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musica Gruppo / Cantante preferito
Wolf ha risposto alla discussione di Serghuio in Cinema, TV e musica
Preferiti? Boh..dipende dal periodo della mia vita..cmq..in linea di massina... 1) Nirvana 2) Metallica al pari merito con Bob Marley...forse più il Bob... 3) Mah..De Andrè lo ascolto sempre volentieri..anche Battiato..anche gli Africa Unite... -
Ottimo! Tra l'altro: tempo fa ci eravamo sentiti per il tuo nuovo di racconto, e mi avevi dato anche un link di roba da scaricare. Ma non ci avevo capito niente li dentro e non ero riuscito a vederlo; neanche i file che avevo visto, con delle imma, avevo capito cos'erano.. Rimandami link e materiali, casomai direttamente sulla mail, cosi mi capisco..devo compiere il mio lavoro di editore!
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La nostra storia - Fantasy 2
Wolf ha risposto alla discussione di Joram Rosebringer in Prosa e Poesia
Uhm..io credo di non parteciparvi. Mancanza di tempo, non per altro..di storie ce ne sono già parecchie da portare avanti, e un altra non ce la farei proprio... Sorry -
Le nostre storie - Commenti dei lettori e degli autori
Wolf ha risposto alla discussione di Joram Rosebringer in Prosa e Poesia
Io volevo fare il malvagio Solo che per ora non ho moltissime ispirazioni..ma arrivo arrivo, non preoccupatevi..è che sto pg non mi ispira troppo...al massimo ne introduco un altro anche.. Solo che in effetti ho bisogno di sapere se c'è qualche aspirante malvagio, o simile. Per quello che voglio fare...altrimenti ne introduco qualcuno io.. Fatevi vivi malvagi di tutto il mondo! -
film Film vari (commenti e opinioni)
Wolf ha risposto alla discussione di Wolf in Cinema, TV e musica
Boh..non riesco a fare una classifica. Inoltre Chiedimi se sono felice non l'ho mai visto tutti intero, ho visto solo pezzi in ordine sparso, e non saprei com'è...poi gli altri non li vedo da tanto e non ricordo quale mi è piaciuto di più...spiacente -
film Film vari (commenti e opinioni)
Wolf ha risposto alla discussione di Wolf in Cinema, TV e musica
Ieri sera ho visto il nuovo film di Aldo Giovanni e Giacomo, Tu la conosci Claudia. Non male. Come al solito la loro comicità fa da padrona, e ho riso per tutto il film. La storia non è male, anche se è un po' prevedibile. Ma non cosi prevedibile come ci si aspetta. Ci sono un paio di colpi di scena che lasciano di stucco; almeno io non me li aspettavo. Bello, se si vuole sghignazzare un po'. Ah, brava anche la Cortellesi. -
Io ci provo, anche se non conosco il regolamento di Dimensioni. Da quello che ho capito leggendo il tuo post sopra, ne deduco che in Dimensioni o pari, o non pari. Cioè, se riesci nella parata, i danni subiti sono pari a 0, o al massimo si danneggia l'arma. Mi sembra un po' irreale come cosa; penso al caso in cui io, ragazzo di 70 kg, paro un colpo di spadone da 30 kg con lo scudo di legno che ho in mano...certo, probabilmente riesco a fermare il colpo, ma se non mi si spezza il braccio o lussa la spalla sono veramente fortunato. Dovrebbe essere previsto anche questo..ma cosi sto andando fuori tema. Tornando ai punti resistenza delle armi, cosa succede se l'arma si spezza? Cioè, alla mia spada sono rimasti 3 punti struttura, mi arriva un colpo con uno spadone e mi fa 7 danni alla spada. Cosa succede ai 4 in eccesso? Immagino arrivino a me.. Per il resto il sistema adottato mi sembra buono, anche se non so se possa fare molta differenza il valore di parata..cioè, se io sono un guerriero con molta esperieza e tanta parata, diventa quasi impossibile che uno quasi novizio mi spacchi la spada? Vabbè..commenti fatti senza conoscere il regolamento..vi ho detto quello che mi passava in mente leggendo..spero torni utile
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Si chiaro. Dovrebbero rinascere, sotto altro nome, non riesumare un vecchio mito. Ormai i Queen appartengono al passato, e li devono rimanere, pur se ancora presenti nella musica. Qualsiasi cantante nuovo perderebbe valore, perchè verrebbe inevitabilmente paragonato a Fraddie, confronto senza speranze. Vabbe...si vedrà cosa succederà..
