che rispondeva allo sguardo con occhi vivaci.

Lei si diresse verso l’amico e, chinandosi, l’abbracciò; lui restituì l’abbraccio, non senza un po’ di disagio.

“Zealia, non sapevo che eri tornata qui a !” disse meravigliato il commesso.

“Ho chiesto alla signora Harris di non spargere la notizia, e per i primi giorni ho vissuto senza dare nell’occhio…”rispose lei.

“Come mai?” chiese stupefatto il negoziante.

“Non volevo creare impiccio; ho preferito studiare la situazione prima di espormi al pubblico...”rispose lei un po’ imbarazzata.

“Ma non ci potresti mai dare fastidio, Zealia!Noi delle vecchie generazioni ci ricordiamo tutti di te e della tua famiglia, e anche i tuoi coetanei…anche se sono ormai tutti andati via da qui…Ruthville sta morendo, ormai…”disse il signor Nest.

“Non dica così, la gente continuerà ad abitare questa valle per altro tempo, in un modo o nell’altro..”lo rassicurò sorridente la giovane, mettendogli una mano sulla spalla oltre il bancone che li divideva.

“Zealia, l’ora è giunta: sono ormai le otto.”disse Kwango dopo aver guardato il suo cronografo da polso”L’orario del ritrovo è passato; vorrei conoscere il motivo della mia convocazione.

“Te lo dirò subito…durante una bella passeggiata: signor Nest, tornerò a trovarla più tardi; adesso io e il mio amico dobbiamo congedarci per parlare di cose importanti” disse lei cingendo le spalle a Kwango e tirandolo verso l’uscita.”

“Figuratevi, arrivederci.” Li salutò il vecchio mentre uscivano; li seguì con lo sguardo fino alla soglia, e poi oltre sulla strada, fino a che furono visibili dalla sua posizione di commesso dietro un bancone di un negozio.

Si torceva le mani compiaciuto e sorridente, con un’espressione sul volto simile a quella di un nonno affettuoso; non aveva mai odiato i giovani, e quindi era invecchiato bene.

La sua figura piccola e tarchiata, con la faccia rossa tonda e rugosa, con occhi chiari e svegli, ispirava fiducia innata.

Ora, Zealia e Kwango stavano camminando per le stradine di Ruthville, una cittadina rurale del New England; le strade erano asfaltate solo nelle vie più centrali, mentre i sentieri che si estendevano dalla massa di casupole in mezzo alla valle per arrivare ai campi o alle colline circostanti, o alle strade che portavano ad altri luoghi, erano tutti sterrati e polverosi; l’attività commerciale di Ruthville era ancora prevalentemente agricola, poiché il sostentamento dell’economia cittadina ne era sufficientemente favorito, e così altre attività erano sempre state al livello di curiosità folkloristiche; con questo regime, Ruthville esisteva ormai da circa 1200 anni; rimpolpata da continui arrivi, seguiti a quelli dei tardi coloni dell’800’; prima gli immigrati europei, poi quelli africani, poi quelli sudamericani, e asiatici….e negli ultimi secoli, quelli di altri mondi, i non umani; tutti avevano portato nuove storie, culture e tradizioni, le quali si erano amalgamate per bene con l’intrinseca filosofia dell’abitato: solerte lavoro e placida quiete, fonti di ragionevole fertilità e tranquilla felicità; e i campi intorno alla zona avevano regalato floridi raccolti per secoli, raccolti trattati sempre da locali per realizzare confetture, confezioni e alimenti vari.

E qualcuno costruiva utensili di legno, altri dirigevano locande e ristoranti, altri ancora facevano da guide per i pochi turisti che durante il loro pellegrinaggio nel continente americano finivano infognati in quella valle sperduta.

Le case e tutti gli altri edifici di quel paese avevano miracolosamente conservato lo stesso stile architettonico per più d’un millennio, benché numerose volte le costruzioni fossero state ristrutturate, occupate da nuovi inquilini o distrutte, e ne fossero spuntate di nuove col passare del tempo.

