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Stavo girando per il PC, facendo pulizia. Ed ecco che mi imbatto in un brevissimo raccontino scritto anni fa. Ora come ora lo trovo davvero goffo, inadatto, impacciato. Ma il fatto di rileggerlo dopo qualche anno di totale oblio ha avuto la forza di strapparmi un sorriso. Lo posto perché non mi costa nulla, e in un certo senso è un pezzettino di me. NON SERVONO ALI PER VOLARE Lo sguardo di Ester indugiava fuori dalla finestra del piccolo appartamento, soffermandosi di tanto in tanto sul solito albero in controluce rispetto al sole che, placido e rossastro, stava nascondendosi dietro i condomini. Era singolare come la figura ricurva dell’acero riuscisse sempre a riportarle alla mente uno sgradevole episodio della sua vita, con messaggio di monito annesso. Ester aveva sempre avuto il desiderio di vivere in un palazzo, un grattacielo, per poter stare in alto. L’idea di potersi affacciare ad una finestra e vedere le piccole figure delle case sotto di lei l’aveva sempre affascinata, e per questo pallino aveva risparmiato e fatto sacrifici; tutto per potersi trasferire in quel palazzo del centro. Aveva avanzato precisa richiesta di una stanza situata in uno dei piani superiori e con grande soddisfazione era riuscita ad accaparrarsi un piccolo appartamento proprio all’ultimo piano, nel solaio. La cifra spesa per l’affitto non era assolutamente ragionevole per la qualità dell’abitazione ma, che diamine, a parere di Ester quelli erano soldi ben spesi e la sua impressione veniva confermata tutte la volte che la ragazza si affacciava sul piccolo balcone malandato. Chiudeva gli occhi per un istante di incalcolabile poesia e quando li riapriva, teneva lo sguardo alto proteso in avanti, dimentica del palazzo alle sue spalle. Era il suo modo di volare, appesa alla piccola ringhiera, con i pugni serrati e il vento fra i capelli guardava il mondo dall’alto, piena di gioia innocente. Questo sino al momento in cui il portiere dell’albergo, un uomo che le ricordava Danny De Vito privato del carisma, venne a dirle che l’ultimo piano del palazzo, a detta dell’ufficio delle imposte, non era abitabile. La norma 21bis del comma “chessòio” di un articolo sconosciuto le aveva troncato le ali tutto d’un colpo e visto che la caparra anticipata che aveva pagato era di sei mesi si ritrovò a dover accettare a malincuore un rimpiazzo al suo appartamento, che consisteva in un alloggio sostitutivo situato al piano terra. La prima volta che Ester vide l’acero davanti alla sua finestra lo odio profondamente, gli fece addirittura una linguaccia, ma evidentemente l’albero non era intenzionato ad attaccare briga e non reagì. In quei sei mesi di vita con i piedi per terra la sua passione per i luoghi elevati ebbe il tempo di sfumare, non tanto perché il desiderio di volare si fosse sopito, quanto per il fatto che non era facile trovare un appartamento in città e quello era comunque un posto decente dove stare. Erano passati mesi dalla delusione domestica della ragazza, ma quell’albero riusciva sempre a rammentargli lo spiacevole aneddoto che, come un racconto zen, recava un messaggio che per metà era una massima e per metà un monito. Quella pianta era diventata un simbolo che ogni giorno ricordava a Ester che i sogni a volte sono pericolosi, ed è giusto vivere la vita con gli occhi bene aperti. Forse era quello il motivo per cui la pianta non stava per niente simpatica a Ester, che aveva sempre visto la vita come un bel sogno. Che senso ha vivere se non si hanno dei desideri, sogni da realizzare? Questo era uno dei pilastri della filosofia di vita della ragazza, ed ecco che adesso doveva vivere davanti ad un grinzoso monolito che non faceva altro che ricordarle il contrario con la sua corteccia ruvida e il suo tronco curvo. -Forse mi sta antipatico perché mi ricorda mia madre- pensò Ester –...saranno le rughe.