Se abbandoniamo il pregiudizio che per ruolare si debba avere in testa un’idea a priori del proprio PG, per poi “recitarla”, non rischiamo di avere personaggi incoerenti o banali? Ecco perché no.
Guida all'Interpretazione #1: Bando al Recitazionismo
Guida all'Interpretazione #2: Psicosofia del Ruolare
Articolo di Bille Boo del 09 marzo 2021
Nella scorsa puntata, che era il cuore di tutto, abbiamo visto come funziona davvero il meccanismo del “ruolare”. Ma ci siamo lasciati con una domanda: evitare di aderire a una personalità definita a priori (carattere, modo di fare, storia passata, allineamento…) non rischia di farci interpretare personaggi scialbi, anonimi o incoerenti?
Ebbene, cos’è davvero la coerenza? Quand’è che la riconosciamo in una persona, o un personaggio una storia? E noi, tutti noi, quando e perché siamo coerenti?
Coerenza, questa sconosciuta
Di solito quando diciamo che una persona, o un personaggio, è coerente intendiamo due cose.
- Che c’è concordanza tra quello che pensa e quello che fa. Cioè, che il suo agire è conforme al suo modo di pensare, ai suoi valori, ai suoi desideri, alla sua mentalità eccetera.
- Che c’è costanza e logica nei suoi comportamenti. Cioè, che il suo agire in un certo momento non contraddice il suo agire precedente, a meno che nel frattempo non gli sia successo qualcosa che giustifichi il cambiamento.
Naturalmente esiste anche un altro significato di coerenza, che è la coerenza tra parole e azioni, tra quello che il soggetto dice e quello che fa in pratica: il contrario dell’ipocrisia, insomma. Ma quello non ci interessa al momento perché non è qualcosa che ricerchiamo in generale in qualunque personaggio: potrebbe benissimo esistere un PG ipocrita, magari sarebbe pure divertente da giocare. Concentriamoci invece su ciò che è valido per tutti. Nel seguito dell’articolo metterò da parte questo significato e userò la parola “coerenza” solo nelle due accezioni elencate sopra.
Teorema
I matematici fanno questa cosa intrigante: le dimostrazioni per assurdo. Se avete fatto un liceo o un corso di matematica potreste averne un ricordo (bello o traumatico che sia). In questo articolo andrò a fare qualcosa di simile. Nello specifico, intendo dimostrare che:
Non è possibile per un giocatore interpretare un personaggio incoerente.
Questa formulazione è semplice, ma un po’ incompleta. Quella completa, ancorché ampollosa, è la seguente:
In un gioco di ruolo come il mio D&D non è possibile, per un giocatore, interpretare un personaggio incoerente, a meno che non lo faccia apposta (cioè a meno che l’incoerenza del personaggio non sia di per sé lo scopo principale del suo gioco… nel qual caso, direi che è un individuo che è meglio non avere al tavolo, comunque la si pensi sull’interpretazione).
E lo andrò a dimostrare, in un certo senso, per assurdo, cioè supponendo che il nostro giocatore-esempio non si curi affatto della coerenza e non faccia nessuno sforzo per rendere il suo personaggio coerente. Purché non faccia dell’incoerenza un fine: altrimenti si ricade nell’eccezione di cui sopra.
Da dove viene la coerenza?
Ma noi, perché siamo (perlopiù) coerenti? Intendo noi esseri umani reali.
Nella bozza di questo articolo mi sono accorto che stavo buttando giù un mezzo trattato di psicologia o sociologia, noiosissimo e pesantissimo, senza averne le competenze. Quindi ho, giustamente, cancellato tutto e ho deciso di farla breve e brutale.
Cos’è che ci fa comportare in modo coerente, e percepire come coerenti dalle altre persone?
- Ci sono delle cose che vogliamo, desideriamo, che ci fanno stare bene o di cui abbiamo bisogno. Quindi cerchiamo, in generale, di raggiungerle, ieri come oggi come domani.
- Dalle nostre esperienze passate abbiamo tratto insegnamenti e modelli di comportamento che tendiamo ad applicare ora e in futuro.
