Spero, con queste mie riflessioni, di non annoiare e di non essere OT. Spero anche che le righe che seguono possano far partire una discussione, uno scambio di esperienze e anche di critiche. Discutiamo, raccontiamoci le nostre storie e parliamo di cosa significa il gioco (e il gioco di ruolo in particolare) per noi. (Ok, il preambolo è finito...)
Per qualcuno il gioco è solo una parentesi fra il lavoro, lo studio, l'impegno in casa e in famiglia. Per me, no. Per me, in una fase delicatissima della mia vita, ha rappresentato una medicina potentissima in grado non solo di farmi uscire da un periodo di crisi ma anche di farmi crescere e diventare quello che, nel bene e nel male, sono adesso.
L'anno è il 1991, quando molti (forse la maggioranza?) dei frequentatori di questo forum non erano nemmeno nati. Allora ero un ragazzino introverso, timido, un po' musone. 16 anni, figlio unico, pochi amici, ragazze nisba. L'unico contatto con il gioco di ruolo era, finora, stato casuale:con mia madre, a Firenze, visitando una libreria, mi imbattei nel manuale in inglese del Merp (Middle-earth rolr playing). Bene, alla fine convinsi mia madre a comprarlo: non perché avessi capito minimamente cosa fosse il gioco di ruolo, ma perché adoravo Tolkien. Inutile dire che quel manuale, dopo una veloce lettura, rimase sulla mia scrivania a prendere polvere. Il punto di passaggio fu la morte, improvvisa, di mio padre. Mi trovai sbalestrato, senza un punto di riferimento. Il dolore mi mangiava, per sopravvivere avevo "solo" l'amore di mia madre e la pace che trovavo nella musica.
Questo almeno fino a quando un mio compagno di classe, un sabato mattina di metà giugno, non mi telefonò: "Oggi vieni a casa di Diego, che facciamo un gioco di ruolo?". Loro giocavano già da anni. Aver risposto di sì, aver fatto chilometri in bicicletta sotto il sole, sedermi a quel tavolo, è stata una delle migliori scelte della mia vita. Perché attorno a quelle schede, a quei dadi, c'erano quelli che sarebbero diventati i miei cinque migliori amici. Per la cronaca, il gioco era il Richiamo di Cthulhu. Ho dei flash di quel pomeriggio: la spiegazione delle regole, il piatto di plastica ricoperto di panno verde dove si tiravano i dadi, l'adrenalina del primo combattimento. Da quel giorno cominciarono anni di gioco matto e felicissimo (Leopardi mi perdonerà...). Il gioco di ruolo (Cthulhu, D&D, AD&D, Cyberpunk e tanti altri) diventò un nostro compagno fisso.
Pomeriggi, sere, a volte notti, a creare mondi, storie, personaggi. A creare degli alter ego nel quale sublimare i nostri dolori, i nostri problemi. Perché, se vado indietro col pensiero, mi rendo conto che tutti, più o meno, avevamo delle storie non facili e qualche problema di relazione con gli altri. Come tutti, accoglievamo con gioia il sabato perché era l'ultimo giorno di scuola della settimana. Ma noi avevamo un motivo in più: il sabato pomeriggio era il nostro momento, quello del gioco. In un periodo nel quale in tanti cominciavano a smettere di sognare, noi creavamo le nostre "dreamland". E intanto diventavamo da cinque uno, intrecciavamo quel rapporto magico per il quale ora come venti e più anni fa ti puoi capire con uno sguardo o con un movimento del corpo che gli altri nemmeno noterebbero.
E poi, ci aprimmo agli altri: il nostro gruppo divenne un sorta di centro di gravità per altri giocatori. Alcuni rimasero per una sera, altri sono diventati nostri grandi amici. I giochi e le storie che affrontavamo sono cresciute con noi (personalmente, ritengo che l'apice l'abbiamo raggiunto con Vampire: The Masquerade). Poi le storie della vita e del lavoro ci hanno allontanato, impedendoci di giocare 4-5 sere la settimana come nelle estati del 1991, 1992, 1993, 1994. Ma la vita ci ha regalato anche tante letture, amori, gioie, dolori, il primo lavoro e le tante telefonate fra noi, i cinque amici, che non riescono a non sentirsi per più di qualche settimana. E tutto è partito da lì: da un gioco di ruolo, da un tappeto verde dove lanciare d8 e d10.
Certo, so benissimo che anche noi ci abbiamo messo del nostro: il gioco non può fare tutto da solo. Ma credo sia un potentissimo catalizzatore per tirare fuori il meglio (e, a volte, il peggio) di quello che c'è in noi. Spero che la mia bambina di 21 mesi non debba passare quello che ho dovuto passare io. Ma spero anche che si avvicini alla grande e magnifica esperienza del gioco di ruolo, e che possa trovare accanto a sé persone che vivano con lei questo viaggio.
Il racconto è finito. L'ho postato in questo forum perché so di essere fra persone che potranno capire. Mi dispiace se ho annoiato qualcuno ma devo dire che mi dispiacerebbe ancor di più se questo post rimanesse senza risposta, senza alcun germe di dibattito...