..continua..
Il locale era grande e stracolmo, e anche se ci avevamo messo quaranta minuti per arrivare al paese e altri dieci per trovare il posto, ne era valsa la pena.
C’era gente di ogni tipo: metallari, ragazzi glam, punk, e perfino fighetti!
Mi sentivo un po’ più sollevata, il mio look non stonava.
“Vado un attimo in bagno, arrivo, stai qui”, mi disse Ambra.
Mi fermai vicino al bancone e osservai il palco: era molto grande e alto, le apposite macchine stavano già spruzzando il fumo per creare l’atmosfera, gli strumenti erano pronti e la sua chitarra acustica era stata sostituita da un’elettrica per l’occasione.
“Ehi, ma quanto sei ****?!”, mi si avvicinò un metallaro enorme che subito dopo quel dolce complimento scomparve.
Circa mezz’ora dopo iniziò il concerto. Erano dei veri rockers e dei musicisti molto preparati. Questa volta Alan si limitava a suonare, ogni tanto prendeva parte a qualche coro, ma le parti vocali erano affidate ad un altro bravissimo cantante.
“Andiamo un po’ più avanti”, mi spinse Ambra, e finimmo sotto al palco.
Eravamo dal lato di Alan che, quando mi vide, mi lanciò un sorriso.
Finita l’esibizione i musicisti si ritirarono nei camerini e noi tornammo verso il bancone per prendere qualcosa da bere.
“Fa un caldo”, dissi ad Ambra.
“Sì, ci saranno un milione di persone!”, esagerò.
“Grazie di essere venute”, disse una voce dietro di noi: era lui.
Rimase con noi per un po’, gentile e calmo come la mattina al bar, poi tornò dagli altri e noi ci avviammo verso casa.
Era stata una giornata stupenda e io mi sentivo al settimo cielo.
I giorni successivi furono peggio della settimana che avevo passato a casa e in menata. E ora forse capivo anche il perché. Questa volta mi ero davvero presa una bella cotta, se di cotta si poteva parlare: io nei miei sogni già mi immaginavo in una bellissima villetta con giardino, con lui e due bambini tutti nostri, felici e contenti per il resto dei nostro giorni! Ero innamorata!
E questo mi rendeva al contempo felice e preoccupata.
Come posso negare quello che sono? Come posso dirglielo? Come può volermi? E soprattutto, sarebbe possibile?
“Hai già pensato a come festeggerai? Voglio dire con i tuoi amici di scuola. All’altra festa ci voglio pensare io e ci sto già pensando.”, le parole di mio padre mi riecheggiavano nella mente e non trovavo pace.
Mi sdraiai sul letto e la mia mente iniziò a vagare, i miei pensieri finirono da mia madre..
Lei non c’è più. E questo è il prezzo che ha dovuto pagare per permettermi di essere qui adesso.
Sì, proprio così. I vampiri ora non saranno più le bestie terribili dei tempi di Dracula ma, tempo fa, una cosa terribile successe.
Era il periodo in cui iniziava l’integrazione tra umani e vampiri, si era deciso per un patto tacito tra le due specie per finirla una volta per tutte con le guerre. Nessuno voleva più morte e disperazione. E anche i vampiri, abbandonati alcuni “stili di vita”, confermarono la giusta scelta.
Agli umani non era dato sapere chi fosse vampiro e chi no, questo per evitare loro uno spavento inutile se per caso si fossero trovati a tu per tu con uno di loro (di noi..), e ai vampiri non era consentito svelare agli umani la loro appartenenza e..neanche cibarsi di loro!
L’evoluzione permise così di non riconoscere dai tratti somatici un appartenente alla nostra razza e ci permise inoltre di alimentarci in svariati modi, senza più recare danno all’uomo.
Ma tutto era solo all’inizio quando mia madre e mio padre si conobbero.
Mia madre era una giovane studentessa di lettere, di giorno studiava per diventare insegnante e di sera lavorava come cameriera nel bar di mio nonno. Era bellissima e mio padre, che lavorava nel panificio di fronte al bar, non aveva potuto fare a meno di notarla.
Si erano così conosciuti, al bar, lui cliente e lei padrona. Lei umana e lui vampiro.
Fu un amore folgorante il loro, non potevano fare a meno l’uno dell’altra e la sera appena smettevano di lavorare correvano al loro posto segreto per vedersi e stare insieme.
Ma fecero quello che non ero permesso. In una calda notte di passioni le emozioni ebbero il sopravvento e i due si unirono in un amore incontrollabile.
