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Se dovessi parlare dell'album che più mi ha preso allo stomcaco, direi In Utero dei Nirana. Anche Lateralus dei Tool è immenso però... E ce ne sono troppi altri... Questi sono i primi che mi sono venuti in mente, così... Davvero, non saprei...
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C'è qualche estimatore? Fatevi avanti! Io lo trovo devastante, ha scavalcato William Blake nella mia classifica personale!
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Heineken Jammin' Festival 2007!
esahettr ha risposto alla discussione di artemis b. marthem in Cinema, TV e musica
Cercheremo di organizzare qualcosa per la serata con i Pearl Jam... -
Basta aprire un topic (l'opzione a fondo pagina) e postare lì le tue creazioni, o, se preferisci, postare in un topic già esistente.
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Spoiler: Si avvicinò di qualche passo per vederla meglio. Era un’enorme pietra alta una ventina di metri. Il lato rivolto verso di lui era dritto e scosceso, impossibile da arrampicare, ma dall’altra parte la roccia (la Roccia) formava una sorta di scala naturale e Fabio si arrampicò. In cima pianse. Era un pianto distaccato, somigliava più a una secrezione liquida che a qualcosa di emotivo. Non si sentiva coinvolto. Tutta quella ***** non lo riguardava più. Dalla sommità piatta della Roccia vedeva tutt’attorno i pascoli innevati e più lontano le baite dei contadini. Si stagliavano nere sullo sfondo bianco accecante. Un cane abbaiò, come a salutare l’alba. Infradiciandosi completamente i pantaloni (no, stavolta la sua ***** di salute cagionevole che faceva tanto ridere suo padre, prima che due metri di terra e tre centimetri di legno, insieme a un frontale contro una SUV, gli rendessero il riso difficoltoso, non avrebbe avuto il tempo di rifilargli un’influenza), si sedette gambe incrociate e prese lo zaino in grembo. Armeggiò qualche secondo con la cerniera che non si lasciava aprire dalle sue mani intirizzite (anche lo zaino gli diceva di non farlo, forse. No, era la roba.) ed estrasse un laccio emostatico e la siringa che aveva conservato. Grazie a Dio era arrivato, perché la scimmia cominciava a mostrare i primi segni di presenza. Si grattò. Ce n’era abbastanza da uccidere un elefante, comunque. Voleva andare sul sicuro. Che botta! I primi raggi del sole che gli nasceva di fronte si riflettevano sull’ago di metallo, accecandolo. Le lacrime nei suoi occhi scomponevano la luce riflessa dalla neve e dall’ago. Trasfiguravano il paesaggio e l’orizzonte in una landa bianca punteggiata di tenebra. Si tolse la felpa e rimase in maglietta. Tremava come una foglia. Indossava la stessa T-shirt a maniche corte che aveva addosso quando… (NOOOOO!!!) … l’aveva baciata la prima volta, al concerto. Tanto, che importanza aveva se si affidava ai ricordi per vincere il freddo e la paura? Non temeva più di perdere la forza. Non era nemmeno stato così difficile. Era arrivato al capolinea, e aveva tutto il diritto di pensare a quello che voleva. A lei. Quanto coraggio gli ci era voluto per chiamarla quel sabato pomeriggio di dieci anni (meno di uno) prima! -Pronto-sono-fabio-sai-quello-del-classico-in-classe-con-la-Laura-non-è-che-stasera-lo-so-che-hai-il-ragazzo-però-non-è-che-stasera-dicevo-volevi-venire-al-concerto-con-me-quello-al-Cubo?- *****, se non respiro subito svengo! -Mmmh… OK, per me va bene... Tu co… -Sì? Cioè sul serio? OK. Fatta. Allora-ti-vengo-a- prendere-sotto… Fatta. Dove-abiti? Cioè-scusa-sono-un-po’-nervoso, sai com’è? Comunque adesso parlo più piano, ci provo… Dove è che abiti? via della Mostra? Fatta. Nove meno un quarto? Fatta?- No! Cretino! Dovevi lasciarla finire! Idiota! -Ah, OK, sennò potevamo anche vederci da qualche altra parte… -No. No, va bene così. Nove meno un quarto via della Mostra? Fatta? -OK. -Fatta- -Però se dici ancora fatta ci ripenso…- Oddio no! S-T-A S-C-H-E-R-Z-A-N-D-O! Sicuro? No! -Cosa? No! Scusa! Oddio! -Scherzavo! Niente. Allora alle nove meno un quarto sotto casa mia. -Fatta, no cioè, scusa, OK. Ciao.- Sei un imbecille imbecille imbecille ********! -Ciao. Ci vediamo dopo. -Ciao. -Ciao. -Ciao.