Qualcosa lì, si era come…bloccato..

Passeggiavano lì sulla strada principale, asfaltata, su cui si riservano le facce colorate degli edifici in legno e mattoni, coi tetti a spiovente; immutabili, apparentemente fossili anche se c’era qualcosa che ancora ci abitava…dai negozi sembrava venire un po’ più di vita, e ogni tanto si vedeva qualche

bambino a giro, o qualche vecchio seduto ai tavoli esterni di un bar, o qualche massaia intenta ad andare a fare compere per la giornata…

Su tutto spirava uno strano vento, simile ad una sorta di carezza, tenera e cordiale, ma allo stesso tempo gelida; il cielo si era fatto nuvoloso e grigio, e la temperatura era scesa; era agosto…

I due camminavano, simili ad un “il” vagante.

Zealia era una rettiliana di altezza media, piuttosto slanciata nella corporatura; aveva fianchi a clessidra, e sotto un sedere a cuore, sovrastato da una coda piuttosto sottile e lunga dalle movenze vivaci, e gambe lunghe dalle cosce piuttosto notevoli; le sue braccia erano innatamente muscolose, come in molti della sua specie, e proporzionate; c’era qualcosa in lei che dava l’idea di una lucertola agile e sinuosa, in maniera quasi felina; la sua pelle era di un verde spinacio a sfumature chiare, ed aveva un ventre dal colore contrastante, di un giallo limone, diviso in segmenti orizzontali; in cima ad esso spiccavano ballonzolanti due natiche frontali, coppia di organi simili a seni mammiferi senza capezzoli, di dimensione e forma deliziose; la testa di lei era proporzionata al resto, di forma squadrata tipica, con un musetto allungato ma arrotondato in cima come quello di un varano, un paio di occhi grandi e acquosi dalla pupilla verticale rossastra, e dietro sulla nuca scendevano la fila principale di minuscole creste che arrivava fino alla punta della coda, più due file verticali di spunzoni grigiastri ai lati della colonna vertebrale che sporgevano all’indietro come una capigliatura ispida; indossava un paio di pantaloni corti in jeans aderenti, una maglietta rosa a maniche corte dalla scollatura quadrata con la scritta “secchiona” e in più portava un paio di occhiali dalla montatura circolare per ovviare ad un piccolo ma fastidioso problema di astigmatismo.

Kwango era notevolmente alto per la sua specie, arrivando al metro e sessanta, ma comunque una quarantina di centimetri e passa lo differenziavano vistosamente dall’amica; aveva una corporatura

scarna, tanto che gli si potevano notare le sporgenze dell’endoesoscheletro sotto la prima pelle di colore marrone caffelatte; era dotato di una discreta muscolatura, ottenuta in anni di pratica di arti marziali, ed essa faceva spiccare ancora di più la sua magrezza; il suo corpo era sproporzionato nelle dimensioni delle varie parti, come è tipico nella sua specie, così che le braccia lunghe e muscolose gli arrivavano fino ai ginocchi, posti a metà di gambe piuttosto corte, mentre la testa era grande quanto metà del busto; aveva mani con palmi stretti ma dita molto lunghe e scheletriche, quattro in tutto tra cui un pollice, e quando si muovevano sembravano dei rami secchi mossi dal vento; i piedi invece erano piastre gonfie prive di dita; la testa vistosamente dolicocefala, con una nuca estesa, lobi lunghi e un volto appuntito, era ciò che spiccava di più insieme alle lunghe braccia; ai lati del cranio, un po’ nascosti dalle sporgenze ossee dei lobi, stavano due fori ad imbuto che avevano la funzione di orecchie; i lineamenti del volto erano affilati, con zigomi allungati e spigolosi, due narici piatte e verticali che correvano fino al fondo del viso, dove sorgeva un piccola bocca priva di labbra e sotto un mento rugoso; spiccavano gli occhi a mandorla simili a vetri, enormi e obliqui, di una sfumatura nero fumo su cui si scorgeva ogni tanto qualche chiazza chiara come un riflesso; la sua fronte era larga in estensione ma breve in altezza, e si potevano intravedere delle rughe da espressione; l’insieme di questi tratti si predisponeva ad un utilizzo particolare che il proprietario sfruttava, mantenendo la maggior parte delle volte un’espressione di arcigna contemplazione; questa, mista ad un portamento quasi sempre eretto e mai sbilanciato, gli davano una sorta di carisma velenoso.