I vampiri erano (e sono tutt’ora) divisi in diverse fazioni. Al tempo ce n’erano molte e mio padre apparteneva alla fazione dei “corvi” il cui capo dovette subito essere informato dell’accaduto.
“Noi non possiamo rivelarci, quindi loro non sanno se quello che hanno davanti è un vampiro o meno.
Ma noi sì! Noi abbiamo il nostro lato animale che ci permette di capire al volo chi abbiamo davanti! I nostri sensi non ci ingannano mai! E non puoi dire il contrario Andrei!”, così il capo si era rivolto a mio padre, e aveva ragione.
Disperato, mio padre vagò per giorni e notti senza meta, pensando a cosa avrebbe potuto fare. Avrebbe voluto scappare con mia madre ma se li avessero trovati li avrebbero uccisi entrambi.
Fu una decisione dura da prendere e mio padre ancora adesso non si dà pace.
“Lo farò, Andrei, per la nostra bambina, lo farò. Io voglio che viva. Se non lo facessi, probabilmente moriremmo comunque o ci perseguiterebbero. Così almeno voi vi salverete.”, così aveva detto mia madre e aveva accettato di sacrificarsi per darmi alla luce. Non ebbe nessuna esitazione quando mio padre le racconto la verità, e non ebbe paura di lui: lo amava per quello che era.
“Il sacrificio è grande, ma deve essere fatto per porre rimedio a questa eresia!”, e con queste parole il capo dei “corvi” diede inizio ad un rituale che segnò la fine di mia madre e l’inizio della mia vita.
“Tanja!”, sobbalzai. Era mio padre che mi chiamava ad un centimetro di distanza. Era mattina ed ero a letto vestita, la sera prima mi ero addormentata sfinita da quei terribili pensieri.
“E’ ora di alzarsi e andare a scuola!”, disse.
“Università papà, università. Se dici scuola sembra che vado ancora alle medie!”, mi ero alzata col piede storto.
Mi lavai, mi misi un paio di jeans e una maglietta pulita, feci colazione e mi avviai a lezione.
“Tanja, ciao!”, era Alan.
“Ciao Alan!”, risposi.
“Come stai?”, mi diede due baci sulle guance (ebbi un brivido), “Vi è piaciuto poi il concerto l’altra sera?”.
“Certo, siete stati bravissimi e il posto era bello! A quando il prossimo?”, chiesi.
La giornata stava già migliorando.
“Il prossimo non si sa, almeno non so se in quel locale ci andremo ancora. Il posto è bello ma il proprietario non ci ha trattati un granché bene. Però, se ti va, posso invitarti da me e farti sentire qualche pezzo acustico.”
Ero in delirio: “Da te?”, balbettai.
“Sì. Stasera gli altri sono fuori e io sarò da solo. Niente di impegnativo, potresti venire a cena: prendiamo due pizze e suoniamo qualcosa, che dici?”, mi propose col sorriso.
“Eh, dico che va bene!”, esclamai.
“Perfetto, allora stasera da me alle 20. Abito vicino al bar “Luce”, hai presente?”.
“Sì sì, so dov’è”.
“Ecco, la casa gialla.”.
“Va bene, a stasera allora.”, gli sorrisi timidamente.
“Ciao Tanja”, mi salutò e andò via.
Quando pronunciava il mio nome era come se mi conoscesse da una vita, come se una parte di me diventasse sua.
Chiamai subito Ambra per raccontarle l’accaduto ma non la trovai.
“Papà, stasera esco a cena, in frigo comunque c’è qualcosa”, avevo detto a mio padre appena l’avevo sentito rientrare verso le sette.
Ero in camera mia da due ore, avevo tirato fuori dall’armadio qualsiasi cosa e ancora non sapevo cosa mettermi per la serata!
“Ambra perché non ci sei!”, dicevo tra me e me.
“E’ un primo appuntamento e a casa sua. Non puoi metterti sexy, sembreresti spregiudicata”, immaginavo quello che mi avrebbe detto Ambra.
Alla fine optai per un paio di jeans e una magliettina nera semplice ma carina.
Pioveva un po’ ma casa sua distava circa quindici minuti a piedi dalla mia, quindi arrivai in tempo per non beccarmi l’acquazzone.
“Ciao! Vieni entra”, mi disse sorridente come al solito dopo che finalmente mi decisi a suonare alla sua porta.
“Carino qui”, dissi guardandomi attorno. Era una bella casetta, con pochi mobili e piena di divani, dischi e libri.
“Sì, in tre ci stiamo bene. Siamo tutti uomini e per giunta tutti musicisti, quindi scusa se c’è un po’ di disordine”, scherzò.