- Il trillo acuto del cellulare la fece sobbalzare, la stanza si riempì di un suono intermittente che le ricordava la colonna sonora di alcuni vecchi film dell’orrore. Ester volse gli occhi verdi a destra e a sinistra, guardò su e giù per la stanza, senza spostarsi, per cercare di capire da dove provenisse il suono. Vista fuori dalla finestra dell’appartamento la ragazza avrebbe ricordato un gatto alle prese con un insetto fastidioso. Tutto ad un tratto gli occhi della ragazza trovarono il cellulare e lei si lanciò con felina destrezza verso di esso, prendendolo con la mano sinistra. “Un messaggio ricevuto”, recitava il piccolo display LCD, lampeggiando in segno di saluto. Ester contrasse le piccole labbra, dischiuse un attimo la bocca e la richiuse, mordicchiandosi il labbro inferiore. –Fa che sia lui- Chiuse gli occhi forte e premette con il pollice il pulsante in alto a sinistra, quello con la cornettina verde stilizzata. Passarono cinque secondi, più o meno cinquecento anni, poi Ester riaprì gli occhi e lesse tutto d’un fiato. Premette il pulsante in alto a destra, quello con la cornettina rossa stilizzata. Tutto ad un tratto la ragazza sembrò sgonfiarsi espirando l’aria che aveva nei polmoni in un sospiro estremamente eloquente, un sospiro grave che la svuotò, facendola assomigliare per un attimo ad un palloncino forato. Scrollò la testa, raddrizzò le spalle curve e andò a buttarsi sul divano. Affondò la testa nel suo cuscino rosso e mugugnò una volgare quintessenza di rabbia. Cavolo, erano passati più di dieci giorni! Dov’era andato a cacciarsi? Ester si ricordò di come lo aveva salutato alla partenza, con un bacio appassionato – Mi dispiace tanto amore, ma il lavoro è lavoro, e non posso farmi sfuggire un’occasione del genere - aveva detto – ti telefonerò tutti i giorni, promesso!- Cominciava a essere davvero preoccupata, chissà cosa poteva essere successo. Si rannicchiò sul divano, stringendosi al cuscino, si voltò a fissare l’orologio a muro che le aveva regalato la madre, si voltò una seconda volta pensando che non le era mai piaciuto e poi si voltò ancora, sentendosi cattiva per averlo pensato. Si alzò e andò a preparasi una tisana alla menta, attingendo dall’armadietto sopra il lavandino, prese la tazza con Snoopy che le piaceva tanto, ma oggi non le piaceva poi così tanto. Cominciò a sentirsi agitata, si sedette sul divano e accese il televisore, trasmettevano una puntata dei Muppets dove Kermit litigava con Miss Piggy, lo spense subito. Doveva porre subito rimedio alla situazione, non aveva assolutamente intenzione di passare la giornata in apprensione e, maledetto il suo animo troppo sensibile, ora rischiava seriamente di cedere alla malinconia. Si mise a braccia conserte, seduta con le gambe accavallate, alzò la mano destra e si picchiettò la punta del naso con l’indice, contemplando l’idea di uscire a fare due passi. L’idea non le sembrava così malvagia, guardò fuori dalla finestra… e rivide lo stramaledetto acero. –Uffa, a quel paese!- strinse i pugni finché le nocche non le diventarono rosse, e se li premette sulle tempie, gli occhi serrati e le mascelle contratte. Il visino delicato somigliava ad un palloncino troppo gonfio, quasi sul punto di esplodere. –A quel paese!- ripeté, sentendosi un po’ stupida. Si alzò con fare deciso e strattonò le tende, chiudendole con violenza. Non si sentiva bene, decise con gli occhi lucidi, simili a dei kiwi maturi. E tutto ad un tratto sentì improvviso l’inappellabile bisogno di volare come aveva fatto tante volte. E perché no? Non c’era niente di male, dopotutto. Al diavolo il nastro rosso e bianco davanti alla porta e al diavolo gli avvisi dei lavori di ristrutturazione che intimavano gli inquilini a non salire all’ultimo piano. Voleva volare e avrebbe volato. Uscì dalla porta principale e salutò il portiere, che rispose imbarazzato, come sempre. Gli disse che le sembrava proprio di aver dimenticato una cosa di sopra. –Ma signorina, non sono autorizzato a darle le chiavi senza…- Ester sorrise, uno di quei sorrisi più che cortesi, quasi dolci ma che lasciano il beneficio del dubbio –…D’accordo!- sbottò il portiere atteggiando il viso a chi sa che stai cercando di imbambolarlo. –Grazie mille!