Capitolo -3
Non c’è aria. Non c’è luce. Solo una fredda coltre di nebbia che entra sotto la pelle, raggiunge l’anima. Puoi provare a correre, puoi provare a scappare, ma sai che non servirà a nulla e il tuo cuore non smetterà di batterti nei timpani.
Senti l’odore della cenere? Senti che ti entra in gola? Più ansimi e più entra in fondo finché l’ossigeno non potrà più passare. Perché non vuoi smettere di respirare?
Senti il sapore di ferro? Un liquido caldo ti solletica il mento mentre scorre verso il basso, seguendo i solchi lasciati in precedenza da goccioline di sudore. Eppure eri sicuro di non essere ferito.
Non fermarti, non riprendere fiato. Il sangue non smetterà di scorrere e la cenere ormai è dentro i polmoni.
Sei sicuro di essere solo?
Alla fine, tutto nero.
-----------
“Maestro” esordì il discepolo, inginocchiato di fronte alla massima autorità del suo ordine.
“Stavo meditando nei campi a ovest, quando ho percepito qualcosa”
Non finì la frase, le sue parole riecheggiarono nel grande tempio circolare nel quale si trovava, una struttura semplice ma allo stesso tempo elegante.
Il maestro, visibilmente interessato, si portò leggermente in avanti con il busto.
“Continua” lo esortò.
“Una sensazione di morte, maestro”. Il discepolo alzò gli occhi e cercò lo sguardo del suo mentore. Ci fu un breve momento di silenzio.
“Di morte” ripeté lui. “Cos'altro hai sentito?”
“Nulla. Solo questo”.
Il gran sacerdote sospirò e, con estrema lentezza, fece scorrere le dita tra i suoi lunghi capelli intrecciati e ornati con anelli metallici.
“Dio non ci parla in modo chiaro. Questo ti ho insegnato” disse con voce calma, “fai parlare il tuo istinto, sono sicuro che sai più di quello che pensi”.
Il maestro aveva capito. Pure l’allievo aveva realizzato di aver percepito molto più, la cosa che mancava era il coraggio di esternarlo, come se il solo muovere delle labbra avesse potuto risvegliare in tutti loro un antico terrore, una calamità troppo grande, troppo difficile da accettare.
“L'ultimo Dio morirà.”
Il maestro rimase impassibile, indicò invece il braccio dell’uomo “Hm... Come sta il tuo braccio?”
L’allievo mosse leggermente l’arto, era grossolanamente fasciato e collegato al busto per prevenire movimenti bruschi. Parte della bendatura si poteva intravedere dalla scollatura della tunica cerimoniale, il restante, coperto dai vestiti, creava un bozzo sulla cassa toracica dell’allievo.
“È rotto” rispose “e non guarirà presto”.
Il maestro fece un lento movimento della mano.
“Alzati”.
L'allievo si alzò con grande cautela, raccolse la spada che aveva appoggiato di fronte a lui non appena entrato nel tempio, in segno di rispetto, e la ripose faticosamente nel fodero dietro alla schiena. Si trattava di una spada a due mani lunga e molto spessa, troppo ingombrante per essere portata alla cintura, così pesante che qualsiasi altro guerriero avrebbe trovato difficile il solo compito di rotearla in aria.
“E così Dio ha scelto te” Nella voce dell’uomo non vi era né rabbia nè tanto meno invidia “Vieni. Ho qualcosa da darti”.
Con gesti cerimoniosi l’uomo estrasse un’altra spada, la sollevò cautamente e si avvicinò al giovane. Egli si inginocchiò, abbassò la testa e , con il braccio sano, si allungò per prendere quel testimone di morte.
L’arma era decisamente lunga e sottile, ma non solo le dimensioni rendevano l’oggetto alquanto curioso: la forma del fodero, infatti, faceva intendere di custodire una lama sottilissima e quasi impercettibilmente ricurva, di un metallo così raffinato che rifletteva omogeneamente la luce della stanza.
Sia il fodero che l'elsa erano minuziosamente decorate con motivi geometrici in purissimo oro, ed erano stati incastonati alla perfezione su una base di legno più nero della gola di un demonio.