Mangiammo due pizze sull’enorme tappeto in salotto, appoggiati con le schiene ad un grande divano rosso.
“A me piace molto la musica sai? Ho provato anche io a suonare la chitarra da piccola, però poi ho smesso. Ma mi avevano detto che avevo talento.”.
“Dai, veramente?”, sembrava entusiasta. “Allora adesso mi fai sentire qualcosa!”.
“Ma sei pazzo? Non suono da secoli!”.
“Dai dai, suoniamo insieme”, mi convinse.
Andò nella stanza accanto e tornò con due splendide chitarre elettriche. “Ehi, vuoi fare sul serio, eh?”, gli dissi.
“Beh, sei o non sei una rocker?”, e mi porse la chitarra.
In realtà sì, sono abbastanza una rockettara, sia nel modo di vestire (poco curato, cosa che mi rimprovera sempre Ambra!), sia nelle scelte musicali.
Gli feci vedere quello che sapevo fare: “So fare solo questi accordi”, dovevo essere rossissima in viso.
“Tranquilla, vai alla grande! Te ne faccio vedere altri se vuoi”, mi disse mostrandomi delle semplici progressioni. Il suo modo di fare mi piaceva sempre di più.
“Ecco, e questo è un fa maggiore”, disse. Cercai di riprodurlo ma uscì un suono orribile!
“Oddio!”, esclamai.
“Tranquilla, è normale. Guarda, questo dito spostalo così”, e mi toccò la mano.
I miei occhi si sbarrarono e il mio cuore galoppava all’impazzata sentendo il suo respiro così vicino a me.
Mi guardò dritto negli occhi: “Ecco vedi, così va meglio..”, si avvicinò e cercò di baciarmi.
Mi scostai di colpo: “Io..”, non sapevo cosa dire.
“Scusami, non so cosa mi è preso..”, agitato, cercava di scusarsi.
“Non dovrei essere qui, ho fatto un casino”, avevo paura.
“Sei fidanzata?”, mi chiese più tranquillo.
“No..è che non posso..per altri motivi. Non lo so se posso, capito?!”, praticamente urlai.
“Ehi, tranquilla.”, lo avevo spaventato.
Mi rimisi a sedere e cercai di guardarlo ancora. Si mise davanti a me in ginocchio, mi prese le mani e mi guardò teneramente.
“Scusami, davvero. E’ che tu mi piaci. Però hai ragione, forse ho affrettato un po’ i tempi.”, si dichiarò.
Era una sensazione bruttissima quella che stavo provando: avevo una gran voglia di baciarlo e stringerlo ma ero assolutamente frenata da una miriade di pensieri angoscianti.
“Scusami tu”, dissi, “Anche tu mi piaci, ma ora non credo di potere..”, cercai di spiegarmi.
“Non ti preoccupare. Vorrai vedermi ancora?”, mi chiese.
“Ma certo”, gli risposi con il cuore in mano.
Lui era così dolce. Quella sera a casa sua mi aveva fatto capire tante cose: mi piaceva tutto di lui. Era sempre sorridente e prendeva tutto con tranquillità, ascoltava con attenzione e parlare con lui era un piacere. Al tutto si aggiungeva il suo fascino irresistibile ai miei occhi e la sensibilità tipica del musicista.
“Tanja, ehi Tanja!”, come al solito il mattino dopo andai in università e Marko mi dovette chiamare più volte prima di avere la mia attenzione.
“Ciao Marko, scusami, ero sovrappensiero”, gli dissi.
“Come va? Come stai bene oggi con quell’ombretto”, mi disse. In realtà era il solito ombretto blu che mettevo quasi sempre, ma ogni volta lui doveva usare un pretesto per farmi un complimento.
“Grazie, come sei gentile!”, gli risposi carina. Lo salutai e andai a lezione.
Quella mattina non ascoltai nulla di quello che dissero i professori. Nulla di tutte le sei ore di lezione.
Pensavo continuamente alla sera prima con Alan.
“Non è possibile, il ragazzo di cui sono innamorata persa mi vuole baciare e io mi tiro indietro!”, mi dicevo.
Nel pomeriggio tornai a casa con gli stessi pensieri che mi avevano accompagnata per tutta la mattina.
“Hai già pensato a come festeggerai? Voglio dire con i tuoi amici di scuola. All’altra festa ci voglio pensare io e ci sto già pensando.”, in più si aggiungevano le parole di mio padre che mi ritornavano sempre alla mente.
Con Alan non era un problema solo per la mia razza (che già non è una cosa da poco!), c’era dell’altro e forse anche più serio.
Con quella frase mio padre si riferiva al mio ventitreesimo compleanno.