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Questo invece nacque nel topic La mia dimora, che ricordo ancora con nostalgia. Era un periodo buio, e il racconto è malinconico..o almeno a me fa questo effetto... Non ne spiegherò il significato, perchè coinvolge la mia vita personale e la mia privacy, ma lascio a voi la sentenza sulla piccola storiella creata... Il prato Vagavo come il solito, in compagnia di qualche amico, mano nella mano con me stesso. I luoghi erano sempre gli stessi, li conoscevo e li assaporavo come sempre, li vivevo perché erano quelli che amavo. Passeggiavo, con il cuore leggero, il sapore della tranquillità nella bocca, e la luce che mi colpiva sul volto. Poi un giorno la luce cambiò. Mi trovavo in un prato, ma non era sempre lo stesso prato, come credevo. Quel giorno un sole più luminoso, anzi no, non più luminoso, ma luminoso in maniera diversa colpiva l’erba, colpiva me, scaldava come mai aveva fatto. E il prato mi sembrò diverso, più verde, più profumato; l’odore di mille fiori mi giunse alle narici, mi inebriò con la forza della novità, mi fece sorridere. Iniziai a vagare nel prato, le armi in spalla, ma senza il pensiero di doverle usare. E lentamente l’erba mi avvolse, i fiori sbocciarono e mi sorrisero. Sembravano farlo con riluttanza, con il timore di essere nuovamente calpestati. Si perché altre volte erano fioriti e altri piedi li avevano dapprima sfiorati, leggeri come elfi, delicati come farfalle; ma poi questi piedi avevano cominciato a schiacciare, ad uccidere lo splendore di quel giardino incantato, e a limitarne l’estensione, con la propria forza bruta. E dopo che quegli esili fiori avevano scacciato l’invasore, a duro prezzo, avevano dovuto riprendersi, accumulare forze, ricominciare a guardare un sole che per molto tempo non avevano visto. Crebbero e rifiorirono, al mio passaggio. E io non li calpestai, non li rovinai. Percorsi lentamente il sentiero che mi era offerto, quella traccia che mi permetteva di ascoltare il vento tra i petali e il profumo delle piante in tutta la loro pienezza, senza imporre il mio passo alla loro forma. E il tempo passava, vivevo di quegli odori e la luce riflessa su di loro colorava anche il mio volto. Lentamente impararono a fidarsi di me, a credere che il mio piede potesse essere leggero, delicato, premuroso. E così fu. Mi permisero di distendermi tra loro, mi abbracciarono con i loro petali perché non li schiacciavo, ma li ammiravo. Quel prato era colorato, in fiore, e le margherite dipingevano un sorriso al suo centro. E anche io mi rafforzavo, acquistavo forza e coraggio in quel luogo. Un lento allenamento, più fruttuoso che mille anni di combattimenti. Poi qualcosa cambiò. In quel prato arrivò qualcun altro. Una presenza inaspettata, inattesa. Non voleva scacciarmi dal prato, anzi non mi degnava di uno sguardo. Era una quercia, un imponente albero, tronfio nella sua saggezza e superiorità. Lentamente portò l’ombra nel prato. Sentivo i fiori che cercavano di combattere, di resistere. Ma scoprì che già altre volte avevano affrontato quel nemico, quella quercia violenta e autoritaria. E sapevano di non poterlo sconfiggere. Non in un colpo. Solo il tempo avrebbe decretato un vincitore. E sapevano di doversi spostare in uno spazio diverso, forse più piccolo, forse più grande, ma sicuramente uno spazio dove la quercia non sarebbe potuta arrivare. E allora li avrebbero dimostrato la propria superiorità, la propria abilità, nel colorare la terra di mille colori e di renderla bellissima. La quercia avrebbe dovuto riconoscere la propria inferiorità, anzi avrebbe dovuto riconoscere la propria diversità. Ognuno decorava la terra a proprio modo, e un tempo anche la quercia era stata verdeggiante, anche se ora era spoglia e grigia. Ma i fiori non avrebbero ceduto alla sua ombra, se ne sarebbero andati alla ricerca di un luogo loro. Tutto questo i fiori me lo dissero, me lo comunicarono tramite una lingua fatta di sussurri e rapidi battiti di ciglia. Ma il loro abbraccio non poteva più esserci, impegnati com’erano a sopravvivere in carenza di luce, assolutamente protesi verso quei pochi spiragli di aria nuova e luminosa che arrivava al suolo. E non si accorgevano che anche io avrei potuto portare luce, accenderla o rifletterla con il mio scudo, con i miei occhi, con la mia volontà. Avrei potuto abbattere quella quercia con la mia ascia, avrei potuto sradicarla e spostarla in un’altra vallata, avrei potuto spostarle i rami e far fluire la luce. Lentamente mi allontanarono, mi assicurarono che sarebbe tornato il tempo dell’abbraccio e dei profumi, che se amavo i loro colori avrei saputo aspettare. E cosi decisi di fare; mi sedetti nuovamente nel sentiero, ripercorrendolo talvolta a passi brevi e leggeri, indecisi e timorosi. A volte i fiori mi sferzavano con i petali, inaciditi dalla mia presenza che li distraeva. Ma non stavo bene, oramai l’aria che respiravo aveva bisogno dell’energia che i fiori diffondevano nell’aria, dei mille colori che si riflettevano sul mio petto, dandogli colore, dei petali che si depositavano sulle mie mani, come lacrime di rugiada dorata. Arrancavo nelle mie passeggiate, l’aria sempre più assente nei miei polmoni, la pelle sempre più pallida all’ombra della quercia. E i fiori questo lo capivano, e se ne preoccupavano. Non erano più in fiore, chiusi nei loro petali tristi, come bozzoli di bruchi indeboliti dall’inverno. Non erano più colorati. E non sapevano come rimediare, ancora troppo deboli e insicuri per riuscire a cambiare terra, per allontanarsi dalla quercia. E si sforzavano per cercare di proiettarmi un po’ di profumo, di tepore, di colore, distogliendo il proprio impegno e la propria attenzione dalla luce che li avrebbe rafforzati, che li avrebbe resi capaci del grande passo. Sempre più spesso alcuni di loro morivano, o ritornavano al seme, in un processo regressivo, assurdo e pericoloso. Sembrava che i piedi di un tempo fossero tornati a calpestarli, a tarpare loro le ali, anche se non c’era nessun altro tranne me e la quercia. Allora presi la decisione. Compresi che non sarei più riuscito a respirare rimanendo in quel prato in ombra, in quel prato priva di linfa vitale, troppo impegnato a risolvere i miei problemi ed i suoi. Presi la decisione, e mi allontanai da quel prato. Girai l’angolo, sorpassai la collina che lo separava dal resto del mondo, in un apnea forzata, faticosa e dolorosa. I miei occhi erano ciechi, bisognosi dei mille colori che nel mondo e nel prato ormai non c’erano più. Me ne andai, lasciando il prato ai proprio problemi, rendendomi conto di essere ormai più un peso che un aiuto per quei fiori cosi malandati. Avrebbero affrontato la quercia, ormai loro unico problema, senza doversi preoccupare del mio respiro e dei miei occhi. Certo, all’inizio avrebbero fatto più fatica, sentendo la mancanza, il cambiamento dato dalla mia partenza. Ma non sarebbe mancato il mio aiuto; io ero dietro a quella collina, dentro a questa locanda, e al minimo richiamo sarei tornato con l’ascia in mano, con lo scudo pronto a raccogliere e a riflettere la luce, con il sorriso a valorizzare la loro bellezza, con le mani pronte ad accarezzarli e a stringerli e scaldarli. Ma passò del tempo, tempo in cui ogni tanto andavo a vedere il prato, ostentando una salute che mancava, una serenità che era lontana mondi interi. E un giorno i fiori mi accolsero con una luce diversa. Era una luce strana, non generabile dal loro riflesso. Una luce finta, o forse solo diversa. E lentamente mi accorsi che i fiori erano cambiati, erano mutati in altre piante, che desideravano solo stringermi in una stretta soffocante, fredda e poco avvolgente. Decisi di provare a coltivare quel prato, a far tornare i vecchi fiori, o a cercare quelli che ero certo ci fossero stati un tempo. Cercai a lungo, tra le frustate di liane terribili, le punture di aghi di piante rampicanti e spinose, le trappole che mi tendevano a volte con i loro colori sgargianti, cosi simili a quelli di un tempo. Il respiro si faceva sempre più faticoso, l’apnea ormai impossibile da tempo, il petto sempre più pallido. Nulla! Dei vecchi fiori non c’era più traccia, per quanto mi illudessi di vederne ancora. Nessuna di quelle piante desiderava abbracciarmi, e farsi scaldare da me. Se mi ci fossi disteso, cercando la morbidezza dei petali, avrei trovato solamente un letto spinato, ricolmo di buche e aghi perforanti. Il sentiero era ancora la, come un tempo, ma correva su un prato diverso, cambiato, mutato. E la quercia era li, poco più avanti. I fiori avevano preferito mutare, non combattere come promettevano, ma adattarsi alla nuova situazione, qualsiasi fosse stato il prezzo. E io spesso cercai di partire da questa locanda, da questo posto accogliente e caloroso, pieno di buoni consigli e da mani pronte a stringere la mia, anche se prese dalla cura delle proprie ferite, dei propri pensieri. E forse proprio questo vostro esempio mi ha dato la forza di resistere meglio, di trovare le motivazioni invece di reprimere il problema e lasciarlo stare. Spesso partii da qua per cercare nel campo, per trovare la vecchia luce, e tornavo ferito, dagli aghi e dalle liane. Erano quelle le battaglie che andavo ad affrontare. Era quello il nemico che mi sconfiggeva lentamente, con piccole ferite progressive. Ma sbagliò. Se voleva finirmi non doveva darmi il tempo di imparare a respirare nuovamente. Non doveva permettermi di riaprire gli occhi. Doveva abbattermi velocemente, in un unico colpo mortale. Ma forse non era neppure quello il suo scopo. Forse nel suo mutare si era semplicemente dimenticato di me, della mia forza e del mio sorriso. Mi vedeva come un intruso, come un qualcuno che se ne era andato invece di aiutare, dimentico dei mille tentativi da me fatti per concimare quel terreno, per dare forza che a me non serviva. Ora quel prato è li, diverso. Semplicemente diverso, peggiore ai miei occhi, ma semplicemente diverso agli occhi del mondo. Percorro il sentiero che lo attraversa come un semplice viaggiatore, come una qualsiasi persona lo può percorrere. Perfettamente in grado di respirare un aria non profumata, non colorata come allora, anche se l’odore non se né andato dal mio cuore né dalla mia anima. Le mie mani hanno imparato ad essere delicate, gentili quando serve amore, forti quando serve decisione. Sono pronto a nuovi viaggi, a nuovi prati e altre sensazioni..