- Basta. Metti giù, sennò fai la figura del *****! Adesso vado in strada nudo e se avete dei problemi con me venite qua io valgo mille di voi alla seconda perché stasera fra sei ore e ventitré minuti esco con la Sonja sì avete capito bene stasera con la Sonja che sta con un di diciannove anni esce con me capito bastardi? Continuando a tremare fortissimo, si legò il laccio emostatico poco sotto la spalla sinistra. Lo strinse il più possibile. Non aveva avuto il tempo di diventare un vero tossicomane. Tre mesi di dipendenza dall’eroina non erano bastati a trasformarlo nell’ombra di un essere umano, ma conosceva bene a sufficienza la forza del richiamo di quella polvere bianca, e non era obnubilato a sufficienza per non capire che era gran parte colpa di quella *****. Senza, forse, avrebbe ancora potuto avere un senso. Forse. Forse no. Nevermind, diceva qualcuno, e Fabio era d’accordo. E’ troppo tardi per pensarci. Poi con la mano destra prese la siringa, guardando senza vederlo l’ago che lo avrebbe sparato in paradiso. O all’inferno. No, non dire *******, ci sarà solo il nulla. Soltanto il niente sarà oltre ad attendermi, ad attenderci tutti. Ringraziò il Signore e Satana e Madre Natura e il Re delle Tenebre e la Brodaglia Primordiale che ci fosse un modo così caldo di morire. Continuando a non vedere ciò che stava facendo, si tastò il braccio per far spuntare la vena. Vedeva l’interno di un locale. Vedeva una ragazza bionda, bellissima. Vedeva una ragazza che si era truccata e messa la minigonna e le ballerine per lui. Era la più bella quindicenne del mondo, lì per lui. Vedeva tantissima gente, quasi tutti erano più grandi di lui. Vedeva gli sguardi che gli altri ragazzi le lanciavano. Se la faceva addosso, ma non era mia stato così orgoglioso di sé stesso, così felice di essere vivo. All’inizio erano rimasti in silenzio, ognuno da solo con il proprio imbarazzo. O, forse, lui con il proprio imbarazzo e lei con la propria noia. Poi… la musica, la vodka, le loro mani intrecciate… -Vuoi che balliamo? -Sinceramente, no. Però se vuoi lo faccio. -Andiamo! -Fatta! E giù a ridere. E avevano ballato. -E’ l’una! Devo tornare a casa che sennò mio padre pensa che mi abbiano stuprata e chiama la Polizia… -Aspetta un secondo, che ‘sta canzone è bellissima. Soldier Of Love, si chiama, dei Pearl Jam. -Va bene. E poi l’aveva baciata, mentre un diciottenne con i capelli lunghi fino alle spalle faceva venire gli incubi a Eddie Vedder. Bebi lei daun iur arms end sarrender tu mi... Il resto era bianco. Gioia pura. Erano stati gli otto mesi migliori della sua vita, della loro avrebbe detto un tempo, ma ormai non era più sicuro di niente. Quando era venuta la bella stagione, avevano incominciato a venire là insieme, a fare l’amore nei pascoli, con le mucche i cavalli e le api a guardarli. E l’ultima volta, quando Fabio aveva avvertito nel corpo caldo di lei qualcosa di diverso dal solito, qualcosa che stonava con l’armonia perfetta dei loro corpi legati insieme per la centesima volta, era stato là, sulla Roccia. -Fabio, io ti amo, davvero, ma non riesco più a stare con te. Non chiedermi perché, non lo so. Si era rivestita ed era andata via da sola. Fabio aveva visto delle lacrime sul suo bel viso, a offuscare l’azzurro stupendo dei suoi occhi, di questo era sicuro. Ne era dannatamente sicuro. Anche più tardi, quando il mondo intero rotolava su sé stesso per schiacciarlo, quando la terra sotto di lui si era aperta in due e una nera voragine l’aveva inghiottito, avrebbe continuato a credere di aver visto il suo bel viso rigato di lacrime. Quando una settimana prima sua madre lo aveva trovato svenuto nel bagno e lo aveva adagiato sul letto, Fabio aveva capito che lei non stava piangendo. Aveva avuto una specie di visione, uno di quegli strani caldi sogni che ti manda la roba quando sfiori l’overdose. Non l’aveva vista piangere, l’aveva voluta vedere. Questo aveva capito. Quelle lacrime, l’unica ragione, l’unico barlume di speranza per il quale avesse un senso vivere, non erano mai esistite. Da allora non sapeva più nulla. Non credeva più in niente. Aveva realizzato che c’era una cosa sola da fare. E mentre infilava l’ago nella vena del braccio sinistro un vortice infinito di ricordi e rimpianti gli sgorgò da dentro come lacrime. Erano lacrime vere, piangeva con tutto sé stesso, per tutti i suoi sbagli, i suoi rimorsi, i suoi rimpianti. Piangeva come lei aveva pianto, quel giorno. Nell’attimo più estremo di tutti, ne era certo. Poi una dolce vampata di fuoco bianco lo bruciò, lo consumò tutto in un secondo. Prima di andarsene, dimentico di tutto, mentre per metà era qui e per metà Là, dove tutto è nulla e nulla è tutto e i sogni sono aquiloni variopinti, ebbe il tempo di pensare ai suoi occhi azzurri, dello stesso azzurro del cielo alle prime luci dell’alba.