Le usanze da rispettare, i riti da compiere per noi giovani non sono molti.
Al diciottesimo compleanno c’è stato il rito dell’”unione fraterna”. Niente di che: ci hanno fatto dei piccoli taglietti sui palmi delle mani, ci hanno fatti unire in un cerchio di modo che tutte le nostre mani (dei novellini che compivano diciotto anni) fossero strette le une alle altre e il nostro sangue si unisse. Era un rito di fortificazione, dicevano.
Ogni tanto si faceva la “prova della croce” che serviva per rimanere immuni alle croci e ad altri oggetti del genere.
Ma al ventitreesimo compleanno, dal tempo dell’integrazione, si era aggiunto un nuovo rito.
“Per rimanere immortale, godere del nostro dono più grande e vantarci della nostra possibilità, al ventitreesimo compleanno ogni vampiro deve affermare il suo essere”, così diceva il capo della più antica (tra le uniche due rimaste) fazione di vampiri di Sibiu.
Gli umani non sapevano di questo anche se il rito li riguardava da vicino e anche se potevano rimanerne segnati in eterno.
“E’ l’affermazione della nostra essenza. E’ un grande orgoglio per noi. Ed è quello che ci fornisce l’immortalità”, mi aveva spiegato mio padre quando avevo compiuto vent’anni, mi stava preparando.
Il terribile rito consisteva nel risvegliare i più sopiti istinti della stirpe e, nel cuore della notte, succhiare il sangue da un collo umano. Questo, se era forte abbastanza da contrastare un giovane vampiro, non avrebbe avuto nessun problema nell’avvenire e al mattino dopo si sarebbe risvegliato con soli due segni sul collo che sarebbero spariti dopo pochi giorni; ma se questo fosse stato troppo debole o il vampiro troppo forte, l’umano avrebbe potuto morire o, forse ancora peggio, diventare un “vampiro indegno”: un uomo debole che in vita non seppe contrastare un vampiro e che nell’altra sua vita avrebbe dovuto guadagnarsi a fatica il rispetto della stirpe.
Era una cosa terribile. Io non mi interessavo mai ai riti da compiere: se ero costretta a farlo lo facevo, più che altro per far contento mio padre, ma non ho mai provato un vero interesse e una devozione particolare per la stirpe. Se mi sentissero gli anziani probabilmente mi impalerebbero!
Questo rito però era davvero grave. Come avrei potuto fare una cosa del genere sapendo che il povero malcapitato avrebbe potuto non svegliarsi mai più dal suo sonno?
Più si avvicinava il giorno del mio compleanno e più non ci dormivo la notte.
In più, si era aggiunta un’altra notizia che mi aveva dato mio padre qualche giorno prima.
“I più giovani stanno cambiando. La stirpe si sta indebolendo. Dobbiamo fare accoppiare i più forti e sperare che generino creature migliori”, mio padre aveva riportato le parole del vampiro più anziano e saggio di Sibiu.
“E’ stato decretato Brad come uno dei più forti, belli e valorosi giovani vampiri”, diceva mentre io ascoltavo attentamente, non aspettandomi nulla di buono.
“Ieri c’era anche lui alla riunione ed ha espresso il desiderio di averti per la fortificazione della razza”, concluse calmo.
“Che cosa?!?! Non gli avrai detto di sì spero! E poi cosa viene a chiedere a te una cosa del genere, ma che imbarazzo!”, urlai girando per la cucina con il viso tra le mani.
“Calmati Tanja, ascolta. Sappiamo che non è possibile altrimenti. Voglio dire, tu sei una vampira e dovrai scegliere un vampiro come tuo compagno. Hai quasi ventitre anni e non ho mai percepito un interesse per qualcuno della stirpe. Brad mi sembra il più adatto..”
“Il più adatto?!?!”, lo interruppi bruscamente, “Il più adatto per cosa? Per mettere al mondo un figlio? Ma cosa sono in vendita?!”, ero sconvolta.
Il fatto che mio padre avesse acconsentito ai deliri di Brad mi dava fastidio, ma la cosa che più mi distruggeva era la verità: non potevo che stare con uno della mia stessa razza! E Alan non avrebbe mai potuto avere un posto vicino a me..
Il giorno dopo rimasi in casa tutto il giorno e non parlai mai con mio padre. Passò Ambra nel pomeriggio e le raccontai della serata con Alan.
“E’ stato bellissimo..”, le dissi.
“Tanj, ma che aria da funerale! Non si direbbe che sia stato bellissimo..Che succede?”, mi disse giustamente.