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Tempo fa, in questo forum, ho iniziato a trovare il coraggio di mettere per iscritto le storielle che mi balenavano nella testa. Prima in un topic aperto da non so chi, che voleva ricreare l'accogliente atmosfera di una locanda in cui si raccontano piccole storie, piccole vicende della propria vita fantasy. Poi venne La lavagna, e La mia dimora, a raccogliere questi pensieri sparsi, questi pallidi tentativi di narrazione, arte che non mi è mai stata amica. Poi un giorno trovai un topic aperto da questo strano personaggio, con la faccia di Viggo Mortensen se non sbaglio, che diceva di fare un esperimento: era proposta una traccia, un ombra, di un finale di racconto. Beh, la prova consisteva nel creare una storia a piacere, senza ambientazione prefissata o altro, che però comprendesse certi elementi: un chiostro abbandonato, e due persone che si incontrano. Da questo incontro la loro vita cambierà radicalmente. Fu difficile all'inizio accostarsi a questa cosa, perchè non dovevo più scrivere a istinto e in base a quello che mi veniva in mente la momente, ma seguire elementi (anche se pochi) prefissati. Ci misi un po', ma poi "creai" questo... Scomparsa Scomparsa. E' tutto il giorno che la cerco. Ho provato nei bassifondi, in tutti i vicoli, nei locali, dal più chic al più malfamato. Ho chiesto a tutti, a spazzini, postini, autisti e taxisti. Di Lei non c'è traccia. E' sempre stata con me, e ora non la trovo più. Com'è possibile? Non può aver abbandonato la città. Non lo farebbe mai. Questa città è tutto per Lei, e la città è quello che è grazie a Lei. Quando è arrivata qui non era nulla, sconosciuta. Ma poi ha fatto la sua fortuna, e la fortuna della città stessa. Qui c'è l'ambiente giusto, per una come Lei di emergere. E grazie a Lei anche io, per un po', sono diventato quello che sono. Mi ha aiutato, e io ho aiutato Lei. Ormai è molto tempo che la conosco, e non ne posso fare a meno. Devo assolutamente ritrovarla, e riportarla da me, almeno per un po'. Ma nessuno qui non sa niente, nessuno sa dove possa essere. O fanno finta di non sapere. Sono le sei della sera. Non so dove altro andare. Sono già andato in tutti i posti dove andava di solito; tranne quello. Devo provare ad entrare li, per vedere se è passata. E' un brutto posto, lo so, ma ormai ho imparato alla perfezione come muovermi in questa città. Rischio, ma lo so. Ora entro la dentro, mi informo. Qualcuno saprà qualcosa! ................ Lei non c'era, neppure la. Ma ho trovato un uomo, che mi ha detto che anche lui la cerca, per lavoro, e che è riuscito a rimediare un appuntamento per stasera, al parco li vicino. Mi ha detto che se vado anche io probabilmente riuscirò a trovarla; potrei riuscire a fare qualcosa forse, a farla tornare da me. L'ho ringraziato, e ci vedremo alle 21.00 al parco. Ora sto tornando a casa. Entro in casa, apro la porta e mi avvicino al divano. E' molto caldo oggi e la camicia che indosso è tutta sudata, sulla schiena e sul petto. La lancio in bagno, e cado pesantemente sui cuscini del vecchio divano. Si solleva molta polvere, che si incolla alla pelle, ma non ci faccio caso. Chiudo gli occhi, spossato dalla lunga ricerca e dal caldo. E' passata un'ora e mezza. Per fortuna mi sono svegliato. Tra un'ora ho l'appuntamento al parco, e mi devo preparare. Una doccia, veloce e fredda, che mi sveglia completamente. Mi rivesto, e indosso una camicetta aperta sul davanti, bianca, con sopra una giacca elegante gessata, sempre bianca, ma con i bordi neri. I pantaloni sono anch'essi bianchi, e vanno a ricadere leggeri su un paio di scarpe di pelle candida che, allo stesso modo della giacca, hanno i bordi e i lacci neri. Sistemo la cintura, raccolgo il cappello bianco perfettamente abbinato con il completo e mi controllo allo specchio. Beh, quarant'anni, ma ancora un fisico asciutto e muscoloso, perfettamente in forma. La barba è al punto giusto, una via di mezzo tra l'incolto e il curato. Raccolgo la pistola di piccolo calibro, una scaccia cani, e la sistemo sulla caviglia destra, e l'altra automatica nella fondina sottoascellare sinistra. Carica, ma con la sicura. E' sempre pericoloso andare a degli appuntamenti con Lei, visto il nervosismo che permea l'aria in sua presenza. Ma anche a questo sono abituato. Apro l'ultimo cassetto dell'armadio, sollevo il doppio fondo, e raccolgo una nutrita mazzetta di banconote. La sistemo nella tasca interna della giacca, rinforzata con robusta pelle, cuoio. In questa città ci sono più scippatori che piastrelle! Tutto è pronto. Il telefonino lo lascio a casa. In certe situazioni è meglio non avere distrazioni... Esco dalla porta di casa, il taxi chiamato poco fa già pronto ad accompagnarmi. Fornisco indicazioni all'autista sulla destinazione, e sistemo gli ultimi dettagli della cosa. I capelli sono a posto, il naso anche, orecchie pulite. Non voglio fare la figura del pezzente! Ma sono tutto agitato, inizio anche a sudare un poco. Stupido! Quante volte sei andato ad appuntamenti come questo?100?1000? un sacco di volte..eppure sembri un bambino delle medie! Mi dico mentre il taxi prosegue, con una fastidiosa musica country di sottofondo. Dieci minuti, e il tassista arriva nel posto designato, poco distante dal parco dove la incontrerò. Lo pago con i pochi soldi tenuti in portafogli, dando anche una mancia di pochi dollari. L'auto si allontana, e io finalmente mi dirigo, con il cappello in testa, verso il parco. Trovo la panchina scelta, mi guardo attorno e noto che non c'è nessuno. Sospiro e mi siedo in attesa. Si fa sempre attendere; questa pessima abitudine. Però l'attesa è utile, per calmarsi. I battiti del cuore scendono, e riassumo l'aspetto di un uomo maturo, come mi è consono. L'ora stabilita per l'appuntamento passa, di molto, e ancora non si vede nessuno; in più il tempo sta peggiorando a vista d'occhio, e a momenti dovrebbe piovere. Qua quando viene un temporale estivo è una cosa tremenda. Sto quasi per spazientirmi, quando una macchina si avvicina al parco. Ne scende l'uomo del bar, che mi dice che è cambiato il posto e si era dimenticato di me. Salgo in macchina, al posto passeggero, e il viaggio comincia. Poco dopo comincia a piovere, e un forte vento scuote gli alberi e la macchina in corsa. Per strada parlo un po' con l'uomo; è esattamente come me l'aspettavo; si chiacchiera del più e del meno per un po', di come la squadra della città abbia vinto