Ho lasciato sedimentare un po’ l’accaduto. Troppo poco, oppure troppo. Non lo so ancora: è come se questi ultimi giorni si dividessero in due, da una parte il sogno e dall’altra l’incubo. Da una parte i bei giorni passati assieme e dall’altra l’incubo di ciò che è avvenuto sulla via del ritorno.
Su questo ha pienamente ragione Pharn, che ieri sul treno, lo sguardo fisso e triste, commentava con me: “Siamo partiti in tre e torniamo in due”.
Ed io lo sguardo ce l’avevo sul sedile vuoto davanti a me, partendo da Forlì, il sedile dove avrebbe dovuto esserci Claudio, chissà magari a commentare che bisognava prepararsi per Lucca, perché accidenti bisognava che lo Stand della DL ci fosse quest’anno a Lucca.
Lo conoscevo da 16 anni, mi pare dal secondo anno delle superiori (che erroneamente sul giornale hanno definito Istituto d’Arte, mentre invece era il Liceo Scientifico Marinelli). Non mi ricordo più molto di quegli anni, ma sono sicuro che fossimo diventati amici quasi subito, spontaneamente. E proprio in quegli anni arrivava in classe e mostrava i disegni dei Cavalieri dello Zodiaco (il suo cartone animato preferito) colorati a pastello e pennarello, che davano l’effetto della carta patinata e ci lasciavano esterrefatti. Già allora, tra noi suoi amici sapevamo che avrebbe sfondato come disegnatore. Perché Claudio che cos’altro avrebbe potuto fare nella vita se non quello? Era il suo futuro ed il suo talento.
Il mio ultimo anno delle superiori (Claudio era rimasto indietro un anno, ma pur non essendo più in classe insieme, restammo amici) ci trovammo insieme redattori del giornale d’istituto.
Lui era IL disegnatore, mentre io cominciavo a scrivere i primi racconti. Fu lui ad illustrare il mio primo racconto e lo fece a modo suo, lasciandomi basito per come aveva saputo cogliere in una sola semplice immagine tutto quello che avevo voluto descrivere.
Fu merito suo se quell’anno il giornalino divenne un gruppo: contro la censura della Preside, contro il disinteresse latente, contro un’unica uscita in un anno. L’anno dopo (il suo ultimo anno delle superiori) rimase da solo a fare il redattore del giornalino, ma seppe fare anche di meglio (quattro o cinque uscite in un solo anno). Aveva idee vincenti, poco da dire.
Più o meno in quegli anni con Claudio frequentai il primo party di GdR (Advanced D&D) e da allora continuammo a giocare a fasi alterne. Durante l’università litigai con lui pesantemente, al limite del rompere l’amicizia. Quando cercai di riallacciare i rapporti e di sanare una rottura pesante la sua risposta fu, in concetto, che gli occorreva del tempo per perdonare certi sgarbi fatti. Il suo carattere era opposto al mio e spesso ci si trovava su fronti opposti, in aperto scontro.
Anni dopo quel litigio venne dimenticato, o messo da parte. Non so. So soltanto che mi trovai con lui ad avere nuovamente un rapporto di amicizia. Nonostante l’università, impegni spesso diversi ed altro era uno dei pochi amici con i quali erano tali e tanti gli anni condivisi che si faceva gruppo e si usciva il sabato sera. Negli anni la sua passione per il disegno si era associata al Gioco di Ruolo. Fu lui a parlarmi di questo forum, fu grazie alla sua passione che mi feci prendere anch’io in questo vortice. Ed imparai con il tempo il significato di certe cose. Le idee erano contrapposte magari a volte, ma i concetti erano condivisi. E così, a volte Claudio mi diceva che si stupiva di come molte nostre comune amicizie fossero scomparse, mentre noi continuavamo a sentirci in forum.
Con gli anni il suo talento era cresciuto sempre più. Ma lui non era sicuro. Si scandalizzò due anni fa a Lucca di disegnatori che vendevano sgorbietti a 200 euro, dicendomi che non sarebbe mai stato in grado di vendere i propri disegni. Aveva un talento incommensurabile ma non era mai convinto di essere all’altezza, quando chiunque sarebbe rimasto impressionato e sbalordito dalle sue opere.
La settimana scorsa , il sabato sera prima del raduno, mi telefonò due volte. Due chiamate perse. Voleva parlarmi della mattina della partenza per mettersi d’accordo.
Lo richiamai e gli “imposi” di uscire con gli altri a bere qualcosa; dicendogli semplicemente “ti vengo a prendere che andiamo a bere qualcosa con gli altri.” Lo sentii dire poi che lo avevo trascinato fuori casa. E sorrisi per questo dentro di me. Era il suo modo per dire che era contento di essere uscito e di aver passato la serata assieme con la compagnia di amici.
Quando lo lasciai davanti a casa mi disse che avrebbe fatto fatica a dormire prima di partire per il Cungi. Ed io non stentai a prenderlo in parola.
In treno, durante il tragitto per Bologna, mi descriveva parte del suo grande progetto, la sua ambientazione, Esilio. Ed era capace di appassionare per ciò che descriveva in quanto ci metteva il cuore in quelle cose. Più o meno il cuore lo metteva in tutto ciò che faceva con risultati evidenti e con un’umiltà paradossale.
Ieri sera, dopo aver lasciato Pharn in stazione ad aspettarmi mentre prendevo la macchina, salgo nell’abitacolo ed accendo il motore. Parte la canzone di un album degli U2: “One Tree Hill” ed allora ho capito che da questo momento in poi non riuscirò più a sentirla senza pensare che la casualità degli eventi l’abbia associata al suo ultimo viaggio. Quello dal quale lui non è più tornato.
Ora, dopo un simile ritorno, pregherei soltanto una cosa, se c’è un Dio che ascolta lassù (e personalmente lo credo), vorrei che quando verrà il mio giorno, indipendentemente dalla mia destinazione mi sia dato di vederlo un’ultima volta. Lassù, sulla sua nuvoletta e contornato da cartelle piene zeppe di disegni potrebbe dirmi: “Sai ho finito Esilio alla fine, c’era una cosa che non mi tornava, ma l’ho risolta.”- e giù con un discorso infinito sulle Lune, sulle razze, sugli dei... sulle rovine delle città fantastiche. Ed allora mi rimarranno due possibilità: o scoppierò a piangere come ora (scusate ma non posso evitare di scriverlo perché per me scrivere è sempre stato un modo di sfogarmi), oppure gli allungherò un plico di fogli scritti e gli dirò io: “Hai tempo di leggere questo, ora? Mi avevi promesso di illustrarmi la copertina.”. Forse anche in questo caso non tratterrò le lacrime, ma almeno sarà un pianto liberatorio perché saprò che dopotutto non ha sofferto.
Ps. Scusatemi se ho centrato il post sul rapporto che avevo con lui. Ho cercato di non essere irrimediabilmente vanesio, ma forse senza riuscirci.