- Abbiamo dei valori, dei princìpi o delle credenze a cui cerchiamo di attenerci. Non sempre riuscendoci.
Come si riconosce la coerenza?
Usciamo dal mondo reale ed entriamo nel mondo delle storie, dei racconti, dei film, della finzione. La coerenza sembra essere uno dei criteri principali per cui apprezziamo un personaggio immaginario. Ma come facciamo a riconoscerla? Che cos’è che apprezziamo in realtà?
Esistono storie altamente introspettive che ci mostrano quello che pensa un certo personaggio, e/o ci fanno vedere le cose dal suo punto di vista. In tal caso possiamo apprezzare che ci sia un chiaro legame tra i suoi pensieri e il suo agire.
Ma un tipico personaggio immaginario non pensa, nel senso che i suoi pensieri non sono esplicitati come parte della fiction. In quel caso resta solo la seconda parte dei significati di coerenza che ho dato all’inizio: apprezziamo che il suo agire nella storia segua una logica, che si capisca perché fa quello che fa e dice quello che dice. A quel punto possiamo immaginare che abbia pensieri, valori, desideri che supportano quel comportamento.
I personaggi di D&D ricadono in questa seconda categoria.
(Certo, un giocatore potrebbe dire agli altri giocatori cosa sta pensando il suo PG. In primo luogo non è detto che succeda, e qui stiamo facendo un discorso generale. In secondo luogo, se lo fa lascia il tempo che trova, perché noi esseri umani siamo molto più bravi a descrivere l’agire di altri esseri umani che il loro pensare. Poi se con il vostro gruppo vi diverte violare spesso lo “show, don’t tell” buon per voi, sia chiaro.)
D&D e la coerenza emergente
Spostiamoci adesso nel contesto a cui è dedicato questo blog, cioè D&D, e procediamo con la dimostrazione.
Visto che nello scorso articolo ho usato come esempio un giocatore maschio con un personaggio maschio, per la parità questa volta consideriamo una giocatrice, che chiameremo Renza. Il suo personaggio è la paladina Romualda.
Come si è detto sopra, Renza non si cura affatto della coerenza del suo personaggio, ma intende comunque giocare al gioco di ruolo (non ha lo scopo deliberato di “romperlo”).
La bussola degli obiettivi
Come ho detto molte volte, ogni avventura o campagna di D&D è una storia, in cui i PG hanno un obiettivo per raggiungere il quale devono superare certi ostacoli / conflitti. Ogni PG come si deve dovrebbe avere almeno un obiettivo, nel mondo di gioco. Tra l’altro, gli obiettivi comuni sono un ottimo (in effetti, secondo me, l’unico) fattore unificante di un gruppo di PG. E gli obiettivi sono una delle uniche due cose davvero importanti del background.
Tutto questo per dire che Romualda ha un obiettivo: salvare il principe Celestino tenuto in ostaggio da una mummia. È stato compito di Renza scegliere una motivazione (un sacro giuramento al servizio della Corona) che spingesse Romualda verso quell’obiettivo. E sarà compito di Renza, come giocatrice, prendere le varie decisioni per Romualda nel tentativo di farglielo raggiungere.
Sembra niente, ma questa è già una buona parte (diciamo un 60%) della coerenza.
In ogni situazione, infatti, Renza (e quindi Romualda) non sceglierà a caso: sceglierà per la salvezza del principe. Potrà sbagliare, potrà fallire, ma le sue azioni avranno questa potente costante, una chiara direzione. Il che significa che avranno una logica e un perché.
Lo abbiamo visto anche quando ho parlato del mondo reale: le cose che vogliamo (punto 1) sono uno dei fattori della nostra coerenza.
Notare che Renza non fa nessuno sforzo attivo per ottenere coerenza: non gliene importa niente, quello che vuole è salvare il principe (cioè “vincere” la giocata); ma la coerenza viene di conseguenza (e scusate la rima).
Azione e retroazione
Non finisce qui: ogni volta che Renza fa prendere a Romualda una decisione in gioco, deve affrontarne le conseguenze. E qui entra in gioco il Diemme, che interpreta appunto il mondo di gioco, e quindi anche queste conseguenze.