“Sono giù Ambra. Ho problemi con mio padre. Non credo gli stia bene che veda Alan. Lui punta su Brad..”, spiegai approssimativamente.
“Brad?! E ci credo, è un tocco di figo!”, esclamò. Ambra ha sempre avuto un debole per Brad. Più che altro per i suoi muscoli.
“Dai, non scherzò più. So che a te non frega niente di Brad. Dillo a tuo padre, vedrai che capirà.”, mi consigliò.
Lei d’altronde non poteva capire. In una famiglia normale avrebbe potuto anche funzionare ma.. parlare con mio padre non sarebbe servito a molto, anche se avrei potuto provarci.
Il pomeriggio seguente andai al centro commerciale per fare spesa e comprai un bel po’ di buona carne: avevo deciso di parlare con mio padre e volevo farlo davanti ad una cenetta impeccabile!
Stavo per entrare al supermercato quando vidi Alan, era con un amico e stavano guardando la vetrina di un negozio di scarpe. Lo fissai per un po’. “Quant’è carino”, pensavo.
Alla fine si accorse di me e mi salutò con la mano.
Poi si avvicinò: “Ciao Tanja! Tutto bene? Facevo un giro..”, mi disse solare.
“Ciao, tutto bene grazie, ma il tuo amico?”, chiesi non vedendolo più.
“Doveva andare. Vai a fare spesa? Se vuoi ti accompagno”, mi disse. Era proprio carino.
Fare la spesa con lui fu la cosa più divertente che avessi mai fatto. Avrebbe comprato tutto ciò che di più inutile si potesse comprare! Nel fare la spesa non era un granché, ma nel ridarmi il buon umore era il numero uno.
Usciti dal supermercato, ci sedemmo su di una panchina a parlare. Questa volta mi parlò molto di lui, mi svelò cose piuttosto intime e ne fui contenta.
“Tanja, io non so perché ti sto dicendo tutto questo.. Sento qualcosa di forte, tu mi piaci molto..”, mi disse sincero.
Mi avvicinai a lui e senza pensarci due volte lo baciai. Sentivo il suo respiro crescere e quando mi strinse a sé avvertii il suo cuore battere forte. Le mie mani si infilavano nei suo morbidi capelli, mentre lui teneva le sue sui miei fianchi e mi baciava lentamente.
Le sue labbra erano morbide e delicate, mi dava piccoli e leggeri baci e mi guardava negli occhi.
In quel momento seppi cos’era l’amore.
“Alan, io credo di amarti”, gli dissi staccandomi dolcemente dalla sua bocca.
Sorrise: “Sei sicura? L’altra sera non mi sembravi molto convinta”, disse quasi scherzando.
“Sì, lo so. Ho qualche problema con mio padre..è un uomo un po’ all’antica..”, mentii.
“Capisco.. Tanja, anche io ti amo”, e mi baciò di nuovo.
Al solo pensiero di poter fare una cosa così terribile ad un umano (proprio come Alan!) mi sentivo svenire.
Dovevo dirglielo! Lui doveva sapere di me e dovevo parlare a mio padre. Io non potevo farlo! E non me ne fregava niente di essere immortale! ..Immortale..L’immortalità! Non ne so nulla ma, di solito è una cosa a cui si può rinunciare. E se non farò il rito non sarò immortale! Probabilmente mi tirerò dietro i malocchi più terribile dagli anziani ma.. che mi importa!
Mi sentii fortissima dopo quel ragionamento e andai da mio padre convinta.
“Tanja, ma cosa stai dicendo?”, la sua consueta calma stava svanendo.
“Papà, non è così?”, volevo sapere.
“Ma tu sei un vampiro, devi essere immortale! E’ il nostro orgoglio!”, urlò.
“Sono un vampiro..non lo sono invece! Non totalmente!”, gli ricordai.
“Papà, io mi sono innamorata. E lui è un umano! Ti ricordi tu e la mamma? Come puoi non capire?!”, dissi in lacrime.
“Come osi parlare di tua madre?! Non sai niente! Non sai quanta sofferenza ha portato il nostro amore! E’ stato devastante, l’amore ha rovinato tutto! L’amore tra due stirpi diverse non è possibile!”, nelle urla neanche lui trattenne le lacrime.
Mi calmai e mi sedetti su di una sedia. Eravamo in cucina e stavamo per cenare ma, una volta avviata la discussione, non assaggiammo niente di tutto quello che avevo preparato.
“Papà”, cercai di parlargli di nuovo, in modo tranquillo, “Io so tutto invece, di notte mi capita di rivivere quello che avete vissuto tu e la mamma, quello che provava la mamma quando io ero nel suo grembo.