l'ultima partita di baseball, e di quanto vacca sia quell'attrice. Mi dice anche che quando saremo sul posto, un altro parchetto, potrò andare avanti io, per primo; lui non ha fretta, e sembra che la mia sia una cosa più urgente. Lo dice con un sorriso sulle labbra, d'intesa, e solo allora mi accorgo di aver riiniziato a sudare. Sono anche un po' pallido. Mi asciugo con un fazzoletto, e finalmente arriviamo al parchetto. Non è molto grande, ed è già sconquassato dalla pioggia che scende in quantità esorbitanti. Poco distante c'è un piccolo chiostro, con una piccolissima tettoia, nella quale si ripara una figura. E' in piedi, di spalle, con una piccola valigetta appoggiata di fianco; una valigetta lucida, metallica, che riflette i lampi con la sua superficie specchiata. La tipica ventiquattrore. Raccolgo la giacca sopra la testa ed esco di corsa dalla macchina, dirigendomi verso il chiostro. Sono agitatissimo, dalla pioggia e dall'emozione. Addirittura ho le mani che mi tremano. Sembro un novellino! So benissimo che è pericoloso correre, vista la molto probabile tensione del momento, ma sono ansioso di vederla e di assaporare il suo gusto, la sua forza, la sua tenacia. Fortunatamente la figura mi scorge in tempo, e non reagisce in malo modo; raggiungo il felice riparo della tettoia, e scrollo la giacca inzuppata di pioggia. L'uomo sotto la tettoia mi guarda; non è che mi aspettavo! Ma non importa. So già che lui potrà fare qualcosa per me, per permettermi di vederla, di incontrarla ancora. E ancora... Qualcosa all'improvviso non mi convince. Perché questo posto? cosi in vista?e niente altro che io e lui? No, qualcosa non sta andando come previsto, e mi rendo conto di dovermela sbrigare alla svelta. Farmi dire come incontrarla, e via. O se può provvedere lui stesso, che lo faccia in fretta. L'uomo, con il volto riparato dal colletto alto dell'impermeabile lungo, mi guarda con aria interrogativa. Io capisco subito, e apro la tasca interna della giacca. Solo allora mi accorgo della pistola nella fondina sotto ascellare; l'uomo l'ha vista sicuramente, e forse è anche per quello che mi guarda cosi. Lo tranquillizzo con uno sguardo e un sorriso, e lui mi fa cenno che va tutto bene. Estraggo i soldi dalla tasca, glieli faccio vedere e allora l'uomo raccoglie la valigia da terra. Poi succede il finimondo! La macchina con l'uomo che mi ha accompagnato fino a qui, il mio contatto, parte all'improvviso, sgommando, e sbattendo violentemente la portiera del lato passeggero contro un albero, che si richiude in uno schianto. L'uomo estrae la pistola, allarmato, e io con lui. Ci guardiamo sospettosi un attimo, con le pistole pronte a forare il rispettivo petto, le sicure già disinserite. Poi il suono delle sirene arriva a me! Macchine della polizia stanno arrivando tutto attorno a noi. Sento le ruote della macchina partita di corsa fischiare inchiodando, e poi un forte schianto. I rumori della pioggia che scende scrosciante confondono i miei sensi, ma qualcosa riesco a distinguere. E poi, oltre alle sirene tutto attorno a noi scorgo le luci dei lampeggianti, che si confondono e diffondono nelle gocce di pioggia. Sembra una discoteca all'aperto, mentre iniziano a circondare il parco. L'uomo impreca, furioso e disperato, e poi inizia una folle corsa nella direzione opposta a quella della macchina, pistola alla mano. Io capisco immediatamente che Lei è in pericolo, e mi lancio all'inseguimento, o forse in aiuto, di quell'uomo. Non la abbandonerò! La nostra corsa prosegue rapida e scomposta tra gli alberi, in continui scivoloni con le scarpe colme di fango. Ma non mi fermo e continuo la mia corsa dietro all'uomo. Poi li vedo! Sono in tre di fronte a me, poliziotti con le pistole in mano. Anche l'uomo li vede e due colpi partono dal revolver nella sua mano. Finiscono a mezz'aria, persi tra le gocce di pioggia e gli alberi del boschetto, ma costringono i poliziotti a nascondersi. E anche noi facciamo lo stesso. L'uomo mi guarda e mi urla furioso che era una trappola, per catturarla, che qualcuno ha fatto la spia. Dice di andarmene, in una direzione diversa dalla sua, che dividersi è meglio, per confonderli. Ma io non voglio perderla ancora, e non mi muovo di un passo. Con rabbia mi sputa contro, e una voce ci raggiunge, amplificata da un megafono, che ci suggerisce di arrenderci, che non ci sarà fatto alcun male. In tutta risposta l'uomo bestemmia e poi esce dal nascondiglio dell'albero, per scattare verso un altro gruppetto di giovani aceri a qualche metro da li, facendo esplodere altri due colpi contro gli alberi che offrono protezione agli sbirri, all'unisono con la mia pistola. Tutti i colpi si infrangono contro la corteccia solida e robusta di un albero, ma un proiettile riesce a perforarlo, e un corpo cade di lato, senza proferire suono o parola, ma interrompendo la voce del megafono. Probabilmente quella testa ora ha un orifizio in più.., pensò cinicamente e con un sorriso sulle labbra. Continuo lo scatto verso gli alberi, con l'acqua che mi disturba la vista e i movimenti. Poi finisce tutto! Un boato sordo esplode alle nostre spalle, e un proiettile di fucile raggiunge l'uomo di fronte a me alla spalla sinistra, da dietro, forse al cuore. Mentre cade in avanti con un urlo soffocato dal dolore, altri due colpi lo raggiungono, probabilmente destinati a me, figli di un mitra impugnato probabilmente da un giovinastro figlio di papà che si è ritrovato a fare il poliziotto per chissà quale motivo. O almeno cosi mi piace pensare. Lo colpiscono alla gamba sinistra, perforandogli un arteria; l'uomo cade a terra di viso, cozzando