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Per quanto mi riguarda, questo tipo di ambientazione è quello che preferisco. Quindi il mio parere al riguardo non può essere che positivo. Una sola nota, però: l'ambientazione in se perde di funzionalità se la campagna raggiunge i livelli epici, per ovvie ragioni. Nella mia campagna, ho spremuto fino al midollo Ravenloft (che è low magic), fino ai lvl 22-24 (ed era 2ed), ma dopo ho dovuto per forza ampliare gli orizzonti. Non significa che l'ambientazione che definisci non sia buona, solo che come tutte le ambientazioni, non è perfetta (niente è perfetto, ahimè), e l'unica pecca che ci trovo, è appunto sui livelli epici. Ma è solo una piccola nota.1 punto
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Qui evidentemente devo ammettere di risentire della visione degli episodi di Heroes e delle letture dei libri di Valerio Massimo Manfredi (tipo l’Aquila ed il drago o l’Ultima Legione). Sia come sia perdonate se ho voluto affrontare in questo modo un argomento che potrebbe offendere la suscettibilità di qualcuno, magari particolarmente religioso. Non è stata mia intenzione offendere alcuno. Soltanto, ritengo che la prima ispirazione non vada mai tradita quando si tratta di scrivere... ed io ho deciso di seguirla stavolta fino alle estreme conseguenze. IL SEGNO Aspettarono il calare del sole. Solo quando il disco rovente scomparve dietro l’orizzonte ondulato, i cinque uomini si misero in cammino in quell'oceano ancora rovente di sabbia. Il freddo della notte già filtrava sotto i mantelli di lana e le armi sbattevano sulle loriche metalliche. Il capitano si fermò e fece cenno di proseguire agli altri mentre, lo sguardo rivolto alle prime stelle, cercava i riferimenti necessari a proseguire il loro cammino. Intanto pensava a quanto avesse odiato quell’incarico fin dal primo momento in cui gli era stato assegnato. Non vedeva proprio l’ora di ritornare di nuovo alla solita vita ed alla giovane sposa che aveva lasciato in città ad attenderlo, in balia delle usanze barbare di quella terra straniera. Ripensò con orgoglio a come lei lo aveva coraggiosamente seguito nei quattro angoli dell’impero e provò pena per lei, che aveva sofferto i suoi stessi sacrifici da quando ambedue avevano lasciato la loro patria. Da quando entrambi avevano lasciato Roma. E proprio dal centro dell’impero, erano venuti gli ordini di quella inutile missione. Coloro che ancora risiedevano nella città imperiale avevano promesso un'adeguata ricompensa, chissà magari un posto di comando più importante, lontano da lì. Immerso in questi pensieri identificò facilmente il chiarore della stella Polare lassù e si assicurò che non deviassero dalla giusta direzione che indicava, quindi raggiunse gli altri. Dovevano accelerare il passo se volevano arrivare in tempo nel luogo dell'appuntamento. Ai margini dello stesso deserto quello che sembrava un gruppo di viandanti si affrettava sulla pista più battuta. Spronavano i loro cammelli a correre il più velocemente possibile e volavano letteralmente sulla sabbia con una fretta indiavolata. Gli animali erano avanzati instancabili su piste roventi ed irriconoscibili e presto, a quell’andatura, avrebbero raggiunto la loro meta. Joussef fece un breve cenno agli altri dietro di lui per mantenerli in riga. Il gruppetto di uomini obbedì all’istante: erano tutti temprati dalla dura legge del deserto e con facce che non lasciavano trapelare alcuna emozione, occhi freddi e privi di espressione, pelle bruciata dal sole di vite nomadi del deserto. Soprattutto erano assassini. Joussef ricordava bene l’ordine del Re: dovevano riportargli la testa della donna, a qualsiasi costo. Se lo avessero fatto