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Questa è una cosetta che ho scritto qualche tempo fa. Mano a mano aggiungerò altri racconti. Con calma. Spoiler: Fabio non andò a dormire. Aveva troppa dannatissima voglia di farsi. Sua madre si coricò presto, e appena chiuse la porta della sua camera (non si erano degnati di uno sguardo) andò in cucina senza far rumore, riscaldò la roba sul fornello e riempì due siringhe. Si iniettò il contenuto della prima. Si sdraiò sul letto e giacque supino per ore, ad ascoltare il ritmo del proprio respiro. Guardava le macchie d’umido sul soffitto. Da quando il papà era morto non c’era stato più a nessuno a nasconderle con una mano di vernice. Quando la radiosveglia sul comodino segnava le 01: 43 si alzò a fatica. Era quasi ora. Aveva dimenticato di chiudere le imposte e la luce dei lampioni entrava a illuminare un letto, una scrivania e una libreria.. Lontano, all’orizzonte, celata dalla nebbia, la montagna lo chiamava. Fabio cercò di bilanciare il peso sul parquet, ma questo scricchiolò. Era troppo fatto. Raggiunse la cucina strisciando per non fare rumore. Gli facevano male tutte le ossa, ma si sentiva piacevolmente leggero, distaccato. Tutto quella ***** non lo riguardava più. Uscì in balcone e aprì la porta attento a non fare il minimo rumore. Si infilò le scarpe. Tornò dentro e si sedette per terra, in cucina, con la testa fra le mani. Nei film di solito in quel momento arrivava una ragazza bellissima e ricchissima e americanissima che si sbatteva l’eroe solitario e tutto andava a posto. Fabio voleva solo lei, nessuna ******issimi troietta a stelle e strisce. Lei. Uno scrittore buonista, di quelli che leggeva ogni tanto, avrebbe svegliato sua madre. Poi lei lo avrebbe preso in braccio e consolato e avrebbe cantato per lui come quando era piccolo e aveva la febbre. Non accadde nulla. Nessuno scrittore buonista, nessun ******o buontempone amante della vita. Fabio sorrise di un sorriso simile a una crepa nel muro. L’orologio dell’Inter appeso al muro, sotto il calendario, segnava le due. Glielo aveva regalato sua zia Chiara quando aveva compiuto nove anni, più di sette anni prima. Era incredibile come fosse passato il tempo. Sembrava un concetto di una banalità sconcertante, a esprimerlo. Era una di quelle tipiche ********* che diceva sua madre quando era in imbarazzo perché il figlio dei lori vicini di ombrellone, al mare, a scuola aveva una media più alta della sua. Ma era vero. Papà. E poi ce l’aveva quasi fatta. Lei. Con lei si sentiva capace di tutto. E poi un bel giorno lei non c’era più stata. Se n’era andata, come prima aveva fatto suo padre. Era bello riuscire a pensarci, per la prima volta dopo tanto tempo. NO! NON DEVI! Forse era la roba, ma non riuscì a non pensare a papà. La roba, già. Papà, quel figlio di ******* che li aveva lasciati da soli. Correva sempre in macchina, anche dopo la terza bottiglia. Lui e la sua Porsche, la sua ***** di Porsche. A cosa gli servissero, poi, due macchine, lo sapeva solo lui. Non erano nemmeno riusciti a ricucire il corpo per il funerale. E non lo avevano cremato. Su quel punto era stato chiaro. Voleva che le sue ceneri fossero sparse sulle sue montagne. La mamma si era opposta. -So che non è mai stato religioso- aveva detto. -Ma io credo gli avrebbe fatto piacere riposare vicino ai nonni, al cimitero. Fabio si era messo a urlare che se un uomo non poteva neanche decidere cosa fare del suo corpo, l’odiata società occidentale era davvero arrivata alla frutta. Sua madre però aveva risposto con calma che non poteva deciderlo lui. Non era giusto. -Lui se n’è andato. E visto che ci ha lasciato prima del tempo, visto che ci ha dato metà della gioia che avrebbe potuto darci, ora il suo corpo è nostro. Fabio non aveva detto niente. Era troppo stanco per ribattere che papà i nonni li aveva sempre odiati, da quando a diciassette anni era scappato di casa. Troppo stanco. Una sola lacrima gli rigò il la guancia. La asciugò con distacco. Lo faceva sempre piangere, quello *******, ma sapeva di dover risparmiare le lacrime. Se ne sarebbe ritrovato a corto nel momento cruciale. Alle 02: 38 capì che non sarebbe successo nulla. Strisciò di nuovo sul parquet, le ossa in fiamme, fino