Classifica
Contenuto popolare
Contenuti visualizzati con la più alta reputazione il 19/04/2005 in tutte le aree
-
Salve a tutti! Avrei bisogno di un paio di pareri/critiche/commenti su una cosina che ho scritto, spero di poter contare su di voi! In pratica con il mio personaggio di D&D Imizael (come il mio nick;)) tempo fa giocammo un'avventura per Salvare la Dea Waukeen, avventura di cui chi vuole trova qualche resoconto nel mio sito, qui: http://www.imizael.it/Imizael%20Calastei.html. Venendo al dunque, Imizael è anche una barda, perciò mi pare ovvio che più avanti nella sua storia si sia messa a scrivere un poema sulle proprie avventure! Quello che riporto sotto è appunto il suo poema "epico", liberamente tradotto dall'Elfico (usate un po' di fantasia;)) e perciò privo di uniformità metrica, ma spero non sgradevole. Ci ho lavorato talmente tanto che non riesco più a leggerlo con obiettività, avrei piacere che lo leggeste e mi diceste se secondo voi è ok! Grazie POESIE DEL MONDO "Ma per tornare alle Poesie del Mondo vi dirò di Coloro che Partirono per un passato che non sapevano esser loro. Eran cinque Eroi, cinque valorosi ed i loro nomi si cantano nel Vento delle Ere. Furon chiamati al Fato, furon cinque: era il Cantore di Leggende, dai capelli d’ebano e dalla voce d’oro, destinato a divenire egli stesso una Leggenda. Era la Portatrice di Speranza, ultima di un monastero del Sole, lottatrice dallo spirito nobile e puro. era il Vendicatore, dal cuore irto di spine per un lontano passato, colui che portava la Lama Malvagia. Era il Guardiano dell’Arco, che dopo aver compiuto gesta eroiche fu chiamato lontano, e più di lui non si ebbero notizie. Era infine la Guerriera dalle Due Anime, da poco nata al mondo, colei che porta in sé lo Spirito della Speranza e lo Spirito della Disperazione. Eran cinque Eroi, cinque valorosi ed i loro nomi si cantano nel Vento delle Ere. Partirono per il Regno Oscuro, negli abissi dell’Io, partirono per salvare Dama Lucente che Sei Dita il demone avea rapito. Partirono per sfidare il suo volere malvagio e per passar a fil di spada i suoi disegni contorti, riportando Dama Lucente al suo regno di sole. Lunga fu la strada degli Eroi, lunga e contorta, ma giunsero essi infine alla Città Pallida laddove il sole ha luce azzurra - o non ha luce. Qui ebbero aiuto dall’Alato Mentitore, tessitore di inganni, che dapprima si finse amico ed infine lo fu davvero. Questi li guidò per foreste irte di spine, sotto piogge maligne, in scontri crudeli. Lunga fu la strada degli Eroi, ma Fato era con loro. Si scontrarono poi con il Sacerdote dal Duplice Futuro, che ancora seguiva la Follia come patrona, e che tentava di impedir loro il salvataggio di Dama Lucente. Ma la loro Giustizia salvò il Sacerdote cancellando dal Tempo il suo futuro malvagio, così egli divenne il Puro, e tornò ai Regni di Luce e divenne Eroe. Giunti ormai all’Ora Fatale, i quattro Eroi rimasti dopo la partenza del Guardiano dell’Arco si apprestarono a compiere il Destino e a tessere le trame del Tempo. Guidati ancora una volta dall’Alato Mentitore penetrarono le radici della fortezza di Sei Dita marciando con passo di tuono nelle viscere di pietra giunsero nell’antro dove Dama Lucente giaceva incatenata. D’oro erano i tormenti inflitti alla prigioniera, di sangue eran le lacrime che lei versava. Un ultimo guardiano era nell’Antro -avversario crudele che i nuovamente cinque Eroi dovettero affrontare. Con catene avea a sé legato un orrendo serpente e la forza di cento e cento lame era con lui. La lotta fu ardua, e gli Eroi caddero sotto i colpi del malvagio schiavo di Sei Dita. Il primo a cadere fu il Vendicatore, cadde poi lentamente la Portatrice di Speranza, ma la forza del Sole restò ancor in lei un poco. Infine, il Cantore di Leggende vide che dando la sua vita Avrebbe salvato la Guerriera dalle Due Anime, così infuse il proprio spirito nell’arma della compagna. La lama della Guerriera