Lo so che non è possibile, ma mi chiedevo se la rinuncia all’immortalità potrebbe cambiare qualcosa. Sai che io non ho una grossa devozione ai vari rituali ma ho sempre fatto quello che mi hai chiesto. Se non fosse così importante, pensi che te l’avrei chiesto?”.
“Oh Tanja, io non voglio perderti. Ma so che non potrai restare qui con me per sempre. Promettimi che ci penserai a lungo prima di decidere. Pensaci ancora per questi venti giorni che ti separano dal tuo compleanno.”, mi chiese, e poi si fece serio: “Un modo c’è. Tua madre era un’umana, quindi tu sei per metà vampiro e per metà umano. Io ti ho fatto fare tutte le tappe per condurre la tua esistenza come un vero vampiro perché così avevamo deciso io e tua madre prima della tua nascita. Tua madre aveva un immenso amore nei miei confronti e, dopo la scoperta della verità, imparò ad amare anche le mie usanze.”, non capivo dove volesse arrivare. “Il rito del ventitreesimo compleanno ti porterebbe al raggiungimento pieno dell’essenza del vampiro. E così guadagneresti l’immortalità. Ma per la tua particolarità, la rinuncia al rito ti porterebbe ad accostarti alla razza umana: saresti mortale e lentamente perderesti le tue caratteristiche da vampiro.”, così concluse.
Mi sentivo confusa: ero libera grazie a quello che mi aveva appena detto, ma sapevo che ciò gli avrebbe provocato un grande dolore.
“Papà, io non voglio farti soffrire. Ma credo che Alan sia davvero importante per me. Ci penserò te lo prometto. Ma tu promettimi di essere felice per me, qualsiasi scelta farò”, lo baciai.
“Amore mio!”, urlò Alan appena mi vide uscire dall’aula il giorno dopo. Aveva ormai imparato gli orari delle mie lezioni ed era venuto a prendermi per stare un po’ insieme.
Lo abbracciai forte e gli diedi un bacio.
“Ti va di andare al parco? Ho anche la chitarra con me!”, era felice.
“Va bene, così mi suoni qualcosa”, gli sorrisi.
Quando stavo con lui tutto mi sembrava facile. Non avevo paranoie e mi sentivo sempre a mio agio. Con lui parlavo di tutto e mi sorprendeva ogni volta il suo interesse per tutto quello che dicevo.
“Dovresti fare la ballerina”, uscì con questa frase.
“Cosa?!”, esclamai, “Non ho mai ballato in vita mia!”.
“Sì, hai un fisico bellissimo. Dovresti fare la danzatrice del ventre”, ogni tanto sparava certe cavolate!
“Ehi, ma le danzatrici del ventre hanno la pancia!”
“Beh..hanno il ventre!”, disse furbescamente mentre io gli saltai addosso per fargli il solletico.
Restammo tutto il pomeriggio al parco, all’ombra di un grande albero. Io appoggiata a lui e lui che suonava per me: mi sembrava un sogno.
“Alan”, mi alzai, “io ti amo”, gli dissi guardandolo negli occhi.
“Anche io Tanja”, rispose con il sorriso.
“Farei di tutto per te. E rinuncerò..”, stavo andando troppo avanti nella mia dichiarazione!
“A cosa devi rinunciare? Tanja, che succede?”, iniziava a preoccuparsi.
“Io devo dirti una cosa.. Forse tu non sai perché vieni da fuori, ma qui..”, ci provai ma lui mi bloccò: “Ho sentito strane cose su Sibiu sì, ma non credo sia quello che stai per dirmi!”
“Dipende: cosa sai tu?”.
“Amore, mi hanno detto che qui voi vivete con i vampiri. Ma io non ne ho mai visto uno e giro spesso di notte..”, mi disse tranquillo. Ma io raggelai.
“Tanja, tutto bene?”, mi chiese quando feci un sussulto.
“Alan, non ci crederesti mai.. Vorresti parlare con mio padre?”, mi sembrò l’unica cosa da fare.
“Non capisco.. Ma se è per qualcosa che ti preoccupa certo che gli parlo!”, si mostrò disponibile e sincero.
Andammo subito a casa mia e dopo neanche venti minuti mio padre fu a casa.
“Papà, lui è Alan”, dissi.
“Ecco, questa è la storia”, mio padre aveva raccontato tutto. Ora Alan conosceva per filo e per segno la mia vita.
Era pallido in volto e sembrava sull’orlo di uno svenimento.
“Alan, tutto bene?”, gli chiesi.