alla sua camera. Prese lo zaino dalla sedia vicino alla scrivania e se lo mise in spalla. Com’è leggera la morte! Rise. Il raspare degli scarafaggi su di un pavimento sudicio. Nell’ingresso riusciva a sentire il respiro regolare di sua madre che dormiva. Aprì la porta e se la chiuse alle spalle. Non fece nessun rumore. Era tutto così definitivo. Accese la luce nel giroscale e discesi un paio di gradini, tornò indietro. Doveva vedere la mamma per l’ultima volta. Si infilò la mano nella tasca dei jeans per prendere la chiave, ma non c’era. Se l’era dimenticata in camera, nel vaso sulla scrivania. Ma perché non l’aveva presa assieme allo zaino? Effettivamente, pensò, non gli sarebbe servita a molto. Una vocina sottile e sadica gli sussurrava che c’era una altro motivo: vedere sua madre gli avrebbe tolto anche il poco coraggio che conservava ancora. Come diceva lo psicologo da cui l’avevano mandato a scuola, c’era sempre un motivo. Gli pareva di sentirlo, quel ********. Peccato che fosse una gran cazzata, però, si disse tentando di mettere ordine nel flusso in piena di pensieri persi nella sua testa. Non aveva preso la chiave perché non gli sarebbe più servita. Mai più. Fabio rimase un minuto davanti alla porta. Desiderava che qualcosa lo costringesse a suonare il campanello come mai aveva voluto qualcosa nella propria vita, ma non c’era nulla a costringerlo. Affanculo, allora, tutti voi, anche tu, mamma, anche lei, ma io per primo e soprattutto, pensò. E tornò nella sua bolla di ovattata apatia. Scese le scale di fretta, correndo, e prima di avere la possibilità di fermarsi aprì il portone e uscì nella notte gelida. L’aria invernale gli punse la pelle. Faceva un freddo maledetto, nonostante la roba, e si era dimenticato di prendere la giacca. Incominciamo male. Sentiva cento e mille voci che gli urlavano in testa, ma era come se la testa non fosse la sua. Era tutto così leggero! Che botta. Tremando si incamminò nella città che sognava i suoi sogni obliati. Il suo respiro sibilante diventava vapore a contatto con la notte fredda. Non c’era nessuno in giro. Come poteva essere altrimenti, alle tre di notte di un mercoledì di dicembre? Prima di salire, voleva tornare in tutti i posti che avevano significato qualcosa per lui, per loro. Aveva il diritto (o il dovere) di piangere per lei ancora una volta. E ogni volta che si fermava a contemplare una scalinata, una panchina o un albero in un parco che dormiva nella brina, gli occhi gli si facevano umidi, e il freddo non c’entrava nulla. Lei era ovunque. NO! In ogni angolo della città addormentata c’era un fantasma ad attenderlo, sempre lo stesso fantasma, ammantato nell’ombra, uno spettro che risvegliava in lui sensazioni antiche. Da mesi si era costretto a dimenticare, a dimenticarla, e ci provava anche in quel momento, mentre camminava, ma era come respingere una tormenta a mani nude, come tenere un lupo ringhiante stretto al petto e lasciarsi dilaniare. Non aveva visto nemmeno la metà dei posti a cui voleva dire addio, ma il freddo era insopportabile e lo feriva con lame d’acciaio e all’improvviso tutta quella ricerca, quel rincorrere il tempo perduto gli sembrò inutile. Era sale sulla ferita di un arto che presto avrebbe amputato. Ringraziando Dio. E la roba. Aveva un compito da portare a termine. Ormai, lui era quel compito. Si foderò di distaccò e con uno sforzo immane scacciò i rimpianti. Fu uno sforzo che prosciugò quasi tutta la sua esile volontà, ma ci riuscì. Accelerò il passo. Gli edifici si facevano sempre più radi. La montagna era vicina, incombeva sulle strade con i suoi pascoli e i suoi boschi, innevata. La strada divenne più stretta e incominciò a salire con lunghi tornanti. C’era neve ai margini della strada e sugli alberi. Fabio la distingueva anche nel buio. All’inizio formava solo uno strato sottile, ma via via che saliva aumentava fino a gravare gli alberi con il suo carico immacolato e a monopolizzare il paesaggio con il suo candore accecante. Non giunse un rumore a rompere la quiete. Il silenzio era intervallato solo dal suo respiro reso affannoso dalla salita. Sudava e il sudore gli si congelava addosso. Tremava, ma non gli importava. Quello non era il suo corpo. Lui non aveva corpo. La