sarebbero stati ricoperti d’oro, altrimenti sarebbero state le loro teste ad essere spiccate dal collo. Era una giusta contropartita: erano assassini dopotutto e conoscevano i rischi: anche per questo non avrebbero fallito. Secondo i suoi calcoli prima dell’alba avrebbero raggiunto la fanciulla ai margini di quel maledetto deserto. Le tracce parlavano chiaro. Solo una cosa allora si sarebbe frapposta fra loro ed ottenere la sua testa: i Romani. Il Re li aveva avvertiti: c’era un gruppo di soldati dell’impero che cercava la stessa ragazza. Ma le spie non sapevano cosa volessero farne, addirittura poteva essere possibile che non volessero ucciderla. Guai a loro se fossero giunti a lei prima del gruppo di assassini. Se necessario andavano eliminati, senza lasciare prove. Occorreva un lavoro pulito ed attento: di certo non volevano scatenare le ire dell’impero Romano su Erode. Joussef stesso si sarebbe assicurato che quei seccatori fossero sepolti per sempre nelle sabbie del deserto. Senza testimoni. La donna faceva sempre più fatica a camminare. Anche se più che una donna era ancora una fanciulla: tutte le ossa le facevano male ed ad ogni passo la schiena le mandava delle fitte terribili. Il suo uomo procedeva dietro di lei, discosto e taciturno. Non la aiutava se non quando proprio la vedeva arrancare, allora la affiancava e sosteneva il suo passo, dopodiché si scostava da lei, camminando da solo. Non si rivolgevano la parola da settimane, né era capace di guardarla negli occhi. Nonostante fosse sempre stato un uomo buono nelle ultime settimane l’orgoglio e la vergogna lo avevano reso taciturno. Però stava mettendo in gioco la propria vita per lei. Sapeva che le loro vite importavano ben poco rispetto alla vita che lei portava in grembo, chiunque ne fosse il padre. Le profezie erano chiare, incontrovertibili, su questo. Per tale motivo erano scappati dalla loro casa: attraversando oasi dopo oasi, seguendo il letto asciutto degli uadi, mai fermandosi in quella fuga misteriosa. Sapevano di essere braccati anche se fino ad allora non avevano notato alcuna traccia dei loro inseguitori. Era lei, tra loro due, a dettare il passo, quasi che un istinto la portasse avanti. Ma ora non ce la faceva più. Era troppo per il suo corpo. Era stanca, allo stremo delle forze. In quell’istante, quando ormai il sole stava calando, comparve il profilo delle prime palme: l’oasi era là dove si aspettava di trovarla, dove l’istinto ed il destinino li avevano trascinati. Si fermò dopo il lungo estenuante viaggio e scostò un lembo del vestito che l’aveva protetta dal calore intenso. Rivoli di sabbia scivolarono mentre disfaceva le pieghe. In quell’istante seppe di essere arrivata ed una profonda fitta le prese il ventre. Non mancava molto ormai, pensò, respirando profondamente e sentendo il male sordo che si allontanava da lei. I tre cammelli avevano circumnavigato tutto il giorno l’oceano di sabbia, diretti al luogo che le stelle avevano loro predetto: era stata una marcia lunga ed estenuante ma ormai i tre sapienti erano arrivati. Proprio questo li innervosiva e li spaventava. Loro avevano tradito le profezie nel momento in cui avevano rivelato al Re Erode il luogo predetto. Lo avevano fatto pur sapendo che il primo dovere del sapiente era non svelare mai, per nessun motivo, i segreti delle loro arti. Ma i loro precetti si erano indeboliti quando la tortura aveva avuto la meglio su uno di loro: avevano parlato. Lo stesso erano stati traditi: il loro compagno non era sopravvissuto. Piegati dalla vergogna per quello che avevano svelato e per vita del loro compagno che non avevano saputo proteggere, era rimasta loro un’ultima cosa da fare per riparare al tragico danno: cercare di dare le proprie vite per anticipare gli emissari di Erode. Le loro misere vite valevano il cambio di una vita innocente? Dovevano assolutamente mettere in guardia la giovane donna dal pericolo mortale che avevano attirato su di lei. Per quello man mano che si avvicinavano all’oasi verdeggiante l’ansia ed il nervosismo di quelle tre povere esistenze si andava ingigantendo. Tutto taceva tra la vegetazione, come immerso in un silenzio irreale: potevano essere arrivati troppo tardi e questo scatenava i loro peggiori rimorsi. La via lattea apparve in cielo, come un drappo scintillante disteso sull’oscurità. In esso la luna sorse e si arrampicò lentamente sulla volta celeste. Tutto taceva. Pian piano il gruppo di assassini abbandonò la pista battuta. Joussef mandò degli uomini in avanscoperta verso l’oasi che si nascondeva ormai ad un tiro di sasso da dove si erano appostati ora. Nonostante non ci fosse anima viva aveva dato ordine agli uomini di nascondersi: in quel silenzio poteva nascondersi un pericolo mortale. Gli uomini partirono correndo sulla sabbia come piume e scomparvero: erano uomini ben addestrati. Difficilmente sarebbero stati scoperti. Quando tornarono portarono ottime notizie: nell’oasi si erano ferme per la notte alcune persone. Un uomo. Una donna. Tre vegliardi stranamente agghindati. Però, giusto al limitare dell’oasi si erano accampati i Romani. Erano in pochi ma c'erano ed erano ben nascosti. Il viso di Joussef si allargò in una smorfia maligna: due buone notizie assieme. Sarebbe stato fin troppo facile: ora che la luna era ormai tramontata, forniva loro la massima copertura. I Romani sarebbero morti senza accorgersi di nulla. E dopo di loro gli altri. Sussurrando diede ordine agli uomini di sfilare i pugnali e di avanzare: potevano sorprenderli tutti tranquillamente nel sonno, disse. Gli uomini ubbidirono silenziosamente ed uscirono allo scoperto. Erano a metà strada al limitare della vegetazione quando accadde. Un punto nel cielo lampeggiò. Prima non c’era stato, ma ora il suo bagliore tremolò incerto, fino a diventare fisso e sempre più luminoso. Era come se si avvicinasse dalla volta del cielo verso la terra. E man mano che ciò avveniva la sua luminosità cresceva, fin quando non apparve una scia di fiamme nel cielo e si udì un sibilo che infiammò tutta quanta la volta celeste, bruciandola in un bagliore accecante. Gli uomini allo scoperto si buttarono a terra, ma era troppo tardi: le loro sagome erano ormai illuminate a giorno, le ombre distorte lacerate e allungate sulla sabbia gelida. Erano assassini, ma quello spettacolo li terrorizzò. Alcuni lasciarono cadere il pugnale e corsero indietro. Scapparono alla rinfusa, urlando di terrore. Joussef fissò lo sguardo al cielo, i polsi che gli tremavano al timore che potesse crollargli sulla testa. L’animo soverchiato dalla sensazione che qualcosa di più grande di tutti loro avesse per un istante squarciato il cielo e sovvertito le forze della natura. Al momento gli fu impossibile vedere cosa fosse rimasto della volta stellata: vedeva soltanto tutto bianco. Poi i suoi occhi si abituarono e vide cos’era rimasto: vide una cometa, la coda scintillante in un presagio di sventura. Erano persi: erano stati scoperti. Fu l’ultima cosa che vide, poco prima di sentire il sibilo di una lancia pesante, verso di lui. Il comandante dei Romani si riscosse: l’improvviso bagliore illuminò il campo dove si erano accampati, riempiendo la distesa di sabbia al limitare dell’oasi di sagome. In un istante capì l’orrendo pericolo che avevano corso: dei beduini del deserto, forse dei sicari li avevano accerchiati. Colse istintivamente il lampeggiare dei pugnali sguainati, pronti a richiedere