“Sì, tutto bene. Ma tu faresti davvero questo per me?”, mi chiese. L’episodio “rinuncia dell’immortalità” era quello che più l’aveva colpito!
“Sì, lo farei. Ora sai tutto di me, nessun’altro lo sa, nemmeno Ambra. Se mi vuoi ancora io rinuncerò a tutto.”, mi aprii.
Mio padre ci guardava con amore, aveva capito. Sapeva quanto per me fosse importante Alan, e ora capiva anche il perché della mia decisione.
Era passata una settimana e Alan non si era più fatto vedere, da quella sera.
Ero in crisi, tanto che quella sera decisi di uscire da sola in discoteca e sbronzarmi.
Misi i vestiti più corti che avevo e partii: destinazione devasto.
Il posto era pieno e faceva caldo. Tutti i maschi mi guardavano, avrebbero voluto avermi.
Trovai Ambra: “Tanja, che ci fai qui da sola?”, era insieme al barista del “Jimi Kiss”, finalmente ce l’avevano fatta ad uscire!
“Niente, non avevo voglia di restare a casa”, risposi in fretta.
“E Alan? S’è poi risolta con tuo padre?”, mi chiese ma non ebbe risposta.
Mi fiondai al bancone e presi due cocktail a caso. Dopo averli seccati in un lampo mi buttai in pista.
Ballavo freneticamente e tutto intorno a me girava sempre di più.
Sentii poi delle braccia che mi si avvinghiavano alla vita. Era Brad. Ballai con lui lanciandogli sguardi di provocazione. Bruciava. Stette un po’ al gioco e alla fine mi sbatté contro al muro ed inizio a baciarmi e toccarmi.
Ambra mi aveva visto e sapeva che non ero in me. Venne a chiamarmi: “Tanja, io pensavo di andare, tu che fai?”.
“Non vedi che è occupata?”, rispose Brad.
“E tu non vedi che è ubriaca?!”, gli disse lei scostandomelo di dosso.
“Andiamo via Tanja!”, mi prese per un braccio e mi trascinò verso l’uscita.
Stavamo quasi per varcare la porta quando qualcuno fermò Ambra. Oddio, era Alan.
“Che fate qui? Tanja, che hai fatto?”, chiese preoccupato e disgustato al contempo.
“Io non so niente ma qualcosa mi dice che è colpa tua!”, Ambra gli rispose sputandogli in faccia queste parole e girandosi subito per uscire.
Alan rimase per un po’ immobile ma poi ci fermò di nuovo: “Aspetta! E’ vero, è colpa mia. Tanja, io ho avuto bisogno di tempo per pensarci. Ma ora ho capito. Ho capito che nessun’altra farebbe mai quello che vuoi fare tu per me. E nessun’altra potrebbe rendermi felice come sai fare tu. Tanja io ti amo e voglio stare con te.”.
Ambra era quasi commossa, la sua scorza da dura era stata scalfita dalle parole del principe.
Io non mi reggevo in piedi ma il cervello, lentamente, aveva captato le sue parole e, dopo averle elaborate, mi permise di abbracciarlo e sussurrargli un: “Ti amo.”.
Non mi ricordo altro.
Mi svegliai nel letto la mattina dopo con un gran mal di testa.
“Tanja, ma che hai fatto?!”, mio padre era ancora in casa.
“Papà, mi dispiace. Ho bevuto troppo ieri sera. Lo so, è stupido, non devo farlo ma..”
“Tanja, mi riferisco ad Alan e Brad!”, disse cupo.
Sbarrai gli occhi: “Cosa?! Che è successo?!”, esplosi.
Mio padre mi raccontò che Ambra mi aveva portata a casa, lui era ancora sveglio e la aiutò. Dopo lei le raccontò cosa era accaduto in discoteca.
Brad mi aveva visto con Alan e lo aveva pestato a sangue. Ero incredula, non poteva essere vero. E io non mi ero accorta di nulla!
“Ma ora dov’è? Come sta?”, non ragionavo più e piangevo.
“E’ a casa sua, vive con due suoi amici che lo hanno aiutato ieri. Pare che si sia danneggiato una mano e un occhio”, disse mio padre a bassa voce.
Alan gli stava simpatico, ma era più preoccupato di tutto il contorno che di lui.
“Una mano?! Oh mio dio, lui suona! Starà malissimo! Devo andare da lui!”, e cercai di avviarmi verso la camera per cambiarmi e uscire ma mio padre mi fermò: “Tu non vai da nessuna parte! Forse non ti rendi conto. Sai che Brad è molto influente, è uno dei nipoti del vampiro più potente di Sibiu. Non so come faccia Alan ad essere ancora vivo, e ancora Brad non sa della tua rinuncia..”, era sconvolto ma cercava di mantenere la calma.
