Procedette lentamente nel bosco per qualche minuto, indeciso sulla direzione da intraprendere. Non aveva la più pallida idea di dove si trovasse, così come un velo grigio gli obnubilava la mente ogni volta che provava a ricordare ciò che gli era accaduto prima di svegliarsi sulla spiaggia. Di conseguenza, ogni direzione avrebbe fatto al caso suo, purchè lo portasse a un insediamento umano, elfico o gnomico.
La foresta non aveva sentieri, così il ragazzo si girò di novanta gradi alla sua sinistra e s’incamminò. L’ambiente attorno lui era di una monotonia ossessiva, cespugli e alberi dal fusto basso crescevano con un rigoglio quasi malvagio in un suolo fatto di pozze d’acqua stagnante. L’aria era talmente umida e spessa che ogni respiro gli costava una leggera perla di sudore sulla fronte.
Dopo più di tre ore di marcia, il giovane si gettò a terra, stremato dalla combinazione fra il caldo e la marcia in quel luogo ostile. Fra le cime degli alberi intravedeva il sole, che in quel momento era allo zenit. Lo si poteva rilevare anche da un ulteriore aumento della temperatura, resa ancora più insostenibile.
Sdraiato supino a respirare lentamente l’aria afosa e soffocante del mezzogiorno, il ragazzo si accorse di avere fame. Era un problema la quale non aveva mai pensato sulla spiaggia Per un istante fu tentato di cibarsi di bacche e frutti, che abbondavano nella foresta, ma poi il suo istinto gli trasmise una sorta di vibrazione negativa, così decise di digiunare, almeno fino a quando non avesse individuato qualcosa di più commestibile.
Dopo un’ora di riposo all’ombra del fusto nodoso di uno strano albero dalle foglie violacee, si rialzò e riprese la marcia. Camminò con la fame che lo incalzava mano a mano più crudele fino al tramonto. Solo allora, esausto, si sedette a terra. Aveva sonno e un gran bisogno di dormire se voleva riprendere le forze senza mangiare. Mentre si sdraiava sulla terra umida, impaurito dalla solenne oscurità della foresta, i morsi della fame si fecero sempre più insistenti. Nonostante il panico strisciante che lo attanagliava ogni volta che il vento muoveva una fronda del bosco, si addormentò in poco tempo.
Sognò una figura incappucciata, due occhi iniettati di sangue, le pupille dilatate, ipnotiche. Era il volto di un folle.
Si svegliò alle prime luci dell’alba, più affamato di come si era addormentato, un dolore pulsante nelle tempie. Stropicciandosi le palpebre intorpidite, venne colto da un profondo senso di nausea per la vita, sentiva che qualcuno usava la sua mente come un antenna di risonanza, era solo un vuoto strumento. Poi la pressione aumentò, diventò insostenibile. Davanti agli occhi vedeva un velo nero, mentre il suo cervello risuonava di una voce fredda e irata, che gli ordinava di fare qualcosa.
Uccidere il mago. Uccidilo prima che llui uccida noi. Lui sa. Non tutto, ma sta cominciando a capire.
Quale mago? Non ne conosco nessuno! non so neanche come fare a ucciderne uno!
Queste sono bugie. Ma non è ancora necessario che tu lo sappia. Trovalo, ti dirò io come ucciderlo.
Ok! come vuoi! basta che questo dolore finisca! Smettila! Ti prego!
Trovalo.
Trovalo.
Trovalo.
Il ragazzo si accasciò a terra, svuotato da qualsiasi sensazione. Cadde a terra, in un vortice di vertigini roteanti. Svenne.