strada tornò pianeggiante e Fabio arrivò in paese. Fu accolto dal consueto odore di fieno e *****, un olezzo che gli era familiare. Ai lati delle strade e nei giardini la neve era alta mezzo metro. Erano le cinque, e la notte ancora non accennava ad arrendersi. Qualche Bauer, qualche contadino, camminava con aria stanca, immerso nelle proprie incombenze. Un uomo sulla cinquantina con un ridicolo cappello da cow-boy sul capo lo squadrò con aria xenofoba passandogli accanto. Che ci faceva lì, quel dannato Walsche? Un drogato, per giunta! Le sue gambe sapevano dove andare. Lo condussero fuori dal paese senza esitazioni. Imboccò una strada sterrata che entrò nel bosco e divenne un sentiero. Il bosco era oscuro, ma gli uccelli e gli insetti cominciavano a svegliarsi. Fabio lo sentiva. La neve gli arrivava al polpaccio. Dopo tre passi era fradicio, ma non gli importava. Ogni tanto incespicava, incerto sulle proprie gambe, immerso nel buio dell’ora che precede l’alba ma non che è la parte più nera della notte, quella dove anche il sole sembra essersi arreso. Sarebbe quasi stato felice, ma c’era lei dietro ogni svolta del sentiero, nascosta dietro ogni tronco. La sentiva, pronta a saltargli addosso ridendo e a baciarlo con foga con le sue labbra rosse come mele mature. E sapeva che una parte, la gran parte, avrebbe ricambiato il contatto di quei denti dritti e bianchi e avrebbe socchiuso la bocca alla sua lingua leggera… LA DEVI FINIRE! Si riscosse e continuò a camminare. Amava quei pini coperti di neve. Amava i corvi e le gazze e i passeri che incominciavano a cantare, incuranti dell’oscurità. Come tutti i giorni, nonostante il freddo e l’effetto serra e gli inverni che non erano più quelli di una volta e le mezze stagioni che non c’erano più, cantavano. Non dubitavano che il sole sarebbe sorto presto. Ne aveva da imparare, lui, da loro! Se solo avesse potuto trasformarsi anche lui in un passero! Ma quanto sei gonfio?! La natura era così perfetta, così calibrati i suoi perenni equilibri, che a Fabio saliva spontanea una domanda alle labbra. Cosa c’entrava lui con tutta questa perfezione, con tutta quella sacralità? L’Eden era la natura e Eva, ascoltando il Serpente, ci aveva precluso la possibilità di farne parte, o di sentirci tutt’uno con essa? Fabio lo credeva. Dio, perché hai creato l’uomo? Perché hai dato vita a qualcosa che non è bestia e non è spirito, non è istinto e non è calcolo? Come una risposta alle sue domande, un pino silvestre gli scaricò il suo carico di neve in testa. Fabio cadde a terra, travolto. Se prima congelava, ora gli mancava poco all’ipotermia. Si rialzò e riprese camminare nel bosco silenzioso. Il cielo a Oriente cominciava a schiarirsi. Ancora qualche minuto e sarebbe arrivato. Gli alberi finivano e oltre un basso steccato si stendeva un enorme pascolo in leggero declivio. Fabio se lo ricordava verde e umido di pioggia o rugiada, con i fiori gialli e rossi e blu che facevano capolino. Ricordava i cavalli e le mucche che brucavano e il ding-dong delle campanelle appese al collo e il frinire dei grilli. In quel momento era bianco, e i il verde e fiori dormivano in letargo sotto più di mezzo metro di neve. Oltrepassò lo steccato come aveva fatto mille volte quell’estate con il cuore traboccante di felicità. Camminava assaporando la tristezza e la nostalgia che lo colmavano a ogni passo. Sprofondava nella neve fino alle cosce. Il prato finiva con un’altra staccionata. Fabio la scavalcò e si fermò davanti alla Roccia. Era lì che…
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Sprecato Concatenando vitrei addii uniformi ci crogiolamo nell'amara tenebra del ricordo e sprechiamo e lenta si insinua la morte, cantando. Quanti raggi di sole offuscati dalle nubi? Quanti frutti non colti e marciti fra i rami del cedro? Quanti petali di rosa solleva al crepuscolo rosso il vento? Uno per ogni istante. E' la maledetta paura di correre al prato, il cancro slavato che ci azzanna le ali e strappa le vele, un piccolo uomo piccolo con le unghie lunghe. C'è una luna pulsante di follia, in me in te, un pulsare ritmico di vergogna che accartoccia l'esile pagina dei forse, e la ingoia. La ingoia e freme e ride e nei suoi occhi ciechi giallo è l'oblio.