“Ora, dimmi perché hai voluto che io venissi qui, in questa cittadina terrestre sperduta…..esigo una spiegazione sensata .”sbottò lui.

“Una spiegazione te la posso dare…”

Camminarono ancora, su per una strada maldestramente cementificata.

“Come sai questo è il paesino della mia infanzia, il mio luogo natale…dove tutto ha avuto inizio ed origine…”continuò lei semiseria.

“Quindi?”disse secco lui.

“Quindi cosa?”chiese lei incerta.

“Dimmi subito perché hai voluto che venissi qui…”

Lei rimase inizialmente turbata dalla bruschezza dell’amico; questi girò la faccia e la guardò negli occhi gialli.

“Santo cielo…scusa…”borbottò lui, riabbassando lo sguardo”..perdona la mia maleducazione, ma sono un po’ nervoso nell’ultimo periodo….”

“Come mai?è perché sei incerto su cosa fare per i tuo futuro?”

“Esatto…..ho questa laurea, ma sinceramente, cosa ci faccio?”

SI fermò, guardando il suolo della strada con aria sconsolata; teneva le mani nelle tasche dei jeans, e sfregava un piede in terra.

Lei si abbassò di più al suo livello.”Ci sono un sacco di cose che puoi fare, con una laurea in psicologia”gli sussurrò”Ci sono un sacco di professioni facilmente intraprendibili con un titolo del genere…devi solo aspettare un po’…”

“Non ho ancora un’idea precisa, di ciò che vorrò fare, ed è questo ciò che mi da più fastidio”mormorò lui”invece, non dovrei aver euna simile incertezza…”

“E perché, scusa?”chiese l’altra sconcertata.

“è disonorevole per la mia famiglia e la mia razza…la civiltà della nostra stella ha sempre deprecato l’incertezza, trattandola come un vagito per gli stolti….”

“Che idea stupida!”esclamò l’altra”Senti, Kwango, te ti senti un grigio o una persona?”

“Cosa intendi?IO sono una persona, appartenente alla specie idrocephalus sapiens …”disse lui con un moto di puntigliosità”ma…..senti, pensi che io mi stia lasciando trascinare dallo stereotipi razziale autoimposto?”

“Si.”

“Ora pensiamo prima al tuo problema, d’accordo?”

“OK….quindi, dobibam oanadre in un posto….non preoccuparti, è appena fuori icttà, non ti pèreoccuapre, i nventi minuti al massimo ci aimo…..”

Fine prima parte


  • Risposte 2
  • Creato
  • Ultima risposta

Principali partecipanti

Giorni popolari

Principali partecipanti

Inviato

Premessa: ciò che segue sono solo osservazioni che sei libero di seguire o meno.

Si, essa ora non faceva più rumore

Personalmente non mi piace essa. Secondo me dovresti trovare un termine più adatto (ad esempio: quella dannata divoleria elettronica...)

Batté le palpebre un paio di volte, e riuscì a mettere a fuoco il soffitto; grigio, come un muro, ma stava sopra di lei; pensò che le avrebbe fatto molto male se gli fosse crollato addosso.

Osservazioni:

- non si mette mai la "e" dopo la virgola...

- dopo soffitto metti i due punti

- togli la virgola dopo grigio

- rendi meglio la contrapposizione che vorresti creare con il ma

-dopo "lei" secondo me dovresti mettere un punto.

Divertita da questo pensiero, tirò fuori la lingua dalla bocca e poi la tenne fuori, come in una linguaccia storta; poi pensò a qualcosa di più gradevole per risvegliarsi dal torpore

-togli il "poi" dopo "dalla bocca e". Inserirlo in questo modo appesantisce inutilmente la frase.