violentemente contro un sasso li per terra, e sfondandosi il cranio, con un rumore sordo, come quello di un melone lanciato contro una parete. Il sangue va ad annacquare il liquido della pioggia, colorandolo di un rosso scarlatto, tremendamente vivo nel buio della notte. Ma l'ultimo colpo, quello peggiore giunge a Lei. La valigetta esplode, vittima della violenta botta di un proiettile in coscio del dolore, inconsapevole del suo delitto. Si apre, disperdendo nell'aria una nuvola di polvere bianca, preziosa quanto l'oro: COCAINA! Mi tuffo a capofitto sulla valigetta, cadendo sulle ginocchia, con il sudore che esce a fiumi dalla mia fronte, nonostante la pioggia. Sento le prime reazioni della crisi d'astinenza confondermi il corpo, improvvisamente consapevole di averla appena persa. Cerco di cogliere tutto il possibile da quella pioggia, cosi diversa da quella che fino a quel momento ha bagnato il mio corpo. Invano. Le lacrime si avvicinano agli occhi, insoddisfatte dell'umidità creata dalla pioggia, vittime di un dolore troppo grande da sopportare. Ma non tutta la cocaina è uscita dalla valigetta, molta è ancora raccolta li dentro. Devo prenderla, prima che si bagni! La mia testa cade all'interno del contenitore, e inspiro selvaggiamente dal naso, leccando la superficie, in una furia disperata e bisognosa, troppo simile a un assetato nel deserto. La polvere sale rapidamente nelle mie narici, bruciando come il sole di quel deserto in cui mi sono perso, raggiungendo i polmoni come una valanga di fresca neve. Improvvisamente sento una grande energia invadere il mio corpo, una scarica di potere viva come una bestia carnivora. Il sudore si ferma, e io ritorno alla realtà! Sento di colpo le voci dei poliziotti che mi intimano di fermarmi, di non muovermi. Sono ancora a qualche decina di metri, e io mi sento forte come non mai, oltre che rabbioso per averla uccisa cosi. Con un urlo smodato salto in piedi, raccogliendo anche la pistola dell'uomo ormai morto. I proiettili vengono sputati fuori dalla canna della mia pistola, in rapida successione, mentre mi tuffo in avanti, per cercare riparo dietro a un grosso tronco. Uno dei miei proiettili raggiunge il petto di un poliziotto, che cade a terra con un grottesco urlo di sofferenza, ma donando a me grande fiducia. Sparo qualche altro colpo dietro di me, senza fermarmi dietro all'albero, ricolmo di energia, ebbro del potere che sento in me, e poi scaglio il revolver scarico contro i poliziotti, mentre estraggo la scacciacani dalla caviglia, senza smettere di svuotare il caricatore dell'automatica contro i miei avversari. Forse un altro colpo raggiunge il bersaglio, forse no. Non lo capisco. All'improvviso inizia ad annebbiarsi la vista, il respiro si fa faticoso e pesante, mentre sento il cuore accelerare ardentemente i battiti. Non controllo più completamente i miei arti, e la scoordinazione si impadronisce del mio corpo. Ma non mi fermo, continuo la mia corsa disperata, energica, e sparo qualche colpo a mezz'aria, leggermente consapevole che è assolutamente inutile. Non sento quasi i colpi partire dalla mia arma, le orecchie ovattate dalla pressione sanguigna, e il rumore coinvolgente della pioggia che scroscia in volute spaventose sul mio corpo. E non sento neppure il colpo che mi raggiunge, al ginocchio, in piena rotula. L'osso si frantuma, disperdendosi nella mia carne in mille frammenti pungenti, mentre il mio corpo si avvicina velocemente al terreno. Sto quasi per toccare terra, quando un altro colpo, frutto della stessa raffica, sconquassa anche il mio fianco sinistro, entrando e uscendo come un coltello fa nel burro. Tocco terra appoggiandomi sul fianco, e poi a pancia in su. Ma il dolore non è molto forte, reso più mite dal potere della bianca polvere, che mi permea il corpo. Non sono preoccupato per i proiettili, ma per il fatto che sto per morire di overdose, colpa di un taglio sbagliato, per guadagnare di più. I polmoni si stanno gonfiando dentro di me, e comprimono il mio petto, mentre il cuore fatica a svolgere il proprio lavoro, e una schiuma bianca esce dalla mia bocca, in ondate di morte. Sto per morire: questa volta Lei mi ha tradito! La consapevolezza mi insinua una strana calma, solo mentale, mentre le convulsioni fanno saltellare il mio corpo nella pozza d'acqua a terra, e mentre il sangue disegna strane forme fuoriuscendo da me. Ma so che non voglio rischiare di essere salvato. Sarebbe tremendo vivere nella consapevolezza del tradimento. Un ultimo tremito, violento. Un ultimo respiro, faticoso. Un ultimo movimento, lento. I miei occhi si aprono di scatto, consapevoli della morte di fronte a loro, veicolata da una canna di pistola che mi osserva, sorridente, pronta. E poi alzo il braccio, di scatto, che impugna la scacciacani. E incredibile come, quando si sta per morire, tutto diventi cosi lento. Il dito del poliziotto si muove a premere il grilletto, lo vedo, mentre il mio braccio muove i primi centimetri da terra. E poi il cane della sua pistola, saetta abbaiando verso la testa del bozzolo, che esplode in una pioggia di scintille, un'altra ennesima pioggia a sconvolgere il mio corpo. Quasi vedo il proiettile venirmi incontro, infrangere le gocce di pioggia nella sua corsa inarrestabile, deciso e spietato come la falce della morte stessa. Poi lo sento penetrare nel mio cranio. Troppo simile ad un verme in una mela, rosicchia la buccia e poi la carne, affamato di dolore. Entra, esce e si conficca nel terreno. Pochi istanti ancora, in cui il sangue caldo si diffonde nel cervello e nel cranio, e poi i miei occhi non vedono più niente. Solo rosso..e freddo.