In breve tempo, Renza / Romualda si formerà un bagaglio di esperienze relative a come il mondo di gioco ha reagito alle sue azioni. E, a meno che Renza non sia del tutto stupida, non potrà non tenere conto di questo bagaglio ogni volta che prenderà una nuova decisione. Non per la volontà precisa di sembrare coerente, ma semplicemente perché vuole “vincere” (arrivare all’obiettivo, liberare il principe), e imparare dai successi e dagli errori passati è il modo più efficace per farlo; evitare gli ostacoli noti, sfruttare le risorse note e così via.
Anche questo l’ho detto già a proposito del mondo reale (punto 2), giusto?
A seconda di come ogni PNG si è relazionato con la paladina (l’ha ostacolata o aiutata? è stato utile o inutile?) lei si comporterà con lui di conseguenza, nei loro futuri incontri. Non per ragioni sentimentali o altro, solo perché vuole vincere. Ma appare come coerenza.
Più certe scelte si sono rivelate vincenti (usare certe tattiche in battaglia, appoggiare una certa fazione, spendere i soldi su certe risorse… o anche semplicemente cercare trappole prima di aprire una porta!) più tenderà a ripeterle se si ripresentasse una situazione simile. Mentre cercherà di evitare di ripetere gli errori. Di nuovo, solo perché vuole vincere. Ma appare come coerenza.
Tra il PG e il mondo di gioco c’è un meccanismo di retroazione (feedback): Romualda agisce, il mondo risponde agendo su Romualda, Romualda risponde di rimando e così via. Le azioni di lei modificano il mondo di gioco, ma le conseguenze modificano lei, nel senso del suo comportamento.
Questo meccanismo porta rapidamente, nel giro di poche sessioni, tutto il contributo restante (circa un 40%, avevamo detto, no?) perché il PG appaia pienamente coerente.
Valori aggiunti
E i valori, i princìpi, le idee? Nel mondo reale abbiamo menzionato anche quelli (punto 3). Valgono, e servono, anche per un PG di D&D?
Risposta: sono utili, ma non indispensabili. Un PG può apparire (anzi: apparirà) pienamente coerente anche senza dei valori di riferimento. Anzi, alcuni PG (come d’altronde alcuni personaggi immaginari di altri media) fanno dell’assenza (più o meno autentica) di valori la loro cifra caratteristica. D’altro canto, far comportare un PG in modo conforme a certi valori senz’altro può irrobustire la sensazione di coerenza che dà.
Il giocatore può attribuire volutamente un certo valore di riferimento al suo PG, e tenerne conto quando fa le sue scelte, il che non è niente di male (ma neppure obbligatorio). Questo, però, implica che il giocatore voglia realizzare una specifica idea di personaggio.
La nostra Renza non farà questo, perché non è interessata al personaggio in sé. Vuol dire che la paladina Romualda non avrà valori? No, potrebbe averli comunque. In tre maniere.
- Potrebbero essere un riflesso dei valori di Renza. Molte persone tendono, più o meno incosciamente, a rispettare almeno una parte dei loro princìpi e a non oltrepassare le loro più importanti “linee rosse” anche quando giocano di ruolo.
- Potrebbero essere un mezzo per giungere a un fine. Il mondo di gioco, infatti, potrebbe legare l’ottenimento di certi vantaggi, strumenti, opportunità al rispetto di un valore. Nelle edizioni passate di D&D questo era addirittura nelle regole: se Romualda fosse una paladina di 2a o 3a edizione dovrebbe essere legale buona e rispettare un dettagliato codice di condotta, per mantenere i suoi poteri. Nella 5a edizione ai paladini è rimasto solo un codice molto elastico e vago, ma in certe ambientazioni potrebbe essere più marcato. E, anche senza tirare in ballo la classe, aderire a certi valori potrebbe garantire il sostegno di certi alleati, l’uso di certi oggetti magici e così via.