-"come in una linguaccia storta": si capisce a stento, sistema..

-il "poi" dopo il punto e virgola lo puoi lasciare solo se elimini quello precedente. Personalmente metterei il punto e, al posto di inserire prima il verbo "pensò" metterei prima "per risvegliarsi" (così però devi eliminare anche il secondo poi...vedi tu)..

e camminò per la piccola stanza quadrata, occupata al centro dal letto,verso il portone della terrazza.

intendi dire che è lei a muoversi verso il portone o che è il letto posizionato verso quella direzione? Non si capisce...

Trovò la maniglia d’ottone, che luccicava sul legno marrone, e ci armeggiò; poi spalanco completamente le due ante del portale; così facendo, spostò anche le tende interne, che erano completamente tirate.

Osservazioni:

-personalmente metterei al posto di "che luccicava" un bel participio presente (luccicante).

-hai scritto "spalanco", immagino sia solo un errore di scrittura..

-da "così" fino a "tirate" è un po' macchinoso: riesci a sistemarlo?

la investì, proiettando la sua ombra dietro di lei,

così com'è sembra che sia l'ombra del sole ad essere proiettata e non quella della ragazza: sistema...

Lei si inebriò di questo primo dolce calore luminoso, come fosse acqua rinfrescante; sentì qualcosa dentro di lei che si muoveva

Personalmente non utilizzerei il "Lei" ad inizio frase. Prova a vedere se riesci a definire la ragazza in un altro modo.

Dopo il punto e virgola metti il "lei" che, oltre ad essere una ripetizione, sta davvero male...

Al momento mi fermo, anche perchè è un lavoro piuttosto lungo commentare tutta questa prima parte.

Non mi ritraggo dal darti un giudizio generico sul tuo scritto:

come idea generale, relativamente allo scenario, ci può stare: carina l'ambientazione in un'America del futuro, colonizzata da esseri alieni.

La realizzazione in alcuni punti è macchinosa e va sistemata.

Ad esempio: spesso cadi in ripetizioni, quasi sempre metti la e dopo la virgola e, verso la fine del testo, hai utilizzato "te" come soggetto, quando si dovrebbe utilizzare "tu".

Ritengo anche che tu debba curare più meticolosamente i discorsi: così come sono scritti sembrano dei lunghi elenchi, non delle comunicazioni tra persone che, come nel caso del commesso e del ragazzo, neanche si conoscono.

Come base è molto buona, ma devi lavorare parecchio sulla forma....

Fammi sapere...

a presto;-)

Inviato

Seconda parte

“……mi trovai di fronte alla malinconica casa Usher.”

La dimora doveva essere stata in passato, una bella immagine.

Le pareti dovevano essere di legno massello spesso, e le finestre dovevano avere avuto splendide decorazioni; il tetto doveva essere stato rosso, con tegole spesse e brillanti, ed il camino simile ad un torrione; la casa aveva due piani, più una soffitta appena sotto il tetto, che presentava una tipica finestra circolare sulla facciata anteriore della casa.

Ora però la casa dava noia solo a a guardarla.

Di ciò che dovette essere stato rimaneva una pallida ombra; le pareti esterne erano corrotte, marce e pieni di solchi, buchi e fessure, e le finestre erano quasi tutte rotte, e le poche intere erano appannate in maniera oscena; dei pezzi di assi e tegole penzolavano o erano completamente caduti qua e là, e la veranda dell’edificio, coperta da un prolungamento del tetto, era piena di enormi ragnatele, e sulla grondaia spiccavano vari nidi di uccelli.

Oltre a dare un’impressione di totale decadenza e abbandona, la casa aveva un che di inesplicabilmente tetro, sensazione che induceva nella maggior parte delel persone, grazie anche al sostegno di una adiacente stagno impaludato e del giardino incolto, con un sagoma contorta che in passato doveva essere un capanno degli attrezzi di discrete dimensioni.