L’uomo fece tempo a spingere l’elsa in alto col pollice per scoprire i primi centimetri della lama quando una voce penetrò nella sua testa, più forte di un martello più impetuosa di una tempesta.
Non sei degno.
Istintivamente cessò di fare pressione sull’elsa e la lama sparì nuovamente dentro il fodero.
L’allievo abbassò ulteriormente lo sguardo e porse la spada al maestro.
“Questa spada ha un destino molto più grande, non posso accettarla” disse.
In uno dei suoi rari momenti di umanità, il Maestro sollevò le sopracciglia per la sorpresa, ma decise di non dire nulla. Riprese la spada e la ripose.
Si sedette sullo scranno e riprese il suo solito aspetto austero e severo “Vai allora, e compi il destino che Dio ti ha assegnato”.
Improvvisamente l’allievo si accorse di essere solo. Nessuno lo avrebbe seguito nel suo viaggio. Sapeva di essere stato scelto da Dio stesso per compiere questa missione, ma nonostante ciò la paura di fallire era l’unica emozione che serpeggiava nel suo petto, nel suo sangue, nella sua anima. In quel momento dubitare di se stesso era come dubitare di Dio in persona. Una vera bestemmia. Ma la paura in lui era troppa, e non riuscì a liberarsi dei suoi pensieri peccatori.
“Maestro.”
“Cosa c'è?” rispose il Maestro dal fondo della sala, la voce più calda e accondiscendente del solito.
“Cosa devo fare?”
Il futuro adesso sembrava una pergamena pulita, il discepolo non aveva nessuna traccia da seguire per il suo cammino, la sensazione percepita in meditazione era l’unica sottile linea scritta con l’acqua, che via via si stava asciugando all’aria. Non bastava.
Subito tornò con la mente agli insegnamenti impartiti a lui e agli altri discepoli della setta: seguire l'istinto. Ognuno di loro sapeva che prima o poi questo momento sarebbe arrivato, che qualcuno di loro avrebbe ricevuto la Chiamata, ma non era stato sufficiente a prepararli per questo momento .
La stessa risposta di sempre arrivò fino alle sue orecchie: “segui l'istinto”.
Se lo aspettava, dopotutto. Il metodo d’insegnamento della setta era basato sull'esperienza e sulla scoperta, e mai sulla risposta pronta. In anni di studi il Maestro non aveva mai risposto direttamente ad una domanda, si limitava infatti ad offrire una traccia, una spinta, appena sufficiente per trovarla.
Tuttavia questa volta la posta in gioco era alta. Il metodo empirico doveva farsi da parte.
L’uomo deglutì rumorosamente “Ho un dubbio” disse “come seguo l'istinto? Come faccio a sapere quale sia il sentiero da prendere?”.
Dopo alcuni attimi di riflessione il Maestro parlò “Quello che ti ho insegnato è sufficiente a coprire tutti i tuoi dubbi. Tu fra tutti sei stato scelto, questo significa che porterai a termine il tuo compito”.
Infine indicò l'uscita “Appena fuori da quella porta, che direzione dovrai prendere?”
“Non lo so”.
“Non pensare, dimmi una direzione”.
Una leggera brezza fece cigolare la porta socchiusa: era fresca e portava cono sé l’odore di fiori selvatici. “Girerò a sinistra” disse istintivamente l’allievo “Andrò verso i monti”
“Bene” concluse il maestro, “vedo che i miei insegnamenti ti stanno tornando in mente”. Si mise comodo sul trono, salutando il suo allievo in discreto silenzio, augurandogli ogni bene, e l’aiuto di Dio.
Una volta uscito dal tempio l’uomo sentì nuovamente il sole baciargli il viso, l’aria era pulita e in lontananza si sentiva dell’acqua scorrere. Si assicurò di avere tutto quello di cui necessitava: la sua fidata spada, una borraccia colma di acqua pulita e il Libro Sacro; il resto l’ avrebbe preso durante il pellegrinaggio. Si girò e camminò a passo sostenuto verso il tramonto, senza mai voltarsi. In pochi minuti scomparve tra i campi.