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La Nostra Storia – Note
esahettr ha risposto alla discussione di Joram Rosebringer in Prosa e Poesia
Toc toc... Che si fa? -
Working Class Hero - John Lennon Carousel - Blink 182 Opiate - Tool Heroin - Velvet Underground The Story Of Issac - Leonard Cohen The Decline - NOFX Elderly Woman Behind The Counter In A Small Town - Pearl Jam High Hopes - Pink Floyd Salvation - Rancid Xanadu - Rush Break On Through (To The Other Side) - The Doors Horse With No Name - Neil Young Painted Black - Rolling Stones Over The Hills And Far Away - Led Zeppelin Lose Yourself - Eminem
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Questa è la tua canzone... tu non lo sai...
esahettr ha risposto alla discussione di Joram Rosebringer in Cinema, TV e musica
Alla gente sulla collina. Working Class Hero - John Lennon As soon as you're born they make you feel small By giving you no time instead of it all Till the pain is so big you feel nothing at all A working class hero is something to be A working class hero is something to be They hurt you at home and they hit you at school They hate you if you're clever and they despise a fool Till you're so fucking crazy you can't follow their rules A working class hero is something to be A working class hero is something to be When they've tortured and scared you for twenty odd years Then they expect you to pick a career When you can't really function you're so full of fear A working class hero is something to be A working class hero is something to be Keep you doped with religion and sex and TV And you think you're so clever and classless and free But you're still fucking peasants as far as I can see A working class hero is something to be A working class hero is something to be There's room at the top they are telling you still But first you must learn how to smile as you kill If you want to be like the folks on the hill A working class hero is something to be A working class hero is something to be If you want to be a hero well just follow me If you want to be a hero well just follow me -
Questa è la tua canzone... tu non lo sai...
esahettr ha risposto alla discussione di Joram Rosebringer in Cinema, TV e musica
A tutti. The Decline - NOFX Where are all these stupid people from and how did they get to be so dumb Bred on purple mountain range Feed amber waves of grains To lesser human beings, zero feelings Blame it on human nature, man's destiny Blame it on the greediocracy The fear of God, the fear of change, fear of truth Add the Bill of Rights Subtract the wrongs, there's no answers Memorize and sing Star spangled songs, when the questions Aren't ever asked Is anybody learning from the past We're living in united stagnation Father what have I done. I took that 22. A gift to me from you to bed with me each night. Kept it clean polished it well. Cherished every cartridge every shell Down by the creek under brush under dirt There's a carcass of my second kill Down at the park under stone under pine There's a carcass of my brother William Brother where have you gone to I swear I never thought I could I see so many times They told me to shoot straight, don't pull The trigger squeeze, that will insure A kill, a kill is what you want To kill is why we breed The Christians love their guns the church and NRA Pray for their salvation Prey on the lower faiths The story book's been read And every line believed The curriculum's been set Logic is a threat Reason searched + seized Jerry spent some Time in Michigan A 20 year vacation After all he had a dime A dime is worth a Lot more in Detroit A dime in California Just a 20 dollar fine Jerry only stayed A couple months It's hard to enjoy Yourself while Bleeding out the ass Asphyxiation is Simple and fast It beats 17 fun years Of being someone's bitch Don't think Drink your wine Watch the fire burn His problems not mine Just be that model citizen I wish I had a schilling for every senseless killing I'd buy a government. America's for sale and You can get a good deal on it and make a healthy Profit, or maybe tear it apart you start with Assumption, that a million people are smarter than 1 Serotonin's gone she gave up drifted away Sara fled though process gone She left her answering machine on The greeting left spoken sincere Messages no one will ever hear 10,000 messages a day a million more transmissions lay Dead victims of the laissez faire 10,000 voices 100 guns, 100 decibels turns to one, one bullet One empty head now with serotonin gone The man that used to speak Performs a cute routine. Feel a little patronized. Don't feel bad. They found A way inside your head And you feel a bit misled. It's not that they don't Care. The television's Put a thought inside your Head like a Barry Manilow Jingle I'd like to teach the World to sing in perfect Harmony a symphonic blank Stare. It doesn't make you care. Not designed to make you care. They're betting you wont care. They'll place a wager on your greed. A wager on your pride Why try to beat them when a million others tried We are the whore. Intellectually spayed We are the queer Dysfunctionally raised One more pill to kill the pain, One more pill to kill the pain One more pill to kill the pain, Living through diformity One more prayer to keep me safe. One more prayer to keep us warm. One more prayer to keep us safe There's gonna be a better place Lost the battle lost the war lost the things Worth living for lost the will to win the fight One more pill to kill the pain The going gets tough the tough get debt Don't pay attention pay the rent our next of kins Pay for your sins a little faith should keep us safe Save us The human existence is failing Resistance essential. The future Written off. The odds are astronomically Against us only Moron and genius would fight a Losing battle against the super Ego when giving in is so damn comforting And so we go on with our lives we Know the truth but prefer lies Lies are simple. Simple is bliss. Why Go against tradition when we can Admit defeat. Live in decline. Be there Victim of our own design With status quo built on suspect. Why would anyone stick out their Neck fellow member of club We've got ours. I'd Like to introduce You to our host He's got his and I've Got mine. Meet The Decline -
Mai sentito parlare di break dance?