“Allora, che te ne pare di questo bel quadretto?” chiese Zealia a Kwango; erano praticamente davanti alla soglia della casa.

Il cielo era plumbeo, e soffiava un vento dalle raffiche gelide e dai sospiri inquietanti.

“Del tipo che garbano a te, se mi permetti l’osservazione…”mormorò cinico quell’altro con tono mellilfluo.

“Cosa intendi?” fece l’altra strabuzzando gli occhi e piegandosi al suo livello sulle ginocchia.

“Come, non hai capito?” disse quell’altro, stavolta con un che di insettoidamente divertito”se ti conosco bene, posso dire che te hai un debole, infantile a dirla tutta, per tutto ciò che riguarda la sfera dell’ignoto e del macabro….”

“Come fai a dire una cosa del genere?” sogghignò lei”Non sembro proprio il tipo…guarda come sono carina e solare!!”

La ragazza mimò un gesto di positività femminile, con aria affettata.

“Attenta a non ammazzare nessuno quando muovi quella coda…e comunque, quando ho studiato psicologia, ho imparato che i peggiori pazzi sono quelli che apparentemente non lo sembrano ad occhi inesperti…”

“Ih ih ih…..”

„E poi ho letto quella roba che scrivi e spacci per arte con un malcelato senso di superiorità intellettuale, e che è solo spazzatura….”

“E poi considera che Tu sei uno dei miei migliori amici!!”

Ridacchiando come un’ubriaca, lei si gettò su di lui, cingendogli le spalle quadrate con le braccia, facendolo sussultare ma senza farlo andare in terra.

“Che ti prende?Datti u contegno…”disse lui balbettando”..sembra che ti sia drogata…o peggio!”

“Tranquillo ,sono a posto….”fece lei rimettendo si in piedi”…è solo che, in questo momento, sono molto…”

Zealia gesticolò, come riflesso condizionato del suo ponderare.

“Cosa?Come ti senti in questo momento?”Fece l’altro dubbioso.

“Eccitata….”

Lui rimase un attimo zitto, e la smorfia arcigna del suo volto svanì.

Certo che l’aveva detto con un tono e un’espressione molto particolari.; così lui indietreggiò un attimo, ma lei non staccava lo sguardo da lui.

“Ma come mi sta guardando…”pensò lui, deglutendo.

“Ti spiego perché ho voluto che tu venissi qui…mi devi aiutare..”fece lei languida, con un mano sul fianco e l’altra su una chiappa

“A che co-cosa?”balbettò quell’altro.

“è un problema che riguarda la mia infanzia…”continuò lei, assumendo un’aria melanconica.

“E in cosa consiste questo problema?” chiese lui, sforzandosi di riassumere un portamento decente.

“Vedi questa abitazione?Ha almeno 300 anni…” fece lei rivolgendo un ampio gesto alla casa.

“In paese viene chiamata la casa Tolstoj…questo era il cognome della famiglia che la possedeva…furono loro stessi a costruirla, quando giunsero qui da fuori; erano una famiglia piuttosto larga, a quanto dicono i vecchi….nonostante il nome, i Tolstoj non erano terrestri: adottarono questo nome per praticità, perché a detta di loro stessi il loro nome originale era impronunciabile per le creature umanoidi…”

“Da che pianeta venivano?”

“A detta loro, da nessuno della nostra Galassia o di quelle vicine; affermavano di provenire da un pianeta lontano situato in un abisso cosmico vicino all’orlo…..non hanno mai specificato quale, ma nessuno trovava troppo inverosimile questa storia; difatti, stando ai racconti di Ruthville, nessuno era mai riuscito a capire a che specie appartenessero…”

“è una storia lunga?”

“Si è no…ascolta: i Tolstoj , come ti dicevo, avevano una certa aura misteriosa intorno a loro, ma nonostante ciò si ambientarono perfettamente nel villaggio; erano un gruppo, possiamo chiamarla famiglia visto come si comportavano tra di loro e le relazioni che affermavano, piuttosto numerosa, e comprendevano essere di tutte le dimensioni con varie età attribuite..”