il loro prezzo in sangue. Ma poi vide quegli uomini come smarriti, dispersi e spaventati dal bagliore. I soldati Romani invece non si facevano spaventare per così poco, pensò e con una muta occhiata radunò i suoi uomini già all’erta. Erano tutti accanto a lui, pronti alla morte certa: per ognuno di loro un numero soverchiante di nemici. Eppure si alzarono, come se le loriche metalliche non più impolverate di sabbia scintillassero in uno strano bagliore. Erano certi che per ognuno di loro la morte sarebbe sopraggiunta, ma non senza combattere. Calarono sugli assassini con i gladi in mano, pronti a difendersi all’ultimo sangue. Il comandante, Pilato, non fece in tempo a fermare uno dei suoi che era già corso in avanti, prima che desse il segnale dell'attacco. Il soldato urlava, come impazzito dalla rabbia, mentre scagliava una lancia verso uno degli assassini che scrutava il cielo, come inebetito. La lancia corse in un arco scintillante ed inesorabile che inchiodò la gola dell’uomo il quale stramazzò al suolo, esalando l’ultimo respiro. I suoi compagni si dispersero, terrorizzati. Solo allora Pilato capì che quella era l’ultima speranza per loro cinque Romani: solo in cinque. Si alzò in piedi ed urlò un ultimo incoraggiamento ai suoi uomini: “Compagni, a me! Morte al nemico! Non lasciamo che Longino muoia da solo! Anche le nostre lance chiedono il loro sangue.”. Vi fu un unico rabbioso urlo ed i soldati Romani irruppero tra le file disperse degli assassini, falcidiando vite a colpi inesorabili di gladio. Finché pochi sparuti gruppi di nomadi correvano scappando nel deserto. Nessun uomo tra i Romani era morto. Pilato alzò gli occhi al cielo e la vide. Una cometa. Un segno degli dei, per Zeus...dietro di lui lo aspettava l'oasi dove si nascondeva forse la fanciulla. Là dove gli aruspici del colle Palatino avevano predetto che sarebbe avvenuto qualcosa… ma nemmeno loro nelle interiora degli animali erano riusciti a capire cosa fosse. Quei vecchi ciarlatani. Lui ed i suoi uomini erano qui adesso e si battevano per le proprie vite. Avrebbe detto che la fanciulla era stata uccisa. “Inseguiamoli!” urlò, girandosi verso il deserto, ed i suoi uomini si mossero come un corpo solo. Sotto le palme dell’oasi i sapienti stavano assistendo la giovane fanciulla. Le fitte si erano fatte più intense e ravvicinate, segno che presto vi sarebbe stata una nuova vita in quel deserto. L’uomo non era più discosto da lei ma le stringeva una mano fra le sue, sul viso un’espressione preoccupata e contrita. Un sapiente gli sorrise: non c’era bisogno che gli dicesse che sarebbe tutto andato bene. Lo sapevano entrambi. Poi il cielo fu squarciato dal bagliore, un’immensa luce che risplendeva propagandosi tra le piante, scintillando sulla piccola polla d’acqua dell’oasi. Quando si spense fu come se il giorno fosse stato improvvisamente spento per sempre dall’oscurità più fitta. Trattennero il respiro, quasi si aspettassero che avvenisse qualcosa. E qualcosa avvenne al limitare dell’oasi: urla e sangue. Degli uomini stavano arrivare a loro ed ucciderli tutti senza pietà, ma per qualche misterioso motivo ora erano impegnati in un sanguinoso combattimento, per difendere le loro stesse vite. Sentirono le urla di disperazione che si perdevano nella notte e nel silenzio del deserto. Poi più nulla, se non passi di corsa che si allontanavano. Sopra di loro rimase la cometa, con la coda scintillante che apriva il suo percorso nella volta stellata. Eccolo il segno, pensarono i sapienti e rimasero attoniti a fissare ciò che avevano predetto e calcolato per anni. Non credevano ai loro occhi. Mentre erano così distratti nacque.1 punto
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