Il bene e il male, in D&D, sono forze oggettive.
Come il fuoco o l'acqua.
Mentre nel mondo reale la loro oggettività è più discutibile (principalmente perché se ti comporti male e un sacerdote urla "punizione sacra" poi non ti bruciano gli occhi), in D&D sono principi reali.
Meno facile è definire questi principi: la regola generica secondo cui bene è riconoscere agli altri pari dignità, male considerare gli altri inferiori, non regge in D&D alla luce del tipico comportamento da PG buono aka sterminamostrimalvagi.
Sta alla singola ambientazione definire bene cosa sono bene e male.
Non a caso in Dragonlance, che è forse (senza forse) l'ambientazione di D&D più curata dal punto di vista teologico (ha meno divinità di altre ambientazioni, ma ognuna è molto più approfondita degli dei di altre ambientazioni), ci sono principi ferrei per definire bene e male: il male, che si rivolta contro se stesso, è in ultima analisi egoismo; il bene, che redime chi gli appartiene, è altruismo.
Nel momento in cui un personaggio "buono" opera per il bene proprio contro il bene altrui, diventa malvagio; un malvagio che si sacrifica per il bene altrui, compie un atto che in parte lo redime.
Ma in altre ambientazioni non funge sempre così.
Questo, parlando di D&D.
Allargando il campo, parlare del male nel fantasy è parlare di tutto e parlare di niente; nel Multiverso di Moorcock il male non è oggettivo, ma Legge e Caos possono in egual misura fare il bene e il male, senza contare che spesso le due cose corrispondono (il male dell'uno è il bene dell'altro).
Nel fantasy tolkieniano, di contro, il male è abbastanza oggettivo e trascendentale.
Nel libro di Morris che ho letto (1^ parte de La Fonte ai Confini del Tempo. Quando tradurrete la seconda, eh? eh? eh?) il male si configura piuttosto realisticamente come una serie di attegiamenti egoistici degli uomini.
Di certo, come non c'è UN fantasy allo stesso modo non c'è UN male.
Edit: post #150, non mi ero reso conto del fatto che fosse cifra tonda.