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Apro questo topic per raccogliere quelle poche cose scritte, vuoi per passione, vuoi per gioco, vuoi per incarico.. Ringrazio già da subito chi avrà la pazienza e il coraggio di leggere le mie cose, e sono graditi commenti, critiche e note varie. Ah, alcuni di voi avranno già letto le storie che posterò qui sotto, ma dopotutto nel forum ci sono buona parte dei miei modesti tentativi.. Prego caldamente di non spammare qui dentro, e mi affido alla vostra saggezza. Vado a proseguire...
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Intanto BENVENUTO in questo forum! Io ho colto l'occasione di mezzora di tempo per leggere il racconto precedente, quello sul vampiro Kaiar Vemon. L'ho trovato molto bello, l'atmosfera che hai creato era coinvolgente. Forse un po' troppo macchinoso (per la mia mente lenta..) nelle descrizioni e in alcuni giri di parole, in cui facevo un po' fatica a cogliere i particolari, troppo preso dal risolvere le parole appena lette. Ma comunque è molto bello, e lascia un sorriso sognante sulle labbra, a chi ama i vampiri.
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Vabbè..mettetevi nei loro panni..devono pur mangiare..e portare avanti quella che è la loro passione, la MUSICA, anche se Freddie è morto. Potrebbero cambiare nome, questo si, per non rischiare di macchiare un nome illustre, ma è normale e anche lecito (e io mi chiedevo anche perchè non suonassero più) che tornino a calcare i palchi o per lo meno i loro strumenti ..
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[Asimov] Il ciclo delle Fondazioni
Wolf ha risposto alla discussione di Shar in Libri, fumetti e animazione
che immagino sia moderare.. ma di che parlano sti libri? -
eheheh si tranquilla, de gustibus
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Uhm...io non l'ho trovato triste..alla fine lascia un po' con l'amaro in bocca, ma non è proprio triste... Per Kordian: mi sa che l'ho visto anche io quel film, ma non ricordo assolutamente il titolo..
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Wolf ha risposto alla discussione di Joram Rosebringer in Prosa e Poesia
Bon, letto tutto! In realtà l'ultimo post di Serghuio e quello precedente di Deedlith non coincidono troppo, ma va bene dai, non importa. Beh, ora c'è da raggiungere la nave e capire cos'ha intenzione di fare il Kyton...bene bene divertente -
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Wolf ha risposto alla discussione di Joram Rosebringer in Prosa e Poesia
avete postato tantissimo devo leggere gli ultimi quattro post, e conto di farlo in giornata.. -
Io l'ho già raccontata ma lo rifaccio. Gioco Martelli d guerra. Con il mio personaggio Linwen Lautel, elfa guerriera Eroe dei Leone di Chracha, che combatte con ascia a due mani. Stiamo combattendo contro un Demone maggiore io, un guerriero deboluccio, e un mago forte ma sfigato con i dadi. Combattimento tesissimo, in cui io mazzuolo come un fabbro ma ne prendo anche una cifra. E' un bel pezzo che inseguiamo quel demone, e non si può fallire ora. Manca un colpo per morire a me, uno per morire al mago, uno per morire al demone. Solo che tocca al demone ad attaccare...se attacca me mi ammazza, e poi ammazza anche il mago che aveva finito le magie. Se attacca il mago io poi lo ammazzo, ma il demone tutti ciò nn lo sa. In attesa che decida chi attaccare, all'improvviso risbucca dal nulla: il mio cane da guerra Zeus (che però voleva essere chiamato Rodolfo III per colpa di un satiro..)!! Arriva in corsa, attacca, e: 100! Colpo critico e demone morto! Praticamente dopo un combattimento assurdo è arrivato il mio cane a rubarmi il kill... Però è stato un bellissimo combattimento! Sempre stesso personaggio, tempo dopo. Assalto del caos ad una fortezza elfica che viene conquistata. Io con il mio reggimento di leoni di Chracha vado a recuperare il tutto. Entriamo, picchiamo tanto e arriviamo alla torre principale del castello. Entro nella sala del trono e seduto sul trono c'è un campione del caos ricoperto di armatura. Davanti a lui due minotauri più grossi del normale. Inizio il combattimento con i due, mentre lui guarda, e li ammazzo, con fatica, tutti e due. Bevo la pozione di guarigione perchè sono messo male. Allora lui si alza, estre la spada, e inizia il combattimento. Combattimento durissimo, ma riesco a tenere botta. Non sono messo male, tocca me ad attaccare e lo colpisco. Secondo i miei calcoli doveva essere morto circa...gli avevo inferito un fottio di danni. Invece lui alza la spada con più energia di prima e mi colpisce. La spada penetra nella carne e poi esplode. Tiro per vedere che succede, visto che sono sotto alle mie ferite massime, e viene fuori 81. Mi taglia la vena di una gamba e muoio dssanguato, mentre lui muore davanti ai miei occhi, consumandosi. Praticamente aveva una runa sul corpo che quando moriva aveva la possibilità di fare un altro attacco con un +3 in forza, e facendo anche esplodere l'arma per 1D6 di danni aggiuntivi... Siamo morti entrambi in questo scontro assurdo, ma io ero più forte!