“Come erano fatti fisicamente?”

“Avevano la forma di elefanti umanoidi dal corpo tozzo con una proboscide terminante in una sorta di ventosa e due file d’occhi tondi e brillanti ai lati della testa, ed avevano una pelle spessa, rugosa e bluastra…”

“Che ruolo avevano nella comunità?”

“Avevano una loro attività di mercanti e venditori all’ingrosso a conduzione familiare, che li rendeva una delle famiglie più ricche della città, e inoltre si occupavano anche di pubbliche relazioni …erano una sorta di commendatori…”

“Insomma, ma te li hai mai conosciuti questi qui?Li hia mai visti?”

“L’intera famiglia Tolstoj è misteriosamente sparita 40 anni planetari fa.”

Kwango fu colpito dal tono lapidario con cui Zealia pronunciò la sua frase.

Il vento soffiò ulteriormente, scotendo alcune canne vicino e producendo un suono simile ad un gemito; l’aria si era fatta fredda e il cielo continuava ad essere oscurato dalle nuvole.

“Ma non dovrebbe esserci il sole a picco ora? Siamo in estate…?” fece Kwango, senza essere tanto convinto.

“Brrrr…si sta alzando un ventolino troppo freddo.”esclamò Zealia rabbrividendo e stringendosi le mani al petto.

“Questo freddo non ti farà bene…diamine, ma sta facendo veramente freddo!” notò Kwango.

Il vento divenne più forte, e l’aria della zona fu colpita da una forte raffreddamento; alcuni uccelli neri si alzarono in volo da degli alberi più in là, e la porta sulla soglia della casa Tolstoj cominciò a cigolare e venne spostata dal vento, sbacchiando.

“Zealia, ma tu che relazione avevi con la famiglai Tolstoj, se probabilmente non li hai mai incontrati?”chiese Kwang alzando la voce, poiché il vento si stava facendo così continuo e rumoroso da disturbare il parlato.

“Li ho potuti conoscere solo dalle storie che ho sentito dagli anziani del paesino, e dalle cose che ho trovato dentro al casa…!” rispose Zealia, cominciando ad alzare la voce anche lei.

“Ma te sei entrata in questa casa?”urlò l’altro per superare il frastuono di una raffica di vento.

“Quando eravamo bambini, io ed altri di Ruthvillle che ora hanno più o meno la mia età, usavamo venire in questa vecchia e grande casa abbandonata per giocare …….io ci andavo più spesso del solito, anche da sola…”urlò Zealia.

Ora, il rumore del vento si era fatto prepotente e anche la sua potenza; tanto che nubi di polvere e foglie si sollevavano e la vegetazione era visibilmente scossa.

“E perché? “urlò Kwango.

“perché…?”

Sbrang!!!!

Tutt’e due sobbalzarono e si girarono verso la casa.

La porta della villa era crollata dall’interno, ed ora si poteva veder l’oscuro interno della casa; il vento aveva raggiunto una violenza estrema, cosi che i vestiti dei due ragazzi, soprattutto quelli larghi di Kwango, erano sollevati e vari oggetti grossi nelle vicinanze, come le assi di un recinto o un bidone della spazzatura, venivano buttati a terra; nessuno aveva fatto un rumore atroce come la porta.

“Non ti sembra…”urlò lui

“Che il vento stia soffiando proprio verso la casa Tolstoj…?” terminò Zealia.

Il cielo si era ormai fatto oscuro completamente, come fosse una serata di novembre.

“Secondo te pioverà…?”chiese Zealia.

“No…l’aria è fredda, ma secca…vieni andiamocene…”

Per essere l’una di una giornata estiva, le circostanze in cui Kwango e Zealia si trovavano erano non proprio stagionali.