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Canzone dei Fiori di Polvere Cammina nella sabbia e nel vento, e attraversa il letto di mille fiumi in secca, e marcia fra i cardi e le pietre, ascolta i miei resti mortali che invocano il tuo nome. Fra serpi agonizzanti, con gli occhi vitrei dell'umore della morte, là, giungerai un giorno, come feci io per primo, nella tetra landa disseccata, là dove l'erba è veleno e i fiori polvere. Il sole è un cancro cremisi nel cielo sanguinante di nembi e splende per malvagia follia di luce malsana a insudiciare perduti orizzonti grigi. La terra è arsa e morta e costellata da crepacci come ragni di tenbra, che nelle notti fredde la luna chiama a vita; i fiori sono tristi e ineffabili come polvere. La luna stessa è il volto tondo di un demone, e quando è piena dalle sue orbite nere escono larve e vermi e creature dell'ombra a torturare la notte. Rari sono gli alberi, tremano nel vento la notte e partoriscono urlando frutti avvelenati simili a piccoli teschi rinsecchiti d'infanti. L'erba è gialla e secca come paglia e cresce per pura brama di vendetta: quando un viaggiatore è allo stremo, canta e lo strega e lo ammalia con la sua voce suadente. E l'ignaro che la mangia non muore e mai morirà, è costretto a vagare per sempre come un'ombra cieca, pazzo, a pregare latrando la misericordia di dei che hanno voltato le spalle. Stenditi sulla nuda terra, là dove anche il vento geme e piange e continua a raschiare il suolo fino a renderlo affilato come una lama di vetro e diamante, là dove le mie ossa marciscono e invocano il tuo nome. Invoca tu il mio, cantalo, e giaci là dove giacqui anch'io, avrai come tomba una landa torturata e come lapide un albero che tende i rami spogli e rachitici verso il cielo come a maledirlo, su di noi cresceranno tristi fiori di polvere. Canta e canta il mio nome e i miei miseri resti mortali canteranno il tuo, ricordo di pomeriggi di latte passati a nuotare e a rotolarci nella luce, lontani da questa landa cupa. Canta il mio nome, e le mie ossa canteranno il tuo, lontano mille miglia da questa cupa distesa di dolore, gli dei scaveranno per noi una tomba nei cieli e fioriranno ogni notte fioriranno come gigli le stelle lontano dai fiori di polvere.
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King - La Torre Nera
esahettr ha risposto alla discussione di esahettr in Libri, fumetti e animazione
No, no la saga de La Torre Nera è formata da sette volumi: L'Ultimo Cavaliere La Chiamata dei Tre Terre Desolate La Sfera del Buio I Lupi del Calla La Canzone di Susannah La Torre Nera Io dicevo soltanto che il quarto volume, che contiene un flashback di 500 pagine sull'adolescenza di Roland, il pistolero, è il migliore. Ma sono tutti validi. -
King - La Torre Nera
esahettr ha risposto alla discussione di esahettr in Libri, fumetti e animazione
Ho finito La Torre Nera. Il libro in sè non è all'altezza del primo e soprattutto del quarto volume. Lo metto allo stesso livello del quinto. King è costretto a chiudere tutto (o quasi) e a far collimare (quasi) tutti gli under-plot della saga e lo fa con la sagacia e la maestria che lo contraddistinguono. Non ha fretta di chiudere, almeno stavolta, e dipana egregiamente i fili della trama. Non ci si annoia. Certo, qualche episodio ha un sapore un po' stantio, come se Steve tentasse di propinarci sempre la stessa minestra in altre salse, e forse è vero, ma, se lo fa, riesce a controllarlo. E poi c'è la scusa che il ka è una ruota e siamo costretti a chiudere tutti la bocca. Spoiler: Il finale è bellissimo. Forse l'epilogo di Susannah è un po' banale, ma il momento in cui Roland, solo, percorre il campo di rose urlando, cantando tutti i loro nomi, i nomi di tutti gli avventurieri persi, sacrificati sulla via, mi è venuta la pelle d'oca. Non poso negare che il rivoltone finale mi abbia scosso, ma pensandoci a mente fredda è una scelta bellissima e coraggiosa insieme. Sarebbe stato troppo dannatamente facile scrivere e il pistolero conobbe Gan, era una luce bianca, ci netrò e diventò la luce. King invece sceglie la strada più difficile per il personaggio che ha mato più di ogni altro, per quel pistolero che è una raffigurazione di sè stesso: la redenzione. Se avesse piazzato Roland nel deserto e basta, quello sarebbe stato, oltre che da stron*o, banale, ma il corno di Arthur Eld, quello con cui Cuthbert è morto a Jericho Hill, simboleggia la redenzione. Il pistolero è costretto a vagare e andare e provare fino a quando arriverà alla Torre immacolato, spoglio di tutti i proprio rimpianti, le sue colpe. Poi sarà libero e diventerà la luce. -
Anch'io ho votato CSI.