-----------
Quella sera il Maestro radunò tutti i discepoli e fece loro raccogliere legna e paglia in abbondanza, poi diede disposizione di far sistemare tutto nel tempio. Li condusse all'interno e li allineò di fronte alla statua principale, in fondo alla sala, e ordinò loro di pregare. Era ormai notte, e il crepuscolo aveva lasciato il posto al buio più completo. Il cielo era completamente sgombro e nemmeno una nuvola che copriva le stelle. Non un solo rumore riecheggiava fuori dal tempio, come se la natura stessa fosse in preghiera per tutte le anime.
La fresca brezza di maggio si alzò puntuale come tutte le sere, e fece vibrare le fiaccole che erano state disposte per illuminare l'interno del palazzo. L'odore di olio bruciato, proveniente dalle lanterne, iniziava a diffondersi mescolandosi con l’incenso: il maestro scostò un po' di fieno mal posizionato per evitare che prendesse fuoco.
Gli studenti si prostrarono con la fronte a terra e iniziarono a recitare silenziosamente le sacre scritture.
Il maestro estrasse la sua spada lunga e sottile dal fodero e si posizionò di fronte al primo degli uomini in preghiera.
“Estraete le vostre spade e inginocchiatevi” disse, e loro obbedirono. Seguì un secondo di silenzio.
“Il nostro compito è terminato”. Improvvisamente con un gesto veloce e pulito infilzò la punta della spada dritta nel cuore del suo primo allievo con una violenza inaudita per una persona della sua età. Egli agonizzò in silenzio, con dignità, poi crollò a terra esanime.
Il Maestro pulì velocemente la lama nella sua tunica, si scansò dal sangue che gli stava raggiungendo i piedi e si posizionò di fronte al secondo. Si accorse che stava tremando, quindi si inginocchiò di fronte a lui.
“Non possiamo sopravvivere al nostro Dio” disse.
Il povero allievo annuì, ma non smise di tremare. Presto il suo terrore cessò e fece posto al nulla.
“Non temete la morte” tuonò l’uomo, mentre camminava verso la terza figura inginocchiata “perché la vostra anima sarà ancora invocata dalle generazioni future”. E anche la terza vita venne spezzata.
Il macabro rituale proseguì in silenzio fino al suo epilogo, e più di venti cadaveri giacevano ora nella stanza.
L’anziano carnefice pulì e ripose con la massima cura la spada nel suo fodero, uscì dal tempio e, con tutta la forza in corpo, la conficcò nel terreno senza nemmeno scomodarsi a sfoderarla. Nonostante la violenza del colpo, la spada rimase intatta.
Rientrò all'internò del santuario, prese una torcia e incendiò la paglia in vari punti. Gettò poi la fiaccola a terra, e si sedette con tranquillità sul suo trono in attesa di venir divorato dalle fiamme, non una lacrima, non un gemito.
Quando l'incendio si era ormai spento e del tempio non rimaneva che cenere sollevata dal vento, un'altra luce si generò, questa volta dal terreno.
All'inizio non era che una linea approssimativa, interrotta qua e là, un occhio distratto avrebbe visto una comunità di lucciole disposte in maniera curiosa, ma statisticamente possibile, lucciole rosso sangue.
Presto il solco si allargò acquistando sempre più spessore, formando un cerchio di due metri di diametro intorno alla spada conficcata nel terreno che faceva da centro esatto del fenomeno. Il colore era come magma sputato dal vulcano più rabbioso e ed emanava un bagliore sufficiente forte da potere illuminare l'ambiente circostante.
L’aria diventò sulfurea, l’odore era così forte, così pungente da poter essere anche assaporato, mentre lamenti carichi di sofferenza e grida di dolore uscirono dalla voragine: voci di uomini, donne, bambini, ruggiti di esseri demoniaci si unirono per formare una macabra cantilena infernale.
Il cerchio prese fuoco.
Una mano scattò svelta fuori dal terreno. Rossa come fuoco vivo, lungo tutto il braccio erano visibili ferite purulente, lacerazioni infette e carne resa nera per le ustioni, le unghie lunghe e marce custodivano larve e sudiciume. Con un ruggito animalesco afferrò il fodero dell'arma e iniziò a trascinarla lentamente dentro il terreno, sempre più in fondo, verso la voragine di lava.
La spada sprofondò completamente nel terreno, la mano, l’odore e i lamenti scomparvero nel pozzo infernale dal quale erano comparse e tutto venne inghiottito dal buio.