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Dopo il discorso di sfogo del guerriero Perener si allontanò dal gruppo. Qualche attimo di silenzio seguì, mentre tutti probabilmente meditavano, chi su se stesso chi su qualcos'altro. Poi pian piano tornò la consapevolezza di essere all'interno di un fortino di orchetti, circondati da orchetti in tutta l'isola e da chissà che altro, e in attesa di una nave che forse non sarebbe tornata. Sturmir suggerì di accordarsi per la notte, per i turni di guardia, e di disporsi per riposare, e tutti si mossero, dimentichi delle storie udite. L'elfo si distese a riposare un poco il corpo, dopo essersi accordato per l'ultimo turno di guardia. Sarebbe stato svegliato da Sturmir, che sarebbe succeduto a Perenor in questo compito. Lentamente la notte avvolse le loro menti, appesantendole e intorpidendone i sensi, e caddero in un sonno inqueito e leggero, misto tra l'agitazione e la paura. Ma la mattina giunse, cogliendo Ariaston ancora disteso sul proprio giaciglio, in quel dormiveglia che solo gli elfi riescono a mantenere, consci dell'ambiente circostante, ma in uno stato di trance riposante. La giovane Aiskra lo aveva sostituito nel compito di vegliare sui compagni, perchè si sentiva abbastanza riposata da poter addempiere al compito. Si svegliarono quasi tutti assieme, e fecero una veloce colazione con frutta e acqua. Mancavano ancora tre giorni all'arrivo di Paltron e l'attesa stava diventando lunga e snervante. Quel giorno decisero di non uscire dall'accampamento, per non dare nell'occhio, e solo una breve uscita fu prevista quando avvistarono un paio di cervi che si aggiravano per la foresta. Quella sera mangiarono bene. La mattina successiva giunse tranquilla; era un allegra giornata di sole e un po' di buonumore li risvegliò alle prime luci, riposati e pronti ad un altra giornata di attesa. Arrivò il primo pomeriggio, poco dopo il pasto a base di carne di cervo e poca frutta. I dialoghi erano pochi ed annoiati, e parlavano sopratutto di cosa avrebbero fatto se Paltron non fosse giunto come promesso. Daltrone non sapevano quanto potevano fidarsi di quell'uomo. Si rendevano conto che sarebbe diventato particolarmente difficile la permanenza in quella terra, se non impossibile forse. Ma ognuno di loro aveva nella testa l'immainge di quella donna che aveva portato via Aixela, e del potere che emanava da lei; ma veniva trattata come un tabù, e nessuno ne parlò mai. Lirian era di guardia, e si muoveva silenziosa e tranquilla lungo il perimetro di guardia attorno all'accampamento, osservando la spiaggia e la foresta ai due lati. Ad un certo puntò si fermò, osservando più attenta la foresta, al suo limitare con le prime sabbie. Poi si voltò, la faccia allarmata e leggermente pallida e chiamò i compagni: "Ehi! Abbiamo visite!" Quando corserò a vedere cosa stesse succedendo videro una scena alquanto particolare. Alcuni orchetti, quattro o cinque, stavano correndo dietro a quello che sembrava essere un uomo di mezza età; gli orchetti erano piccoli ed evidentemente infastiditi dalla forte luce del sole, e procedevano lenti ed incerti. Ma l'uomo era più in difficoltà di loro, forse debole ed impacciato da una lunga custodia che teneva in mano. Cadeva a più riprese, e quando riusciva ad alzarsi era costretto a scatti repentini per allontanarsi dalle grinfie di quegli esseri. Ma pian piano guadagnavano terreno ed infine lo costrinsero a voltarsi, ed a estrarre un arma, una spada fina, dalla custodia che teneva in mano. Fu chiaro subito che si trattava di uno sconto impari, con l'uomo cirdcondato da quattro orchetti, mentre uno più lento, forse zoppo, li stava raggiungendo con un manganello in mano. Ariaston era assorto nell'osservare quella scena, quando percepì qualche rumore poco alla sua destra; si voltò e si accorse che era Sturmir, il nano, che stava correndo verso il gruppetto, con l'ascia in mano e mormorando parole di odio nei confronti degli orchetti. Al guerriero venne da sorridere, mentre si rendeva conto che forse una mano a quell'umano non avrebbe dato fastidio, ma Iskra fu più veloce di lui e si affrettò a seguire il nano infuriato. Poco dopo erano a circa 100 metri dal gruppo, mentre due orchetti si voltavano verso di loro, stupiti ed infuriati. Lo scontro si preannunciava divertente: il nano mago, indiavolato e pronto a scatenare le sue magie sulle creature ignare, l'elfa drow agile e veloce guerriera, e un umano malandato e debole, contro 5 orchi accecati dalla luce del sole e non a proprio agio. L'elfo rimase a guardare, interrogandosi su da dove arrivasse quell'umano.. ho scritto questo giusto per proseguire...ora può continuare chi vuole, basta che si prosegua..benvenuto Serghuio
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Wolf ha risposto alla discussione di Joram Rosebringer in Prosa e Poesia
Quello di Serghuio non l'ho letto tutto, perchè è parecchio lungo...domani provvedo. Cmq domani in giornata dovrei trovare il tempo di postare anche, sia in supereroi che in fantasy...good che sia arrivata nuova gente, si riprende alla grande Per manzo: avevi introdotto un unovo pg?' nn ricordo... si esatto anche secondo me i poteri di alathariel sono diversi da quelli di aixela.. poi..volendo ci si può inventare tutto...vedete voi..e tra un po' arriva paltron -
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Wolf ha risposto alla discussione di Joram Rosebringer in Prosa e Poesia
già...più saputo niente. Chi è che scriveva di lui, che non ricordo più? -
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Wolf ha risposto alla discussione di Joram Rosebringer in Prosa e Poesia
Mi pareva lo stesse facendo si, ma non so se ha continuato. All'inizio raccoglieva tutto cosi come è stato postato, e faceva anche una versione riorganizzata...poi non so. -
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Wolf ha risposto alla discussione di Joram Rosebringer in Prosa e Poesia
eheheh bene ma hai anche stampato tutto? good dai, ti aspettiamo -
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Wolf ha risposto alla discussione di Joram Rosebringer in Prosa e Poesia
porc! resto sempre più stupito..vabbè..si continua intanto :D