Apparentemente, la zona di Ruthville e dintorni era stata rapidamente ed inaspettatamente investita da una cappa di alta pressione unità ad una corrente molto fredda proveniente da settentrione; in quel momento, dunque, la temperatura della zona all’aperto si era abbassata e soffiava un vento pazzesco, mentre la volta celeste rimaneva una muraglia impenetrabile di nubi grigie, tanto che non si riusciva più a capire se era giorno o notte.

Zealia aveva portato Kwango nel suo appartamento; dopo che furono giunti, lei chiuse subito tute le finestre e la porta, e poi alzò il termostato ,poiché l’improvviso vento gelido preso fuori l’aveva stordita.

Kwango era stato zitto durANTE la rapida camminata di ritorno, ed era rimasto zitta anche in casa, mentre Zealia lo faceva accomodare su un divano e si chiudeva in cucina a fare chissà cosa.

Kwango rimase sul divano nel salotto, a rimuginare sugli strani eventi della mattinata; c’era scuramente un filo conduttore in quegli eventi, ma quale…?

SBRAM

Lui sobbalzò.

Zealia aveva spalancato le porte della cucina e si era gettata fuori con aria trionfante; vestiva normalmente con l’aggiunta di un grembiule da cucina con sopra l’osceno disegno di un gattino.

Insieme a lei, arrivò anche un intenso e caldo odore di roba cucinata.

“Se vostra signoria ospite vuole farmi il favore di entrare in cucina…”declamò lei”..dove gli aspetta una bella sorpresa.”

Lui si alzò e , sospirando, seguì lei in cucina; la stanza era illuminata e completamente serrata per quanto riguardava l’ingresso di un terrazzo.

Kwango trovò opportuno fischiare d’ammirazione; Zealia aveva preparato un bel quadretto nella cucina: aveva apparecchiato la piccola tavola con due tovaglie ricamate con un piatto e posate per ognuno, postazioni poste una di fronte all’altra, e al centro del tavolo v’era un candelabro con tre candele, probabilmente aromatizzate alla vaniglia, che facevano una luce abnorme.

Dal fornello della cucina veniva l’odore; c’erano tre pentole a cuocere, tutte chiuse.

“Che cosa sarebbe questo?”fece stupito Kwango.

“Un gesto di ospitalità, caro mio; un pranzo di concordia, un banchetto di unità, un allegro convivio…”disse lei teatrale addirittura inchinandosi.

“Non c’è che dire…complimenti,”rispose quell’altro.

“Dai siediti, che inizia il pranzo!” disse lei spostando una sedia e facendogli cenno di sedersi.

Lui fu d’accordo, e si sedette; ma era convinto che ci fosse qualcosa sotto.

Lei andò alle pentole, e torno con una di esse, rivelandone il contenuto all’amico; conteneva un risotto giallastro con pezzettini di carne e verdure, e fumava come fosse zolfo.

“Riso al curry con stufato di verdure…”

Servì ad entrambe i piatti; poi la Rettiliana si mise a seder dall’altra parte del tavolo, e die de inizio al pranzo.

“sarà un pasto con conversazione.”annunciò ammiccando stranamente.”

SSSiiiii…dabbene…”sibilò quell’altro incerto, prendendo il cucchaio.

Lui mangiava con grazia e portamento, con piccoli bocconi; lei prelevava manate di riso usando il cucchiaio come fosse una vanga.

“E dunque, vorrei che tu mi spiegassi qualcosa di più preciso su quella casa…come penso tu abbia detto, ci andavate a gioca da bambini te e altri tuoi amici, no?”

“Esatto..Chomp….davvero, era un posto…Chomp,,,,rischioso, poiché c’erano un sacco di assi del pavimento marcite e arredi traballanti…Chomp…comunque si stava bene…Chomp…più che altro…io avevo un motivo speciale…Chomp..”

“Per cosa?”

“Avevo un legame per quella casa..Chomp..cioè, nel senso…hai notato che quella casa…Chomp…ha una strana aria?”

“Intendi il fatto che ha un aspetto tetro?”

“Anche quello..Chomp…di, non ti ha dato l’impressione di una cosa la casa Tolstoj?”

“Di cosa?”

“Un’impressione di vita.”