- Ultimo, ma non per importanza: il mondo di gioco potrebbe mettere Romualda di fronte a delle scelte di carattere etico / morale, nel compiere le quali inevitabilmente finirà per rivelare i suoi valori, o per darsi dei valori se non ne aveva. Infatti, anche nella realtà, i valori spesso nascono quando ci si trova a dover prendere una decisione e ci si chiede cosa sarebbe più giusto. Certo, molti dei nostri princìpi derivano dall’educazione ricevuta, ma altri si formano dalle nostre scelte di vita. Se ci pensate bene, già la scelta dell’obiettivo e della motivazione del PG potrebbe configurarsi come scelta etico-morale e implicare dei valori: Romualda è fedele alla Corona, non è in un certo senso un valore?
Ognuna di queste cose, se succede, fa sviluppare dei valori al PG e ne potenzia la sensazione di coerenza. Tuttavia, come abbiamo visto prima, è del tutto naturale arrivare a un 100% di coerenza anche senza che il PG segua alcun valore.
Conclusione
Il risultato di questa analisi si può riassumere così:
La coerenza è una proprietà emergente dei personaggi di D&D.
“Emergente” significa che è una conseguenza spontanea, diciamo un effetto collaterale, del modo in cui funziona il gioco: non c’è bisogno di sforzarsi attivamente di ottenerla.
Questo se si intende la coerenza come l’ho definita, e non se si pretende di vedere per forza una coerenza tra una definizione a priori del PG e quello che il PG risulta essere in gioco (sarebbe un approccio parecchio recitazionista!).
E la personalità? E l’originalità?
A questo punto mi si potrebbe dire: d’accordo sulla coerenza, ma senza una personalità definita a priori non rischiamo che il personaggio abbia sempre una personalità simile alla nostra, o comunque piatta, non originale?
Beh, anche se fosse, non sarebbe una tragedia: abbiamo visto di recente che nella Vecchia Scuola il PG come mero “avatar” del giocatore va per la maggiore, e ci si diverte lo stesso.
Comunque non è affatto detto che sia così. Anzi, potrei ripetere anche per la personalità, l’identità, l’originalità e qualunque altra qualità con l’accento sulla a, un discorso sostanzialmente simile a quello che ho fatto per la coerenza. Che cos’è davvero la personalità? Tu hai mai visto la personalità di un’altra persona? La puoi misurare, la puoi toccare? No, al limite puoi cercare di dedurla basandoti su come agisce. E, in effetti, così come la nostra personalità contribuisce a determinare le nostre azioni, le conseguenze delle nostre azioni (e, in generale, gli eventi che attraversiamo nella nostra vita) contribuiscono a plasmare a nostra personalità: quindi pure qui c’è un meccanismo di retroazione. Anche se non facciamo alcuno sforzo per dare intenzionalmente al nostro PG una personalità diversa dalla nostra, il solo fatto che viva in un mondo diverso, che abbia un obiettivo diverso e che gli succedano cose diverse finirà inevitabilmente per conferirgli una nuova identità, tutta sua. Fidatevi. Provare per credere.
Con questo non voglio dire che sia sbagliato che un giocatore confezioni a priori una determinata personalità per il proprio PG: è un metodo come un altro, né migliore né peggiore, e ognuno deve fare come si trova meglio; l’ho detto già tante volte in questa serie ma è bene ripeterlo. Basta non credere che sia necessario.
Per chi ci tiene molto a dare sin dall’inizio un tocco di originalità al carattere del proprio PG, faccio mio un suggerimento di The Angry GM: anziché definire una dettagliata architettura psicologica, prova a scrivere una singola, brevissima frase o “etichetta” che gli si addica, e attieniti a quella. Vedrai che il resto della personalità si evolverà rapidamente da lì, come una pianta che cresce da un seme, e sorprenderà anche te.
(L’articolo in questione è qui, è in inglese, e come al solito dovrete fare i conti con lo stile prolisso e un po’ “da bullo” dell’autore, ma il contenuto merita.)
Nella prossima puntata
Nel prossimo articolo della serie parleremo di una questione che genera sempre accesi dibattiti: il rapporto tra i punteggi di caratteristica mentale del personaggio e la sua interpretazione di ruolo.
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