- disse Ester raggiante –A proposito, bella camicia- il portiere arrossì guardandosi la camicia scozzese rossa e verde che di solito si vede indossare ai muscolosi boscaioli della Zelanda. –Grazie, anche tu stai bene vestita così- Ester chiamò l’ascensore sorridendo, picchiettò la scarpa ritmicamente due o tre volte e poi, rosa dall’impazienza, decise di imboccare le scale. Il portiere alzò un braccio come per chiamarla, ma si fermò a osservare la manica della sua camicia, pensando che non era ne boscaiolo, ne muscoloso, ne Zelandese. Arrivata davanti alla porta della sua vecchia abitazione Ester si accorse di essere senza fiato, aveva percorso le scale di corsa ed evidentemente non era più abituata. Stette un attimo con la fronte appoggiata alla porta, sentendosi respirare forte e vedendo il petto andare su e giù, sincrono al suono. Quando decise di essersi ripresa aspettò ancora un poco, fece un gran sospiro e si calmò. Non c’era fretta. Quello, come tutte le altre volte, doveva essere un momento magico. Il suo momento. Strinse piano il pomello d’ottone della porta, infilò la chiave nella serratura e girò fino a quando non sentì il primo scatto; quasi si stupì quando si ritrovò a spingere una porta ancora chiusa, lei era abituata a chiuderla una volta sola, per aprire la porta dovette girare quattro volte, quattro mandate che le sembrarono scandirsi in un tempo infinito, interminabile. Varcò la soglia e diede un’occhiata in giro, la sua vecchia casa era spoglia, ma si aspettava di vederla più impolverata. Si incamminò verso quella che era stata la sua camera da letto guardando le particelle di polvere che vorticavano nell’aria illuminate dalla chiarore rossastro del tramonto. Entrò nella stanza con calma e si accostò alla portafinestra del piccolo balcone. La aprì lentamente e stette sulla soglia per un istante che sembrava non dover finire mai. Chiuse gli occhi e avanzò di un passo, avanzò ancora e il piede destro incontrò la piccola ringhiera metallica. Il sinistro lo imitò e le mani della giovane ragazza si serrarono forte al bordo della ringhiera. Ester poggiò delicatamente il piccolo ventre al bordo del parapetto e solo allora, dopo un lungo respiro, aprì gli occhi. Era davvero uno spettacolo splendido. La città si stendeva poco sotto di lei, quel tanto che bastava per darle la sensazione di vederla davvero dall’alto, lontana dalle preoccupazioni e dai problemi della gente comune, al di sopra del suono dei clacson, delle voci, delle incertezze e dei dubbi che tutti i giorni pesano sulle spalle di tutti. Si sentiva libera, una figlia del vento, il cielo sembrava un quadro di Monnè, chiaro e scuro allo stesso tempo, illuminato di rosso che cangiava al viola, all’azzurro ed infine al blu profondo. Guardò l’orizzonte e le venne in mente, come da bambina, che se solo avesse saputo volare avrebbe potuto raggiungerlo. Pian piano stacco le mani dalla ringhiera, pesandosi su di essa. Alzò le braccia appena al di sopra delle spalle, distese le dita e si pesò ancora un poco in avanti, sorrise sentendo crescere leggera la pressione della ringhiera sul ventre delicato. Si sporse un po’ di più. Volare, per lei, era sinonimo di vivere. Come dice un vecchio detto, al destino non manca il senso dell’ironia. Fu un attimo, il cigolio che Ester sentì cominciò durante, non prima del collasso della ringhiera. Ester smise di sentire la pressione sul ventre, i fotogrammi che si susseguirono furono pochi, vide il sopra diventare sotto, l’orizzonte capovolgersi, la ringhiera che penzolava sghemba da un angolo del balconcino. Ester cadde, cadde e continuò a cadere per un lunghissimo lasso di tempo, un tempo interminabile. -Finalmente volo per davvero- pensò quasi felice, con un sorriso per metà mesto e per metà divertito, Easter guardò in basso consapevole del fatto che stava per morire; fu in quel momento che sotto di lei vide un vecchio Acero che le si avvicinava in maniera inesorabile, inevitabile. Il sorriso scomparve e una lacrima venne versata, anche se lei non la sentì mai cadere dal viso –Non stai volando, stai solo cadendo- La testa di Ester colpì un ramo con violenza, un altro ramo le colpì il braccio sbalzandola di lato. Il corpo della ragazza, già più simile a quello di una bambola disfatta, cadde con un tonfo sordo.1 punto
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Anche le pistole puoi usarle per ammazzare la gente o fare il tiro al piattello. Dipende da chi le impugna.1 punto