tormentata Sostenuta dall’anima dei compagni caduti Calò infine sulla Bestia Serpente e liberò il Tempo dal suo male. Così gli Eroi con sacrificio e coraggio riuscirono a salvar Dama Lucente e liberatala dalle catene d’oro si avviarono fuggendo dal Regno Oscuro. L’ira di Sei Dita il demone fu funesta: miriadi di suoi crudeli servitori inseguirono gli Eroi e a poca distanza dalla salvezza infine quasi li raggiunsero: non sarebbero riusciti a fuggire dalla Città Pallida. L’Alato Mentitore vide che tutto era perduto e sacrificò la propria vita per permettere ai compagni di fuggire: cadde l’Alato Mentitore, tessitore di inganni, che dapprima si finse nobile ed infine lo fu davvero. Gli Eroi così tornarono vittoriosi dal passato Dama Lucente fu salva, e riebbe i suoi poteri, e in segno d’amore rese il dono della vita a coloro che per la sua salvezza l’aveano perduta. Eran cinque Eroi, cinque valorosi ed i loro nomi si cantano nel Vento delle Ere. Partirono per un passato che non sapevano esser loro salvarono Dama Lucente ed entrarono nella Leggenda."1 punto
-
L'ho letta anche io e... che dire? Senza tentare paragoni forzati, ho provato nel leggerla la stessa bella sensazione che ho provato quando ho letto i poemi su Dragonlance.1 punto
-
Abbiate pietà, io sto male : ) --------------------- Il cucchiaino Blu Era mattina. Come tutte le mattine, mi alzai dal letto come un mollusco. Andai in bagno, orribile e ondeggiante al pari di uno zombie, mi lavaii e poi mi misi addosso il primo paio di pantaloni su cui riuscii a mettere le mani. Con un colpo secco, degno dei migliori karateka, accesi lo stereo, cosi’ mi potevo ascoltare il mio canale preferito. Andai in cucina e cominciai a prepararmi la colazione: prima la moka sul fuoco, poi la tazza e la zuccheriera sul tavolo, infine il latte nella tazza, aspettando il caffè che da lì a poco avrebbe fatto la sua comparsa, come per magia, nella parte superiore della macchinetta. Mentre la radio passava Child in time, giusto per ricordarmi che mi dovevo sbrigare altrimenti avrei fatto tardi a lezione, presi un fazzoletto e i cornetti in gomma che ti spacciano per freschi. Tutto era ormai pronto: mancava soltanto il caffè. Passarono attimi che mi parvero interminabili. L’orologio a muro ticchettava come un conto alla rovescia prima dell’estinzione. Il mio cane si stiracchiò e zampettò in balcone per fare la cacca. Si sa che gli animali si accorgono sempre in aticipo delle sciagure, pensai. Le pareti cominciavano a stringersi, piano piano, sempre di più.. poi alla fine lo sentii. Il caro, vecchio rumore borbottante. Il caffè era pronto! Presi la moka, ne versai il contenuto intero dentro la tazza e poi feci per metterci lo zucchero, ma mi resi subito conto della mia superficialità: non avevo preso un cucchiaino. Me lo dimentico sempre, è proprio un concetto che non vuole entrare nella mia mente, quello del cucchiaino. Se ci si pesa bene, il cucchiaino in realtà è una cosa inutile. Un cucchiaio potrebbe svolgere le stesse medesime cose, se solo si prestasse un pò più d’attenzione alle quantità. Comunque sia, mi sporsi dalla sedia e aprii in un cassetto dietro di me, e cercai per un pò alla cieca, acchiappando il primo cucchiaino che riuscii a identificare al tatto. Lo infilai al limite della velocità consentita dentro la zuccheriera, ma mentre stavo portando il cucchiaino ora pieno di zucchero verso la tazza, mi resi conto di una cosa: aveva il manico blu. Ora, io ho tre tipi di posate a casa: quelle di ferro, tristi, quelle col manico rosso, chic, e quelle con il manico giallo, pacioccose. Non ho nessun set di posate blu. Al massimo ho qualche coltello nero, assassino. Ma niente blu. Quel fatto quindi mi stupii oltre ogni regola: mi parve come se un elemento senza senso fosse improvvisamente piombato nella mia inquieta esistenza. Stupito, immersi il cucchiaino dentro la tazza di caffellatte, e provai a vedere se funzionava. Ebbene, girava! Girava