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film Dr House - Medical Division
esahettr ha risposto alla discussione di Corvo in Cinema, TV e musica
Scherzi a parte, sarà molto dura. -
Questa è la tua canzone... tu non lo sai...
esahettr ha risposto alla discussione di Joram Rosebringer in Cinema, TV e musica
Ad Andrea e Christian, al nostro ka-tet, che era e non è più. Non dimenticherò. Glycerine - Bush Must be your skin I'm sinking in must be for real cuz now I can feel and I didn't mind it's not my kind not my time to wonder why everything's gone white and everything's gray now you're here now you're away I don't want this remember that I'll never forget where you're at don't let the days go by glycerine I'm never alone I'm alone all the time are you at one or do you lie we live in a wheel where everyone steals but when we rise it's like strawberry fields if I treated you bad you bruise my face couldn't love you more you got a beautiful taste don't let the days go by could have been easier on you I couldn't change though I wanted to could have been easier by three our old friend fear and you and me glycerine don't let the days go by glycerine I needed you more when we wanted us less I could not kiss just regress it might just be clear simple and plain that's just fine that's just one of my names don't let the days go by could've been easier on you glycerine -
Si fonde e si fonde e si fonde e scorre liquida la notte tra gli scheletri degli alberi. E ci avviluppa e ci avviluppa e ci avviluppa e ci soffoca il buio e gli stagni sono occhi che ammiccano al cielo. E corriamo e corriamo e corriamo e fuggiamo e le ore rotolano e le ombre fremono. E cantiamo e cantiamo e cantiamo e danziamo incerti e fingiamo di ingannare le tenebre. E proviamo e proviamo e proviamo e cadiamo e cadiamo e cadiamo e ci rialziamo. E si squarcia e si squarcia e si squarcia e urla la notte accecata dagli angeli.
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Uno in meno! Compliments Arghot! PS: ma in che senso pro tempore? Lo fa solo per sei mesi e poi torna fra noi oppure è in prova e se vabene rimane mod?
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King - La Torre Nera
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Quoto. Ho finto La canzone di Susannah. Come avevo già scritto, è senza dubbio un libro di completamento, che aggiunge poco in fatto di emozioni, dopo il picco di sentimenti del quarto e del quinto. Aggiunge molto invece nello svolgimento della trama principale, che prima di questo episodio mi è sembrata quasi sfuggire fra le mani dell'autore, intento a perdersi troppo. Finalmente si incomincia a intravedere un senso generale, si intuisce, forse, dove l'autore voglia andare a parare. Non fraintendetemi, i due libri precedenti erano molto migliori, dico soltanto che il filo della saga era stato abbandonato un po' incautamente. Tornando alla Canzone, è un libro che si basa su un'idea un po' trita, ma King riesce comunque a coivolgere come al solito, grazie anche all'inattesa cortezza di questo volume. Non fatevi ingannare dalle 400 pagine di lunghezza, è scritto praticamente a caratteri cubitali. E' un volume prettamente di transizione, ma mi è piaciuto più del secondo episodio, il peggiore della saga imho. E poi, verso la fine, Steve ci regala una vera gemma: è una sorta di poesia sui giorni in cui Susannah era ancora Odetta e lottava con i propri compagni contro l'oppressione razziale. Da brivido. -
Io l'avevo letto un paio d'anni a e mi sra sembrato discreto, nulla di più. Non mi aveva colpito. Forse sarebbe ora di rileggerlo.
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King - La Torre Nera
esahettr ha risposto alla discussione di esahettr in Libri, fumetti e animazione
Non me ne intendo di GdR, ma propenderei per il sì. Mi stupirei se, almeno negli States, non ci avessero già provato. -
King - La Torre Nera
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Sette libri. La trama si basa sull'idea che tutti i miliardi di mondi paralleli che esistono siano retti da una fantomatica Torre Nera, posta al centro di tutto quello che è, è stato e sarà. Roland Deschain, l'ultimo dei pistoleri di Gilead, sa che la Torre sta per cadere, e prova aragiungerla insieme a quattro compagni di avventura venuti dal nostro mondo. L'ambientazione principale è fantasy-western, ma buona parte della saga è ambinetata a New York negli anni Settanta e Ottanta. Io sono a metà del penultimo libro della saga, che per ora ritengo l'opera nel suo complesso più riuscita di King. Alcuni volumi, ovviamente, sono meglio di alri, però il livello generale imho rimane alto. -
King - La Torre Nera
esahettr ha risposto alla discussione di esahettr in Libri, fumetti e animazione
Di King in generale? Direi un bel po'... Shining, La casa del buio, Mucchio d'ossa, L'acchiappasogni, Insomnia, On Writing, anche se non ha trama, tutta la serie de La Torre nera, e ne ho dimenticati moooolti altri... Il fatto è che King proprio mi piace, nonostante abbia il difetto di essere un (bel) po' prolisso e si autocompiaccia troppo ogni tanto.