Kwango strabuzzò gli occhi.

Zealia, terminato il riso, Zealia annunciò le crocchette di polpa di granchio saturniano.

“Insomma, cosa vuoi dire?”

“Kwango, tu sai che io ho una certa inclinazione…..insomma, fin da bambina, e poi anche da ragazzina…”

“Cosa?”

“…e nell’adolescenza…”

“Se ti riferisci a quella cosa, posso assicurarti che con te come Master non si corre il rischio di fissarsi sul gioco…”

“E questo cosa c’entra?”

“Lascia perdere..insomma, non ti starai riferendo a quella roba che sforni a quintalate ogni volta che non hai niente di meglio da fare, cioè molto spesso?”

“I miei racconti e i miei romanzi?Si, quelli…”

“A parte la qualità, posso dire che sono segno di una grande immaginazione….volevi sentirti dire questo?”

“Questo discorso non va da nessuna parte così….bene, è ora di saltare subito al climax!”

Questo momento di stranezza venne alla fine della polpa di crostaceo.

“Ora ti dirò una cosa molto importante, Kwango..ascoltami attentamente, apri il cuore come amico e usa tutta la comprensione possibile”iniziò con aria grave Zealia”io ho questa predisposizione, cioè quella di pensare alle cose macabre, insolite e mirabolanti, che sta riesplodendo in questa epoca…e fin qui ci siamo; ce l’avevo anche da bambina…e quella casa…me l’ha potenziato!”

Kwango la fissò in silenzio.

“Stai per caso esponendomi la trama di uno dei tuoi prossimi lavori?”

“No, dannazione..quella casa….allora, ti chiedo solo una cosa: vorresti esplorare con me quella casa?”

Lui pensò un attimo; decise di assecondarla.

“Vabbene, perché no?”

“Ottimo.”

Il sorriso di lei fu tenero, ma ambiguo.

““E adesso finiamo il pranzo.”

Finirono il pranzo, con un sorbetto di mirtillo; nel tempo impiegato, non parlarono più della casa Tolstoj.

Al termine definitivo del pasto, si lasciarono satolli sulle sedie.

Zealia guardò stranamente Kwango e gli chiese:”Kwango, tu sei mio amico, vero?”

“Si, Zealia, perché?”

“Mi accompagnerai dentro la casa Tolstoj, a scoprire il mistero di quella dimora?”

“Si, dabbene…adesso, però, facciamo qualcos’altro…”

“Giusto, c’è un’altra cosa importante di cui ti devo parlare…”

Zealia si alzò dalla sua sedia, e circumnavigò i tavolo;Kwango la stette a guardare fermo e muto.

Lei gli tese una mano, una volta vicino.

“Vieni un attimo con me…sparecchieremo e metteremo a posto dopo…”

“D’accordo.”

“Seguimi in camera, ti devo parlare di una cosa seria…”

Sempre serio, ma accomodante, lui seguì la flessuosa rettiliana fino in camera, dove lei lo portò.

“Chissà ora che altra menata mi inventerà…è così intelligente e perché mai perda tempo con scemenze, non lo capirò mai…”

Lei arrivò fino a davanti al letto; la stanza era chiusa sulla terrazza.

Poi lei si girò verso di lui.

“Ecco, ora sentiamo..”pensò Kwango con un sospiro interiore.

“Kwango, davvero mi vuoi bene?”

“Si!”Certo.”

“Allora pensò che non dovrò aver paura…”

“Cosa vuoi dire?..ehi, cosa stai facendo, ma che…o per il signore del Tuono….ohhhhhtsssssssshhhhhhhhkkkkkkk………”

St'ultima parte è scazzatissima, serve solo come storia...commentate commentate.....

Crea un account o accedi per commentare

Devi essere un utente registrato per poter lasciare un commento

Crea un account

Crea un nuovo account e registrati nella nostra comunità. È facile!

Registra un nuovo account

Accedi

Hai già un account? Accedi qui.
 

Accedi ora
×
×
  • Crea nuovo...