come qualsiasi altro cucchiaino, anzi no, mi resi conto, girava anche meglio. Era più armonico. Il blu si fondeva magistralmente con il marrone del caffellatte, e con l’azzurrino della tazza. In quel preciso momento, mi resi conto che quel cucchiaino mi piaceva. Il che, era un fatto anche più strano: come ho già detto, di solito non riesco ad apprezzare i cucchiaini. Quello lì invece aveva un qualcosa di particolare, un nonsochè che lo rendeva differente dagli altri. Mi stava simpatico. Lo ricacciai fuori dal caffellatte e me lo rigirai sgocciolante tra le mani. Era tutto sommato un semplice cucchiaino, aveva il manico blu con delle strisce bianche ai lati, dove si univano i due pezzi del manico. La conchetta di metallo era lucente, e della giusta grandezza, nè troppo piccola, nè troppo grande. Me lo guardai, e anche lui mi guardò, con quel suo sguardo un pò sfereggiante. Mi chiesi se a lui sarebbe piaciuto diventare mio amico, e lui parve come intuire e dirmi di si. Tutto contento, lo lavai sotto l’acqua e lo riposi nel portaposate, in posizione di rilievo sul lavandino. Lì in mezzo, circondato da altre posate di altri set, spiccava come se fosse già il capocucina. E fu in quel momento che decisi: avrei fatto scalare al mio cucchiaino la gerarchia culinaria delle posate in casa mia. Uscii di corsa e mi fiondai a lezione, prima di perdere il treno. Tornato a casa, il pomeriggio stesso cominciai a mettere in pratica il mio piano. Erano le 5, e mia madre stava parlando con una sua amica che veniva spesso a casa nostra. Subdolamente chiesi loro se volessero un caffè. Loro, stoltamente, accettarono ed io mi diressi subito in cucina. Il cucchiaino era ancora dove lo avevo lasciato in mattinata. Lo presi e poi ne presi un altro, uno di quelli di ferro, dal cassetto. Caricai la moka e la misi sul fuoco, mentre preparavo un vassoio con le tazzine e tutto il resto. Su un sottotazzina misi il cucchiaino blu, mentre sull’altro quello di ferro. Scelsi le tazzine meno belle, in modo che l’attenzione fosse calamitata solo dalle posate. Appena il caffè fu pronto, portai tutto nell’altra stanza, dove si stava ancora chiacchierando del tempo e di quanto veniva a costare una spesa. Appoggiai il vassoio tra le due e me ne rimasi lì, in disparte. Il cucchiaino blu era della tazzina di mia madre. Le due si versarono il caffè, poi giunse il momento fatidico: lo zuccherarono. “Come mai hai preso due cucchiaini differenti?” mi chiese gentilmente mia madre. Io risposi con un’alzata di spalle. Intervenne l’amica di mia madre: “Ma non ti preoccupare cara, ha fatto già troppo! Mio figlio non ci avrebbe nemmeno salutato, tzè. Non fa niente, per due cucchiaini. Anche se..” trattenni il respiro per un attimo “quel tuo cucchiaino blu è veramente grazioso, rispetto al mio.” Mamma, divertita, si fece una risata e propose di scambiarsi le tazzine. La signora accettò con un’ altra sghignazzata. Io intanto gioivo gaiamente dentro di me. Un piccolo traguardo era stato raggiunto. Quella sera, mi misi a letto facendo finta di studiare. Passò qualche tempo, e tutti se ne andarono nelle loro stanze a dormire. Allora mi alzai dal letto, novello James Bond, e mi diressi in cucina quatto quatto. Il cucchiaino blu era nel cassetto. Lo presi senza far rumore e aprii la dispensa, prendendo il barattolo del caffè. Lo aprii e dentro vi trovai quello che mi ero aspettato: il cucchiaino a cuore. Dovete infatti sapere che a casa mia c’è un solo cucchiaino che viene tenuto perennemente infilato nel barattolo del caffè, immerso nella polvere nera. Con quel cucchiaino si fanno tutti i caffè di casa. Era indubbiamente una posizione di prestigio per il mio nuovo amico. Sfilai il cucchiaino a cuore dal barattolo, e lo sostituii con il cucchiaino blu. Per un attimo parve scontento della sua nuova casa, infilato in quel barattolo scuro. Ma poi credo che si sia reso conto di quale fosse il suo nuovo lavoro, di quale importanza