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Il vecchio attirò l’attenzione di Ferion con un piccolo colpo di tosse. <Gia,Gia…in futuro avrai molte occasioni di mostrare il tuo valore > battè le mani e le ballerine di prima arrivarono danzando in cerchio,al centro del quale un’altra fanciulla trasportava qualcosa di lungo al di sopra della testa. Il cerchio si aprì e la ballerina centrale salì sul palco,portando l’oggetto:era uno spadone. Era uno splendido spadone,della lunghezza di un metro e mezzo,che ricordava una sciabola,data la lama ricurva che si intuiva dalla forma del fodero rivestito in pelle nera,la guardia formata da un paio di ali di drago,color della notte,che ricoprivano quasi tutta la lunghezza dell’impugnatura,in fondo alla quale vi era una testa di drago dalle fauci aperte e gli occhi di zaffiro. <Questa è Lothrien,messaggera delle stelle>disse il vecchio,prendendola gentilmente dalle mani della ragazza e sfoderandola,mostrando le numerose incisioni lungo la lama bianca,che sembravano riprodurre un braccio della galassia,con tutte le sue costellazioni <Ci sono voluti diciotto anni per forgiarla…è stata cominciata il giorno in cui sei nato e completata il giorno in cui hai raggiunto la maggiore età,è tua di diritto>la porse a Ferion. Ferion afferrò Lothrien con delicatezza,e la impugnò con entrambe le mani,muovendo le dita per trovare la presa ideale sull’impugnatura sagomata,rigirandola per ammirarne la magnificenza;il suo sguardo si fermò sul filo della lama,che sembrava in grado di tagliare a metà un blocco di pietra con il minimo sforzo. Resistette alla tentazione di passarci sopra un dito per provarlo e chiese il fodero,dopo averlo ricevuto,rinfoderò la messaggera delle stelle. <E’ una spada magica>Disse il vecchio<Creata per mondare le tenebre,perché,se entrerai tra i Vallas,questo sarà il tuo unico scopo d’ora in poi> Iniziò a recitare in maniera solenne. <Ferion,accetti la responsabilità di vegliare sul mondo e difenderlo dall’oscurità?> Ferion si inginocchiò,appoggiando Lothrien a terra. <Io Ferion,accetto questo fardello>. <Giuri con tutta l’anima di seguire la retta via di Ariel?> <Lo giuro>Esclamò Ferion abbassando il capo. Il vecchio frugò tra le pieghe del mantello e ne estrasse quello che sembrava un ditale e una piccola lametta. Allargò le braccia per mostrare i due oggetti,finemente decorati,dall’ovvio scopo rituale,a tutti i presenti,poi fece scorrere velocemente la lametta sulla punta dell’indice,la sua bocca si mosse appena dal fastidio;una goccia di sangue uscì dal taglio,e fu abbastanza svelto da raccoglierla nel ditale,e continuò finche non si riempì fino all’orlo. <Nelle vene dei Vallas scorre latente il sangue di Pyrabos,il drago capostipite…Ferion,il più giovane tra noi,attingi alla fonte scarlatta del più anziano e risveglia il drago>porse il ditale a Ferion. Ferion lo prese,attento a non rovesciare la preziosa linfa vitale,e la bevve. Il vecchio sfoderò uno stiletto. <Ora,ragazzo,domina il potere,non permettere il contrario>sussurrò Ferion cadde in ginocchio,afferrandosi la gola,e iniziò ad urlare,con gli occhi sbarrati. Le sue urla di sofferenza rimbombavano nella grande sala,alcune delle sorelle si coprirono le orecchie e gli occhi per non vedere quel bel giovane con il volto contratto in una smorfia bestiale,rotolare a terra dal dolore. <Non ce la fa….>Disse Garuf cercando di prendere le monete. <Ce la fa…..>Disse Kart cercando di impedirglielo. Improvvisamente Ferion si alzò,con la schiena curva,le mani contratte ad artiglio. Il vecchio si preparò a colpire alzando il braccio al disopra della sua testa,ma Ferion si raddrizzo,le mani si rilassarono e si tolse i capelli dalla fronte madida di sudore,sorridendo soddisfatto. Il vecchio mise via l’arma appuntita e raccolse Lothrien,restituendola a Ferion. Non sentendo più le grida,Sorella Sil si scopri gli occhi. <Ora sei Ferion Vallas,ultimo dei draconi>disse il vecchio. Nella sala fu tirato un respiro di sollievo,non si poteva perdere in maniera tanto orribile l’ultimo rampollo della prima linea di sangue. Ferion si tolse il mantello grigio,simbolo del potere dormiente,e rimase a torso nudo con dei pantaloni blu. Vedendolo così,Sorella Sil inconsciamente si leccò le labbra,e persino Sorella Vielr deglutì. Ferion sfoderò Lothrien e la alzò sopra la testa,gridando di gioia,accompagnato da quelli che ora erano suoi fratelli <Benvenuto,Fratello Ferion>fu il grido del vecchio unito a quello di tutti gli altri. <Ora osserviamo quanto il sangue di drago ha agito in te…> disse il vecchio battendo le mani. In risposta giunsero molti uomini di fatica,che trascinavano con delle lunghe e spesse catene cinque creature più alte di un uomo,dalle spalle larghe e massicce e la pelle grigiastra. Orchi. <Li abbiamo trovati che esploravano i dintorni con equipaggiamento da guerra>disse il vecchio a Ferion. Il vecchio si avvicinò al più grosso dei cinque. <Non provate a scappare,non varchereste la soglia dell’uscita….