Non vidi ne sentii Alan per cinque giorni. Ero preoccupata e volevo solo uscire da tutto quel casino!
Ebbi un’idea: dovevo andare dal vecchio saggio vampiro e spiegargli della mia rinuncia.
Arrivata al castello, dopo una camminata di quasi un’ora, mi feci annunciare e Ardalon mi accolse senza farmi attendere.
“Tanja, qual buon vento? Non ti vedo nella mia dimora dal tuo diciottesimo compleanno!”, mi fece accomodare.
“Ecco, io..”, non appena aprii bocca davanti a me comparve mio padre con Alan.
“Ma..voi..che fate qui?!”, stavo impazzendo.
“So già tutto, Tanja”, mi spiegò Ardalon.
“Ma..la lite in discoteca? Brad? Era tutto inventato?”, chiesi spiegazioni a mio padre.
“E’ tutto vero, Tanja. Brad è ancora una minaccia per voi due, per questo sono venuto personalmente da Ardalon per parlagli. Ed ho portato anche Alan, che mi aveva chiesto cosa poteva fare.”, disse mio padre.
“La vostra famiglia ha già sbagliato e pagato e sofferto molto in passato. Non voglio che si ripetano gli stessi errori. Per questo ho acconsentito alle richieste di tuo padre, e alle tue.”, disse Ardalon.
“Potrò rinunciare..?”, sussurrai.
“Sì. Dovrà compiersi un rito al tuo ventitreesimo compleanno. Tu sarai resa mortale ed entrambi avrete l’obbligo di non parlare a nessuno della vostra storia”, aggiunse Ardalon.
“Tra mezz’ora sarai ventitreenne, Tanja. Facciamolo subito.”, disse Alan.
Scoccata la mezzanotte Ardalon preparò le frasi da pronunciare per la mia rinuncia.
Mi porse un abito nero, che simboleggiava la morte, contrapposto a quello rosso che avrei dovuto indossare invece se avessi compiuto il rito della suzione del sangue.
Mio padre mi guardava, con orgoglio e malinconia al contempo, ma nei suoi occhi leggevo la felicità di vedermi innamorata e di portare a compimento lo stesso sogno che avevano lui e la mamma.
“Così oggi al tuo ventitreesimo compleanno, tu Tanja Brazov, rinunci alla vita eterna, per tua unica decisione. Ti avvicinerai alla vita umana, breve e mortale e nulla più di vampiro scorrerà delle tue vene.”, queste furono le parole di Ardalon. Sentenziose riecheggiavano nella stanza superiore del suo castello.
Mi aveva posto al centro di un rombo formato da candele che, alla fine della sua orazione, si spensero per poi riaccendersi alcuni secondi dopo più brillanti.
Dormii per due giorni di seguito. Mio padre era preoccupato anche se il vecchio Ardalon lo aveva avvertito: “E’ molto pesante questo rito. Avrà bisogno di riposo.”.
Alan: “Tanja, dove sei?”
Tanja: “Sto preparando qualcosa qui in cucina, vieni?”
Erano passati tre anni e io ed Alan vivevamo insieme.
Stavamo nella sua casa di prima, senza più gli amici però!
Mi sembrava di vivere in un sogno ma da tempo ormai mi ero resa conto che non lo era, era la realtà.
“Oggi a pranzo viene Ambra con il suo nuovo fidanzato, ce lo presenta!”, gli dissi.
“Ah, ho già paura!”, scherzò lui baciandomi da dietro mentre preparavo le tartine.
Mio padre era rimasto nella nostra vecchia casa, andavo a trovarlo ogni pomeriggio e ogni pomeriggio non faceva che ripetermi quanto era felice per me: “Alan è un bravo ragazzo, hai fatto la cosa giusta. Brad non vi darà più fastidio, deve solo provarci! Il vecchio Ardalon lo brucia vivo!”, e ridavamo.
Anche io ero felice.
Di sera io ed Alan ci mettevamo sul tappeto in salotto. Io appoggiata a lui e lui suonava per me.
“Alan, io ti amo.”, gli dicevo.
“Anche io ti amo, Tanja.”.
Non era cambiato molto da prima: Ambra era ancora la mia migliore amica ,vivevo sempre a Sibiu e lo amavo alla follia.
Ora però non andavo più all’università ma al liceo, ad insegnare inglese.
Non vivevo più con mio padre ma con Alan.
E non ero più vampira, ma umana.
Beh, forse sì, qualcosa era cambiato.