avesse rispetto ai ruoli che gli venivano di solito imposti, e che decidessi di entrarvi anima e corpo con maestosità e veterana esperienza. A mia volta soddisfatto della felicità del cucchiaino, richiusi il barattolo nella dispensa. Avevo pensato che forse qualcuno di casa avrebbe avuto qualcosa da obbiettare su quel nuovo impiegato: il cucchiaino a cuore era lì dentro da tempo immemorabile. Ma mi resi subito conto di quanto fosse in realtà poco efficiente quel vetusto cucchiaino. Aveva la conca piccola e a forma di cuore, che raccoglieva poca polvere di caffè a volta, e servivano molte cucchiainate per riempire una caffettiera. Forse all’inizio era stato buttato lì dentro appunto per la sua incapacità, chi puo’ dirlo? Sta di fatto che lavai il cucchiaino a cuore e lo sbattei di nuovo nel cassetto. Mi parve di aver fatto una cosa molto giusta: avevo dato un impiego importante ad uno che se lo meritava veramente, e nel contempo avevo dato una sferzata di vitalità ad una posata volenterosa ma incapace. Passarono i giorni, e il cucchiaino blu si comportava in maniera egregia. Ogni volta posava il caffè dentro la moka con una delicatezza mai vista prima, ed era più difficile con lui far cadere la polvere. Credo che in quel periodo fosse molto contento, ma anche un pò malinconico rispetto ai giorni dello zucchero e delle girate. Ma così va il mondo. Andava tutto alla perfezione: troppo alla perfezione. Avrei dovuto immaginare quello che dopo pochi giorni sarebbe successo. Ma non ci volevo pensare. Un giorno, vennero a pranzo i miei zii. Ci fu un pranzo di quelli grossi e di famiglia, con tanto rumore e piatti che non vedi mai e che farebbero impallidire uno chef, anche se tua madre o tua nonna dice cose del tipo “è una cosa semplice semplice” oppure “questo lo faccio tutti i giorni” o ancora “ci ho messo solo cinque minuti”. In realtà chi cucina per questi giorni ci mette da mezza giornata in su. Comunque alla fine si arrivò al momento del caffè. Mia zia si propose di farlo per tutti, cacciò la moka e cominciò a riempirla. Ma ad un tratto, come le campane dell’apocalisse, esclamò: “Ma questo cucchiaino è di un mio set! Ecco dov’era finito. Chissà come c’e’ arrivato qua! Ti spiace se me lo riprendo?” fece zia a mamma. Non volli guardare la risposta di mamma, che annuì come solo un omicida pò fare. Sarebbero rimasti per il pomeriggio, e poi i miei zii se ne sarebbero tornati a casa, con il mio cucchiaino. Non potevo chiedere che me lo lasciassero. Nessuno è amico di un cucchiaino, a meno che non sia completamente scemo. Quando la baraonda si spostò in soggiorno, io presi il cucchiaino che era stato lasciato sul lavandino. Lo lavai, dolcemente, accarezzandolo. Aveva ritrovato la sua mamma, il piccolo. Ma questo avrebbe significato non vederlo mai più, o almeno solo quando andavamo a trovare zia, quelle rare volte. Era un addio. In un attimo presi una decisione: aprii la dispensa, e trassi il barattolo del miele. Lo aprii, e vi infilai il cucchiaino. Prima dolcemente, a sfiorare il liquido appiccicosamente dolce, poi con piu’ tenacia, per arrivare al suo interno. Il piccolo era felicissimo, nuotava nella cosa piu’ dolce e più liquida al mondo, il sogno di tutti i cucchiaini. Lo trassi dal miele con il suo aureo contenuto. Me lo misi in bocca, e mi mangiai il miele con gusto. Il piccolo cucchiaino blu non tradiva mai. Come ti faceva mangiare o bere le cose lui, nessun’altro c’e’ mai riuscito. Alla fine lo trassi, e lo lavai nel lavandino. Gli diedi una bella insaponata, e poi lo risciaquai sotto il getto d’acqua calda. Quindi l’asciugai: sembrava come nuovo, e brillava triste. Anche lui si era accorto che quello era un commiato. Lo lasciai sopra il lavandino, e me ne andai in camera mia. Quando i miei zii se ne andarono portarono con loro anche il cucchiaino, il piccolo amico dal manico color del mare. Non lo rividi mai più.1 punto
Questa classifica è impostata Roma/GMT+01:00