>disse con calma poi indico Ferion <Uccidetelo e sarete liberi>Sentendo ciò Ferion si mise in posizione di combattimento,con Lothrien che risplendeva in risposta alle luci delle lanterne. L’orco emise un grugnito per indicare che aveva inteso. Il vecchio scese dal gradino e un altro uomo salì,a togliere le catene e portare le armi orchesche,rozze asce e picche,ai loro proprietari. Intanto Ferion passò delicatamente il palmo della mano sul piatto della spada pronunciando sottovoce una breve formula,e una runa rossa apparve dove toccò. Appena fu liberato e riprese la propria arma,l’orco più vicino a Ferion caricò menando un poderoso colpo orizzontale,che Ferion evitò semplicemente flettendo le ginocchia e attaccò con un fulmineo fendente anch’esso orizzontale. L’orco guai e tornò dai compagni,si guardò il torace,dove non vi era nient’altro che un graffio rosso,che lo attraversava da parte a parte,ma niente sangue. Garuf scoppiò a ridere. <Era in una posizione perfetta e lo ha colpito di striscio con un spadone a due piedi di distanza>gridò Gli orchi si unirono alla risata. Ferion puntò la mano verso l’orco che lo aveva attaccato,e la mosse come se stesse chiamando qualcosa. L’orco,da grigio,divenne bianco,il graffio divenne uno squarcio e la parte superiore cadde a terra con un tonfo,seguita da quella inferiore che si accasciò. Gli altri orchi urlarono di terrore,mentre Ferion iniziò a sussurrare velocissime formule in maniera cosi sciolta che pareva stesse sibilando. Il sangue dell’orco,sia quello che lordava il pavimento,che quello rimasto dentro alle due parti del cadavere,si alzò in volo e iniziò a raggrupparsi in una grossa sfera rosso cupo,lucida come giada. <Un emomante!!>Esclamò il vecchio meravigliato. Con un altro gesto della mano,la sfera andò a schiantarsi contro il petto di un altro nemico,fracassandone le costole e tornando indietro. La vittima iniziò a tossire sangue,Ferion sorrise,era sufficiente. Mosse nuovamente le mani verso l’orco a terra,contratte a ghermire qualcosa,la sua vita che scorreva;uscì come un lungo serpente scarlatto dalle fauci della bestia,che si abbandonò a terra bianco in volto, e strisciando si andò ad unire alla sfera,che partì nuovamente all’attacco,ma prima di colpire si vaporizzò,trasformandosi in nebbia rossa,che si insinuò nelle narici e la bocca dell’orco avvolto dalla nube. Sembrava ancora integro,quando cominciò a tossire,qualcosa gli squarciò il petto:una testa di drago scarlatta che in quel momento luccicava come cristallo. Il corpo del drago uscì dall’apertura,trascinando via il resto della linfa vitale. Il Draghetto adocchiò uno dei due orchi e gli balzò addosso,dilaniandolo con zanne e artigli di sangue;l’altro era paralizzato dall’orrore e ciò diede a Ferion il tempo di avvicinarsi camminando e mozzargli la testa con un gesto elegante del braccio che impugnava Lothrien. Nella stanza per l’ennesima volta ristagnava il silenzio,orripilati e incantati dalla esibizione di Ferion,i Vallas osservavano il giovane dracone ergersi fra i cadaveri mutilati degli orchi,senza neanche una goccia di sangue a sporcarlo. Ferion smise di recitare le arcane formule,e la creatura di sangue si disciolse ,allagando il palco e iniziando a colare sul pavimento più in basso. Fratello Kart prese la sua vincita. Qualcuno batte le mani,e tutti lo imitarono. Sorella Sil rabbrividì nuovamente davanti a quell’esempio di forza,grazia e bellezza. Terminato l’applauso,il vecchio riprese a parlare. <Fantastico!!Quale incredibile potere!!!Se sai gia usare la emomanzia a questi livelli a diciotto anni,non oso immaginare quale potenza tu possa sviluppare con l’esperienza.>Disse traendo da sotto il proprio mantello rosso,quello blu di Ferion e avvolgendoglielo attorno alle spalle,dichiarò conclusa la cerimonia. Ferion balzò giù dal palco,dirigendosi all’uscita della stanza,la pozza di sangue che si apriva per lasciarlo passare,rinfoderò Lothrien e attraversò la porta.1 punto
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